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Palestina: un solo stato senza apartheid?
Ieri in Consiglio Comunale a Biella è stata dibattuta una mozione in solidarietà con la Palestina presentata dalla coalizione progressista . E’ una mozione standard impostata sulla proposta di soluzione “due popoli due stati”. Alla lettura della mozione da parte di Greta Cogotti del PD è seguito un minuto di silenzio per le vittime del conflitto richiesto da Karim El Motarajji e rispettato da tutti i presenti in aula. Poi si sono susseguiti gli interventi, alcuni anche con proposte da approfondire; ci riferiamo in particolare all’intervento di Ivo Dato che, oltre ad aver citato Simone Weil, ha anche portato all’attenzione dei presenti altre possibilità di soluzioni oltre a quella “due popoli, due stati”. Posto che la decisione sulle soluzioni non sta a noi e che l’emergenza immediata è il cessate il fuoco e gli aiuti umanitari,  forse aprire a altre possibilità può aiutare ad uscire da questa situazione drammatica. Riportiamo l’opinione di Giuseppe Paschetto, coordinatore provinciale del M5S di Biella, nonché parte della Redazione Piemonte Orientale di Pressenza. Speriamo così di poter contribuire al dibattito per la pace in città e, magari, alla presentazione di una nuova mozione in Consiglio Comunale a Biella. Un solo Stato di diritto per tutti di Giuseppe Paschetto Nel dibattito in corso sul futuro della Palestina penso occorra mettere sul tavolo tutti gli scenari possibili. Cosa possiamo fare tutti insieme per far riconoscere i diritti dei palestinesi e di chiunque viva in quel territorio? Lo scenario considerato nello slogan “Due popoli, due Stati” è l’unica via o si può provare ad esplorare altri scenari? Quello che scrivo vuole essere un contributo al dibattito tenendo conto del fatto che nulla comunque può essere ottenuto senza difficoltà in quell’area geografica. Forse è venuto il tempo che Israele come nazione degli ebrei si estingua per fare nascere un nuovo Stato in cui tutti quelli che lo abitano abbiano diritto di cittadinanza. Al di là di ogni differenza religiosa e culturale. Una tesi caldeggiata anche da una intellettuale come Anna Foa in una recente intervista. Nulla può più essere come prima dopo l’orribile strage causata dal governo israeliano a Gaza. Ci sono momenti storici di svolta. Israele da Stato di ispirazione socialista degli esordi è diventato un Pese con nette connotazioni nazionaliste-religiose. Dopo la sconfitta sanguinosa nella seconda guerra mondiale dalle ceneri del Terzo Reich è nata una nuova Germania che è riuscita a riallacciare i rapporti con gli altri Paesi europei e a fare i conti con le vittime che aveva causato, con quegli ebrei sterminati a milioni. Dalla trasformazione di Israele potrebbe nascere una confederazione israelo-palestinese che nasca dalle macerie di Gaza, della Cisgiordania, dai lutti e dall’odio sedimentati negli ultimi 77 anni. La fine del ciclo di uno Stato degli Ebrei per diventare il Paese di tutti quelli che ci vivono, ebrei o arabi che siano. È difficile del resto pensare a uno Stato palestinese quando i suoi territori dovrebbero essere formati da una striscia di Gaza devastata e dalla Cisgiordania costellata di insediamenti di coloni. Se osserviamo la carta della Cisgiordania occupata illegalmente dagli israeliani la vediamo costellata di centinaia di colonie diffuse a macchia di leopardo per centinaia di migliaia di coloni ebrei. O se vogliamo pensare a un paragone più calzante pensiamo a quei cartelli stradali come se ne vedono a volte tutti bucherellati dai pallini di una sventagliata di fucile da caccia. Quelli sono gli insediamenti dei coloni. Già quindi la Cisgiordania dovrebbe vedere la convivenza di una consistente fetta di ebrei nel nuovo Stato Palestinese oppure si assisterebbe a una Nakba al contrario dopo quella palestinese del 1948. Quindi un intero territorio che possa essere popolato da ebrei, islamici, cristiani, israeliani, palestinesi, beduini, con una costituzione, e sappiamo che Israele non ha una vera costituzione, che riconosca parità di doveri e diritti. Si tratterebbe di un unico Paese, dal Golan al Mar Rosso, dal Mediterraneo al Mar Morto, che sia territorio comune. È una utopia? Può darsi. Ma cosa non è utopia in quel territorio devastato in cui invece le differenze religiose e culturali dovrebbero essere elementi di ricchezza? E del resto su piccola scala questa utopia si è realizzata già da 50 anni a Neve Shalom Wahat as Salam, il villaggio israeliano citato anche da Anna Foa nell’intervista citata, gemellato da oltre 30 anni con Cossato. Un’utopia da esportare su grande scala. I combattenti per la pace, israeliani e palestinesi, che hanno imparato quale sia la vera strada per la pace e il dialogo, sono un altro incoraggiante segno. Sono germogli da curare e fare crescere per non fare morire la speranza e credere che anche le utopie più ardite possano divenire realtà. Oggi la realtà che si contrappone alle utopie è fatta solo di morte e distruzione e odio che rischia di protrarsi per generazioni e che nessun confine o muro riuscirà a fermare. Occorre avere il coraggio di gettare lo sguardo oltre questa realtà fatta di macerie materiali e ideali. Questo passo forse sarebbe il vero riconoscimento dei diritti e della dignità del popolo palestinese da troppo tempo martoriato. Certamente il ruolo della comunità internazionale è fondamentale. E’ chiaro che la potenza economica e militare di uno Stato piccolo come la Lombardia e con lo stesso numero di abitanti non potrebbe esistere senza l’enorme appoggio della potente lobby sionista americana, il pluridecennale sostegno USA e il commercio con gli altri Stati occidentali. Quindi entra in gioco in qualsiasi scenario vogliamo considerare il ruolo della comunità internazionale. Qualche Stato, non l’Italia, ha già iniziato a far capire a Netanhiau che il limite è abbondantemente superato. Redazione Piemonte Orientale