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Honduras: Non si ferma il massacro dei contadini nel Bajo Aguán
Il Bajo Aguán continua a rappresentare un debito in sospeso per lo Stato honduregno. Omicidi di contadini, vessazioni, persecuzioni e stigmatizzazioni, sfollamenti forzati, criminalizzazione giudiziaria e impunità sono all’ordine del giorno per chi si organizza e lotta per l’accesso alla terra e la difesa dei territori e dei beni comuni. Il 26 luglio è stato assassinato da sconosciuti che si sono dati alla fuga il giovane Héctor Otoniel Hernández Castro, di 22 anni, membro dell’azienda agricola associativa ‘Gregorio Chávez’. Insieme a lui, mentre lavoravano nei campi, sono stati attaccati altri due giovani che fortunatamente sono rimasti illesi. Hernández Castro era il fratello di Wendy Hernández, socia della cooperativa agricola El Chile e vice coordinatrice della Piattaforma Agraria Regionale della Valle del Aguán. Nove giorni prima, il 17 luglio, mentre si recavano al lavoro, Ramón Rivas Baquedano e suo figlio Carlos Rivas Canales, rispettivamente membri delle aziende agricole associative ‘La Aurora’ e ‘Gregorio Chávez’, sono rimasti vittima di un agguato mortale. Entrambe le aziende fanno parte della Piattaforma Agraria. Ramón e Carlos erano parenti di Santos Hipólito Rivas e di suo figlio Javier Rivas, difensori della terra assassinati nel 2023 e il cui caso rimane impunito. Secondo la Piattaforma Agraria e l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani in Honduras (Ohchr), sono cinque i contadini assassinati nell’ultimo mese, dieci dall’inizio dell’anno e più di 200 da dopo il colpo di Stato civile-militare del 2009. Basta impunità! “Questi attacchi sono il risultato dell’impunità e della presenza incontrastata di gruppi criminali che perseguono l’accaparramento delle terre distribuite alle famiglie contadine con la riforma agraria”, denunciano con un comunicato la Piattaforma Agraria e il Coordinamento delle Organizzazioni Popolari del Bajo Aguán (Copa). Entrambe le organizzazioni attribuiscono la responsabilità degli attacchi criminali al gruppo “Los Cachos”¹, che negli ultimi mesi ha attaccato e messo in fuga decine di famiglie contadine appartenenti a varie cooperative agricole firmatarie di accordi con l’attuale governo². La Piattaforma Agraria e Copa avvertono che tale gruppo manterrebbe legami diretti con Corporación Dinant, azienda leader nella coltivazione e nella lavorazione dell’olio di palma, controllata dalla tristemente famosa famiglia Facussé. Oltre a esigere un’indagine approfondita, immediata e credibile sugli omicidi che hanno nuovamente gettato nel lutto la Valle del Aguán, le due organizzazioni chiedono che vengano intraprese azioni immediate per salvaguardare la vita di coloro che continuano a lottare per l’accesso alla terra e contro l’espansione delle monocolture agroindustriali e dell’estrazione mineraria. Giustizia per Juan Tre giorni prima del duplice omicidio, il Comitato municipale per la difesa dei beni comuni e pubblici di Tocoa aveva commemorato i dieci mesi dall’attacco mortale perpetrato contro il leader contadino Juan López. López lottava contro le politiche e i progetti estrattivisti, in particolare contro il mega progetto minerario che minaccia il parco nazionale Montaña de Botaderos “Carlos Escalera”. Le holding che gestiscono Inversiones Los Pinares (Gruppo EMCO/Inversiones Ecotek), titolare del progetto, sono controllate da Lenir Pérez Solís e Ana Facussé Madrid, figlia del defunto Miguel Facussé Barjum, ex presidente di Dinant. Attualmente, tre persone sono state arrestate con l’accusa di essere gli esecutori materiali dell’omicidio di López. Tuttavia, non si registrano progressi nell’individuazione e nella cattura dei mandanti. Rispettare l’accordo Oltre a condannare l’omicidio di Ramón e Carlos Rivas, l’Ohchr ha esortato lo Stato dell’Honduras a rispettare gli impegni derivanti dall’accordo firmato con le cooperative e le aziende agricole