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Honduras: movimenti popolari respingono l’ingerenza statunitense nelle elezioni
Basta violazioni della sovranità nazionale! Ulteriori prove della frode Il 4 dicembre scorso organizzazioni indigene e contadine si sono mobilitate dai loro territori verso la capitale per denunciare e respingere l’ingerenza degli Stati Uniti nel processo elettorale appena svoltosi in Honduras, mettendo in guardia dal ritorno al potere di settori politici ed economici violenti e criminali. “Il processo elettorale nel nostro Paese dimostra la reale capacità degli Stati Uniti di influenzare la nostra fragile democrazia (…) Che la propaganda del presidente Trump abbia favorito il Partito nazionale, nonostante i suoi comprovati legami con il narcotraffico, è stato un atto palesemente d’ingerenza e violatorio della libera volontà dei popoli”, si legge nel comunicato delle organizzazioni che si sono radunate davanti al centro operativo del Consiglio nazionale elettorale (Cne). Seminare paura Pochi giorni prima del voto, il presidente statunitense ha rotto il silenzio elettorale con un messaggio pubblicato sul suo account Truth Social, in cui annunciava il suo sostegno incondizionato al candidato del Partito nazionale, Nasry Asfura, definendo “quasi comunista” e “poco affidabile” il candidato del Partito liberale, Salvador Nasralla, e “comunista” e “ammiratrice di Fidel Castro” la sua avversaria del partito di governo Libertà e Rifondazione (Libre), Rixi Moncada. Poco dopo, il presidente argentino di estrema destra Javier Milei si è unito all’appello di Trump. Il giorno seguente, lo stesso Trump ha gettato benzina sul fuoco annunciando che avrebbe graziato l’ex presidente honduregno Juan Orlando Hernández, condannato a 45 anni di carcere per reati legati al traffico di droga. In caso di sconfitta di Asfura, gli Stati Uniti non avrebbero più investito nel Paese, tanto meno – ha scritto – se avesse vinto Moncada. Il giorno dopo le elezioni, il leader statunitense ha pubblicato nuovamente minacce contro coloro che starebbero organizzando una frode per impedire la vittoria del candidato nazionalista. Mai, nella storia elettorale dell’Honduras, si era vista un’ingerenza straniera così grossolana e sfacciata come quella attuale, con il silenzio complice delle missioni di osservazione internazionale. Con l’88% dei voti trasmessi, Asfura è in testa alle elezioni presidenziali honduregne, con un margine di 20 mila voti su Nasralla. “Non ci piegheranno” Mentre i candidati del bipartitismo e della destra tradizionale si scambiano accuse e si proclamano vincitori, Rixi Moncada e Libre denunciano brogli attraverso la manipolazione del sistema di trasmissione dei risultati preliminari (Trep), l’ingerenza straniera e l’alterazione dei verbali. “La manovra è grossolana: un intervento straniero sfacciato, minaccioso, ingiusto e infame per distorcere la volontà popolare e frenare Rixi”, attacca dal suo account X  l’ex presidente Manuel Zelaya. “Signor Donald Trump, lei non ci intimidisce, abbiamo resistito a colpi di Stato, frodi monumentali, omicidi politici e persecuzioni. Se siamo sopravvissuti alla narcodittatura, crede che un suo tweet ci piegherà?”, ha aggiunto. Per l’analista politico Óscar Chacón, intervistato dal Diario Uchile, l’atteggiamento del presidente statunitense rivela una forte contraddizione. “C’è tutta una narrativa che cerca di creare l’immagine di (Nicolás) Maduro come un capo di Stato a capo di un’organizzazione narcoterroristica, senza che fino ad oggi siano state presentate prove convincenti al riguardo. Allo stesso tempo, negli Stati Uniti viene liberata una persona su cui esiste una quantità monumentale di prove che dimostrano che ha introdotto enormi quantità di cocaina negli Stati Uniti”. Venti di frode Le organizzazioni indigene e contadine hanno puntato il dito contro “l’ipocrita lotta internazionale contro il narcotraffico” e hanno denunciato la “liberazione del narco-dittatore Juan Orlando Hernández” che, insieme al suo partito, “ha trasformato l’Honduras in uno Stato narco, strumentalizzando le istituzioni per affari criminali e la proliferazione di gravi violazioni dei diritti umani”. Il comunicato del movimento popolare honduregno indica anche i due partiti tradizionali che si contendono il potere come “responsabili storici della povertà e dell’ingiustizia che affliggono l’Honduras”. In questo senso, hanno chiesto il rispetto della volontà sovrana del popolo honduregno, la garanzia di uno scrutinio rigoroso e l’attribuzione delle responsabilità alla consigliera del Cne, Cossette López, e a tutte le persone responsabili delle cospirazioni contro il processo elettorale. Nelle settimane precedenti alle elezioni, il consigliere del Cne, Marlon Ochoa, aveva denunciato l’esistenza di un piano orchestrato dall’opposizione per destabilizzare il processo elettorale. Diverse registrazioni audio coinvolgevano López, il capogruppo del Partito nazionale, Tomás Zambrano, e un membro delle Forze armate. Ieri (4/12), lo stesso Ochoa ha tenuto una conferenza stampa per denunciare quello che considera un colpo di Stato elettorale (qui il comunicato ufficiale). Su 15.297 verbali trasmessi, 13.246 (86,6%) presentano errori e incongruenze tra la registrazione biometrica e il contenuto del verbale trasmesso tramite il Trep. La differenza ammonta a oltre 982 mila voti. Inoltre, Ochoa ha spiegato che è stato rilevato che il Trep non leggeva né interpretava correttamente i numeri dei voti scritti a mano nei verbali e che trasferiva i voti da un candidato all’altro o da un partito all’altro. Ha anche denunciato che 16.615 verbali sono stati trattenuti all’interno del sistema per 40 ore, la pagina di divulgazione dei risultati è rimasta inattiva per diverse ore e ha subito continue interruzioni. “Una matematica fatta su misura per il bipartitismo con il sostegno pubblico di Washington”, ha affermato il consigliere. Per Ochoa si tratterebbe di una “operazione coordinata tra forze interne alla leadership del bipartitismo e un’ingerenza straniera alleata, che sta imponendo una decisione elettorale che spetta solo al popolo sovrano”. Appello all’unità Le organizzazioni sociali si sono mobilitate verso l’ambasciata degli Stati Uniti a Tegucigalpa, dove hanno lanciato un appello alle organizzazioni contadine, operaie, indigene, femministe e ambientaliste del Paese affinché consolidino la più ampia unità popolare, “per costruire un programma di lotta e difendere l’autodeterminazione dei nostri popoli e territori”. “Si tratta di una flagrante violazione della sovranità nazionale e di un tentativo di plasmare la percezione pubblica e la stabilità sociale in un momento critico per l’Honduras. È inaccettabile che i messaggi di altri Stati vengano utilizzati per esercitare pressioni, influenzare o condizionare l’esito politico dell’Honduras”, ha avvertito Wendy Cruz della Vía Campesina Honduras. “Denunciamo una frode e una manipolazione mediatica che si sta preparando da giorni da parte dei gruppi di potere nazionali e degli Stati Uniti, che stanno giocando un ruolo determinante nelle elezioni”, ha detto Bertha Zúniga, coordinatrice del Copinh. “Non possiamo rimanere in silenzio”, ha continuato, “invitiamo tutte le persone consapevoli a unirsi a questa protesta, perché stanno tornando al potere le strutture criminali che stanno dietro a questi candidati. Dobbiamo alzare la voce!”.   Fonte: LINyM (spagnolo) Giorgio Trucchi
