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La fragilità come forza educativa: il progetto “Forza Uguale e Contraria” a Napoli
-------------------------------------------------------------------------------- Nell’estate appena trascorsa, a Napoli, si è discusso molto del tema della fragilità grazie a un progetto che unisce scuola e terzo settore. “Forza Uguale e Contraria” nasce dalla collaborazione tra il Liceo Artistico Statale, la Cooperativa Era, la Cooperativa Partecipiamo e il Centro Polifunzionale Ciro Colonna di Ponticelli (Cooperativa NuReCo), con il sostegno del Comune di Napoli. L’iniziativa si propone come punto di riferimento per l’assistenza specialistica nelle scuole, con l’obiettivo di accompagnare i ragazzi più vulnerabili e sostenere, al tempo stesso, gli adulti che se ne ricevono cura. L’idea di fondo è affrontare la fragilità non come un limite, ma come condizione umana universale e valore da riconoscere. Oggi spesso mancano parole capaci di contenere emozioni e sentimenti, e sembra rifiutata una convivenza basata su equilibrio e ascolto reciproco. Rendere la fragilità un terreno possibile di incontro significa contrastare l’isolamento e la violenza, e aprire la strada a una vita condivisa, in cui l’altro non è percepito come minaccia ma come possibilità di relazione. Il progetto si concentra sugli adolescenti con dipendenze, disturbi dell’umore o tratti di personalità problematici. Con loro si lavora partendo da un presupposto semplice ma potente: nell’istinto animale la ferita deve restare nascosta per non diventare debolezza; l’essere umano, invece, può trasformare la ferita in parola, pensiero, desiderio di futuro. Durante gli “incontri di mezza luna”, che si svolgono ogni martedì, ragazzi, docenti e specialisti si siedono in semicerchio e riflettono insieme sul vissuto della settimana. È un tempo sospeso, in cui il ragazzo si sente al centro dei pensieri di un adulto che lo accoglie e lo contiene, trovando il coraggio di esprimere emozioni difficili. La metodologia prevede una coppia educativa formata da docente e specialista: l’insegnante guida la lezione, mentre lo psicologo osserva in silenzio, posizionato alle spalle degli studenti. Questa presenza discretamente crea uno spazio di fiducia: i ragazzi sanno che l’adulto c’è, pur non vedendolo, e possono affidarsi a lui per dare forma a pensieri e parole. Così si costruisce una terza area intermedia, protetta, in cui nasce la possibilità di trasformare paure e conflitti in dialogo. Il progetto chiama in causa anche il mondo interiore degli adulti. Per sostenere i giovani, infatti, docenti e specialisti devono fare i conti con le proprie emozioni più resistenti e dolorose, imparando a elaborarle e trasformarle. È qui che prende senso il richiamo al “comandante”: la parte più profonda dell’Io che, attraversando tempeste emotive e fragilità, cerca di mantenere il rottame, tenendo insieme il mondo interno e il contatto vivo con l’esterno. In questo spazio di ricerca condivisa, l’arte del progettare insieme diventa cura: emergono pensieri cupi, fragilità e sofferenze, ma anche possibilità di trasformazione. Lo stupore e la meraviglia, motori del progetto, evidenziano una dimensione educativa che accoglie la differenza e la pluralità, offrendo ai ragazzi e alla comunità un futuro più libero e consapevole. Per informazioni: info@nureco.it Redazione Napoli
Economia. Intervista al prof. Enrico Giovannini