associative. “A più di tre anni dalla firma dell’accordo, la violenza continua a mietere vittime, a causa della mancanza di un approccio strutturale al conflitto”, ha avvertito l’Ohchr. In particolare, ha sottolineato “l’urgente necessità di istituire la Commissione per la verità del Bajo Aguán, al fine di garantire alle vittime il diritto alla verità, alla giustizia, al risarcimento e alle garanzie di non ripetizione”. Parallelamente, lo studio legale ‘Dignità’ e il Movimento Ampio per la Dignità e la Giustizia (Madj) hanno condannato l’omicidio di Héctor Otoniel Hernández, che testimonia la violenza installata e sponsorizzata nella zona dell’Aguán dalle aziende agroindustriali, il narcotraffico e i latifondisti. “Sono già 20 i contadini appartenenti alla Piattaforma Agraria assassinati nel periodo dell’attuale governo e nulla si sta facendo per cambiare questa realtà”, hanno concluso. Note ¹ https://www.rel-uita.org/honduras/bajo-aguan-sin-paz/ ² Il 22 febbraio 2022, il governo di Xiomara Castro ha firmato accordi con organizzazioni, movimenti e associazioni contadine, con l’obiettivo di risolvere la questione agraria e portare la pace nella zona dell’Aguán. Tali accordi includono l’istituzione di una commissione tripartita (Commissione per la Verità) per indagare sulle violazioni dei diritti umani nella zona.   In spagnolo Rel UITA Giorgio Trucchi
Panama, escalation repressiva contro il sindacato
Il Sindacato Unico Nazionale dei Lavoratori dell’Industria Edile e Affini (Suntracs) è sotto attacco, così come tutti quei settori e organizzazioni sociali e sindacali che, a Panama, hanno osato scendere in piazza contro la legge 462, l’espansione mineraria e in difesa di una sempre più vacillante sovranità nazionale. “Uno dei primi attacchi che abbiamo subito è stato nel novembre 2023, durante il governo di Laurentino Cortizo, quando, senza alcun motivo apparente, ci hanno chiuso i conti bancari”, ricorda Yamir Córdoba, Segretario d’Organizzazione del Suntracs. Due mesi dopo, lo storico sindacato panamense è stato accusato di riciclaggio di capitali e lavaggio di denaro, accusa che l’organizzazione è riuscita a far cadere in sede giudiziaria. Nonostante la sentenza favorevole emessa nell’agosto 2024, i conti sono però rimasti chiusi. Quando José Raúl Mulino ha assunto la presidenza, il Suntracs ha cercato un avvicinamento per porre fine alle vessazioni. “Alla fine ci è stato permesso di aprire un conto dove depositare i fondi provenienti dalle quote sindacali, ma con restrizioni in quanto agli importi che potevamo depositare e prelevare”, spiega Córdoba. Inoltre, il governo ha ordinato alle aziende di trasferire tali fondi tramite assegni, consegnandoli prima al Ministero del Lavoro, che a sua volta li avrebbe inviati al sindacato. Un’imposizione del tutto assurda, che rientra nella strategia di strangolamento finanziario messa in atto dal governo contro il Suntracs. Maggior repressione Ma il governo di Mulino è andato oltre e nel febbraio di quest’anno, dopo che il Suntracs si era unito ad altri settori della popolazione per protestare contro la legge 462 che, tra altre cose, innalza l’età per pensionarsi e riduce gli importi, più di 700 lavoratori iscritti sono stati arrestati. “Siamo scesi in piazza per protestare pacificamente davanti al cantiere dell’Ospedale Pediatrico e siamo stati attaccati dalla polizia antisommossa. I compagni hanno ripiegato verso lo stabile in costruzione e sono tornati al lavoro, ma la polizia ha circondato il cantiere”, ricorda il dirigente. L’assedio è durato diverse ore, fino a quando le forze dell’ordine hanno fatto irruzione e hanno arrestato tutti i lavoratori. “Diversi compagni hanno denunciato casi di tortura e spari a bruciapelo con fucili a pallini metallici. Più di 400 lavoratori sono stati deferiti alla giustizia amministrativa, multati e poi rilasciati. Altri sono stati incarcerati”. Un gruppo di 86 lavoratori, tra cui una lavoratrice che ha denunciato di aver subito molestie sessuali, è