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Mai più Hiroshima e Nagasaki 2025
Il 6 agosto, a partire dalle ore 21, il coordinamento AgiTe ha ricordato in piazza Carignano a Torino la tragedia atomica di Hiroshima e Nagasaki. A 80 anni dai bombardamenti atomici sul Giappone la minaccia dell’uso delle armi nucleari è sempre più spesso utilizzata per consentire politiche aggressive e al di fuori del diritto internazionale. Per questa ragione è fondamentale: * Ricordare le vittime di prima, seconda e terza generazione delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki e dei test nucleari successivi * Ribadire il NO alle armi nucleari * Chiedere all’Italia di ratificare il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari adottato dall’ONU il 7 luglio 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021 Assistiamo ad un inquietante ritorno di interesse per le armi nucleari; attualmente gli Stati Uniti, la Francia, la Cina, la Russia, l’Inghilterra, India, Israele, Pakistan e Corea del Nord sono possessori accertati di armamenti nucleari. Questi ultimi quattro paesi non hanno aderito al Trattato di Non Proliferazione Nucleare, che dovrebbe in teoria regolamentarne e limitarne lo sviluppo. In Italia sono custoditi diversi ordigni atomici, nelle varie basi Nato disseminate sul territorio. La minaccia dell’uso delle armi nucleari è sempre più spesso utilizzata per consentire politiche aggressive e al di fuori del diritto internazionale; inoltre il solo sospetto di avere i mezzi per costruire un’arma nucleare ha giustificato l’attacco di Stati Uniti ed Israele alle installazioni nucleari iraniane, attacco totalmente la di fuori del diritto internazionale. Poiché l’esistenza stessa delle armi nucleari è universalmente riconosciuta come una terribile minaccia per la stessa sopravvivenza del genere umano, ICAN, l’organizzazione internazionale che ha promosso il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari, è stata insignita del premio Nobel per la Pace 2017. Il premio Nobel per la pace 2024 è stato insignito alla Confederazione giapponese delle organizzazioni delle vittime della bomba atomica e ad idrogeno (Nihon Hidankyō) per motivi simili. La questione del riarmo nucleare si pone nel contesto di un aumento generalizzato della violenza come metodologia d’azione: la violenza è sempre più accettata come metodo di risoluzione dei conflitti, siano essi personali, sociali o politici, dalle relazioni tra i singoli al livello internazionale. Il pericolo di un escalation nucleare è diventato più forte a partire dal 2022 a causa del conflitto in Ucraina e delle crescenti tensioni regionali in Medio Oriente, conflitti che coinvolgono potenze nucleari; parlare dell’utilizzo di armi nucleari di potenza superiore a quelle lanciate sulle città giapponesi e definite “tattiche” non è più un tabù. Per queste ragioni chiediamo al nostro governo di lavorare perché queste armi siano ripudiate e di attivarsi perché vengano ovunque abolite; in questo contesto chiediamo che l’Italia ratifichi il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari adottato dall’ONU il 7 luglio 2017 ed entrato in vigore il 22 gennaio 2021, in coerenza con l’art.11 della nostra Costituzione. Coordinamento AGiTe
Scegliere la pace. A 80 anni da Hiroshima e Nagasaki
Come 80 anni fa quando Hiroshima e Nagasaki cambiarono (avrebbero dovuto cambiare) il corso della storia la scelta a cui ci troviamo di fronte è quella tra pace e guerra. Il contrasto tra pace e guerra è antico e senza rimedio e la lotta alla guerra oltre che politica è di natura morale, ha un valore religioso, è un problema di stile. Quella tra la pace e la guerra è una scelta antropologica, esistenziale, assoluta, insanabile. La scelta tra pace e guerra non è più rinviabile nel nuovo mondo in cui siamo (stati) precipitati. Un mondo insanguinato in cui i potenti e gli inermi (almeno una parte se non la maggior parte), rovesciando il senso dell’articolo 11 