Fuoco sui soccorsi umanitari, abolire subito la zona SAR “libica”Da una delle motovedette cedute dall’Italia ai trafficanti in divisa
libici, alle 15 circa di domenica 24 agosto, hanno sparato per oltre mezz’ora ad
altezza d’uomo, per uccidere chi a bordo della Ocean Viking stava soccorrendo
naufraghi in acque internazionali. La motovedetta utilizzata dalla Guardia
Costiera libica durante l’attacco era stata donata dall’Italia nel 2023
nell’ambito del programma dell’Unione Europea “Support to Integrated Border and
Migration Management in Libya (SIBMMIL)”.
“La Ocean Viking ha lanciato un mayday e ha chiamato l’operazione NATO Sea
Guardian. Hanno riferito di essere stati informati che una nave della Marina
Militare italiana era la risorsa NATO più vicina, ma non ha risposto alle
chiamate.” Quale nave militare italiana era nell’area nella quale i guardiacoste
libici mitragliavano la Ocean Viking ?
E’ l’attacco più violento, e potenzialmente più letale, di una serie di attacchi
armati, rivolti dalla sedicente “guardia cosiera libica”, nei confronti di mezzi
delle Organizzazioni non governative, impegnati in attività di soccorso nelle
acque internazionali del Mediterraneo centrale. La stessa guardia costiera con
la quale le autorità marittime italiane e maltesi, con la supervisione di
Frontex ed il concorso della missione europea IRINI di Eunavfor Med, continuano
a collaborare, riconoscendole una estesa area marittima di competenza. Un
riconoscimento indebito perchè la Libia, nelle sue diverse articolazioni
militari e politiche, non è in grado di garantire lo sbarco dei naufraghi in un
porto sicuro, e non rispetta neppure i diritti dei richiedenti asilo garantiti
dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951.
I mezzi di informazione italiani nascondono questa guerra alle navi del soccorso
civile, forse perchè a tanti non conviene riordare che il primo Protocollo
tecnico-operativo di cooperazione operativa con i libici risale al 2007, con il
governo Prodi, mentre gli accordi più importanti ed ancora oggi in vigore,
risalgono al Memorandum d’intesa del 2017, firmato da Gentiloni, allora a capo
del governo, con Minniti al ministero dell’interno. Poi il governo Draghi ha
mantenuto quegli accordi, la cui portata è stata ulteriormente ampliata dal
governo Meloni, che ha rafforzato la collaborazione con Frontex, ed ha
contribuito ad accrescere le possibilità di intercettazione ( e sequestro) delle
motovedette libiche, ingaggiando una lotta senza quartiere non contro i
trafficanti in dvisa che sono al comando di questi mezzi, ma con le navi
umanitarie, che sarebbero responsabili di tentativi di migrazione illegale
(eventi migratori), piuttosto che di doverose attività di soccorso, imposte
dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare.
Chi continua a parlare di zona Sar (di ricerca e salvataggio) “libica” e’
complice consapevole di questi attacchi, come chi usa il decreto Piantedosi
(legge n.15/2023) per sanzionare con fermi amministrativi quei comandanti delle
navi umanitarie che non obbediscono agli ordini delle “autorita’ competenti”,
dunque delle milizie colluse con i trafficanti. Perche’ in Libia, malgrado gli
sforzi delle autorita’ italiane, dopo la missione Nauras, non esiste ancora una
centrale di coordinamento dei soccorsi (RCC) unificata.
> IL TRASFERIMENTO DELLE RESPONSABILITÀ DI COORDINAMENTO DELLE OPERAZIONI DI
> RICERCA E SALVATAGGIO AD UN’ALTRA AUTORITÀ SAR, COME AVVIENE CON LA
> INDICAZIONE DELLE GUARDIE COSTIERE LIBICHE COME RESPONSABILI DEGLI INTERVENTI
> DI “SOCCORSO”, DI FATTO VERE E E PROPRIE INTERCETTAZIONI, DEVE TENERE CONTO
> DELLE ESIGENZE DI GARANTIRE COMUNQUE UN INTERVENTO DI SALVATAGGIO QUANTO PIÙ
> TEMPESTIVO POSSIBILE, E IL RISPETTO DEL DIVIETO DI SBARCO IN UN PORTO NON
> SICURO
Si dovrebbe quindi affermare espressamente che” la competente autorità
nazionale” per il coordinamento dei soccorsi, e quindi per l’assegnazione di un
porto di sbarco sicuro, è soltanto l’autorità SAR ( dunque la Centrale di
coordinamento- MRCC della Guardia costiera) di un paese che può garantire porti
di sbarco sicuri. Per “competenti autorità nazionali” dalle quali si dovrebbe
attendere il coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio, fino alla
indicazione del porto di sbarco sicuro, non si possono intendere le autorità
marittime o di polizia di paesi che non possono garantire una vera attività di
ricerca e salvataggio, coordinata da una unica centrale operativa, e place of
safety (POS) perchè non sono in grado di garantire porti di sbarco sicuri.