ancora in custodia cautelare. Decapitare l’organizzazione Poi è iniziata l’offensiva contro la dirigenza storica del Suntracs, con ordini di arresto per Genaro López, Saúl Méndez, Jaime Caballero ed Erasmo Cerrud. Nel loro caso, l’accusa riguarda un’ipoteca su alcuni terreni destinati al pagamento di indennizzi a centinaia di affiliati, che lavoravano in un progetto nella provincia di Bocas del Toro. L’azienda titolare dell’opera aveva dichiarato fallimento e aveva lasciato in garanzia diversi lotti di terreno. Con un accordo extragiudiziale, il Suntracs ha concordato con l’azienda un esborso di 3 milioni di dollari. Non avendo ricevuto il pagamento, nel 2022 l’assemblea convocata dal sindacato ha autorizzato l’ipoteca a favore della Cooperativa de Servicios Múltiples Suntracs, R.L. e il versamento del denaro dovuto a ciascun lavoratore. “La decisione è stata votata a larga maggioranza, tuttavia un gruppo di lavoratori ha deciso di presentare una denuncia contro diversi dirigenti per frode aggravata e altri reati”, spiega Córdoba. Nonostante le indagini non abbiano portato a nulla, il caso non è mai stato chiuso ed è stato riaperto proprio durante le proteste contro la legge 462. Genaro López è stato arrestato, incarcerato e attualmente, data la sua età, è sottoposto a misure alternative alla detenzione. Jaime Caballero è in carcere, mentre Saúl Méndez ed Erasmo Cerrud hanno chiesto asilo alle ambasciate di Bolivia e Nicaragua, rispettivamente. Entrambi sono in attesa del salvacondotto per lasciare il Paese. Inoltre, sono in corso diversi procedimenti contro lavoratori di base, quadri intermedi e dirigenti. “Prima c’è stata la repressione finanziaria, poi la persecuzione giudiziaria e ora le incarcerazioni e gli esili. Nonostante tutto questo, non ci piegheranno. Non sappiamo quanti altri cadranno o finiranno in prigione, ma non abbiamo paura”, conclude Córdoba. Fonte: Rel UITA (spagnolo)   Giorgio Trucchi
Panama: “Peggio che durante la dittatura militare”
Luis Sánchez e Diógenes Sánchez sono dirigenti sindacali di AEVE e ASOPROF. La Rel ha parlato con loro della delicata situazione che sta attraversando il Paese e della crescente repressione governativa. “Sono due mesi che assistiamo a proteste incessanti che coinvolgono diversi settori della nostra società, e sono due mesi di sciopero generale degli insegnanti per l’abrogazione della legge 462. La protesta gode di un ampio sostegno popolare e forse è per questo che il governo ha iniziato ad aumentare la repressione”, dice Luis Sánchez, segretario generale dell’Associazione degli educatori veragüenses (AEVE). Le mobilitazioni che si stanno svolgendo in varie parti del Paese sono contro la riforma del sistema di previdenza sociale e pensionistico, la riapertura della miniera Cobre Panamá, i bacini idrici multifunzionali del canale interoceanico e l’accordo di intesa firmato da Panama con gli Stati Uniti. “Il governo intende decapitare il movimento, criminalizzando e perseguendo penalmente i principali dirigenti, trattenendo gli stipendi degli insegnanti in sciopero e minacciandoli di licenziamento. La verità è che ci troviamo di fronte a una dittatura in abiti civili, che gode del sostegno degli Stati Uniti e che sta diventando sempre più repressiva“, aggiunge. Intransigenza e repressione Diógenes Sánchez, segretario generale dell’Associazione degli insegnanti della Repubblica di Panama (ASOPROF), ha condiviso con il suo collega la preoccupazione per la crescente intransigenza del governo. “Il governo ha già detto che non dialogherà. Ci troviamo di fronte a una polizia militarizzata e siamo preoccupati per il sangue già versato e per ciò che potrebbe succedere nelle prossime settimane”, avverte il rappresentante sindacale dei maestri. “Qui”, continua Diógenes Sánchez, “le libertà democratiche sono state calpestate, non c’è indipendenza giudiziaria e tutti coloro che hanno una voce dissenziente vengono criminalizzati. La democrazia è in pericolo a Panama”. Nonostante