Scegliere la pace. A 80 anni da Hiroshima e NagasakiCome 80 anni fa quando Hiroshima e Nagasaki cambiarono (avrebbero dovuto
cambiare) il corso della storia la scelta a cui ci troviamo di fronte è quella
tra pace e guerra. Il contrasto tra pace e guerra è antico e senza rimedio e la
lotta alla guerra oltre che politica è di natura morale, ha un valore religioso,
è un problema di stile. Quella tra la pace e la guerra è una scelta
antropologica, esistenziale, assoluta, insanabile.
La scelta tra pace e guerra non è più rinviabile nel nuovo mondo in cui siamo
(stati) precipitati. Un mondo insanguinato in cui i potenti e gli inermi (almeno
una parte se non la maggior parte), rovesciando il senso dell’articolo 11 della
Costituzione, non “ripudiano” la guerra, anzi la considerano un “mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali”, uno strumento di difesa e di
affermazione della libertà.
Contrariamente allo spirito dei tempi, le ragioni per cui scegliamo la pace sono
e rimangono esattamente le stesse per le quali dopo la svolta atomica ripudiamo
la guerra. Con la svolta atomica, che è stata tale nella storia delle idee ma
stenta a divenire tale nella realtà, muta radicalmente sia la natura della
guerra sia il significato della storia.
Dopo la svolta, la guerra è diventata (avrebbe dovuto diventare) un mezzo
inadeguato a raggiungere ogni fine. Se ci domandiamo: «Qual è il fine ultimo
della storia?», ebbene la guerra nucleare — ecco il punto decisivo — priva di
senso sia la vita dell’umanità intera sia la vita dei singoli. Se la storia è
destinata a culminare nell’autodistruzione dell’uomo, se la meta non è un fine
ma la fine ha ancora un senso la storia?
Se finora il compito della cultura è stato quello di giustificare la guerra, il
nostro compito oggi è quello di giustificare la pace “ingiustificando” la
guerra. Se lo scopo della cultura anche nelle sue espressioni più alte finora è
stato la razionalizzazione del corso storico dell’umanità, il nostro compito
oggi è la dimostrazione del’assurdità della guerra.
Le ragioni per scegliere la pace sono simmetricamente opposte a quelle per
“ripudiare” la guerra 1. la guerra non serve al progresso morale; 2. la guerra
non serve al progresso civile; 3. la guerra non serve al progresso tecnico.
Intendendo la guerra sia nel senso di «guerra atomica» sia nel senso generico di
«guerra convenzionale». Alla luce delle guerre fin qui combattute, le
giustificazioni della guerra non si rivelano assurde quando la guerra viene
combattuta sia con le armi atomiche sia con le armi tradizionali?
Scegliamo la pace e ripudiamo la guerra perché sia la guerra atomica sia la
guerra convenzionale non servono al progresso morale. Che la guerra tradizionale
sia mai servita al progresso morale dell’umanità è sempre stato quanto meno
dubbio. Quanto alla guerra atomica, particolarmente emblematica è la parabola
del maggiore Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima. A poco a poco Eatherly si
rende conto di non essere un eroe ma qualcosa tra un campione sportivo e un
automa e scopre di essere un semplice ingranaggio di un’immane macchina di
morte. L’immagine della guerra “fecondatrice di virtù sublimi” viene
completamente rovesciata. La guerra atomica è scandalosa, subdola, è il più
grave delitto contro l’umanità. Come osserva Norberto Bobbio, “al posto
dell’immagine hegeliana del vento sulla palude subentra quella, più appropriata,
della tempesta sul fragile raccolto”[1].
Scegliamo la pace e ripudiamo la guerra perché sia la guerra atomica sia la
guerra convenzionale non servono al progresso civile. A ben guardare l’idea che
la guerra potesse servire al progresso civile era già andata in crisi con
l’affermarsi della teoria che non è la guerra ma lo scambio e la comunicazione
pacifica tra i popoli il più potente mezzo di unificazione del genere umano. Ora
una simile teoria è diventata improponibile con la prospettiva della guerra
atomica. Quale mondo seguirà alla catastrofe atomica? Dopo la catastrofe avremmo
un mondo più unificato o più frantumato, disarticolato, scisso? La novità della
nuova guerra rende impossibile ogni previsione di quel che sarà dopo, mette in
discussione l’idea che la storia abbia una direzione e un fine razionale,
“smentisce la stessa teoria del progresso in tutte le sue forme”: “da quando la
guerra atomica è entrata nella storia dell’umanità come evento possibile, il
progresso non è più garantito”[2].