della Costituzione, non “ripudiano” la guerra, anzi la considerano un “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, uno strumento di difesa e di affermazione della libertà. Contrariamente allo spirito dei tempi, le ragioni per cui scegliamo la pace sono e rimangono esattamente le stesse per le quali dopo la svolta atomica ripudiamo la guerra. Con la svolta atomica, che è stata tale nella storia delle idee ma stenta a divenire tale nella realtà, muta radicalmente sia la natura della guerra sia il significato della storia. Dopo la svolta, la guerra è diventata (avrebbe dovuto diventare) un mezzo inadeguato a raggiungere ogni fine. Se ci domandiamo: «Qual è il fine ultimo della storia?», ebbene la guerra nucleare — ecco il punto decisivo — priva di senso sia la vita dell’umanità intera sia la vita dei singoli. Se la storia è destinata a culminare nell’autodistruzione dell’uomo, se la meta non è un fine ma la fine ha ancora un senso la storia? Se finora il compito della cultura è stato quello di giustificare la guerra, il nostro compito oggi è quello di giustificare la pace “ingiustificando” la guerra. Se lo scopo della cultura anche nelle sue espressioni più alte finora è stato la razionalizzazione del corso storico dell’umanità, il nostro compito oggi è la dimostrazione del’assurdità della guerra. Le ragioni per scegliere la pace sono simmetricamente opposte a quelle per “ripudiare” la guerra 1. la guerra non serve al progresso morale; 2. la guerra non serve al progresso civile; 3. la guerra non serve al progresso tecnico. Intendendo la guerra sia nel senso di «guerra atomica» sia nel senso generico di «guerra convenzionale». Alla luce delle guerre fin qui combattute, le giustificazioni della guerra non si rivelano assurde quando la guerra viene combattuta sia con le armi atomiche sia con le armi tradizionali? Scegliamo la pace e ripudiamo la guerra perché sia la guerra atomica sia la guerra convenzionale non servono al progresso morale. Che la guerra tradizionale sia mai servita al progresso morale dell’umanità è sempre stato quanto meno dubbio. Quanto alla guerra atomica, particolarmente emblematica è la parabola del maggiore Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima. A poco a poco Eatherly si rende conto di non essere un eroe ma qualcosa tra un campione sportivo e un automa e scopre di essere un semplice ingranaggio di un’immane macchina di morte. L’immagine della guerra “fecondatrice di virtù sublimi” viene completamente rovesciata. La guerra atomica è scandalosa, subdola, è il più grave delitto contro l’umanità. Come osserva Norberto Bobbio, “al posto dell’immagine hegeliana del vento sulla palude subentra quella, più appropriata, della tempesta sul fragile raccolto”[1]. Scegliamo la pace e ripudiamo la guerra perché sia la guerra atomica sia la guerra convenzionale non servono al progresso civile. A ben guardare l’idea che la guerra potesse servire al progresso civile era già andata in crisi con l’affermarsi della teoria che non è la guerra ma lo scambio e la comunicazione pacifica tra i popoli il più potente mezzo di unificazione del genere umano. Ora una simile teoria è diventata improponibile con la prospettiva della guerra atomica. Quale mondo seguirà alla catastrofe atomica? Dopo la catastrofe avremmo un mondo più unificato o più frantumato, disarticolato, scisso? La novità della nuova guerra rende impossibile ogni previsione di quel che sarà dopo, mette in discussione l’idea che la storia abbia una direzione e un fine razionale, “smentisce la stessa teoria del progresso in tutte le sue forme”: “da quando la guerra atomica è entrata nella storia dell’umanità come evento possibile, il progresso non è più garantito”[2]. Scegliamo la pace e ripudiamo la guerra perché sia la guerra atomica sia la guerra convenzionale non servono al progresso tecnico. A questa tesi si potrebbe obiettare che dalla guerra a lungo preparata, e per fortuna non combattuta militarmente dalle due grandi