Tag - ISTAT

Stereotipi di genere e tolleranza verso forme di violenza ancora radicati tra i giovani
Il 36% dei giovanissimi considera accettabile che un ragazzo controlli abitualmente il cellulare o i social network della propria ragazza, l’11,1% che in una relazione di coppia sia “normale che ci scappi uno schiaffo ogni tanto” e il 7,3% che “un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha flirtato con un altro ragazzo” (dati 2023). Il 15,6% pensa che la violenza sia provocata dal modo di vestire delle ragazze, il 13,7% è d’accordo che “di fronte a una proposta sessuale le ragazze spesso dicono no, ma in realtà intendono sì”. Sono ancora troppo forti gli stereotipi tra i giovani: dalla maggiore importanza della bellezza in una ragazza rispetto ad un ragazzo (56,4%), alle maggiori capacità dei ragazzi negli studi tecnologici, scientifici e ingegneristici (21,2%), fino alla minore capacità degli uomini di occuparsi delle faccende domestiche (24,9%). E’ quanto merge dal recente focus dell’ISTAT “Stereotipi sui ruoli di genere: il punto di vista di ragazze e ragazzi”, messo a punto nell’ambito dell’Accordo con il Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.  Dal Report dell’ISTAT emerge come il rapporto di coppia sia immaginato soprattutto come un sostegno: Infatti, quando si chiede ai giovani di 14-19 anni quali siano gli aspetti più importanti in un rapporto sentimentale, la maggior parte (il 48,1%) segnala “il sostenersi a vicenda nei momenti difficili”, seguono la sincerità, la fedeltà, il capirsi, mentre appaiono residuali, intorno al 10%, l’attrazione fisica, l’avere gli stessi interessi e la bellezza fisica. Solo la bellezza fisica supera il 14% per i maschi. La visione dei ragazzi e delle ragazze non è particolarmente diversa, sebbene le ragazze apprezzino di più il sostenersi reciprocamente, la sincerità e la fedeltà. Tra le affermazioni proposte ai giovani sulla coppia vi è anche “la gelosia è un modo per dimostrare amore”, un’idea ancora importante per i ragazzi e le ragazze, che riguarda poco meno di un terzo dei giovanissimi (29,1%), raggiunge il massimo per i ragazzi di 14-16 anni (41,3%) ed è minima (15,4%) per le ragazze di 17 anni e più. Altro stereotipo è quello per cui la donna trova realizzazione solo nella cura della casa e della famiglia, l’idea tradizionale che le responsabilità domestiche, come cucinare, pulire o prendersi cura dei figli, siano compiti esclusivamente femminili. “Questo stereotipo, si sottolinea nel focus, trova consenso presso il 24,9% degli intervistati (30,4% dei maschi e 19,2% delle femmine), a testimonianza di quanto possa essere lungo il cammino che sfata questo pregiudizio presso le donne stesse. Al crescere dell’età diventa progressivamente meno condivisa l’idea che gli uomini siano meno adatti alle faccende domestiche (27,6%, 25,8% e 21,8% l’accordo nelle tre classi di età considerate, 11-13, 14-16, 17 anni e più). Se si ha una madre laureata il grado di accordo è minore (22,5%)”. Così come avere successo nel lavoro è più importante per l’uomo che per la donna: uno stereotipo che sottintende che la realizzazione personale di una donna debba passare principalmente attraverso la famiglia, la maternità o la cura degli altri, piuttosto che attraverso l’ambizione professionale o la carriera. “Secondo questa visione, si legge nel report, il lavoro per la donna non è una priorità, ma qualcosa di secondario, utile solo per occupare il tempo, contribuire parzialmente al bilancio familiare o sentirsi realizzata in modo marginale. È questo, come si vedrà, lo stereotipo più connesso all’accettabilità della violenza contro le donne. Questo stereotipo, che è il meno diffuso (14,6%), è il più divisivo tra i ragazzi e le ragazze: è d’accordo il 22,0% dei maschi e il 6,7% delle femmine”. Ma a colpire particolarmente sono i dati