Movimenti popolari respingono l’ingerenza statunitense nelle elezioni
Il 4 dicembre scorso, organizzazioni indigene e contadine si sono mobilitate dai loro territori verso la capitale per denunciare e respingere l’ingerenza degli Stati Uniti nel processo elettorale appena svoltosi in Honduras, mettendo in guardia dal ritorno al potere di settori politici ed economici violenti e criminali. “Il processo elettorale nel nostro Paese dimostra la reale capacità degli Stati Uniti di influenzare la nostra fragile democrazia (…) Che la propaganda del presidente Trump abbia favorito il Partito nazionale, nonostante i suoi comprovati legami con il narcotraffico, è stato un atto palesemente d’ingerenza e violatorio della libera volontà dei popoli”, si legge nel comunicato delle organizzazioni che si sono radunate davanti al centro operativo del Consiglio nazionale elettorale (Cne). Seminare paura Pochi giorni prima del voto, il presidente statunitense ha rotto il silenzio elettorale con un messaggio pubblicato sul suo account Truth Social, in cui annunciava il suo sostegno incondizionato al candidato del Partito nazionale, Nasry Asfura, definendo “quasi comunista” e “poco affidabile” il candidato del Partito liberale, Salvador Nasralla, e “comunista” e “ammiratrice di Fidel Castro” la sua avversaria del partito di governo Libertà e Rifondazione (Libre), Rixi Moncada. Poco dopo, il presidente argentino di estrema destra Javier Milei si è unito all’appello di Trump. Il giorno seguente, lo stesso Trump ha gettato benzina sul fuoco annunciando che avrebbe graziato l’ex presidente honduregno Juan Orlando Hernández, condannato a 45 anni di carcere per reati legati al traffico di droga. In caso di sconfitta di Asfura, gli Stati Uniti non avrebbero più investito nel Paese, tanto meno – ha scritto – se avesse vinto Moncada. Il giorno dopo le elezioni, il leader statunitense ha pubblicato nuovamente minacce contro coloro che starebbero organizzando una frode per impedire la vittoria del candidato nazionalista. Mai, nella storia elettorale dell’Honduras, si era vista un’ingerenza straniera così grossolana e sfacciata come quella attuale, con il silenzio complice delle missioni di osservazione internazionale. Con l’88% dei voti trasmessi, Asfura è in testa alle elezioni presidenziali honduregne, con un margine di 20 mila voti su Nasralla. “Non ci piegheranno” Mentre i candidati del bipartitismo e della destra tradizionale si scambiano accuse e si proclamano vincitori, Rixi Moncada e Libre denunciano brogli attraverso la manipolazione del sistema di trasmissione dei risultati preliminari (Trep), l’ingerenza straniera e l’alterazione dei verbali. “La manovra è grossolana: un intervento straniero sfacciato, minaccioso, ingiusto e infame per distorcere la volontà popolare e frenare Rixi”, attacca dal suo account X  l’ex presidente Manuel Zelaya. “Signor Donald Trump, lei non ci intimidisce, abbiamo resistito a colpi di Stato, frodi monumentali, omicidi politici e persecuzioni. Se siamo sopravvissuti alla narcodittatura, crede che un suo tweet ci piegherà?”, ha aggiunto. Per l’analista politico Óscar Chacón, intervistato dal Diario Uchile, l’atteggiamento del presidente statunitense rivela una forte contraddizione. “C’è tutta una narrativa che cerca di creare l’immagine di (Nicolás) Maduro come un capo di Stato a capo di un’organizzazione narcoterroristica, senza che fino ad oggi siano state presentate prove convincenti al riguardo. Allo stesso tempo, negli Stati Uniti viene liberata una persona su cui esiste una quantità monumentale di prove che dimostrano che ha introdotto enormi quantità di cocaina negli Stati Uniti”. Venti di frode Le organizzazioni indigene e contadine hanno puntato il dito contro “l’ipocrita lotta internazionale contro il narcotraffico” e hanno denunciato la “liberazione del narco-dittatore Juan Orlando Hernández” che, insieme al suo partito, “ha trasformato l’Honduras in uno Stato narco, strumentalizzando le istituzioni per affari criminali e la proliferazione di gravi violazioni dei diritti umani”. Il comunicato del movimento popolare honduregno indica anche i due partiti tradizionali che si contendono il potere come “responsabili storici della povertà e dell’ingiustizia che affliggono l’Honduras”. In questo senso, hanno chiesto il rispetto della volontà sovrana del popolo honduregno, la garanzia di uno scrutinio rigoroso e l’attribuzione delle responsabilità alla consigliera del Cne, Cossette López, e a tutte le persone responsabili delle cospirazioni contro il processo elettorale.   Nelle settimane precedenti alle elezioni, il consigliere del Cne, Marlon Ochoa, aveva denunciato l’esistenza di un piano orchestrato dall’opposizione per destabilizzare il processo elettorale. Diverse registrazioni audio coinvolgevano López, il capogruppo del Partito nazionale, Tomás Zambrano, e un membro delle Forze armate. Ieri (4/12), lo stesso Ochoa ha tenuto una conferenza stampa per denunciare quello che considera un colpo di Stato elettorale (qui il comunicato ufficiale). Su 15.297 verbali trasmessi, 13.246 (86,6%) presentano errori e incongruenze tra la registrazione biometrica e il contenuto del verbale trasmesso tramite il Trep. La differenza ammonta a oltre 982 mila voti. Inoltre, Ochoa ha spiegato che è stato rilevato che il Trep non leggeva né interpretava correttamente i numeri dei voti scritti a mano nei verbali e che trasferiva i voti da un candidato all’altro o da un partito all’altro. Ha anche denunciato che 16.615 verbali sono stati trattenuti all’interno del sistema per 40 ore, la pagina di divulgazione dei risultati è rimasta inattiva per diverse ore e ha subito continue interruzioni. “Una matematica fatta su misura per il bipartitismo con il sostegno pubblico di Washington”, ha affermato il consigliere. Per Ochoa si tratterebbe di una “operazione coordinata tra forze interne alla leadership del bipartitismo e un’ingerenza straniera alleata, che sta imponendo una decisione elettorale che spetta solo al popolo sovrano”. Appello all’unità Le organizzazioni sociali si sono mobilitate verso l’ambasciata degli Stati Uniti a Tegucigalpa, dove hanno lanciato un appello alle organizzazioni