Il privato si è fermato a Empoli
Articolo di Erika Di Michele, Marco Pagli
Altro che Davide contro Golia. Qua la proporzione è ancora più sbilanciata, da
battaglia delle Termopili quasi. Con una posta in gioco davvero alta. Mettere in
discussione un progetto miliardario a partire da un singolo Comune chiamato alla
prova di un voto civico che non ha precedenti. Un voto che, comunque, ha già
prodotto risultati prima ancora di andare in scena. Le fibrillazioni di questi
giorni nelle stanze dei bottoni toscane, con le roboanti affermazioni della
sindaca di Firenze Sara Funaro su Publiacqua e Hydrobond e del governatore
Eugenio Giani sulla ripubblicizzazione dell’acqua, sono un segnale preciso in
questo senso. Affermazioni che suonano come una posticcia operazione
propagandistica. Un tentativo di avvelenare i pozzi dell’informazione, in modo
da impedire alle uniche cose in grado di cambiare il corso degli eventi – le
mobilitazioni dal basso, appunto – di farlo.
Ma andiamo con ordine. L’arena in cui si consuma tutta questa partita è la
Toscana centrale, dove da alcuni anni si sta strutturando una Multiutility sul
modello di Acea, Hera o A2A. Plures – questo è il suo nome – sarà un colosso
chiamato a gestire acqua e rifiuti nelle province di Firenze, Prato e Pistoia.
Con un indirizzo ben preciso, impresso da una serie di delibere approvate in
quasi tutti i consigli comunali della zona: la quotazione in borsa.
L’attuale argine a questo progetto è un Comune da circa 50mila abitanti, Empoli.
Qui il 9 novembre prossimo si voterà per il primo referendum comunale della
storia della città: la cittadinanza sarà chiamata ad abrogare proprio quella
delibera comunale che dà il via libera alla creazione della Multiutility e alla
sua quotazione in borsa.
La consultazione è il frutto di una lunga stagione di lotte ambientali portate
avanti dai comitati cittadini e per istituirla questi ultimi hanno dovuto
raccogliere ben 4mila firme in pochi mesi. Un risultato già clamoroso, specie
perché costruito completamente dal basso e su un tema complesso che investe non
solo la sfera locale, ma anche e soprattutto quella regionale. In un territorio
dove trionfò con slancio l’Ei Fu Pd renziano e che ancora tributa maggioranze
larghe al centrosinistra, seppure in tempi di forti astensioni elettorali.
Eppure qualcosa si muove, quando si parla di beni comuni e c’è da opporsi alla
finanziarizzazione dei servizi pubblici e alla svendita del nostro potere
decisionale sui temi centrali della crisi ambientale (acqua, rifiuti, energia).
Una finanziarizzazione e una svendita che proprio nelle segrete stanze del
democraticissimo potere regionale sono state progettate.
Perché la Multiutility è un sogno nel cassetto, appunto, di quel potere politico
ed economico che si è appena riconfermato con il voto regionale di poche
settimane fa. Un progetto che ha origini già negli anni Novanta, ma che fino a
oggi era sempre naufragato. L’impianto è molto semplice: acqua e rifiuti si
faranno gestire a una mega società di proprietà pubblica (anche se il potere dei
sindaci nel consiglio di amministrazione scompare o quasi) che, però, andrà a
cercarsi finanziamenti sul mercato azionario, spalancando porte che finora erano
rimaste chiuse. Quelle, cioè, dell’azionariato privato e della necessità di
pagare lauti dividendi in fondo all’anno, sostenuti dalle bollette degli utenti.
È il capitalismo bellezza – direbbe qualcuno – e noi ci stiamo sguazzando
dentro.
Questo è quello che c’è scritto nelle delibere che sono state fatte votare nei
consigli comunali delle tre province coinvolte. Anche se adesso è tutto un
dichiarare che in realtà la quotazione in borsa non si farà e che l’acqua
tornerà pubblica, quasi a smentire sé stessi a due anni di distanza. Ma solo a
parole, perché la carta – che poi è quella che canta – dice il contrario.
