La diplomazia del Vaticano a stelle e strisce: Leone XIV raccoglie l’eredità cinese di Papa FrancescoLa nomina del vescovo Lin Yuntuan a vescovo ausiliare di Fuzhou da parte del
Vaticano segna una svolta nelle relazioni sino-vaticane. Sotto la guida di Papa
Leone XIV, il primo pontefice americano, la Santa Sede ha pienamente attuato il
controverso accordo provvisorio del 2018 con Pechino – un delicato equilibrio
diplomatico che preserva l’ultimo canale funzionale dell’Europa verso la Cina,
pur mantenendo i legami formali con Taiwan.
La cerimonia di insediamento dell’11 giugno ha coronato un processo
meticolosamente orchestrato che ha coinvolto le approvazioni del comitato
cattolico del Fujian, riconosciuto dallo Stato, della Conferenza episcopale
cinese e del Vaticano. Questo meccanismo di approvazione trilaterale, istituito
in base al rinnovo dell’accordo del 2022, rappresenta un raro consenso operativo
tra Roma e Pechino.
Questo gesto avviene nel cuore di una contraddizione geopolitica. La Santa Sede
è l’unico Stato europeo a mantenere relazioni diplomatiche formali con Taiwan,
ma al tempo stesso è l’unico attore che riesce a dialogare concretamente con la
Cina sulla base di meccanismi concordati. Mentre altri soggetti occidentali,
come gli Stati Uniti – che hanno riconosciuto formalmente la Repubblica Popolare
Cinese come unico governo legittimo della Cina fin dal 1979, in adesione alla
politica della “One China” sancita dalla Risoluzione 2758 dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite del 1971 – alimentano le tensioni nello Stretto di
Taiwan con forniture militari, esercitazioni navali e una retorica conflittuale,
il Vaticano si muove nella direzione opposta. In assenza di formali relazioni
diplomatiche con Pechino, la Santa Sede ha costruito una via propria:
silenziosa, paziente, diplomatica. È questo l’autentico volto della diplomazia
di pace.
Ad oggi, sono soltanto tredici gli Stati che mantengono relazioni diplomatiche
ufficiali con Taiwan, tra cui piccoli Paesi insulari come Palau, Tuvalu e Nauru,
e alcune nazioni dell’America Latina e dell’Africa. La Santa Sede è l’unico
soggetto sovrano europeo a farlo. Ciò rende la sua capacità di dialogo con
Pechino ancora più singolare: un attore diplomatico che, senza rinunciare a
relazioni con Taipei, riesce a costruire un’intesa funzionale con il governo
cinese su una materia delicatissima come la nomina dei vescovi.
La figura di Lin Yuntuan, 73 anni, già amministratore apostolico della diocesi
di Fuzhou e protagonista della vita ecclesiale locale fin dagli anni ’80,
diventa così la prima espressione visibile dell’accordo Vaticano-Cina nel
contesto del nuovo pontificato. Nato a Fuqing, nel Fujian, Lin è stato ordinato
sacerdote nel 1984 ed è stato consacrato vescovo nel 2017. La sua lunga
esperienza amministrativa e pastorale nella regione lo ha reso figura di fiducia
sia per Roma che per Pechino.
La scelta della diocesi di Fuzhou ha anche un valore simbolico. Il Fujian è la
regione cinese più vicina a Taiwan ed è da secoli crocevia della diaspora cinese
sull’isola. Oltre la metà della popolazione taiwanese ha origini nel Fujian, e
numerose famiglie conservano ancora oggi legami familiari e culturali con la
Cina continentale. La diocesi di Fuzhou include anche territori (come le isole
Matsu) che, pur sotto l’amministrazione de facto di Taipei, appartengono alla
giurisdizione religiosa cinese. In questo senso, la nomina di Lin assume un
ulteriore valore: quello di unire simbolicamente due rive dello stesso mondo
sinico-cattolico, in una fase storica segnata dalla divisione.
La diplomazia della Santa Sede, anche con un papa di passaporto statunitense,
non si piega alle logiche dei blocchi. L’Accordo del 2018 non è stato annullato,
ma rilanciato: in un’epoca in cui le grandi potenze alzano la voce e accumulano
armamenti, il Vaticano scommette ancora su un modello di pazienza diplomatica.
Il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, ha parlato esplicitamente
di un “ulteriore frutto del dialogo tra la Santa Sede e le autorità cinesi”. Il
portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha dichiarato il 12
giugno che “la Cina è disposta a collaborare con il Vaticano per promuovere il
continuo miglioramento delle relazioni Cina-Vaticano attraverso il dialogo
costruttivo e la fiducia reciproca”.
Il contrasto con la diplomazia statunitense è netto. Washington sostiene
apertamente l’armamento di Taipei e ne fa una pedina nel confronto strategico
con la Cina. Eppure, è proprio grazie a questo approccio che, almeno in ambito
ecclesiale, si è evitata una frattura insanabile. L’alternativa era proseguire
con nomine unilaterali, scismi de facto e comunità cattoliche divise tra
clandestinità e patriottismo. La Santa Sede ha scelto un’altra via: imperfetta,
ma praticabile.
Va riconosciuto che il processo resta fragile. La nomina unilaterale del vescovo
di Shanghai nel 2021 ha dimostrato i rischi concreti di un accordo ancora
soggetto a interpretazioni divergenti. E il carattere “provvisorio” dell’intesa,
rinnovata a scadenza quadriennale, rende il cammino costantemente esposto a
scossoni. Ma proprio per questo, ogni passo compiuto ha un valore doppio: non
solo come atto ecclesiale, ma come segnale politico.
In un mondo che sembra bruciare sotto il peso dei conflitti, dal genocidio in
corso a Gaza agli attacchi contro l’Iran, la Santa Sede versa sapienti e
pazienti gocce d’acqua sul fuoco, alimentando riconoscimento multipolare e
flebili ma forti speranze di pace. L’accordo con la Cina si distingue da altri
modelli (come quello informale col Vietnam o la semplice tolleranza di Cuba) per
la sua forma strutturata e vincolante. A differenza di contesti dove la
diplomazia è improvvisata, il caso cinese è codificato, scritto, sottoscritto.
Ed è in questo spazio scritto che si muove il Papa, con pazienza e
determinazione.
L’attitudine multilaterale e multipolare del Vaticano non si limita alla Cina.
La Santa Sede mantiene un impegno costante nella costruzione di relazioni
pacifiche anche in America Latina e Africa, dove il ruolo di mediazione e
dialogo interreligioso è spesso l’unica alternativa credibile alle derive
securitarie o alle interferenze esterne. La diplomazia vaticana opera con la
stessa logica paziente e discreta: riconoscere le complessità locali, ascoltare
i bisogni delle comunità, costruire ponti dove altri alzano muri.
La nomina di Lin Yuntuan non è solo la cronaca di un’ordinazione episcopale: è
la conferma che la Santa Sede continua a esercitare una funzione unica sulla
scena internazionale. E lo fa oggi, con un pontefice statunitense che non
tradisce, ma rilancia, la via del dialogo. Forse è proprio da qui, e non dai
vertici militari o dai forum geopolitici, che può partire una nuova idea di
convivenza pacifica. La speranza, per ora, ha un nome e una diocesi: Lin
Yuntuan, Fuzhou.
Redazione Italia