La “competenza” delle autorità libiche, con particolare riferimento alla pretesa
zona SAR (di ricerca e salvataggio) libica, istituita nel 2018 con il
riconoscimento dell’IMO, su forte impulso italiano, dopo la stipula
del Memorandum d’intesa del 2 febbraio 2017, non può legittimare in alcun modo
il supporto ad operazioni delle motovedette libiche che contrastano i soccorsi
umanitari delle ONG, riferendo magari alle autorità italiane che sarebbero state
proprio le navi umanitarie a determinare “situazioni di pericolo” con il loro
intervento di soccorso. Un livello di collaborazione tra autorità libiche ed
italiane che permette di affermare una vera e propria complicità nelle
gravissime violazioni dei diritti umani subite dai naufraghi durante i soccorsi
in acque internazionali, e poi dopo la loro riconduzione forzata in Libia.
La vergognosa decisione di irricevibilità per carenza di giurisdizione adottata
dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, su un caso di respingimento
collettivo violento operato con delega ai libici nel novembre del 2017, sta
legittimando le attività di intercettazione violenta dei guardiacoste libici,
con conseguenze nefaste sulla vita di migliaia di persone “soccorse” in acque
internazionali e deportate in Libia. Ma non permetterà al governo italiano di
proseguire impunemente la collaborazione con le autorità libiche nelle
intercettazioni e nel sequestro in alto mare dei naufraghi fuggiti dai campi di
detenzione ancora gestiti dalle milizie che, come dimostrano il caso Almasri,
sul quale dovrà pronunciarsi la Corte Penale internazionale, e gli scontri più
recenti a Tripoli, continuano ad essere responsabili di gravi crimini contro
l’umanità e non costituiscono un soggetto legittimo per le operazioni di ricerca
e soccorso. Come ha affermato la Corte d’Appello di Catanzaro che lo scorso 11
giugno ha respinto il ricorso del governo italiano contro una sentenza che aveva
dichiarato illegittimo il fermo amministrativo della nave di soccorso Humanity
1, motivato proprio con il riconoscimento della “giurisdizione esclusiva” della
sedicente guardia costiera libica in acque internazionali.
Vanno riviste le discutibili determinazioni di tavoli tecnici, o di vertici
ministeriali che limitano gli interventi dei mezzi della Guardia costiera
italiana alle acque territoriali e scambiano gli interventi di ricerca e
soccorso (SAR) con le attività di contrasto dell’immigrazione irregolare (law
enforcement) affidate principalmente alla Guardia di finanza, con il totale
riconoscimento della competenza delle autorità libiche nella vastissima zona SAR
che, su impulso italiano, veniva riconosciuta a Tripoli dall’IMO nel giugno del
2018.
Occorre revocare il Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017, abrogare,
perchè incostituzionale in ogni sua applicazione concreta, il decreto Piantedosi
(legge n.15/2023), e sospendere immediatamente la cd. zona SAR “libica” di
ricerca e salvataggio ancora riconosciuta dall’IMO al governo di Tripoli, un
governo “provvisorio” che oggi non è più rappresentativo, ammesso che lo fosse
mai stato, di una entità territoriale, politica e militare unica. Un governo che
non può garantire neppure una unica centrale di coordinamento dei soccorsi
(RCC), ed il rispetto, oltre che del diritto di asilo, delle regole delle
attività di ricerca e salvataggio (SAR) che costituiscono il presupposto
ineludibile per il riconoscimento internazionale di una zona SAR. Sono già
troppe le vittime delle politiche di deterrenza che l’Italia ha adottato, con il
supporto dell’Unione europea, sulle rotte migratorie del Mediterraneo centrale.
Fulvio Vassallo Paleologo