dell’ISTAT sul pregiudizio che la “donna è responsabile della violenza sessuale subita”: pregiudizio diffuso anche tra i giovani di 14 anni e più. Il 15,6% dei ragazzi e ragazze di 14-19 anni è molto o abbastanza d’accordo con l’idea che “le ragazze possono provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire” (23,5% per i maschi contro il 7,2% delle femmine). Persistono anche stereotipi rispetto al consenso, con il 13,7% dei giovanissimi d’accordo sul fatto che “di fronte a una proposta sessuale le ragazze spesso dicono no, ma in realtà intendono sì”, idea condivisa da circa un ragazzo su cinque (19,5%), contro il 7,6% delle coetanee femmine. “Una ragazza che subisce una violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe è almeno in parte responsabile” è un’affermazione che raccoglie il consenso del 12,1% dei 14-19enni, dato che raggiunge il 18,9% tra i maschi e scende al 4,9% delle femmine “Questi stereotipi – sottolinea l’ISTAT –  minano la credibilità delle vittime, portano a minimizzare o ignorare le loro esperienze, instillando l’idea che solo certi tipi di persone possano essere vittime di violenza sessuale; colpevolizzano le vittime e non permettono di evidenziare la colpa dell’aggressore. Inoltre, la colpevolizzazione della vittima alimenta il suo senso di vergogna e di isolamento e le rende ancora più difficile intraprendere il percorso della denuncia. Basti pensare ai rischi di essere vittimizzate due volte (la cosiddetta vittimizzazione secondaria) che spesso si verifica al momento della denuncia e nelle aule dei tribunali”. Qui il Report https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/07/Stereotipi-di-genere-1.pdf.      Giovanni Caprio
Crollo del potere d’acquisto con salari reali giù del 10,5% in 5 anni. I dati del Rapporto ISTAT 2025
Anche il Rapporto Istat 2025 sulla situazione del Paese certifica il crollo del potere d’acquisto degli italiani e l’avanzare del lavoro povero. Pur a fronte di un aumento dell’occupazione (a fine 2024 gli occupati hanno raggiunto i 23,9 milioni,+3,6 per cento in media di anno rispetto al 2019),  l’Italia resta il Paese con il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni più basso d’Europa, soprattutto a causa dei livelli inferiori di partecipazione e occupazione delle componenti giovanile e femminile. Rispetto al 2019, nel 2024 il tasso di occupazione per la popolazione tra i 15 e i 64 anni è salito di 3,2 punti percentuali, fino al 62,2 per cento, pure restando 15 punti inferiore rispetto alla Germania, quasi 7 rispetto alla Francia e 4 in meno della Spagna. La crescita è stata maggiore dai 45 anni in su e tra i laureati (dal 79 all’82,2 per cento), con un ampliamento del differenziale con i meno istruiti (per i quali il tasso cresce di un punto, al 45,1 per cento). “Sono sempre ampi, scrive l’ISTAT, i divari di genere e territoriali: il primo stabile a 17,8 punti, quello tra Nord e Mezzogiorno in riduzione da 23,1 a 20,4 punti”. L’occupazione a tempo pieno e indeterminato riguarda il 63 per cento dei lavoratori, in aumento di 2,1 punti percentuali rispetto al 2023 e di 4,8 punti rispetto al 2019, ma oltre un terzo dei giovani occupati e quasi un quarto delle donne sperimentano almeno una forma di vulnerabilità lavorativa. Nel 2024 l’82,9 per cento degli occupati lavora a tempo pieno, ma il part-time riguarda il 30 per cento delle donne e, spesso, non è una scelta. L’aumento delle retribuzioni nominali nel biennio 2021-2022 non ha tenuto il passo con l’inflazione, e solo nei successivi due anni ha iniziato a recuperare anche in termini reali: rispetto a gennaio 2019, la perdita di potere di acquisto per dipendente a fine 2022 era superiore al 15 per cento e a marzo 2025 è pari al 10,0 per cento. Per le retribuzioni lorde di fatto per dipendente stimate dalla Contabilità nazionale, che includono