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La nuova via della salute: la diplomazia medica di Iran, Cuba e l’Africa
Con la pandemia di Covid-19 la questione della salute è tornata ad essere un argomento sensibile, se non centrale nel dibattito politico. E anche se alla fine, alle nostre latitudini occidentali, non è cambiato molto in termini di privatizzazione dei servizi sanitari e speculazione attraverso grandi affari farmaceutici, si è […] L'articolo La nuova via della salute: la diplomazia medica di Iran, Cuba e l’Africa su Contropiano.
La diplomazia del Vaticano a stelle e strisce: Leone XIV raccoglie l’eredità cinese di Papa Francesco
La nomina del vescovo Lin Yuntuan a vescovo ausiliare di Fuzhou da parte del Vaticano segna una svolta nelle relazioni sino-vaticane. Sotto la guida di Papa Leone XIV, il primo pontefice americano, la Santa Sede ha pienamente attuato il controverso accordo provvisorio del 2018 con Pechino – un delicato equilibrio diplomatico che preserva l’ultimo canale funzionale dell’Europa verso la Cina, pur mantenendo i legami formali con Taiwan. La cerimonia di insediamento dell’11 giugno ha coronato un processo meticolosamente orchestrato che ha coinvolto le approvazioni del comitato cattolico del Fujian, riconosciuto dallo Stato, della Conferenza episcopale cinese e del Vaticano. Questo meccanismo di approvazione trilaterale, istituito in base al rinnovo dell’accordo del 2022, rappresenta un raro consenso operativo tra Roma e Pechino. Questo gesto avviene nel cuore di una contraddizione geopolitica. La Santa Sede è l’unico Stato europeo a mantenere relazioni diplomatiche formali con Taiwan, ma al tempo stesso è l’unico attore che riesce a dialogare concretamente con la Cina sulla base di meccanismi concordati. Mentre altri soggetti occidentali, come gli Stati Uniti – che hanno riconosciuto formalmente la Repubblica Popolare Cinese come unico governo legittimo della Cina fin dal 1979, in adesione alla politica della “One China” sancita dalla Risoluzione 2758 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1971 – alimentano le tensioni nello Stretto di Taiwan con forniture militari, esercitazioni navali e una retorica conflittuale, il Vaticano si muove nella direzione opposta. In assenza di formali relazioni diplomatiche con Pechino, la Santa Sede ha costruito una via propria: silenziosa, paziente, diplomatica. È questo l’autentico volto della diplomazia di pace. Ad oggi, sono soltanto tredici gli Stati che mantengono relazioni diplomatiche ufficiali con Taiwan, tra cui piccoli Paesi insulari come Palau, Tuvalu e Nauru, e alcune nazioni dell’America Latina e dell’Africa. La Santa Sede è l’unico soggetto sovrano europeo a farlo. Ciò rende la sua capacità di dialogo con Pechino ancora più singolare: un attore diplomatico che, senza rinunciare a relazioni con Taipei, riesce a costruire un’intesa funzionale con il governo cinese su una materia delicatissima come la nomina dei vescovi. La figura di Lin Yuntuan, 73 anni, già amministratore apostolico della diocesi di Fuzhou e protagonista della vita ecclesiale locale fin dagli anni ’80, diventa così la prima espressione visibile dell’accordo Vaticano-Cina nel contesto del nuovo pontificato. Nato a Fuqing, nel Fujian, Lin è stato ordinato sacerdote nel 1984 ed è stato consacrato vescovo nel 2017. La sua lunga esperienza amministrativa e pastorale nella regione lo ha reso figura di fiducia sia per Roma che per Pechino. La scelta della diocesi di Fuzhou ha anche un valore simbolico. Il Fujian è la regione cinese più vicina a Taiwan ed è da secoli crocevia della diaspora cinese sull’isola. Oltre la metà della popolazione taiwanese ha origini nel Fujian, e numerose famiglie conservano ancora oggi legami familiari e culturali con la Cina continentale. La diocesi di Fuzhou include anche territori (come le isole Matsu) che, pur sotto l’amministrazione de facto di Taipei, appartengono alla giurisdizione religiosa cinese. In questo senso, la nomina di Lin assume un ulteriore valore: quello di unire simbolicamente due rive dello stesso mondo sinico-cattolico, in una fase storica segnata dalla divisione. La diplomazia della Santa Sede, anche con un papa di passaporto statunitense, non si piega alle logiche dei blocchi. L’Accordo del 2018 non è stato annullato, ma rilanciato: in un’epoca in cui le grandi potenze alzano la voce e accumulano armamenti, il Vaticano scommette ancora su un modello di pazienza diplomatica. Il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, ha parlato esplicitamente di un “ulteriore frutto del dialogo tra la Santa Sede e le autorità cinesi”. