Una ferita lunga trent’anni
Nel 1997 Celia Ramos moriva dopo una sterilizzazione forzata. A quasi trent’anni
di distanza, il 22 maggio si terrà l’ultima udienza davanti alla Corte
interamericana dei diritti umani: la storia di una donna che racconta quella di
migliaia rimaste nell’ombra.
In una giornata di luglio del 1997 Celia Ramos si reca al Centro di Salute di La
Legua (Perù) per sottoporsi a un intervento di legatura delle tube. Non è una
sua idea, è il personale del Centro a insistere da tempo. Alla fine, ha ceduto e
deciso di assecondarli. Dopotutto, come le hanno detto, si tratta di un
intervento semplice: come togliersi un dente. Quello che Celia forse non sa, è
che la sterilizzazione fa parte del Programma Nazionale di Salute Riproduttiva e
Pianificazione Familiare istituito dal governo Fujimori, che mira a coinvolgere
soprattutto contadine e donne povere. Non a caso, è un programma implementato
soprattutto nelle zone rurali, dove in quegli anni vi è una forte presenza di
guerriglia.
Quel giorno, Celia viene operata e tre settimane dopo muore in seguito alle
conseguenze riportate dall’intervento chirurgico. Lascia orfane tre figlie, e
non sarà l’unica.
Esaurite le vie legali nazionali per ottenere giustizia, la famiglia intraprende
quelle internazionali. Il caso è attualmente nelle mani della Corte
interamericane dei diritti umani che ha previsto la prossima e ultima udienza
per il 22 maggio. Continua così il lungo cammino di ricerca della giustizia da
parte dei familiari, iniziato grazie al fratello; adesso che lui è un signore
molto anziano, le figlie hanno preso le redini.
“Le figlie erano molto piccole quando Celia è morta, la più grande aveva dieci
anni” racconta Gisela De Leon, avvocata e direttrice giuridica di CEJIL (Center
for Justice and International Law). “Il fattore temporale è la prima difficoltà
che le famiglie si trovano ad affrontare in questi casi. Qui, nello specifico,
uno dei principali snodi è se stiamo parlando di un crimine contro l’umanità o
meno, perché questo lo renderebbe un crimine non prescrivibile. Più volte il
processo è stato chiuso perché secondo lo Stato non si trattava di un crimine
contro l’umanità. E questo ha portato a un ritardo importante nella ricerca di
giustizia”.
Quali sono le informazioni di contesto di cui abbiamo bisogno per capire cos’è
successo?
All’epoca esisteva una sorta di piano militare ufficioso, il “Plan Verde”. La
sterilizzazione forzata era una possibile strategia contro i ribelli. La
popolazione che viveva nelle aree in cui operava la guerriglia si riteneva
rappresentasse la loro base di appoggio. Pertanto, doveva essere eliminata; una
delle strategie era spingere le donne a sottoporsi alla sterilizzazione per
impedire che dessero alla luce potenziali guerriglieri. La morte di Celia Ramos
avviene in questo contesto.
Su cosa state puntando in termini legali?
È stato dimostrato che in quel periodo vi era un numero significativo di
sterilizzazioni forzate, oltre 2000 casi. In passato lo Stato ha già
riconosciuto tale pratica. Come anche nel caso di Celia, le vittime subivano
pressioni di vario tipo fino a quando non optavano per sottoporsi agli
interventi, che spesso si svolgevano in centri sanitari piccoli, che non avevano
tutte le condizioni igienico-sanitarie per realizzare le operazioni in
sicurezza. Le informazioni che davano alle vittime non erano né complete né del
tutto veritiere. Celia non ha potuto dare il suo consenso in maniera libera e
informata, e prendere così una decisione consapevole.
Come state lavorando?
In questo caso noi di CEJIL portiamo la nostra specializzazione sul sistema
legale interamericano. Lavoriamo insieme al Center for Reproductive Rights,
associazione che si dedica al contenzioso internazionale e che si concentra sui
diritti sessuali e riproduttivi. Insieme a noi c’è DEMUS, che è l’organizzazione
peruviana in contatto con le vittime, e che le ha sostenute fin dall’inizio.
L’avvocata María Ysabel Cedano García è la coordinatrice del loro team di
contenzioso strategico.
Avvocata Cedano, come si sta vivendo questo processo in Perù?
Il fujimorismo e i suoi alleati al potere stanno portando avanti campagne di
negazionismo, in cui attaccano vittime, sopravvissute, organizzazioni per i
diritti umani. Ripetono che tutto è una bugia. Per fortuna si è riusciti a fare
in modo che il governo di Ollanta Humala approvasse un decreto che dichiarava di
interesse pubblico nazionale prioritario l’assistenza alle vittime di
sterilizzazioni forzate e ordinava la creazione di un registro in cui finora si
sono riuscite a iscrivere circa sei-settemila donne. Questo serve per fornire
servizi e ottenere giustizia, come ad esempio avere un difensore di pubblico
ufficio, o ricevere accompagnamento psicologico.
Qual è la situazione dei diritti umani in Perù?
Viviamo tempi dittatoriali in diversi paesi del nostro continente e il Perù è
uno di questi. Oggi come oggi è nelle mani del governo una nuova legge che
limita i diritti delle organizzazioni non governative. Non vogliono che queste
consiglino o accompagnino le vittime nelle denunce contro lo Stato. Ciò
significa che organizzazioni come la nostra, una volta entrata in vigore la
legge, non potranno continuare a sostenerle.
Qual è la sua impressione?
Sento che stiamo affrontando un alto rischio di impunità, perché non sono
attacchi isolati. Sono attacchi sistematici contro il diritto alla verità, alla
giustizia e alla riparazione da parte del Congresso e del Governo. Usano il
potere legislativo e quello esecutivo per criminalizzare e reprimere, alla
ricerca dell’impunità.
Vuole aggiungere qualcosa sul caso di Celia Ramos?
È molto importante che si tenga in considerazione il contesto: di conflitto
armato interno, di povertà e povertà estrema, di violenza maschilista e
razzista, di una cultura che non riconosce come diritto il consenso previo,
libero e informato – a maggior ragione se sei donna, contadina, indigena. Se non
si tiene presente questo contesto non si comprende perché le donne, abbiano
“acconsentito” all’intervento. Si è trattato di un crimine reso possibile grazie
a uno Stato crudele, che ha sfruttato queste circostanze per perseguire i propri
scopi politici, senza preoccuparsi della violazione dei corpi delle donne.
Novella Benedetti
Unimondo