Ed è per questo che a Empoli i comitati cittadini si sono mobilitati, trovando
un’intercapedine nel sistema all’interno della quale infilarsi. Cioè un
referendum abrogativo locale previsto dallo Statuto comunale. Uno strumento che
esisteva in teoria e che mai finora si era fatto pratica. Tanto che c’è stato
bisogno di attendere mesi e mesi perché venisse redatto il regolamento con tanto
di decreti attuativi. E di ostruzionismo in ostruzionismo, l’amministrazione è
arrivata a proclamare la data del 9 novembre come quella definitiva. Cercando,
peraltro, ogni modo per disincentivare il raggiungimento del quorum, fissato
sopra i 21mila votanti: rifiutando ogni ipotesi di accorpamento con tornate
elettorali precedenti, spostando le sedi di voto rispetto alle tradizionali
sezioni, inviando solo le comunicazioni strettamente obbligatorie a cittadini e
cittadine (penalizzando non poco i residenti senza cittadinanza, per la prima
volta chiamati alle urne).
Non è un caso che questa risposta sia arrivata in un territorio come quello
dell’empolese e della Valdelsa. Negli ultimi anni, infatti, lì si sono consumati
scandali e devastazioni, che hanno alimentato conflitti e mobilitazioni
importanti. Dall’inchiesta sul Keu al progetto di un gassificatore-inceneritore,
dall’aumento delle cementificazioni alle alluvioni in rapida sequenza, fino al
progetto di raddoppio ferroviario sulla linea Empoli-Siena che spaccherà intere
comunità. E via via questioni che hanno provocato una reazione popolare sempre
più consistente.
Una reazione che probabilmente larga parte della politica, responsabile di molte
di queste scelte, non si aspettava. Migliaia di cittadini e cittadine che hanno
infiammato assemblee e piazze, riuscendo a bloccare il gassificatore e mettendo
più volte in crisi le amministrazioni locali su temi di economia e
pianificazione urbana.
Tra questi anche il piano per la grande Multiservizi, che come dicevamo ha
radici lontane. Nasceva negli anni Novanta proprio su impulso delle grandi
aziende ex municipalizzate Publiser di Empoli e Consiag di Prato, e veniva
rilanciato alcuni anni dopo dagli allora sindaci Dario Nardella (Firenze),
Brenda Barnini (Empoli) e Matteo Biffoni (Prato). Questi ultimi due, tra
l’altro, neoeletti in consiglio regionale con boom di preferenze.
La prima volta era naufragata perché, per semplificare, i livelli politici non
si erano trovati d’accordo sulle fette di potere da spartirsi. Mentre adesso
sono tornati alla carica, facendo un regalo enorme a Firenze – unico Comune che
avrà un minimo di voce in capitolo – ma soprattutto ai grandi interessi
economici e finanziari che imperano in Toscana e non solo.
Il tentativo di fare le cose in silenzio e in fretta, tuttavia, non è andato a
buon fine. E adesso i supporters della Multiutility si ritrovano con un
referendum abrogativo a Empoli (quinto Comune per popolazione delle tre
province), mentre il Comune di Prato è stato commissariato per corruzione, tra
le altre cose, proprio per aver conferito il depuratore nella Multiutility.
Così, intanto, la quotazione in borsa prevista nel 2025 slitta al 2029.