potenze, poi conclusasi con la sconfitta e il tracollo di uno dei due contendenti e l’implosione dell’ordine internazionale, sia venuto un contributo innegabile allo sviluppo tecnico. Si pensi solo alle nuove scoperte scientifiche e all’aumento della potenza distruttiva degli armamenti. Ma, e questa è una contro obiezione di fondo, nella valutazione del rapporto tra la guerra e il progresso tecnico non si può disgiungere il problema dei mezzi da quello dei fini. Si profila così una alternativa drammatica: da un lato lo sviluppo tecnico, dall’altro lo sviluppo morale che sarebbe compromesso inevitabilmente attraverso “il progressivo aumento di probabilità di una guerra sterminatrice come conseguenza del progressivo sviluppo tecnico guidato da scopi di guerra”[3]. Come di fronte a ogni alternativa a un certo momento bisogna scegliere. Le amiche e gli amici della nonviolenza si mettono “dalla parte di chi lavora per la formazione di una coscienza atomica” e credono che “questo momento sia già arrivato”[4]. Le ragioni dell’obiezione di coscienza alla guerra mantengono intatte la loro vitalità e attualità: dal punto di vista di un nuovo illuminismo, consapevole dei limiti e anche dei soprusi della ragione, l’obiezione di coscienza è un rinnovato appello alla ragione e un’affermazione del valore perenne della dignità della coscienza individuale; dal punto di vista di un’idea della democrazia intesa come un processo di ridefinizione permanente l’obiezione di coscienza è contrasto alla dittatura e apertura all’omnicrazia (potere di tutti); dal punto di vista del pacifismo, s’intende un pacifismo critico, né moralistico né ideologico, l’obiezione di coscienza è rifiuto della rassegnazione e non accettazione dell’ineluttabilità della guerra. Il nostro pacifismo non è l’adesione a un’ideologia ma è “una questione d’istinto”, “qualcosa di più ampio, così connaturale con noi che potremmo definirlo fisiologicamente innato” (estendo qui la contrapposizione che Gobetti stabilisce tra fascismo e antifascismo a quella tra bellicismo e pacifismo)[5]. Con Giacomo Matteotti, sentiamo che così come per il fascismo per “combattere utilmente” la guerra bisogna “opporgli esempi di dignità con resistenza tenace. Farne una questione di carattere, di intransigenza, di rigorismo”[6]. La nostra opposizione alla guerra è così radicale che ci rifiutiamo di prendere in considerazione i programmi e le vie militari che vengono presentati come mezzi per la pace. Concepiamo il nostro impegno nonviolento come una azione morale che ha la sua ragione in sé prima ancora che nel suo affermarsi. Se non è già troppo tardi.   [1]N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1979, p.76. [2] Ivi, p.77. [3] Ibidem. [4] Ibidem. [5]  P. Gobetti, Elogio della ghigliottina, RL, a. I, n. 34, 23 novembre 1922, p. 130; SP, p. 432. Ripreso in in Id., La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Cappelli, Bologna, 1924. Cito dall’edizione a cura di Ersilia Alessandrone Perona, con un Profilo di Piero Gobetti di Paolo Spriano, Einaudi, Torino, 1983 è stata poi ripresa con un saggio di Paolo Flores d’Arcais, Einaudi, Torino,1995, p. 165. [6] P. Gobetti, Matteotti, RL , a. III, n. 27, 1 luglio 1924, p. 103; poi in volume Piero Gobetti Editore, Torino 1924, pp. 28 e 32, ora, con la postfazione di M. Scavino, Edizioni Storia e Letteratura, Roma 2014. Mi permetto di rinviare al lavoro che mi è stato affidato da Goffredo Fofi: G. Matteotti, Questo è il fascismo, con uno scritto di Piero Gobetti, a cura di Pietro Polito, e/o, Roma 2022 Vedi le raccolte di scritti di Matteotti: . Contro ogni forma di violenza, a cura di Davide Grippa, Einaudi, Torino 2024 e Contro la guerra, contro la violenza, prefazione di Tomaso Montanari, eDimedia, Firenze 2025. Per una critica contemporanea del fascismo: Michel Foucault, Introduzione alla vita non fascista, Feltrinelli, Milano 2025.   Pietro Polito
