Zoologia fantastica
Politica si dice in molti modi. È passione e non solo passione. È calcolo e non
solo calcolo. È vittoria e sconfitta. C’è una politica della forza e una
politica della debolezza, come c’è una teologia della pienezza e una teologia
dello svuotamento, del pléroma e della kénosis. A volte, non sempre e neppure
spesso, politica e teologia sono infide sorelle.
> La politica si nutre di ideologie ma non obbedisce loro, anzi le smentisce nel
> momento in cui funziona con successo. In altri termini non è mai un’operazione
> perfettamente razionale o razionalizzata in coerenza con una determinata
> ideologia, perché lavora con altre categorie.
Diceva un grande allievo arabo di Aristotele nel X secolo, al-Farabi, che
l’Intelletto agente interviene sulla parte razionale dell’anima per produrre
concetti e ragionamenti corretti, sulla parte immaginativa per produrre profezia
politica e religiosa che fa scattare l’adesione di grandi masse. I profeti,
ispirati e combattenti, sono indispensabili per fondare imperi e religioni. I
loro successori basta che siano, a calare, fedeli seguaci, bravi generali e
corretti amministratori. La congiuntura impone requisiti ogni volta diversi.
Un altro grande allievo di Aristotele, nell’aprile-maggio del 1871, si rese
conto che la Comune di Parigi andava verso la catastrofe ma credette giusto
sostenerla ed esaltarla, una volta che si era scatenata, perché non dare
battaglia era peggio di perderla. La vittoria istantanea non è un criterio né
razionale né profetico.
Il pragmatico per eccellenza, Machiavelli, conosceva perfettamente la potenza
delle passioni nell’agone politico e sui campi di battaglia. Entrato in
Segreteria sulla scia del rovesciamento violento di Savonarola e dei
savonaroliani, pur tenendo le distanze dalle loro posture austeritarie e
omofobe, ne raccolse, una volta al potere l’essenziale eredità politica
istituendo l’Ordinanza, cioè la milizia cittadina e del contado in luogo degli
inaffidabili mercenari e, una volta destituito con il ritorno dei Medici, oserà
riproporre ai nuovi e ostili padroni l’altro pilastro politico del Frate, il
Consiglio grande.
Ma soprattutto nel Principe VI, discorrendo dei principi novi, il Fiorentino
elenca promiscuamente, in pieno stile farabiano, fondatori di imperi e di
religioni (Moisè, Ciro, Romolo, Teseo e simili) per la loro capacità “profetica”
di fondare o rifondare un popolo da elementi dispersi, cogliendo l’occasione del
loro stato di crisi per fare valere la propria virtù e introdurre nuovi
ordinamenti. Ciò avviene grazie alla disponibilità di truppe proprie e qui si
pone la celebre distinzione fra profeti armati che «vinsono» e profeti disarmati
che «ruinorono» per non essere riusciti a mantenere con la forza quanto era
stato conseguito per spontaneo entusiasmo, come accadde a Savonarola quando i
seguaci cessarono di seguirlo e non ebbe più «modo da tenere fermi quelli, che
avevano creduto, né a far credere i discredenti». Due diligenti allievi del
Segretario fecero tesoro dell’assioma dopo l’incruento successo dell’Ottobre
istituendo l’Armata Rossa e la Cekà per prendersi cura della controrivoluzione
bianca.
Il grande (e raro) agire politico unisce un potenziale tumultuario alla
congiuntura favorevole e consolida con l’organizzazione l’impulso profetico. Max
Weber, erede di Farabi e di Machiavelli, teorizzò l’alternanza, nella vita degli
stati, delle religioni e dei partiti, di fasi “calde”, carismatiche e fortemente
personalizzate, e fasi “fredde” e impersonali di amministrazione burocratica di
quanto fondato profeticamente, con la possibilità costante di ritorno del
carisma quando lo richiedono condizioni di crisi ed esigenze di innovazione.