contadine, operaie, indigene, femministe e ambientaliste del Paese affinché consolidino la più ampia unità popolare, “per costruire un programma di lotta e difendere l’autodeterminazione dei nostri popoli e territori”. “Si tratta di una flagrante violazione della sovranità nazionale e di un tentativo di plasmare la percezione pubblica e la stabilità sociale in un momento critico per l’Honduras. È inaccettabile che i messaggi di altri Stati vengano utilizzati per esercitare pressioni, influenzare o condizionare l’esito politico dell’Honduras”, ha avvertito Wendy Cruz della Vía Campesina Honduras. “Denunciamo una frode e una manipolazione mediatica che si sta preparando da giorni da parte dei gruppi di potere nazionali e degli Stati Uniti, che stanno giocando un ruolo determinante nelle elezioni”, ha detto Bertha Zúniga, coordinatrice del Copinh. “Non possiamo rimanere in silenzio”, ha continuato, “invitiamo tutte le persone consapevoli a unirsi a questa protesta, perché stanno tornando al potere le strutture criminali che stanno dietro a questi candidati. Dobbiamo alzare la voce!”. (foto Luis Méndez) Fonte: LINyM (spagnolo) Giorgio Trucchi
Honduras: testa a testa tra i candidati dell’oligarchia
Dopo una giornata trascorsa in modo del tutto pacifico, i primi risultati diffusi dall’organo elettorale (Cne) attraverso il sistema di trasmissione di risultati preliminari (Trep) hanno completamente stravolto il panorama, con un impatto devastante sulle aspettative di chi puntava sulla continuità del progetto di “rifondazione” del Paese, promosso dal partito Libertà e Rifondazione (Libre) e dalla sua candidata Rixi Moncada. Sebbene Libre abbia da tempo annunciato che avrebbe riconosciuto solamente il risultato dello scrutinio finale della totalità dei verbali elettorali – cosa riaffermata nella nottata di ieri dalla stessa Moncada – la distanza di oltre 20 punti dai due candidati del bipartitismo affossa qualsiasi speranza. La diffidenza verso il conteggio preliminare deriva da una serie di audio in cui membri del Partito Nazionale, tra cui una consigliera del Cne, discutevano su un piano per hackerare la trasmissione stessa dei dati, creando una narrativa per proiettare uno dei candidati della destra come sicuro vincitore. La manovra sarebbe servita a destabilizzare l’intero processo elettorale e obbligare a indire nuove elezioni. L’appuntamento elettorale in Honduras si risolve quindi con un testa a testa tra i candidati della destra tradizionale Nasry Asfura e Salvador Nasralla, che incarnano il progetto neoliberista estrattivista e che rappresentano gli interessi dell’oligarchia nazionale, del capitale multinazionali e, ovviamente, degli Stati Uniti. Anche a livello di Parlamento, le proiezioni danno un emiciclo a netto appannaggio del bipartitismo, con Libre che si dovrebbe accontentare di una trentina di deputati su un totale di 128. Il margine risicato con una differenza inaspettata a favore di Asfura di soli 500 voti, l’enorme divario tra la candidata di Libre e i suoi avversari e la caduta del sistema di conteggio per quasi una giornata, gettano ulteriori ombre sull’intero processo. Mentre Asfura e Nasralla si scambiano reciproche accuse e garantiscono, in base alle copie dei verbali in possesso dei loro partiti, di essere i vincitori, la candidata di Libre mostra pubblicamente il conteggio di un paio di migliaia di seggi in cui non si sarebbero usate le misure di sicurezza biometriche. “Nella maggior parte di questi seggi vincono i due partiti d’opposizione, i risultati sono gonfiati ed appaiono nel conteggio del Trep. Faremo ricorso nelle apposite sedi. Come avevano detto stanno cercando di ingannarci, ma la nostra lotta non è finita e io non mi arrendo”, ha detto Moncada. Si prospetta un lungo ed estenuante tira e molla per decretare il vincitore di queste elezioni. Il Cne ha tempo fino al 30 dicembre per farlo. Uno dei simboli del disincanto di una popolazione che solo quattro anni fa aveva portato in trionfo Xiomara Castro, castigando il partito dell’ex presidente e reo per crimini legati al narcotraffico, Juan Orlando Hernández, è la bassa affluenza alle urne che sarebbe intorno al 50 per cento. Molto lontana da quel 69 per cento del 2021. Difficile azzardare un’analisi a caldo di una situazione in continua evoluzione. Proviamo comunque a introdurre una serie di elementi, tanto esogeni come endogeni. “Governo e partito sono stati assediati fin dall’inizio da una campagna mediatica massiccia e distruttiva, che ha inciso pesantemente sull’immaginario collettivo di una popolazione che voleva liberarsi da una narcodittatura e che aveva aspettative molto alte, ma anche su una nuova generazione di votanti che non ha o non vuole avere memoria storica”, spiega l’analista politica Reina Rivera. Un altro elemento è costituito dal sostegno sfacciatamente interventista del presidente Donald Trump ad Asfura, che ha avuto un forte impatto soprattutto sugli honduregni che vivono negli Stati Uniti, sulle famiglie che sopravvivono con i trasferimenti in dollari (remesas) o su chi crede innocentemente agli aiuti economici all’Honduras in caso di vittoria del candidato nazionalista. “È pericoloso che con un semplice messaggio sui social si possa stravolgere l’esito di un’elezione. Siamo di fronte a un riposizionamento strategico e militare degli Stati Uniti nella regione, una nuova avanzata globale, non solo contro il Venezuela, Colombia o Cuba, ma contro tutti quei governi che non seguono pedissequamente le direttive di Washington”, aggiunge l’avvocata e attivista dei diritti umani. Rivera analizza anche fenomeni interni a Libre e al governo che hanno contribuito all’esito negativo di queste elezioni. “Libre ha fatto molto in termini di politica sociale, ma ha sbagliato nella costruzione di una narrativa che non ha saputo includere anche quei settori popolari interessati a costruire criticamente insieme. Si è allontanato da un movimento sociale e popolare che ha contribuito alla sua nascita come soggetto politico, inglobando nel progetto governativo molte delle sue figure di maggior spicco e indebolendo così il tessuto sociale di sostegno”, spiega. L’analista politica sottolinea anche le difficoltà nel fare conoscere ciò che con successo si stava facendo, contrastando così la campagna mediatica denigratoria e di occultamento dei processi di trasformazione in atto. “Sono state fatte molte cose che hanno anche portato a una significativa riduzione della povertà, ma non si è quasi mai riusciti a rompere il muro di silenzio e il boicottaggio mediatico. Inoltre – continua – ci si è molto concentrati sull’area rurale, dove però l’investimento in politiche sociali non si trasforma automaticamente in voti, bensì si scontra con tradizioni politiche familiari e il controllo “caudillesco” del sindaco di turno. Rompere queste