L’appello dei Premi Nobel a Trump e Putin: le Organizzazioni Nihon Hidankyo, ICAN e IPPNW chiedono di mettere in salvo l’umanità fermando l’escalation nucleare
Il 28 aprile 2025, tre organizzazioni insignite del Premio Nobel per la Pace – Nihon Hidankyo (2024), ICAN (2017) e IPPNW (1985) – hanno inviato una lettera congiunta ai presidenti Donald Trump e Vladimir Putin, esortandoli a intraprendere azioni decisive per la de-escalation nucleare e a impegnarsi in negoziati significativi per il disarmo. Nella lettera, i firmatari sottolineano che Stati Uniti e Russia detengono insieme circa il 90% degli arsenali nucleari mondiali, attribuendo a entrambi una responsabilità speciale nel prevenire una catastrofe globale. Rievocando il vertice del 1986 tra Reagan e Gorbaciov a Reykjavík, che segnò un momento storico per il disarmo, gli autori dell’appello invitano i leader attuali a riprendere quello spirito di cooperazione e a compiere passi concreti verso l’eliminazione totale delle armi nucleari. Terumi Tanaka, sopravvissuto al bombardamento atomico di Nagasaki e rappresentante di Nihon Hidankyo, ha dichiarato: «Le armi nucleari non devono mai essere usate. Il loro impiego sarebbe un crimine contro l’umanità». Tanaka ha criticato le minacce nucleari di Putin nel contesto del conflitto in Ucraina, sottolineando la mancanza di comprensione delle devastanti conseguenze umane delle armi nucleari. Melissa Parke, direttrice esecutiva di ICAN, ha ribadito l’urgenza dell’azione: «Ascoltare Tanaka descrivere gli effetti orribili del bombardamento dovrebbe convincere i leader mondiali a fare di più che semplicemente congratularsi con i hibakusha per questo premio. Devono onorarli eliminando urgentemente le armi nucleari». Michael Christ, a nome di IPPNW, ha aggiunto: «Le armi nucleari non sono una forza naturale inevitabile. Sono state costruite da mani umane e possono essere smantellate da mani umane. Tutto ciò che è necessario è la volontà politica». L’appello congiunto delle tre organizzazioni Nobel rappresenta un richiamo potente alla responsabilità e alla leadership necessarie per prevenire un conflitto nucleare. In un momento in cui la minaccia nucleare è più alta che mai, la loro voce si leva a favore della pace e della sicurezza globale. E ovviamente non si può che condividerlo pienamente, anche alla luce delle sempre più numerose minacce provenienti dagli stati maggiori di Stati uniti d’America, Russia, paesi NATO, Israele, Cina, India e Pakistan di impiegare le armi nucleari per “chiudere” i conflitti in atto. Crediamo tuttavia che l’appello alla denuclearizzazione totale debba essere fatto anche a Francia e Regno Unito, due partner NATO dotati di armi di distruzione di massa, anch’essi in piena corsa al riarmo nucleare e all’adozione di strategie sempre più aggressive in ambito militare. Allo stesso modo non possiamo dimenticare Israele, India e Pakistan, tutti paesi che non hanno firmato il trattato di non proliferazione e che purtroppo, si caratterizzano per la spregiudicatezza, direi meglio la follia, nel considerare l’uso di testate come un’opzione praticabile e “sostenibile” in caso di conflitto. L’appello dei premi Nobel per la pace incita i movimenti No War a rafforzare il proprio impegno contro ogni sistema nucleare e rilanciare – così come fu negli anni ’80 – grandi campagne internazionali per il disarmo nucleare e la denuclearizzazione, anche attraverso atti concreti di “primo passo” di disarmo unilaterale nel cuore del vecchio continente, a partire dal nostro paese, che ha consentito l’US Air Force a dislocare le famigerate bombe “tattiche” B-61-12 nelle basi di Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone), testate che in caso di conflitto o escalation bellica potranno essere montate a bordo dei cacciabombardieri di quarta e quinta generazione nella disponibilità dell’Aeronautica Militare italiana. «Vi scriviamo come vincitori del Premio Nobel per la Pace impegnati nell’eliminazione delle armi nucleari. In questo momento di estremo pericolo nucleare, vi