Riceviamo e pubblichiamo dal blog della giornalista Giancarla Codrignani In relazione a nuove impostazioni dell’economia consone a una politica che privilegi gli interessi della vita umana per finalizzare la gestione dei capitali mi sembra un buon approfondimento l’intervista al prof. ENRICO GIOVANNINI, ministro dei governi Letta e Draghi pubblicata sull’Osservatore Romano del 12. 05. 2025 Professor Giovannini cosa vuol dire superare il Pil? La misura del Pil è stata utile per decenni per capire se un’economia cresceva, ma d’altra parte, come sappiamo bene da ormai quasi 20 anni, non riesce a catturare altre dimensioni fondamentali per lo sviluppo e il benessere delle società, dagli aspetti legati all’ambiente, alle disuguaglianze, a temi come quelli della salute o dell’educazione. Negli ultimi 25 anni ci sono state tante iniziative, penso a quelle avviate a livello internazionale come direttore dell’Ocse tra il 2001 e il 2009, ma anche a quelle realizzate dall’Istat, con gli indicatori di benessere equo e sostenibile. Ora si tratta di fare sistema, di fare sintesi. Per questo è importante che nel “Patto per il Futuro”, adottato da tutti i paesi del mondo lo scorso settembre, ci sia stata l’indicazione di andare finalmente oltre il Pil per riuscire a dare un’idea migliore di come le nostre società producano benessere per le persone e per il pianeta. Come si concilia l’indeterminatezza di parametri con la rigidità dei numeri che muovono economia e finanza? Tutte le misure economiche derivano da una visione del mondo. Nel 1944 il governo degli Stati Uniti convocò gli esperti inglesi e americani e decise di scegliere come approccio alla misurazione del Pil quello che proponevano gli inglesi, cioè la misura della produzione, invece che la misura del consumo e del benessere come proponevano gli economisti americani. C’era dietro una chiara scelta politica: l’obiettivo era quello di dimostrare che il capitalismo era in grado di produrre più cose del comunismo. Tutte le misure economiche che si utilizzano sottendono una visione, un modello concettuale, e questo vale per tutte le statistiche. Ecco perché il segretario generale dell’Onu ha chiesto a questo gruppo di proporre un modo per trovare un accordo internazionale su una nuova visione di sviluppo sostenibile. La buona notizia è che ci sono già tante esperienze in giro per il mondo su cui costruire una visione condivisa. Viviamo una crisi degli organismi sovranazionali. L’Onu ha realmente la forza per imporre una nuova tassonomia del benessere? Imporre una nuova visione delle statistiche, e dunque nuove misure, richiede un atto politico. Per questo, come si dice nel mandato del gruppo, alla fine ci dovrà essere un accordo intergovernativo. Si tratta di qualcosa che i governi dovranno accettare e sappiamo che sarà difficile trovare un accordo dopo le posizioni assunte dagli Stati Uniti che hanno dichiarato di volersi ritirare dall’Agenda 2030 perché prende in considerazione fenomeni come il cambiamento climatico o le disuguaglianze; questioni che, ha detto il rappresentante americano, sono contro gli interessi degli Stati Uniti. Non sta al gruppo di esperti tentare questa sintesi, che speriamo sarà costruita attraverso meccanismi politici. Il gruppo dovrà riuscire a trovare un accordo al suo interno e questo sarà un impegno significativo. A proposito dell’annunciato ritiro degli USA dall’Agenda 2030. Che impatto sta avendo sulle politiche per lo sviluppo sostenibile? Purtroppo alla dichiarazione stanno seguendo alcuni fatti, come ad esempio il blocco dell’impegno che l’amministrazione Biden aveva preso per lo sviluppo delle energie rinnovabili. All’interno del paese è in corso una battaglia molto dura contro la scienza, nonostante la disponibilità di dati sul cambiamento climatico. Ci sono poi le questioni di genere e le grandi disuguaglianze. Culturalmente l’impatto è molto forte. Gli Stati Uniti sono una grande potenza e rappresentano una quota rilevante della popolazione mondiale. Senza di loro sarà difficile trovare nuovi accordi. Per fare un esempio, questa estate si dovrebbe discutere la ridefinizione della governance delle Nazioni Unite, migliorando il funzionamento del Consiglio di Sicurezza e dando più spazio e potere ai Paesi emergenti e in via di sviluppo all’interno del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Queste politiche rischiano di subire uno stop, a meno che non ci sia la capacità di trovare accordi che spingano gli Stati Uniti nella giusta direzione. Redazione Italia