Economia. Intervista al prof. Enrico GiovanniniRiceviamo e pubblichiamo dal blog della giornalista Giancarla Codrignani
In relazione a nuove impostazioni dell’economia consone a una politica che
privilegi gli interessi della vita umana per finalizzare la gestione dei
capitali mi sembra un buon approfondimento l’intervista al prof. ENRICO
GIOVANNINI, ministro dei governi Letta e Draghi pubblicata sull’Osservatore
Romano del 12. 05. 2025
Professor Giovannini cosa vuol dire superare il Pil?
La misura del Pil è stata utile per decenni per capire se un’economia cresceva,
ma d’altra parte, come sappiamo bene da ormai quasi 20 anni, non riesce a
catturare altre dimensioni fondamentali per lo sviluppo e il benessere delle
società, dagli aspetti legati all’ambiente, alle disuguaglianze, a temi come
quelli della salute o dell’educazione.
Negli ultimi 25 anni ci sono state tante iniziative, penso a quelle avviate a
livello internazionale come direttore dell’Ocse tra il 2001 e il 2009, ma anche
a quelle realizzate dall’Istat, con gli indicatori di benessere equo e
sostenibile.
Ora si tratta di fare sistema, di fare sintesi.
Per questo è importante che nel “Patto per il Futuro”, adottato da tutti i paesi
del mondo lo scorso settembre, ci sia stata l’indicazione di andare finalmente
oltre il Pil per riuscire a dare un’idea migliore di come le nostre società
producano benessere per le persone e per il pianeta.
Come si concilia l’indeterminatezza di parametri con la rigidità dei numeri che
muovono economia e finanza?
Tutte le misure economiche derivano da una visione del mondo.
Nel 1944 il governo degli Stati Uniti convocò gli esperti inglesi e americani e
decise di scegliere come approccio alla misurazione del Pil quello che
proponevano gli inglesi, cioè la misura della produzione, invece che la misura
del consumo e del benessere come proponevano gli economisti americani.
C’era dietro una chiara scelta politica: l’obiettivo era quello di dimostrare
che il capitalismo era in grado di produrre più cose del comunismo.
Tutte le misure economiche che si utilizzano sottendono una visione, un modello
concettuale, e questo vale per tutte le statistiche.
Ecco perché il segretario generale dell’Onu ha chiesto a questo gruppo di
proporre un modo per trovare un accordo internazionale su una nuova visione di
sviluppo sostenibile.
La buona notizia è che ci sono già tante esperienze in giro per il mondo su cui
costruire una visione condivisa.
Viviamo una crisi degli organismi sovranazionali. L’Onu ha realmente la forza
per imporre una nuova tassonomia del benessere?
Imporre una nuova visione delle statistiche, e dunque nuove misure, richiede un
atto politico.
Per questo, come si dice nel mandato del gruppo, alla fine ci dovrà essere un
accordo intergovernativo.
Si tratta di qualcosa che i governi dovranno accettare e sappiamo che sarà
difficile trovare un accordo dopo le posizioni assunte dagli Stati Uniti che
hanno dichiarato di volersi ritirare dall’Agenda 2030 perché prende in
considerazione fenomeni come il cambiamento climatico o le disuguaglianze;
questioni che, ha detto il rappresentante americano, sono contro gli interessi
degli Stati Uniti.
Non sta al gruppo di esperti tentare questa sintesi, che speriamo sarà costruita
attraverso meccanismi politici. Il gruppo dovrà riuscire a trovare un accordo al
suo interno e questo sarà un impegno significativo.
A proposito dell’annunciato ritiro degli USA dall’Agenda 2030. Che impatto sta
avendo sulle politiche per lo sviluppo sostenibile?
Purtroppo alla dichiarazione stanno seguendo alcuni fatti, come ad esempio il
blocco dell’impegno che l’amministrazione Biden aveva preso per lo sviluppo
delle energie rinnovabili.
All’interno del paese è in corso una battaglia molto dura contro la scienza,
nonostante la disponibilità di dati sul cambiamento climatico.
Ci sono poi le questioni di genere e le grandi disuguaglianze. Culturalmente
l’impatto è molto forte.
Gli Stati Uniti sono una grande potenza e rappresentano una quota rilevante
della popolazione mondiale.
Senza di loro sarà difficile trovare nuovi accordi.
Per fare un esempio, questa estate si dovrebbe discutere la ridefinizione della
governance delle Nazioni Unite, migliorando il funzionamento del Consiglio di
Sicurezza e dando più spazio e potere ai Paesi emergenti e in via di sviluppo
all’interno del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Queste politiche rischiano di subire uno stop, a meno che non ci sia la capacità
di trovare accordi che spingano gli Stati Uniti nella giusta direzione.
Redazione Italia