invitiamo a prendere misure urgenti per la de-escalation delle tensioni e impegnarvi in negoziati significativi per il disarmo nucleare», si legge nella lettera congiunta delle Organizzazione Premi Nobel per la pace indirizzata a Putin e a Trump. È un messaggio importante questo documento a firma di tre Premi Nobel per la Pace rappresentanti rispettivamente le Organizzazioni Nihon Hidankyo, ICAN e IPPNW. Perché «come leader di stati armati nucleari che possiedono il 90% degli arsenali mondiali, i presidenti Putin e Trump hanno l’obbligo speciale di agire con l’urgenza che questo momento di immenso pericolo richiede». Ancora una volta, e questa volta direttamente ai leader di Russia e Stati Uniti, viene rammentato il rischio sempre più alto di una escalation nucleare e di un conflitto atomico; oltretutto accentuato dai voluti processi di modernizzazione degli arsenali e dall’abbandono di storici trattati che, pur insufficienti per assicurare un disarmo concreto, erano comunque segno di seppur tiepida intenzione di accordo tra le superpotenze. Come hanno dichiarato gli Stati parte del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) al loro recente incontro a New York: «L’architettura di lunga data del disarmo e della non proliferazione viene erosa, gli accordi sul controllo degli armamenti abbandonati e le posizioni militari si sono indurite, indebolendo ulteriormente l’architettura di sicurezza globale esistente. Un ambiente di sicurezza internazionale teso e sempre più polarizzato, combinato con una mancanza di fiducia e comunicazione, esacerba i pericoli esistenti dell’uso di armi nucleari». «Ricostruire il dialogo, ripristinare la fiducia, impegnarsi nuovamente nel disarmo nucleare.» L’invito dei Nobel aggiunge nuovamente l’esperienza degli Hibakusha, testimoni concreti dell’orrore di quanto l’atomica genera. Perché: «Sanno, per esperienza diretta, che nessuno dovrebbe mai sopportare la sofferenza che queste armi causano. Questo 21 giugno un gruppo di hibakusha arriverà a Reykjavík a bordo della Peace Boat dove visiteranno Höfði House, il sito di uno dei momenti più promettenti nella storia del disarmo nucleare». Ricordando infatti che «il vertice del 1986 tra i presidenti Reagan e Gorbaciov a Reykjavík ha aperto la strada a significative riduzioni di armi» e al quasi totale smantellamento dei missili nucleari. «Hanno quasi raggiunto una svolta storica per l’eliminazione di tutte le armi nucleari. Quel momento ha dimostrato che la volontà politica può superare divisioni apparentemente insormontabili». «Ora avete l’opportunità di riconquistare quello spirito e di andare oltre e ottenere ciò che i presidenti Reagan e Gorbaciov non sono riusciti a fare: l’eliminazione totale delle armi nucleari. Come premi Nobel per la pace, vi invitiamo a incontrarvi l’un l’altro per raggiungere un accordo sul disarmo nucleare totale». Ma, «nessuno dei nove paesi che possiedono armi nucleari – Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord – sembra attualmente interessato al disarmo nucleare e al controllo degli armamenti». «Questo è il momento di mostrare al mondo la leadership coraggiosa e visionaria necessaria. Le armi nucleari non sono una forza naturale inevitabile che deve essere sopportata. Sono stati costruiti da mani umane e possono essere smantellati da mani umane. Tutto ciò che è necessario è la volontà politica. È nel vostro potere, come presidenti dei paesi nucleari più potenti del mondo, porre fine alle armi nucleari prima che finiscano noi», afferma infine il documento a firma di Terumi Tanaka, Shigemitsu Tanaka, and Toshiyuki Mimaki, on behalf of Nihon Hidankyo, Nobel Peace Prize 2024, Melissa Parke and Akira Kawasaki, on behalf of ICAN, Nobel Peace Prize 2017, Michael Christ, on behalf of International Physicians for the Prevention of Nuclear War, Nobel Peace Prize 1985. Laura Tussi, con la collaborazione di Antonio Mazzeo. Articolo pubblicato anche sul quotidiano FarodiRoma     Laura Tussi