dinamiche non è facile”. Per Rivera, lo scenario dei prossimi anni si annuncia estremamente complicato. “Torna l’estrema destra e lo farà senza fare sconti a nessuno e con un forte sentimento di rivalsa. La svendita della sovranità, la distruzione dei territori, il saccheggio dei beni comuni, lo Stato di nuovo in balia delle banche e le forze repressive contro chi difende la terra. Faranno di tutto – continua – per affossare ciò che di buono è stato fatto in materia di giustizia sociale. Verranno tempi duri per i diritti delle donne, della comunità LGBTIQ, per le popolazioni indigene e nere, per le comunità contadine e la difesa della sovranità alimentare”. Di fronte a questo scenario, conclude Rivera, non è però il momento di abbassare le braccia, né di chinare la testa. “È il momento di tornare alle radici della resistenza, di pensare e sviluppare un progetto politico-sociale che torni ad unire la politica con la lotta sociale, con la dignità e il popolo. Nella sconfitta, per favore, non rinunciamo alla speranza e nemmeno alla memoria”. Fonte: Pagine Esteri Giorgio Trucchi
Parliamo di piramidi
Abbiamo bisogno di mettere in discussione le piramidi non solo del sistema capitalista ma anche le “nostre” piramidi, quelle create all’interno di organizzazioni che resistono al sistema. “Non è una questione da poco – scrive Raúl Zibechi -, perché ci impone di guardarci allo specchio e scoprire i sistemi oppressivi che creiamo quando cerchiamo di cambiare il mondo…”. Verso lo straordinario Semillero zapatista di fine anno: “Di piramidi, storie, amori e, naturalmente, di cuori infranti” (tra gli invitati Raúl Zibechi) Foto di Massimo Tennenini Pochi giorni fa, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ha annunciato il Semillero “Di piramidi, storie, amori e, naturalmente, di cuori infranti”, che si terrà dal 26 al 30 dicembre presso il Centro Indigeno di Formazione Integrale (Cideci) di San Cristóbal de las Casas, Chiapas. L’annuncio chiarisce che il workshop affronterà il tema delle piramidi non solo all’interno del sistema capitalista, ma anche nei “movimenti di resistenza, nella sinistra e nel progressismo, nei diritti umani, nella lotta femminista e nelle arti” (Convocazione al Semillero 26-30 dicembre 2025). Trovo questo nuovo appello estremamente importante, come quelli precedenti, perché un dibattito rigoroso e approfondito è quasi inesistente all’interno dei movimenti sociali, una situazione che contrasta nettamente con l’impegno dell’EZLN a riflettere mentre si resiste e a creare nuovi mondi che non siano più capitalisti. Rigore non è sinonimo di accademico o di incomprensibile per le persone comuni e organizzate che resistono. Questo è un punto centrale: la riflessione e l’analisi non servono per ottenere attestati o promozioni, ma per rafforzare la resistenza, per renderla più perspicace e responsabile. Un aspetto degno di nota dell’appello all’azione non è solo quello di mettere in discussione le piramidi al vertice (anche se non usano questo termine), ma anche le “nostre” piramidi, quelle create all’interno di organizzazioni che resistono al sistema. Si parla molto delle prime; nulla delle seconde. Solo lo zapatismo ha la volontà e il coraggio di metterle in discussione. Nel pensiero critico e nei movimenti rivoluzionari, errori e orrori vengono solitamente attribuiti a singoli individui (come Stalin in Unione Sovietica), ma strutture come le piramidi, che ispirano partiti e sindacati, ma spesso anche coloro che combattono contro il sistema, non vengono messe in discussione. Se parliamo solo delle piramidi del capitalismo (lo Stato, la polizia, la giustizia, ecc.), tralasciamo le nostre deviazioni ed errori, il che sarebbe fin troppo comodo e poco utile. La verità è che tutte le rivoluzioni hanno costruito piramidi che, come diceva Immanuel Wallerstein, erano adatte a rovesciare le classi dominanti, ma che presto si sono trasformate in ostacoli alla creazione di nuovi mondi. “L’errore fondamentale delle forze anti-sistema nell’era precedente era credere che quanto più unificata era la struttura, tanto più efficace era” (Dopo il liberalismo). Da tempo sappiamo che nuove classi dirigenti post-rivoluzionarie sono state ricostruite dall’alto delle piramidi, impedendo la costruzione di mondi non capitalistici e instaurando regimi autoritari che hanno rafforzato gli stati nazionali. Un merito importante dell’EZLN risiede nell’aver fondato questi dibattiti sulla propria esperienza, su quanto accaduto nell’arco di due decenni in spazi autonomi come le Giunte di Buon Governo, un punto che avevano già sollevato chiaramente e apertamente ad agosto durante l’incontro “Alcune parti del tutto”, nel vivaio di Morelia. All’epoca, scrissi che l’autocritica pubblica dal basso era “un fenomeno assolutamente nuovo tra i movimenti che lottano per cambiare il mondo” e che in questo modo gli zapatisti ci mostrano “cammini che nessun movimento ha mai percorso prima, in nessuna parte del mondo, in tutta la storia” (L’autocritica zapatista). Oggi non basta riaffermare questa percezione; dobbiamo anche riconoscere che gli zapatisti pongono una nuova sfida: affrontare le piramidi che creiamo alla base. Non è una questione da poco, perché ci impone di guardarci allo specchio e scoprire i sistemi oppressivi che creiamo quando cerchiamo di cambiare il mondo. La sfida è tanto importante quanto complessa. Non credo si tratti di puntare il dito contro chi costruisce le piramidi, ma piuttosto di ragionare e spiegare i problemi che esse comportano, sulla base di oltre un secolo di esperienza storica dalla Rivoluzione russa e un secolo e mezzo dalla Comune di Parigi. Fu dopo la loro sconfitta che il movimento rivoluzionario iniziò a costruire apparati politici centralizzati e gerarchici: i partiti politici. Fino ad allora, la lotta era sostenuta da una galassia di organizzazioni meno gerarchiche, un po’ caotiche, certo, ma non per questo meno combattive. Siamo arrivati a un punto in cui solo gli apparati burocratici e gerarchici sono considerati vere organizzazioni, ovvero istituzioni che si modellano sulle piramidi statali e le riproducono simmetricamente. Ora ci rendiamo conto che questi apparati sono completamente inutili in questi tempi di caos sistemico e servono solo come scale per coloro la cui unica ambizione è quella di raggiungere l’apice del potere statale. Il dibattito a cui ci chiama lo zapatismo promette di essere illuminante in mezzo all’oscurità. Propongono di nuotare controcorrente rispetto al pensiero compiacente della sinistra e del mondo accademico, intrappolato nella logica del capitalismo. Questo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per scrollarci di dosso il nostro letargo, impegnarci nell’autocritica e liberarci da vecchie idee/prigioni per poter continuare a camminare attraverso la tempesta. -------------------------------------------------------------------------------- di Raúl Zibechi  articolo originale https://comune-info.net/parliamo-di-piramidi Pubblicato anche su La Jornada Ettore Macchieraldo