gli effetti degli accordi decentrati e dei cambiamenti nella composizione dell’occupazione, dal 2019 al 2024 la perdita di potere di acquisto è stata più contenuta e pari al 4,4 per cento in Italia, al 2,6 per cento in Francia e all’1,3 per cento in Germania, mentre in Spagna si registra un guadagno del 3,9 per cento. E basse retribuzioni significa anche aumento della povertà: la povertà assoluta coinvolge nel 2023 l’8,4 per cento delle famiglie residenti (2,2 milioni di famiglie e 5,7 milioni di persone), in particolare famiglie con figli, giovani, stranieri e residenti nel Mezzogiorno. Rispetto al 2014, l’incidenza è aumentata di oltre 2 punti percentuali a livello familiare e di 2,8 punti a livello individuale. Le famiglie con minori restano le più esposte alla povertà assoluta: nel 2023 l’incidenza raggiunge il 12,4 per cento (13,8 per cento a livello individuale), con un incremento di oltre 4 punti rispetto al 2014. I minori in povertà assoluta sono circa 1,3 milioni. Il Rapporto 2025 dell’ISTAT, tra le tante altre cose, non manca di considerare la necessità di investire di più a diversi livelli per la salvaguardia dell’ambiente: dalla gestione delle fragilità del territorio, alla riduzione dell’impatto ambientale delle attività produttive, all’importanza della transizione energetica, che si intreccia con la riduzione della dipendenza dall’estero per l’energia. “L’Italia, si legge nel Rapporto, presenta elementi di fragilità sul piano ambientale e l’impatto sulle attività economiche dell’aumento di frequenza degli eventi estremi, attenuabili solo attraverso l’attività di prevenzione, risulta particolarmente significativo: tra il 1980 e il 2023 l’Agenzia Europea per l’Ambiente stima per l’Italia 134 miliardi di euro di perdite dovute a cause ambientali, collocandola al secondo posto nella UE27 dopo la Germania con 180 miliardi e prima della Francia con 130. Un’analisi realizzata tramite l’integrazione delle basi dati territoriali con il Registro delle unità produttive ha consentito di stimare che nel 2022 il 18,2 per cento del valore aggiunto di industria e servizi era prodotto in unità locali ubicate in territori esposti a rischi naturali di frane e sismicità elevata”. Anche sul fronte dell’istruzione le preoccupazioni non mancano. Nonostante i miglioramenti riscontrati di anno in anno, il livello di istruzione della popolazione italiana –  certifica l’ISTAT – resta inferiore alla media europea. Solo due terzi degli adulti hanno almeno un diploma di scuola superiore e appena uno su cinque possiede un titolo universitario. A pesare sono il basso livello di istruzione delle coorti più anziane e la scarsa diffusione dei percorsi professionalizzanti terziari brevi, come quelli degli Istituti Tecnici Superiori. L’abbandono scolastico precoce resta una criticità, in particolare tra i giovani stranieri e nel Mezzogiorno. “La condizione socio-economica delle famiglie, si sottolinea nel Rapporto, continua a incidere profondamente sui percorsi scolastici, con divari ampi legati al titolo di studio dei genitori, sui quali tornerò più avanti. Sul fronte delle competenze digitali, sempre più importanti nella vita quotidiana, l’Italia nonostante i progressi mostra ancora un ritardo. Meno della metà della popolazione adulta possiede abilità digitali di base (45,8 per cento, +0,1 dal 2021), un valore inferiore alla media europea (55,5 per cento) e distante dagli obiettivi del decennio digitale (80 per cento nel 2030). Persistono forti differenze territoriali tra il Mezzogiorno e il resto del Paese e si rileva un divario generazionale molto ampio tra adulti e giovani, in larghissima parte associato ai livelli di istruzione”. Qui per approfondire e scaricare il Rapporto: https://www.istat.it/produzione-editoriale/rapporto-annuale-2025-la-situazione-del-paese-il-volume/.  Giovanni Caprio