> A volte, in mancanza di queste condizioni attive, può succedere che una forza
> insufficiente si riconosca in un’altra esperienza profetica, con cui condivide
> alcuni obiettivi mentre su altri resta in forte contrasto.
Il movimento antagonistico italiano, che negli anni ’60 e ‘70 e carsicamente
anche in seguito ha conosciuto una sua fase “profetica”, a volte si è
sovrapposto a settori del profetismo cattolico (per esempio al Concilio Vaticano
II), in circostanze in cui era più forte ed esercitava egemonia, adesso, e nel
momento della sua massima debolezza operativa e teorica, si è trovato a
combattere su temi comuni (contro il regime di guerra) o parzialmente tali (la
povertà e la diseguaglianza, come ricadute di una sconfitta della lotta di
classe), restando in disaccordo su altre questioni che separano inevitabilmente
sul piano ideologico (non della legislazione statale) un movimento immanente e
materialistico da una religione creazionistica.
Lo spazio esorbitante della comunicazione mediatica e la pseudo-significanza
delle personalità sulla scena (un esito globale del declino del ciclo
capitalistico e del contemporaneo fallimento degli esperimenti di comunismo e
degli assalti sovversivi), congiunto con la mediocrità o il bullismo dei ceti
dominanti, soprattutto occidentali, ha lasciato campo libero ai più storici
pretendenti al carisma e non desta meraviglia che molti rivoluzionari bastonati
si ritrovino nel pit sotto il palco di un Papa, non per condividerne
integralmente il discorso, ma per apprezzarne i gesti: pregare nella piazza
deserta sferzata dalla pioggia al culmine del Covid, telefonare ogni sera dal
letto di agonia al parroco di Gaza, morire sul campo menzionando fino
all’ultimo le persone migranti, sostituire il dress code pontificale con scarpe
nere, pantaloni grigi e un poncho. Sul piano della comunicazione simbolica certe
cose se le può permettere solo chi un tempo girava sulla sedia gestatoria – che
ve lo dico a fare.
La dimensione del simbolo, del gesto che annuncia o rinforza è un caso di soft
power che sempre potere è, come la kénosis è pur sempre una teologia –
decreazionista o pastorale. L’ammirazione passiva e parziale ne è una forma
ancor più debole e la decisione di sincronizzarsi con l’emotività delle masse su
un afflato profetico evanescente è ben lontana dai grandi momenti della storia
del movimento operaio e rivoluzionario, ma è pur sempre una decisione più
concreta del dilaniarsi sul campo largo o sulle Rearm europeo.
> Bergoglio non era uno di noi, sia chiaro, ma erano nel giusto quanti si sono
> riferiti a lui piuttosto che a Picierno o Gentiloni!
E che dire del nuovo Papa, di Leone XIV?
Per ora ben poco si può strologare su scelte ecclesiali (che non ci competono
affatto) e indirizzi politici, tutti da vedere. Finora gli aruspici mainstream
ci hanno fatto una capa tanta disquisendo di vestiario (la mozzetta!), domicilio
vaticano, nome (Leone Magno, XIII, fra’ Leone), frasi isolate e devozioni a
icone mariane – e nessuno che ci avesse azzeccato, né prima del voto né dopo. Di
sicuro è una soluzione di compromesso e non di stampo profetico, come si
conviene a una successione gestita politicamente e non come una primaria del Pd.
Se Bergoglio amava sentire l’odore delle pecore, Prevost evoca il leone – e,
dati i tranelli curiali, sarà sia lione che golpe.
Più interessante è stato il suo riferimento alla pace «disarmata e disarmante»,
ciò che comporta l’assunzione del suo promotore come profeta “disarmato”
(secondo il canone) ma anche “disarmante”: una categoria originale, che andrebbe
decifrata nel suo portato attivistico e non solo istituzionale. Chi viene da
Ordini religiosi ha progetti, missioni, non intenti di gestione conservativa. E
anche le missioni, come la politica, si dicono in molti modi.
Stay tuned!
Immagine di copertina di Нұрлан Саят (Wikicommons)
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