Elezioni in Honduras: cosa c’è in gioco
A meno di tre settimane dalle elezioni, due progetti dalle visioni diametralmente opposte si scontrano in Honduras: il primo ancorato a un passato recente che ha gettato milioni di honduregni nella miseria, messo in vendita il Paese e saccheggiato le casse pubbliche; l’altro che intende dare continuità alla trasformazione iniziata dal governo di Xiomara Castro e dal partito Libertà e rifondazione (Libre). Sono elezioni complicate, che si svolgono in un clima molto teso, dove è ancora vivo il ricordo del golpe civico-militare del 2009, così come quello degli anni di repressione, persecuzione, lawfare, incarcerazioni e omicidi che hanno caratterizzato i governi neoliberisti post colpo di Stato. Dopo la denuncia presentata da Marlon Ochoa, uno dei titolari del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), circa un piano orchestrato dall’opposizione per boicottare e destabilizzare il processo elettorale del 30 novembre, sul quale ancora indaga la Procura, lo stesso Ochoa ha messo in guardia da quanto potrebbe accadere con il Sistema di trasmissione dei risultati preliminari (Trep). Durante la simulazione realizzata nei giorni scorsi, delle 4.362 schede trasmesse, solo 1.556 sono giunte a destinazione, pari al 35,7%. Analogamente, dei 1.340 dispositivi biometrici utilizzati, solo 317 si sono connessi (23,7%). “La connettività satellitare è venuta meno e uno dei canali di trasmissione dei risultati dai seggi non funzionava. A 20 giorni dalle elezioni, non ci sono garanzie di trasparenza nel Trep. Questa è un’ulteriore prova dell’esistenza di una cospirazione contro lo svolgimento regolare delle elezioni, orchestrata dall’interno dello stesso organo elettorale”, ha detto Ochoa. Lo stesso giorno, migliaia di membri del Partito nazionale (Pnh) si sono mobilitati nella capitale chiedendo elezioni libere e trasparenti e accusando il partito al governo (Libre) e la sua candidata Rixi Moncada di futuri brogli. Per cercare di districarsi all’interno di una congiuntura complessa e polarizzata, abbiamo parlato con Luis Méndez, attivista sociale, poeta e regista honduregno. “Veniamo da elezioni, come quelle del 2013 e del 2017, in cui la destra di questo Paese, la stessa che nel 2009 organizzò un colpo di stato e si appropriò di istituzioni e strumenti politico-amministrativi, ha commesso brogli per rimanere al potere”, ricorda Méndez. Con la schiacciante vittoria di Xiomara Castro e del partito Libertà e rifondazione nel 2021, spiega l’analista, si è registrato un significativo passo in avanti nella gestione dell’amministrazione pubblica. Si è inoltre posto fine al tradizionale sistema bipartitico all’interno delle istituzioni. “La vittoria del partito Libre – prosegue – ha rappresentato uno shock per le élites economiche, politiche e religiose, ed è per questo che faranno di tutto per impedirgli di rimanere al governo”. “Ciò a cui stiamo assistendo” aggiunge Méndez, “è una brutale offensiva volta a delegittimare qualsiasi progresso compiuto in questi quattro anni. “Siamo di fronte alla vecchia politica tradizionale, alleata dell’ingerenza statunitense, delle grandi aziende e dei settori imprenditoriali legati al copione neoliberista, al progetto di espropriazione e smembramento del settore pubblico” Un lupo mimetizzato  Le elezioni honduregne sono anche condizionate da interessi strategici e geopolitici. Sia il movimento di resistenza che il partito Libre rappresentano un ostacolo a questi interessi. “Le posizioni assunte pubblicamente dal governo honduregno su questioni molto delicate per Washington, come la responsabilità di Israele nel genocidio del popolo palestinese o la denuncia di aggressioni, sanzioni ed embarghi contro Cuba, Nicaragua e Venezuela, hanno creato maggiori tensioni”, afferma l’attivista. Secondo Méndez, le elezioni honduregne non possono essere scisse dal contesto regionale, dove le difficili relazioni tra Stati Uniti, Colombia e Venezuela, unite alla massiccia presenza militare statunitense nei Caraibi, stanno esacerbando gli animi. “Un secondo periodo di Libre al governo rappresenta un’ulteriore battuta d’arresto per gli obiettivi geostrategici di dominio statunitense in America Latina. Lo vedremo in qualche modo riflesso nelle elezioni. Non dimentichiamo l’uso artificioso degli ‘osservatori elettorali’ in altre elezioni”. Campagna d’odio Un altro strumento utilizzato dall’opposizione è l’impiego di campagne di odio e fango lanciate attraverso i grandi gruppi multimediali, che in Honduras sono nella quasi totalità controllati dagli stessi che hanno avuto un ruolo decisivo nel colpo di stato contro l’ex presidente Manuel Zelaya. “Si sta cercando di costruire una narrazione per delegittimare sia l’operato del governo, sia quello del partito Libre, dicendo che sono uguali a chi li ha preceduti. Tuttavia, Xiomara Castro e chi l’ha accompagnata in questa esperienza non ha nulla a che fare con quella che è stata la narcodittatura e la struttura criminale che ha preso il controllo dell’Honduras per 12 anni”. Secondo l’analista, anche nascondere i risultati dell’amministrazione Castro e ignorare che la partecipazione dei cittadini che è tornata ad avere un significato all’interno della politica statale, fanno parte della stessa campagna di disinformazione. “Ci sono state contraddizioni, si sarebbero potuto fare molto di più e, soprattutto in termini di accesso e difesa di terra, territori, beni comuni, così come di risposta alle esigenze delle popolazioni indigene e contadine, il bilancio è insufficiente. Nonostante ciò – spiega Méndez – siamo ancora in una fase di transizione. Non possiamo dimenticare in che condizioni il governo ha ricevuto il Paese e le casse pubbliche, gli ostacoli che ha dovuto affrontare, né la struttura politica ed economica criminale che continua a detenere il potere. Una situazione drammatica che non può essere cambiata in soli quattro anni”. In chiusura, l’attivista sociale ha ricordato che in Honduras è in atto uno scontro tra due progetti: quello neoliberista, basato sull’espropriazione e la privatizzazione della cosa pubblica e quello della lotta emancipatoria del popolo e della difesa della cosa pubblica. “La destra, pur presentandosi come vittima, è quella che cerca di generare il caos e impedire lo svolgimento delle elezioni. Intende imporre nella coscienza collettiva una narrazione mediatica che vede Libre come colpevole. Tuttavia, ho fiducia che esistano le condizioni per proseguire con il progetto di cambiamento iniziato da Xiomara Castro”.   Giorgio Trucchi
Cospirazione e colpo di stato elettorale in Honduras?