le grandi difficoltà, il segretario generale di AEVE assicura che la lotta non si fermerà. “Viviamo una situazione che è persino peggiore di quella durante la dittatura militare. Tuttavia, siamo disposti a resistere. Abbiamo il sostegno di un popolo che si è dimostrato solidale e speriamo che il mondo si solidarizzi con questo grande movimento”. Ultimi eventi Domenica scorsa, i leader indigeni Ngäbe-Buglé del più grande sindacato bananiero di Panama, il Sitraibana, sono stati arrestati e incarcerati – tra di essi il  segretario generale Francisco Smith – dopo che Chiquita Panama ha licenziato quasi 5000 lavoratori che avevano indetto uno sciopero contro gli effetti della legge 462 sul loro sistema pensionistico. L’arresto è avvenuto dopo che il Sitraibana aveva firmato accordi con il governo e il parlamento. Francisco Smith e Gilberto Guerra sono stati condannati a sei mesi di custodia cautelare mentre sono in corso le indagini. Continuano intanto gli scontri violenti in vari punti del territorio indigeno. Più di 20 persone affiliate al Sitraibana sono state arrestate e ci sono già diversi feriti. Sono stati anche arrestati alcuni rappresentanti sindacali del settore scuola, mentre la ministra dell’Istruzione, Lucy Molinar, ha minacciato di prendere provvedimenti contro i lavoratori e le lavoratrici, che vanno da ritorsioni economiche, a sospensioni e persino licenziamenti. Genaro López, segretario generale del Suntracs (sindacato dell’edilizia), è anch’egli agli arresti domiciliari, mentre Saúl Méndez, presidente della stessa organizzazione, ha chiesto asilo politico alla Bolivia e si trova nell’ambasciata boliviana a Panama. Un terzo dirigente, Erasmo Cerrud, ha chiesto asilo in Nicaragua e gli è stato concesso. Maggiori informazioni (in spagnolo) – (video) “No tenemos vocación de ser colonia” – (video) La justa lucha del pueblo panameño – (foto) FUCLAT movilizada – (video) “Quien usufructúa del canal no es el pueblo” Giorgio Trucchi
Repressione a Panama: cresce la mobilitazione di ampi settori della società
La popolazione panamense affronta quotidianamente le vessazioni del governo di turno e la repressione della polizia. Intervistato da Continentes y Contenidos, programma dell’agenzia stampa internazionale Pressenza, l’ambientalista e giornalista panamense Olmedo Carrasquilla fa il punto sulla situazione che sta vivendo il Paese. “Panama sta affrontando una grave crisi sociale, economica e politica. È in corso uno sciopero a tempo indeterminato a cui hanno aderito varie sigle sindacali, studenti, contadini, popolazioni indigene, donne e giovani, e la popolazione non organizzata in generale”. Le principali richieste ruotano attorno all’abrogazione della nefasta Legge 462, che riforma in modo peggiorativo la previdenza sociale, al rifiuto dell’accordo di intesa sottoscritto con gli Stati Uniti e della riapertura della miniera Cobre Panamá (First Quantum Minerals Ltd), contro cui nel 2023 era stata emessa una risoluzione di inconstituzionalità, e contro i nuovi bacini idrici per alimentare le chiuse del canale interoceanico. “A queste richieste se ne aggiungono altre, come ad esempio il miglioramento del sistema educativo, sanitario e delle infrastrutture stradali, la lotta alla corruzione e all’arricchimento illecito di pochi privilegiati, alla povertà e alla disuguaglianza sociale”, ha affermato Carrasquilla. Repressione Il co-direttore di Radio Temblor ha denunciato la crescente repressione contro la mobilitazione sociale. “La protesta sociale viene criminalizzata e repressa. Ci sono già diversi feriti, persone arrestate, cancellazioni di personalità giuridiche, vessazioni, persecuzioni, campagne di diffamazione e di odio, oltre a un vergognoso assedio mediatico”, ha detto preoccupato. Finora il governo non ha mostrato alcuna apertura al dialogo, ma ha piuttosto deciso di dichiarare lo stato di emergenza nella provincia di Bocas del Toro, dove quasi 5.000 lavoratori e lavoratrici della Chiquita Panama in sciopero sono stati arbitrariamente licenziati. Nonostante ciò continuano a mantenere la loro protesta. “Il governo non sembra voler cambiare il proprio discorso di odio. Noi invochiamo una pace con giustizia sociale, con rispetto per la natura e i diritti umani. Fermate la repressione subito”, ha concluso Carrasquilla. Note Il video registra due momenti della repressione contro le mobilitazioni sociali a Tolé (Chiriquí) e a Ipetí (Darién). https://youtu.be/EGrA9jWWIOg?si=ZYZU1WraR48mSVYN   Foto e video Radio Temblor Edizione video Giorgio Trucchi Giorgio Trucchi