Scegliamo la pace e ripudiamo la guerra perché sia la guerra atomica sia la
guerra convenzionale non servono al progresso tecnico. A questa tesi si potrebbe
obiettare che dalla guerra a lungo preparata, e per fortuna non combattuta
militarmente dalle due grandi potenze, poi conclusasi con la sconfitta e il
tracollo di uno dei due contendenti e l’implosione dell’ordine internazionale,
sia venuto un contributo innegabile allo sviluppo tecnico. Si pensi solo alle
nuove scoperte scientifiche e all’aumento della potenza distruttiva degli
armamenti. Ma, e questa è una contro obiezione di fondo, nella valutazione del
rapporto tra la guerra e il progresso tecnico non si può disgiungere il problema
dei mezzi da quello dei fini. Si profila così una alternativa drammatica: da un
lato lo sviluppo tecnico, dall’altro lo sviluppo morale che sarebbe compromesso
inevitabilmente attraverso “il progressivo aumento di probabilità di una guerra
sterminatrice come conseguenza del progressivo sviluppo tecnico guidato da scopi
di guerra”[3].
Come di fronte a ogni alternativa a un certo momento bisogna scegliere. Le
amiche e gli amici della nonviolenza si mettono “dalla parte di chi lavora per
la formazione di una coscienza atomica” e credono che “questo momento sia già
arrivato”[4].
Le ragioni dell’obiezione di coscienza alla guerra mantengono intatte la loro
vitalità e attualità: dal punto di vista di un nuovo illuminismo, consapevole
dei limiti e anche dei soprusi della ragione, l’obiezione di coscienza è un
rinnovato appello alla ragione e un’affermazione del valore perenne della
dignità della coscienza individuale; dal punto di vista di un’idea della
democrazia intesa come un processo di ridefinizione permanente l’obiezione di
coscienza è contrasto alla dittatura e apertura all’omnicrazia (potere di
tutti); dal punto di vista del pacifismo, s’intende un pacifismo critico, né
moralistico né ideologico, l’obiezione di coscienza è rifiuto della
rassegnazione e non accettazione dell’ineluttabilità della guerra.
Il nostro pacifismo non è l’adesione a un’ideologia ma è “una questione
d’istinto”, “qualcosa di più ampio, così connaturale con noi che potremmo
definirlo fisiologicamente innato” (estendo qui la contrapposizione che Gobetti
stabilisce tra fascismo e antifascismo a quella tra bellicismo e pacifismo)[5].
Con Giacomo Matteotti, sentiamo che così come per il fascismo per “combattere
utilmente” la guerra bisogna “opporgli esempi di dignità con resistenza tenace.
Farne una questione di carattere, di intransigenza, di rigorismo”[6].
La nostra opposizione alla guerra è così radicale che ci rifiutiamo di prendere
in considerazione i programmi e le vie militari che vengono presentati come
mezzi per la pace.
Concepiamo il nostro impegno nonviolento come una azione morale che ha la sua
ragione in sé prima ancora che nel suo affermarsi.
Se non è già troppo tardi.
[1]N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna
1979, p.76.
[2] Ivi, p.77.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] P. Gobetti, Elogio della ghigliottina, RL, a. I, n. 34, 23 novembre 1922,
p. 130; SP, p. 432. Ripreso in in Id., La rivoluzione liberale. Saggio sulla
lotta politica in Italia, Cappelli, Bologna, 1924. Cito dall’edizione a cura di
Ersilia Alessandrone Perona, con un Profilo di Piero Gobetti di Paolo Spriano,
Einaudi, Torino, 1983 è stata poi ripresa con un saggio di Paolo Flores
d’Arcais, Einaudi, Torino,1995, p. 165.
[6] P. Gobetti, Matteotti, RL , a. III, n. 27, 1 luglio 1924, p. 103; poi in
volume Piero Gobetti Editore, Torino 1924, pp. 28 e 32, ora, con la postfazione
di M. Scavino, Edizioni Storia e Letteratura, Roma 2014. Mi permetto di rinviare
al lavoro che mi è stato affidato da Goffredo Fofi: G. Matteotti, Questo è il
fascismo, con uno scritto di Piero Gobetti, a cura di Pietro Polito, e/o, Roma
2022 Vedi le raccolte di scritti di Matteotti: . Contro ogni forma di violenza,
a cura di Davide Grippa, Einaudi, Torino 2024 e Contro la guerra, contro la
violenza, prefazione di Tomaso Montanari, eDimedia, Firenze 2025. Per una
critica contemporanea del fascismo: Michel Foucault, Introduzione alla vita non
fascista, Feltrinelli, Milano 2025.
Pietro Polito