A un mese dalle elezioni generali, in cui oltre 6,3 milioni di persone saranno chiamate alle urne per eleggere  presidente, deputati del Congresso e del Parlamento centroamericano, sindaci e  consiglieri comunali, la situazione elettorale in Honduras è sempre più tesa. Mercoledì scorso (29/10), il procuratore generale Johel Zelaya ha convocato una conferenza stampa in cui ha reso noto il contenuto di alcune registrazioni audio (QUI la trascrizione completa), consegnate  alcuni giorni prima da uno dei tre titolari del Consiglio nazionale elettorale (Cne), Marlon Ochoa, in carico al partito di governo Libertà e Rifondazione – Libre, in cui viene rivelato un presunto piano per boicottare e destabilizzare le elezioni del prossimo 30 novembre. Tale piano coinvolgerebbe il deputato Tomás Zambrano, capogruppo del Partito nazionale dell’Honduras, la consigliera del Cne, Cossette López Osorio, e un membro non identificato delle forze armate. Caos programmato La strategia prevede sia l’infiltrazione nella  logistica del trasporto di urne e schede votate, per ritardare e pilotare la comunicazione dei primissimi risultati, che la manipolazione della trasmissione elettronica dei risultati preliminari, generando così un clima di crescente sospetto, crisi e caos a livello nazionale e internazionale. Tensione e confusione che, in caso di vantaggio della candidata di Libre, Rixi Moncada, contribuirebbero a spalancare le porte a un mancato riconoscimento dei risultati finali. L’insieme delle azioni cospirative avrebbe come fattore scatenante l’induzione nell’opinione pubblica della percezione che il vincitore sia invece il candidato del Partito liberale, Salvador Nasralla, e che Libre stia tramando una frode per non cedere il potere. A rafforzare il piano destabilizzatore contribuirebbe poi la massiccia azione di divulgazione attraverso media, piattaforme e social controllati e finanziati dai principali gruppi economici legati all’opposizione politica, da sempre ostili al governo progressista di Castro e al partito sorto come braccio politico del movimento di resistenza contro il colpo di stato cívico-militare, che nel 2009 depose con la forza delle armi l’allora presidente Manuel Zelaya. L’infiltrazione dei gruppi di osservazione elettorale con militanti del Partito nazionale potenzierebbe ulteriormente la narrativa e la percezione nella popolazione e nella comunità internazionale della frode elettorale, dando il via alla mobilitazione delle basi nazionaliste che contribuirebbero ad aggravare il caos e l’instabilità. Il mancato riconoscimento del risultato elettorale a livello internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti, è infatti fondamentale affinché la strategia funzioni e siano indette nuove elezioni. Le solite manovre L’orchestrazione da Washington di strategie per impedire alle forze progressiste di arrivare al governo o di continuare a governare in Honduras non è certo una novità. Nel 2017, l’allora ambasciatrice statunitense avallò e benedisse i brogli che permisero un secondo mandato presidenziale a Juan Orlando Hernández, attualmente detenuto negli Stati Uniti per reati legati al narcotraffico. Qualcosa di molto simile accadde anche durante le elezioni del 2013 (primo mandato di Hernández, che aveva come principale avversario l’attuale presidente Castro) e il colpo di Stato del 2009. Nel 2017, le proteste furono represse con violenza, con un bilancio di oltre trenta persone uccise e centinaia di feriti. Molti cittadini dovettero abbandonare il Paese per sfuggire alla repressione e alla cattura. Particolarmente ironica è la situazione dell’istrionico conduttore di programmi sportivi Salvador Nasralla, che otto anni fa fu candidato presidenziale di un’alleanza guidata da Libre, nonché il primo a denunciare a livello nazionale e internazionale le innumerevoli irregolarità che lo privarono della vittoria. Ora sarà proprio lui a trarne il maggior vantaggio, alleandosi con chi gli impedì di essere presente e  accettando la benedizione di nazionalisti e trumpiani. Indagini a tappeto Nonostante le dichiarazioni di López e Zambrano, quest’ultimo sostenuto dai principali leader del Partito nazionale, che denunciano pesanti pressioni, la falsità delle registrazioni, per le quali sarebbe stata usata l’intelligenza artificiale, e i rischi che corre la democrazia, il procuratore Zelaya ne ha assicurato l’autenticità e ha confermato l’inizio delle indagini. “Daremo istruzioni affinché si inizi a indagare l’accaduto, si assicuri la protezione delle registrazioni e vengano citati i testimoni”. Zelaya ha ricordato che qualsiasi tentativo deliberato di manipolare i risultati elettorali costituisce un reato di tradimento della patria, che in Honduras è punibile con una pena detentiva da 15 a 20 anni e l’interdizione assoluta per un periodo doppio rispetto alla durata della pena. Da parte sua, la presidente Xiomara Castro, attraverso il suo account su X, ha condannato con assoluta fermezza “questa cospirazione criminale volta a provocare un colpo di Stato elettorale”. Ha poi dichiarato di aver chiesto alle forze armate di indagare sul coinvolgimento di militari nel tentativo di destabilizzazione, nonché al ministro degli Esteri di denunciare i fatti alla comunità internazionale. “Gli stessi gruppi che hanno violato la Costituzione nel 2009 e che hanno consumato le frodi elettorali del 2013 e del 2017, oggi tentano nuovamente di soppiantare la volontà del popolo, generare caos e sequestrare la sovranità popolare”, ha affermato Castro. “Difenderemo la democrazia e la volontà dei cittadini con tutta la forza della legge, garantendo elezioni libere e trasparenti, la pace sociale e il rispetto incondizionato dello Stato di diritto e dell’ordine costituzionale”, ha aggiunto. Anche la candidata presidenziale di Libre ha reagito agli ultimi eventi. “Alla luce delle registrazioni che rivelano l’operazione fraudolenta di una mafia elettorale all’interno del CNE, affermo con chiarezza: non esiste il crimine perfetto! La difesa delle elezioni e della democrazia assume oggi un carattere storico”. Moncada ha inoltre chiesto al procuratore generale di agire con tutta la forza della legge, e alla consigliera Cossette López di rimettere immediatamente il mandato. “Nessuno che partecipi a una cospirazione di tale portata ha la legittimità per ricoprire una carica come autorità elettorale”. Fonte: LINyM (spagnolo) Giorgio Trucchi
Germaica oggi. Il vento che non si ferma