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha dichiarato il 12 giugno che “la Cina è disposta a collaborare con il Vaticano per promuovere il continuo miglioramento delle relazioni Cina-Vaticano attraverso il dialogo costruttivo e la fiducia reciproca”. Il contrasto con la diplomazia statunitense è netto. Washington sostiene apertamente l’armamento di Taipei e ne fa una pedina nel confronto strategico con la Cina. Eppure, è proprio grazie a questo approccio che, almeno in ambito ecclesiale, si è evitata una frattura insanabile. L’alternativa era proseguire con nomine unilaterali, scismi de facto e comunità cattoliche divise tra clandestinità e patriottismo. La Santa Sede ha scelto un’altra via: imperfetta, ma praticabile. Va riconosciuto che il processo resta fragile. La nomina unilaterale del vescovo di Shanghai nel 2021 ha dimostrato i rischi concreti di un accordo ancora soggetto a interpretazioni divergenti. E il carattere “provvisorio” dell’intesa, rinnovata a scadenza quadriennale, rende il cammino costantemente esposto a scossoni. Ma proprio per questo, ogni passo compiuto ha un valore doppio: non solo come atto ecclesiale, ma come segnale politico. In un mondo che sembra bruciare sotto il peso dei conflitti, dal genocidio in corso a Gaza agli attacchi contro l’Iran, la Santa Sede versa sapienti e pazienti gocce d’acqua sul fuoco, alimentando riconoscimento multipolare e flebili ma forti speranze di pace. L’accordo con la Cina si distingue da altri modelli (come quello informale col Vietnam o la semplice tolleranza di Cuba) per la sua forma strutturata e vincolante. A differenza di contesti dove la diplomazia è improvvisata, il caso cinese è codificato, scritto, sottoscritto. Ed è in questo spazio scritto che si muove il Papa, con pazienza e determinazione. L’attitudine multilaterale e multipolare del Vaticano non si limita alla Cina. La Santa Sede mantiene un impegno costante nella costruzione di relazioni pacifiche anche in America Latina e Africa, dove il ruolo di mediazione e dialogo interreligioso è spesso l’unica alternativa credibile alle derive securitarie o alle interferenze esterne. La diplomazia vaticana opera con la stessa logica paziente e discreta: riconoscere le complessità locali, ascoltare i bisogni delle comunità, costruire ponti dove altri alzano muri. La nomina di Lin Yuntuan non è solo la cronaca di un’ordinazione episcopale: è la conferma che la Santa Sede continua a esercitare una funzione unica sulla scena internazionale. E lo fa oggi, con un pontefice statunitense che non tradisce, ma rilancia, la via del dialogo. Forse è proprio da qui, e non dai vertici militari o dai forum geopolitici, che può partire una nuova idea di convivenza pacifica. La speranza, per ora, ha un nome e una diocesi: Lin Yuntuan, Fuzhou.     Redazione Italia
Presentato all’Europarlamento il Rapporto di ricerca “Diplomazia di pace”
Si è tenuta a Bruxelles, presso il Parlamento europeo, la presentazione del Rapporto di ricerca “Diplomazia di pace. La minaccia della guerra russo-ucraina e la prospettiva della pace”, promosso dalla eurodeputata Cristina Guarda del gruppo Green/EFA. Il Rapporto è stato redatto dall’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, che ha selezionato le 25 migliori proposte presentate nel mondo nei tre anni di guerra succeduti all’invasione russa dell’Ucraina. Il Rapporto è stato inviato ai ministeri degli Esteri dei 27. Il documento propone una Road Map dettagliata per una soluzione negoziata del conflitto, articolata in quattro fasi e fondata sulla riduzione dell’uso della forza e il rilancio del disarmo come strumento di cooperazione internazionale. La prima tappa prevede un cessate il fuoco immediato, ratificato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e monitorato da una missione di peacekeeping internazionale, eventualmente con il coinvolgimento anche dei Paesi BRICS (Brasile e Cina si erano dichiarati disponibili). Nella seconda tappa, con la