In attesa di capire la portata di questo voto che è municipale, ma che darebbe
un segnale politico davvero rilevante se arrivasse a bersaglio, qualcosa sta già
accadendo. E le piazzate di questi giorni – che altro non sono che piazzate – ne
sono un segnale evidente. L’annuncio da parte della sindaca di Firenze Sara
Funaro di voler acquisire le quote private in seno a Publiacqua (finanziandole
con dei bond a sottoscrizione pubblica) è solo uno specchietto per le allodole,
dal momento che questa operazione era già prevista fin dal principio del
progetto Multiutility. Si tratta di un acquisto propedeutico alla creazione
della società stessa, la quale poi opererà come soggetto privatistico peraltro
quotato in borsa. Un acquisto che – stando a quanto dichiara la Rete Toscana per
la Tutela dei Beni Comuni – non avrebbe nemmeno bisogno di un investimento
pubblico, poiché sarebbe sufficiente un prestito bancario garantito dai futuri
utili prodotti dai gestori (e questo vale sia per Publiacqua, sia per Acque Spa)
non versati ai soci privati. E quindi l’utilità dei bond non si capisce quale
sia.
E uno specchietto per le allodole è anche quanto ventilato a giorni alterni dal
confermato presidente regionale Eugenio Giani a proposito di un ritorno alla
gestione in house dell’acqua. Perché manca la messa in discussione finale del
progetto Mulitutility. Le cose, infatti, sono due: o Plures sparisce
(polverizzando il lavoro ultraventennale del gruppo dirigente Democratico
toscano, che è molto molto forte nel nuovo consiglio regionale) e si torna a una
gestione a totale controllo pubblico oppure Plures rimane e i servizi verranno
messi a gara. Non esistono vie di mezzo e chi le predica sta prendendo in giro
cittadini e cittadine, dentro e fuori dai campi larghi.
Sullo sfondo si delinea un disaccoppiamento sempre più profondo tra la politica
istituzionale, che porta avanti progetti che spesso sono sconosciuti, a volte
osteggiati, ma mai davvero apprezzati dai più, e quella parte di cittadinanza
attiva e movimento che non solo si mobilità in opposizione, ma sempre più spesso
si rimbocca le maniche per costruire un’alternativa all’esistente. Un approccio
con un forte potere mobilitante, che ci fa pensare a quanto avvenuto negli
ultimi mesi sulla Palestina grazie anche alla Global Sumud Flotilla. Ma anche
alla lotta del collettivo di fabbrica ex-Gkn, che dalla vertenza per la difesa
della produzione e dei posti di lavoro è esondata in una critica ben più ampia e
radicale alla speculazione finanziaria e a un’economia che non serve alla vita
di tutti ma al profitto di pochi, che devasta territori e ambiente.
Anche avversare la Multiutility significa opporsi a un vero e proprio sistema.
Plures è di fatto una holding che non produce nulla, socialmente nociva e per
niente integrata, la società della finanziarizzazione dei beni e dei servizi
inalienabili ed essenziali, lontana dai consigli comunali e dal controllo
democratico e popolare. È la svendita, sottobanco e imposta dalla nostra classe
dirigente, della capacità democratica di incidere su settori centrali per la
riconversione ecologica alle porte della catastrofe climatica, mentre noi ci
affanniamo a fare del nostro meglio con scelte responsabili e mobilitazioni. Ma
non solo. Plures è anche una holding perfettamente inserita nell’«economia del
genocidio» e della militarizzazione. Già ora, con Francesco Macrì sia presidente
di una delle aziende fondatrici, Estra, che nel Consiglio di Amministrazione
della Leonardo. E ancora di più dopo, quando con la quotazione in borsa
subentreranno nella proprietà fondi di investimento come BlackRock e Vanguard
(già nelle altre Multiutility Italiane). L’alternativa a tutto questo esiste.
Forse non ancora definita nei minimi dettagli, ma c’è.
*Erika Di Michele, laureata in Scienze politiche, laureanda magistrale in
Sviluppo locale e politiche di welfare, attivista del comitato Empoli del sì e
attivista solidale Sudd Cobas Prato e Firenze. Marco Pagli è giornalista e
scrittore. Collabora con quotidiani e riviste sui temi del lavoro e
dell’economia.
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