L’uragano Melissa travolge la Giamaica con venti fino a 300 chilometri orari. Tra devastazione, paura e solidarietà, il pianeta sembra gridare nella stessa lingua. Le immagini arrivano dalla Giamaica, oggi. Si sovrappongono, sembrano tutte uguali: case scoperchiate, alberi piegati dal vento, strade sommerse dal fango. Qualche volta facciamo confusione, non ricordiamo più né dove né quando. Oggi è la Giamaica in stato d’allerta, oggi è il suo turno. Indifferentemente potrebbe essere la Florida, New Orleans, le Filippine, la Libia, Rigopiano, Sarno. Oppure, addirittura, potrebbe essere il fiume che passa accanto alla nostra casa a ribellarsi. Un elenco che potrebbe essere infinito. Nessuno può ritenersi al sicuro. Il pianeta sembra ripetere lo stesso grido, in lingue diverse. La Giamaica è un’isola dei Caraibi grande poco più della Sicilia, distesa nel cuore del mare tra Cuba e Haiti. Tre milioni di abitanti, colline di foresta tropicale, piantagioni di canna da zucchero e caffè, coste che si affacciano su un mare di un azzurro quasi irreale. Nella memoria collettiva è Bob Marley, il ritmo del reggae, le spiagge, il turismo che rappresenta quasi un terzo dell’economia nazionale. Ma dietro quell’immagine luminosa ci sono comunità che vivono di pesca, agricoltura e lavori stagionali, spesso in condizioni precarie, in un Paese dove la povertà resta diffusa e la natura, un tempo madre generosa, è diventata sempre più imprevedibile. Ed è proprio questa isola, apparentemente sospesa tra sogno e mare, a essere ora travolta dalla furia dell’uragano Melissa. Un ciclone di categoria 5 che ha raggiunto venti fino a trecento chilometri orari, con onde alte oltre sei metri e piogge torrenziali destinate a proseguire per ore. Le autorità giamaicane hanno dichiarato lo stato d’emergenza e disposto evacuazioni di massa lungo le coste. Secondo i dati disponibili al momento della pubblicazione, si contano tre vittime accertate in Giamaica e almeno sette complessive in tutta l’area caraibica, includendo Haiti e la Repubblica Dominicana. Migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Le abitazioni di lamiera, comuni nelle periferie urbane e nei piccoli villaggi interni, sono state le prime a cedere sotto la forza del vento. In molte zone l’elettricità è interrotta, le comunicazioni difficili, i soccorsi lenti a raggiungere le aree più isolate. Eppure, anche in mezzo alla paura, la solidarietà non si ferma. Le famiglie si aiutano una vicenda, i centri comunitari si trasformano in rifugi, i volontari distribuiscono cibo e acqua potabile. Dalle radio locali si ascoltano voci calme che invitano a mantenere la speranza: “Ricostruiremo, lo facciamo sempre”, ricostruiremo, come sempre. Ogni tempesta come questa racconta una verità più grande: la crisi climatica non è un’ipotesi, è una realtà. Secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, la regione dei Caraibi sta sperimentando un aumento medio delle temperature oceaniche di oltre un grado rispetto ai livelli preindustriali, e questo incremento favorisce gli uragani sempre più violenti e imprevedibili. Dietro le statistiche ci sono persone, pescatori che perdono le barche, agricoltori che vedono i raccolti distruttivi, famiglie che ricominciano da zero ogni volta. Sono i nuovi profughi climatici, costretti a lasciare le proprie case non per scelta, ma per sopravvivere. In questo scenario, il lavoro degli attivisti ambientali acquista un significato ancora più profondo. Da anni ci avvertono, ci chiedono di fermarci un momento, di ascoltare. Greta Thunberg è solo un esempio, per la sua giovane età e la forza con cui ha saputo scuotere un’intera generazione. Ma dietro di lei, e accanto a lei, ci sono stati e ci saranno grandissimi guerrieri in questo campo: scienziati, giornalisti, educatori, contadini, uomini e donne che da decenni combattono contro l’indifferenza, spesso nel silenzio. A tutti loro dovremmo riconoscere rispetto e gratitudine, perché non cercano consenso ma coscienza. Ci ricordano che dietro ogni disastro c’è un segnale, e che non basta guardare le immagini: bisogna imparare a soffermarsi, ad ascoltare davvero ciò che vogliono comunicarci. Ogni volta che un uragano colpisce, si misura la distanza tra chi può permettersi di ricostruire e chi no, e si misura la fragilità di un sistema che ha dimenticato la propria interdipendenza. Ma soprattutto, bisognerebbe contare le vite umane spezzate senza avere nessuna colpa, perché è da lì che si comprende la reale entità di una catastrofe. Non nei numeri, ma nelle assenze che lascia dietro di sé. Mentre queste righe vengono scritte, Melissa continua la sua corsa sull’isola. Non sappiamo ancora quale sarà l’entità dei danni, ma sappiamo che, come sempre, saranno i più fragili a pagare il prezzo più alto. Eppure, anche in mezzo al disastro, restano mani, voci, gesti di aiuto che raccontano un’altra parte dell’umanità: quella che non si arrende, che resiste, che ricostruisce. Perché ogni volta che un uragano passa, il vero vento che dovrebbe restare è quello della consapevolezza. Lucia Montanaro
Panama rifiuta la riapertura della miniera di rame ‘Cobre Panamá’
> La prospettiva di riaprire la miniera Cobre Panamá, gestita dalla canadese > First Quantum Minerals, continua a suscitare forte resistenza da parte dei > cittadini e contestazioni legali. Nonostante le campagne a favore della sua riattivazione, un ampio settore della popolazione si oppone al progetto, citando come motivo principale la difesa dell’ambiente, secondo recenti sondaggi e manifestazioni. La miniera, situata in una zona chiave del corridoio biologico mesoamericano, ha accumulato più di 230 infrazioni ambientali in un decennio, tra cui danni a fiumi, suoli e biodiversità. Nel 2023, la Corte Suprema di Giustizia ha dichiarato incostituzionale il contratto con Minera Panamá, una sentenza che ha segnato una svolta nella lotta ambientale del Paese. Mentre il governo del presidente José Raúl Mulino assicura che non ci sono piani immediati di riapertura, l’azienda ha avviato procedimenti di arbitrato internazionale e avverte che farà valere i propri diritti legali. Parallelamente, le comunità indigene denunciano restrizioni all’accesso ai loro territori, nonostante la chiusura ufficiale dell’attività. Il caso di Cobre Panamá pone il Paese di fronte a un bivio tra sovranità ambientale, rispetto del diritto e interessi economici. La società civile panamense chiede trasparenza, partecipazione e un modello di sviluppo che non sacrifichi le sue risorse naturali in cambio di profitti a breve termine. Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Redacción Costa Rica
Resistere è un diritto, non una condanna a morte
Il nuovo rapporto di Global Witness “Radici di resistenza” documenta le lotte di chi difende la terra, i territori e i beni comuni, denunciando al contempo omicidi e sparizioni avvenute lo scorso anno. L’elevato numero di vittime evidenzia, ancora una volta, la tragedia che vivono tutte quelle persone, comunità e organizzazioni “che coraggiosamente alzano la voce o intraprendono azioni per difendere il diritto ad avere accesso alla terra e a un ambiente pulito, sano e sostenibile”. – LEGGI QUI il rapporto completo in spagnolo Nel 2024, 146 persone sono state uccise o sono scomparse per aver lottato per questi obiettivi. Tre persone alla settimana. Sono 2.253 le vittime mortali negli ultimi 13 anni (2012-2024). Una media di 173 all’anno. Sono stati documentati anche 14 omicidi di persone – due delle quali erano bambini – coinvolte in attacchi contro difensori, per lo più familiari presenti durante l’aggressione. L’America Latina, la più letale La Colombia rimane il luogo più letale con 48 persone uccise o scomparse. Seguono Guatemala (20), Messico (19), Brasile (12), Filippine (8) e Honduras (6). Ancora una volta, l’America Latina risulta essere il continente più pericoloso per chi difende terra, territori e beni comuni con l’82% degli omicidi commessi (120). Le quattro sparizioni registrate sono avvenute in Cile, Filippine, Honduras e Messico. Sebbene i dati globali dello scorso anno siano inferiori a quelli del 