partecipazione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, Russia e Ucraina inizieranno a esaminare le questioni umanitarie, economiche, ambientali e della sicurezza nucleare civile, per poi affrontare lo status dei territori contesi e le garanzie per la sicurezza e la sovranità dell’Ucraina. La terza tappa mira a costruire una nuova architettura di sicurezza europea, fondata sulla cooperazione multilaterale, nel solco dello spirito di Helsinki e attraverso una riforma profonda dell’OSCE. La quarta e ultima fase riguarda la ricostruzione post-bellica, non soltanto materiale ma anche sociale e culturale, con programmi di reintegrazione dei combattenti e coinvolgimento attivo della società civile nella prospettiva “people-to people”. Cristina Guarda, Eurodeputata dei Verdi Europei-AVS e promotrice del Rapporto, sottolinea: “Presentando questo studio in Parlamento europeo vogliamo dare voce a chi ragiona su come costruire una pace giusta e duratura, e non su quante bombe deve produrre l’industria militare europea. Se la guerra diventa uno slogan, l’Europa è al capolinea: fermiamoci, prima che sia troppo tardi. Per evitare l’escalation è urgente investire in soluzioni diplomatiche e politiche, come la road map per la pace in Ucraina proposta da Archivio Disarmo.” Benedetta Scuderi, Eurodeputata dei Verdi Europei dichiara “Contributi importanti come quello presentato oggi permettono di toccare con mano l’alternativa alla prospettiva bellicista. La via per noi non è la corsa agli armamenti, ma lo sforzo costante verso soluzioni di negoziazione e di risoluzione dei conflitti. Diplomazia, corpi di pace e nuovi alleati, non escalation delle guerre. In questo, il ruolo di un’Europa unita è fondamentale. Spinelli diceva: ‘Un’Europa unita è il miglior modo per garantire libertà e pace’. In Ucraina, come in Medio Oriente e negli altri luoghi dove si combattono drammatici conflitti, si deve arrivare ad eque e reali condizioni per una pace stabile”. Laëtitia Sédou, di European Network Against Arms Trade-ENAAT afferma “La capacità dell’UE di svolgere un ruolo di mediazione nei conflitti non deve essere compromessa dalla militarizzazione. Le politiche dell’UE per la prevenzione e la risoluzione pacifica dei conflitti rischiano di venire marginalizzate e le già minime risorse finanziarie ad esse destinate stanno subendo ulteriori tagli”. Marco Tarquinio, Eurodeputato del gruppo Socialisti & Democratici afferma: “Il ritorno alla politica di guerra   la pretesa di legittimarla e accompagnarla con grandi processi di riarmo rappresentano una sfida mortale per i popoli coinvolti e per la convivenza globale basata sul primato dell’azione politico-diplomatica e delle relazioni culturali ed economiche tra società diverse. Lo studio di Archivio Disarmo dimostra l’esistenza di percorsi solidi e praticabili verso la pace. È questione di volontà politica”. Pasquale Tridico, Eurodeputato della Sinistra dichiara “Ripartiamo dal modello della Conferenza di Helsinki del 1975, il cui cinquantenario cade proprio quest’anno. Il Movimento 5 Stelle ha organizzato una grande manifestazione a Roma contro il piano RearmEU e intende andare avanti in questa battaglia. È sbagliato dare per scontata la pace, le politiche di disarmo diventino la bussola di tutti i leader mondiali”. Nell’esposizione della Road Map, Fabrizio Battistelli Presidente di Archivio Disarmo ha osservato: “Gli sconvolgimenti degli ultimi tempi, a cominciare dai conflitti in Ucraina e a Gaza, chiedono alla classe politica europea un grande sforzo: sollevarsi dalle polemiche interne per concentrarsi sulle soluzioni politiche. È ormai chiaro a tutti che dalla guerra in Ucraina si può uscire unicamente perseguendo la via diplomatica. ln tre anni di dibattito internazionale le proposte non mancano, il Rapporto “Diplomazia di pace” ne ha censite 25. Le soluzioni ci sono, servono soltanto l’intelligenza, il realismo e la volontà politica per trovare una mediazione che funzioni”. Seguita da un nutrito gruppo di europarlamentari nella sede di Bruxelles, la presentazione del Rapporto ha dato vita a un dibattito molto partecipato e costituisce un contributo alla ricerca di soluzioni coerenti con la sua vocazione di “spazio di libertà, giustizia e sicurezza” che sono i primi requisiti per la pace. Archivio Disarmo