Dal chavismo al madurismo: il Venezuela visto da Cuba
Roberto Livi è un giornalista di lungo corso. A partire dall’inizio degli anni Settanta del secolo scorso ha scritto per il Manifesto, L’espresso e Il Messaggero, quotidiano per il quale è stato diverso tempo inviato a Mosca, seguendo la fase di crollo dell’Unione Sovietica. Da più di vent’anni vive a Cuba ed è corrispondente del Manifesto. Lo abbiamo intervistato sulla situazione in Venezuela, prendendo spunto dall’ultima tornata elettorale e si è soffermato anche su alcun aspetti cruciali dell’America Latina. La recentissima tornata elettorale ha registrato una scarsa partecipazione di cui hanno scritto anche alcuni giornali italiani. Il Manifesto ha riportato un dato che oscilla tra il 25 e il 42%. Qual è la tua valutazione? Si può parlare di disaffezione al voto?                                                              Indubbiamente è così; le cifre ufficiali parlano del 43%, cifra non controllabile, probabilmente è molto meno, però è un fenomeno riscontrabile in tutta l’America Latina. Tutte le inchieste esplicitano come il consenso verso la democrazia formale, cioè le elezioni, sia bassissimo, per ragioni storiche. Quindi si tratta di un dato strutturale. Queste elezioni venezuelane sono state anticipate ora rispetto a novembre, perché Maduro aveva l’esigenza di consolidarsi nei confronti di un’opposizione comunque molto indebolita e divisa, che ha raccolto il 17,3% dei consensi e 24 seggi, mentre la destra estrema guidata dalla Machado ha deciso di rimanere fuori dalla contesa elettorale. L’operazione politica di Maduro è stata un successo perché ora controlla l’Assemblea Nazionale con 253 deputati su circa 285, cioè ha la maggioranza qualificata per fare le cosiddette leggi “abilitanti”,  per la riforma della Costituzione articolo per articolo e per far passare altre riforme e leggi  che ha già ventilato. In sostanza si tratta di rafforzamento del madurismo, perché a mio avviso non si può più parlare di chavismo, e un indebolimento dell’opposizione. La pretesa della Machado che la bassa affluenza sia una vittoria è una pia illusione. Inoltre c’è da parte dello schieramento antigovernativo l’assenza di un programma politico che non sia quello di Trump. In definitiva non possono parlare di una “vittoria politica”. Per quanto riguarda la situazione sociale ed economica cosa sta accadendo? Si è parlato molto delle grandi difficoltà della popolazione, dei flussi migratori verso altri Paesi a causa delle condizioni materiali difficili… E’ esattamente quella che tu hai indicato: crisi economica, emigrazione, povertà, disillusione… Di nuovo c’è, se confermato, l’alleanza tra l’entourage di Maduro con il settore privato, criticata dalla sinistra chavista e dal Partito Comunista che la individua come la nascita della boliborghesia, cioè la borghesia bolivariana. E’ una scelta che però sta dando i suoi frutti perché secondo il governo l’85% dei prodotti  messi in vendita nel mercato nazionale sono  venezuelani. Dunque ci sarebbe il fenomeno che negli anni Settanta del secolo scorso si chiamava  “desarollismo”, cioè la creazione di una borghesia nazionale capace di produrre per sostituire le importazioni, per porre le basi di una nazionalismo democratico. Tutto questo è da verificare ma bisogna tenerlo presente. L’altra cosa da rilevare è che ha posto la questione della Guayana Esequiba, Stato annesso per le