2023, passando da 196 a 146 omicidi, ciò non indica che la situazione dei difensori stia migliorando, né riflette le tendenze della violenza in ciascun paese, afferma Global Witness. Per diversi motivi, molti degli attacchi non vengono denunciati o esistono ostacoli alla loro verifica. È quindi molto probabile che queste cifre siano inferiori alla realtà. Le popolazioni indigene e contadine sono ancora una volta quelle che subiscono la maggior parte degli attacchi mortali, rispettivamente con 50 e 54 persone uccise o scomparse. Si tratta di due terzi del totale. L’estrattivismo semina morte L’attività mineraria ed estrattiva in generale è stato il settore in cui si è concentrato il maggior numero di omicidi, seguito dallo sfruttamento forestale illegale, l’agroindustria, la costruzione (infrastrutture stradali) e la produzione di energia. Un altro elemento ricorrente è l’impunità. L’ong britannica avverte che sono rare le occasioni in cui si riesce a catturare e punire gli autori materiali dei reati e praticamente mai i mandanti. “Nel contesto della crescente domanda di cibo, combustibili e materie prime”, sottolinea Global Witness, “si è registrato un forte aumento dell’accaparramento di territori a beneficio dell’industria mineraria, dello sfruttamento forestale, dell’agroindustria e dei progetti infrastrutturali, senza consultare né compensare adeguatamente le comunità”. Di fronte a questa situazione, gli autori del rapporto hanno invitato gli Stati ad affrontare con urgenza e serietà le cause che motivano le aggressioni contro chi difende territori e beni comuni, sviluppando quadri giuridici solidi e vincolanti in materia di imprese e diritti umani. Hanno inoltre chiesto l’impegno a riconoscere formalmente e proteggere difensori e comunità, adottare dichiarazioni, quadri e meccanismi internazionali e regionali che li proteggano, combattendo al contempo la loro criminalizzazione e garantendo una giustizia trasparente e veloce. Fonte: LINyM (spagnolo) Giorgio Trucchi
Honduras: Non si ferma il massacro dei contadini nel Bajo Aguán
Il Bajo Aguán continua a rappresentare un debito in sospeso per lo Stato honduregno. Omicidi di contadini, vessazioni, persecuzioni e stigmatizzazioni, sfollamenti forzati, criminalizzazione giudiziaria e impunità sono all’ordine del giorno per chi si organizza e lotta per l’accesso alla terra e la difesa dei territori e dei beni comuni. Il 26 luglio è stato assassinato da sconosciuti che si sono dati alla fuga il giovane Héctor Otoniel Hernández Castro, di 22 anni, membro dell’azienda agricola associativa ‘Gregorio Chávez’. Insieme a lui, mentre lavoravano nei campi, sono stati attaccati altri due giovani che fortunatamente sono rimasti illesi. Hernández Castro era il fratello di Wendy Hernández, socia della cooperativa agricola El Chile e vice coordinatrice della Piattaforma Agraria Regionale della Valle del Aguán. Nove giorni prima, il 17 luglio, mentre si recavano al lavoro, Ramón Rivas Baquedano e suo figlio Carlos Rivas Canales, rispettivamente membri delle aziende agricole associative ‘La Aurora’ e ‘Gregorio Chávez’, sono rimasti vittima di un agguato mortale. Entrambe le aziende fanno parte della Piattaforma Agraria. Ramón e Carlos erano parenti di Santos Hipólito Rivas e di suo figlio Javier Rivas, difensori della terra assassinati nel 2023 e il cui caso rimane impunito. Secondo la Piattaforma Agraria e l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani in Honduras (Ohchr), sono cinque i contadini assassinati nell’ultimo mese, dieci dall’inizio dell’anno e più di 200 da dopo il colpo di Stato civile-militare del 2009. Basta impunità! “Questi attacchi sono il risultato dell’impunità e della presenza incontrastata di gruppi criminali che perseguono l’accaparramento delle terre distribuite alle famiglie contadine con la riforma agraria”, denunciano con un comunicato la Piattaforma Agraria e il Coordinamento delle Organizzazioni Popolari del Bajo Aguán (Copa). Entrambe le organizzazioni attribuiscono la responsabilità degli attacchi criminali al gruppo “Los Cachos”¹, che negli ultimi mesi ha attaccato e messo in fuga decine di famiglie contadine appartenenti a varie cooperative agricole firmatarie di accordi con l’attuale governo². La Piattaforma Agraria e Copa avvertono che tale gruppo manterrebbe legami diretti con Corporación Dinant, azienda leader nella coltivazione e nella lavorazione dell’olio di palma, controllata dalla tristemente famosa famiglia Facussé. Oltre a esigere un’indagine approfondita, immediata e credibile sugli omicidi che hanno nuovamente gettato nel lutto la Valle del Aguán, le due organizzazioni chiedono che vengano intraprese azioni immediate per salvaguardare la vita di coloro che continuano a lottare per l’accesso alla terra e contro l’espansione delle monocolture agroindustriali e dell’estrazione mineraria. Giustizia per Juan Tre giorni prima del duplice omicidio, il Comitato municipale per la difesa dei beni comuni e pubblici di Tocoa aveva commemorato i dieci mesi dall’attacco mortale perpetrato contro il leader contadino Juan López. López lottava contro le politiche e i progetti estrattivisti, in particolare contro il mega progetto minerario che minaccia il parco nazionale Montaña de Botaderos “Carlos Escalera”. Le holding che gestiscono Inversiones Los Pinares (Gruppo EMCO/Inversiones Ecotek), titolare del progetto, sono controllate da Lenir Pérez Solís e Ana Facussé Madrid, figlia del defunto Miguel Facussé Barjum, ex presidente di Dinant. Attualmente, tre persone sono state arrestate con l’accusa di essere gli esecutori materiali dell’omicidio di López. Tuttavia, non si registrano progressi nell’individuazione e nella cattura dei mandanti. Rispettare l’accordo Oltre a condannare l’omicidio di Ramón e Carlos Rivas, l’Ohchr ha esortato lo Stato dell’Honduras a rispettare gli impegni derivanti dall’accordo firmato con le cooperative e le aziende agricole associative. “A più di tre anni dalla firma dell’accordo, la violenza continua a mietere vittime, a causa della mancanza di un approccio strutturale al conflitto”, ha avvertito l’Ohchr. In particolare, ha sottolineato “l’urgente necessità di istituire la Commissione per la verità del Bajo Aguán, al fine di garantire alle vittime il diritto alla verità, alla giustizia, al risarcimento e alle garanzie di non ripetizione”. Parallelamente, lo studio legale ‘Dignità’ e il Movimento Ampio per la Dignità e la Giustizia (Madj) hanno condannato l’omicidio di Héctor Otoniel Hernández, che testimonia la violenza installata e sponsorizzata nella zona dell’Aguán dalle aziende agroindustriali, il narcotraffico e i latifondisti. “Sono già 20 i contadini appartenenti alla Piattaforma Agraria assassinati nel periodo dell’attuale governo e nulla si sta facendo per cambiare questa realtà”, hanno concluso. Note ¹ https://www.rel-uita.org/honduras/bajo-aguan-sin-paz/ ² Il 22 febbraio 2022, il governo di Xiomara Castro ha firmato accordi con organizzazioni, movimenti e associazioni contadine, con l’obiettivo di risolvere la questione agraria e portare la pace nella zona dell’Aguán. Tali accordi includono l’istituzione di una commissione tripartita (Commissione per la Verità) per indagare sulle violazioni dei diritti umani nella zona.   In spagnolo Rel UITA Giorgio Trucchi