elezioni come territorio venezuelano, nonostante sia oggetto della Corte Internazionale di Giustizia per decidere a chi appartiene. Attualmente è della Guayana, una questione di non secondaria importanza perché là si estrae il petrolio. A mio avviso sono questi i due elementi di novità che andranno valutati nel prossimo periodo. Hai accennato al passaggio dal chavismo al madurismo. L’impressione è che il consenso che avevano le politiche di Chavez sia in netto calo. E’ bene ricordare che quando si tentò un colpo di mano militare arrestandolo, dopo due ore venne liberato a furor di popolo. Che differenze ci sono, se ci sono? La trasformazione della società verso il socialismo non c’è stata, ma del resto non è solo colpa di Maduro. Ci sono delle somiglianze con la situazione che si vive a Cuba. Galeano diceva che Cuba non è quello che ha voluto, ma quello che ha potuto essere. Cioè la Cuba di adesso non è certamente quella che Fidel voleva. E quella che ha potuto essere è ben poco non solo per gli errori interni, ma a causa dell’interventismo micidiale degli Stati Uniti. Lo stesso avviene in Venezuela. L’idea che forse si ha in Europa dell’embargo è molto inferiore rispetto alla realtà, perché si tratta di una minaccia pervasiva costante. Al Venezuela hanno sottratto l’oro, ora Trump ha tolto il permesso che Biden aveva dato di continuare a produrre, hanno tentato colpi di Stato, ne hanno fatte di tutti i colori. Quindi al di là di tutte le critiche che si possono fare sul fatto che il “Socialismo del XXI” secolo non si sia sviluppato, ripeto non solo a causa di Maduro, di uno che palesemente è attaccato al potere, che lo detiene perché ci sono i militari, che reprime, ma anche per il condizionamento criminale degli Stati Uniti che crea enormi difficoltà. In questo senso c’è una differenza di visione tra l’Europa e dove vivo io, come del resto sulla democrazia: la nostra generazione, cioè quella nata dopo il secondo dopoguerra, è cresciuta nella convinzione della democrazia formale, il Parlamento, il voto. Ora questo sistema è in crisi, come dimostra l’ascesa al potere di Meloni, Orban, il governo polacco, ecc., ma è stato sempre in crisi anche in America Latina, dove non c’è stata mai una cultura democratica come la intendiamo noi. Qui la democrazia era quella dei popoli indigeni, del tutto diversa dalla nostra. Anche in quei Paesi che si definivano “europei” come il Cile, nei momenti cruciali, tipo Allende, si è visto quanto la democrazia fosse rispettata. L’11 settembre del 1973 c’è stato il golpe  con tutto ciò che di orribile è accaduto. E’ vero che in Venezuela c’è repressione, polizia, non c’è rispetto dei diritti umani, però le condizioni sono difficili. Questo non significa giustificare, però è difficile giudicare. Hai fatto riferimento ai diritti umani. Negli ultimi mesi in Italia è cresciuta l’attenzione su Alberto Trentini, il cooperante arrestato e in carcere da tempo. Presa Diretta gli ha dedicato in parte una puntata e ha anche accesso i fari sulla prigionia di altri cittadini di altri Paesi. Tu che impressioni hai? Premesso che non me ne occupo direttamente, cioè non scrivo su questo, ho la sensazione che quello che si dice in buona parte sia vero. Però facendo riferimento al contesto cubano, il problema è che se si cede un poco cambia tutto. In sostanza se apro un po’ la porta, poi arrivano gli Stati Uniti. La stessa cosa in Venezuela. Per cui da una parte certamente la militarizzazione del potere è orribile, ma dall’altra ci sono i tentativi di colpi di stato, gli omicidi, ecc. Sergio Sinigaglia
La fuga dei cerberi
 I cani da guardia dei potenti fuggono terrorizzati. È bastato che la Procura iniziasse gradualmente a far camminare la macchina della giustizia perché si sentissero privati delle abituali protezioni e sicurezze e si mettessero in fuga. Stiamo parlando di alcuni dei principali attori e continuatori del colpo di Stato civile-militare del 2009 in Honduras, che hanno approfittato delle cariche che ricoprivano in quegli anni per difendere e garantire gli interessi delle élite economiche nazionali, delle multinazionali che imperversano nel Paese, nonché i propri, a spese di una popolazione sempre più povera ed emarginata. Il generale in pensione Romeo Vásquez Velásquez, ex capo dello Stato Maggiore delle Forze Armate honduregne, ora camaleonte politico, è stato accusato, insieme ad altri due ex alti ufficiali militari, dell’omicidio di Isy Obed Murillo Mencías, il primo martire della resistenza contro il colpo di Stato. Sono anche accusati del reato di lesioni personali gravi nei confronti di Alex Roberto Zavala Licona. Secondo le indagini, le azioni dei militari “sono state brutalmente sproporzionate, in quanto hanno sparato indiscriminatamente con fucili di alta potenza e armi di grosso calibro contro cittadini che stavano esercitando il loro diritto a manifestare pacificamente”. “Queste azioni che hanno provocato morti e feriti gravi”, continua la Procura, “non sono stati atti isolati, ma crimini compiuti da elementi delle forze armate” su ordine diretto di Vásquez Velásquez, del direttore delle Operazioni Speciali e del suo vice. Per la Procura dei diritti umani, “la loro negligenza e inazione hanno costituito gravi violazioni dei diritti umani, lasciando i manifestanti alla mercé di una forza militare che ha agito con violenza disumana e sproporzionata”. Complottisti in fuga Prima incarcerato, poi sottoposto a misure alternative e infine con un nuovo mandato di arresto, il generale in pensione ha deciso di fuggire con destinazione sconosciuta, per apparire poche ore dopo in un video in cui inveiva contro il governo di Xiomara Castro, accusandolo di persecuzione politica. Un triste spettacolo in cui rivendica la legittimità del colpo di Stato in nome della difesa della democrazia contro l’espansione del comunismo in Honduras. Alcuni giorni dopo, un altro volto pubblico del golpe, l’ex presidente de facto Roberto Micheletti, ha dichiarato ai media nazionali che avrebbe abbandonato il Paese di fronte al possibile inizio di un’azione giudiziaria nei suoi confronti. “C’è un piano per presentare un’accusa contro di me e per umiliarmi come hanno fatto con Romeo Vásquez Velásquez. Non ho intenzione di dare loro questo piacere”, ha dichiarato. Ci sono anche ex funzionari del governo dell’ex presidente Juan Orlando Hernández, attualmente condannato negli Stati Uniti a 45 anni di carcere per reati di narcotraffico, che sono già fuggiti, come Ricardo Cardona e Ebal Díaz o come l’ex procuratore generale Óscar Fernando Chinchilla. Altri sono latitanti o già in carcere. C’è comunque ancora tanta strada da fare prima di potere dire che in Honduras la giustizia sta trionfando e il livello di impunità per i delitti commessi nei 12 anni post golpe è ancora molto, troppo, elevato. Nessuno dei mandanti del colpo di Stato, né dei principali beneficiari dei giganteschi atti di corruzione con i quali sono stati dati in concessione territori e beni comuni e sono state saccheggiate le casse dello Stato, è attualmente in carcere o sotto processo. La giustizia non è  persecuzione Tra il 2009 e il 2021, migliaia di honduregni sono stati perseguitati, repressi, imprigionati, assassinati e fatti sparire. Altri hanno dovuto andare in esilio e molti di loro non sono ancora riusciti a tornare. “Romeo Vásquez è un criminale. È in fuga a causa di un mandato di arresto per omicidio. La sua parola non ha valore. La giustizia deve agire ora e lui deve essere arrestato il prima possibile”, ha dichiarato l’attuale ministra della Difesa e candidata alla presidenza per il partito di governo Rixi Moncada. “La giustizia non è persecuzione politica. I maestri della persecuzione politica, Micheletti e Vásquez Velásquez, autori di violazioni della Costituzione e dei diritti umani (…) vogliono apparire come vittime, quando invece sono stati i carnefici”, ha detto il ministro degli Esteri Eduardo Enrique Reina. Fonte: Rel UITA (spagnolo) Giorgio Trucchi