Studiare l’occidente ma contro chi?
“Solo l’Occidente conosce la Storia”. La dichiarazione con cui si apre una
sezione della bozza presentata al “dibattito pubblico” dalla commissione
nominata dal ministro Valditara per definire le “Nuove Indicazioni per la Scuola
dell’infanzia e il Primo ciclo di istruzione”, va messa in relazione con il
progetto conservatore che ha per baricentro gli Stati Uniti di Trump.
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“Solo l’Occidente conosce la Storia”. La dichiarazione con cui si apre una
sezione della bozza presentata al “dibattito pubblico” dalla commissione
nominata dal ministro Valditara per definire le “Nuove Indicazioni per la Scuola
dell’infanzia e il Primo ciclo di istruzione”, va messa in relazione con il
progetto conservatore che ha per baricentro gli Stati Uniti di Trump.
Continui rimandi all’Occidente costellano le linee guida abbozzate dalla
sottocommissione “Storia”, coordinata da Ernesto Galli della Loggia. “La
storia”, si legge nel testo, “costituisce il principale strumento tanto per
conoscere come si è formata la nostra civiltà, per comprenderne le
caratteristiche di fondo e i valori, che per inquadrare al tempo stesso le
vicende della scena mondiale e i rapporti di questa con l’Occidente”. In un
recente volume, pubblicato assieme alla coordinatrice scientifica della
commissione, la pedagogista Loredana Perla, nonché in interviste e articoli,
Galli della Loggia ha ribadito la necessità di una “grande narrazione” che
privilegi la storia d’Italia, dell’Europa e dell’Occidente, rivendicando il
carattere “ideologico” della riforma.
Vale la pena chiarire che il concetto di Occidente è un prodotto culturale e
politico relativamente recente, entrato nel lessico comune dopo la carneficina
della Prima guerra mondiale. I corsi sulla “Storia della civiltà occidentale”
(ribattezzati colloquialmente “from Plato to Nato”) si diffusero nelle
università americane nella seconda metà degli anni Cinquanta, in piena Guerra
fredda, con il dichiarato intento di consolidare un’alleanza politica, culturale
e militare tra le “nazioni libere” in contrapposizione all’Unione sovietica e al
movimento comunista.
Tuttavia, la storia “from Plato to Nato” ha avuto vita breve, sostanzialmente
quella di una generazione dal 1950 al 1970. Pur avendo attinto a sintesi
pregevoli (si pensi alla History of Western Civilization di William McNeill, la
cui prima edizione apparve assieme alla nascita della Nato nel 1949), questi
corsi sono diventati obsoleti dopo l’emergere dei paesi del cosiddetto “Terzo
mondo” a seguito della decolonizzazione, con i suoi riverberi di terzomondismo e
anti-imperialismo diffusi nella generazione dei “sessantottini”, nonché per le
pretese di ampi settori della classi dirigenti dell’Europa occidentale di
elaborare un’identità differente rispetto a quella degli Usa. Dopo la fine della
Guerra fredda intellettuali come Samuel Huntington, autore de Lo scontro delle
civiltà, o Niall Ferguson, storico e saggista neoconservatore, hanno tentato di
rilanciare il progetto di “civiltà occidentale”. Ferguson, in Civilization: The
West and the Rest, apparso nel 2011 con il titolo Occidente. Ascesa e crisi di
una civiltà, ha attribuito l’ascesa europea a sei “killer app” (competizione,
scienza, proprietà privata, medicina, consumismo ed etica del lavoro). Sulle due
sponde dell’Atlantico, prevaleva però una storiografia critica del colonialismo,
aperta a misurare l’influenza di civiltà e popoli non europei nel plasmare le
vicende delle stesse nazioni europee e un’attenzione, fin troppo dogmatica,
verso le “minoranze svantaggiate”, anche a scapito dei sempre più rari
insegnamenti e dipartimenti di “studi classici” e di storia europea.
Una novità recente è rappresentata dall’emergere del “nuovo conservatorismo” che
ha sospinto la campagna elettorale di Donald Trump verso il secondo mandato.
Questo movimento culturale e politico si è rafforzato nella feconda
contaminazione con il conservatorismo europeo, di cui Fratelli d’Italia è
componente importante. Figura carismatica di quella che definisce una
“contro-rivoluzione culturale conservatrice” (nel 2023 ha pubblicato il suo
manifesto La rivoluzione culturale americana. Coma la sinistra radicale ha
conquistato tutto) è Christopher Rufo, secondo il New York Times “il più
importante attivista della politica americana dai tempi di Ralf Nader”. Rufo, un
passato nella sinistra radicale, ha contribuito a spingere il Trump II ad
attaccare frontalmente le istituzioni educative del Paese. Trump ha firmato un
decreto per sciogliere il ministero dell’Istruzione e sforbiciato i
finanziamenti federali alle università, partendo dai 400 milioni di dollari alla
Columbia University, uno degli epicentri delle proteste studentesche contro il
massacro dei palestinesi a Gaza.Rufo si è scagliato contro le politiche di
“discriminazione positiva” (affermative action) che avrebbero imposto selezioni
basate su criteri di razza e genere, nonché contro la “critical race theory”, i
cui esponenti più radicali promuoverebbero “la redistribuzione di terra e
ricchezza su basi razziali”. I nuovi conservatori mettono in discussione
l’intero impianto della legislazione sui diritti civili degli anni Sessanta che
nessun presidente repubblicano prima di Trump avrebbe avuto il coraggio di
scalfire. Rufo considera vitale introdurre criteri selettivi puramente
meritocratici (“un sistema spartano indifferente al colore”) e smontare le
istituzioni che supportano il “woke”, le “teorie gender” e il “marxismo
razziale”. Una specifica attenzione è riservata alle università. “Un mio
obiettivo di medio o lungo termine”, dice Rufo al NYT, “è adottare una formula
di finanziamento del governo federale che le metta addosso un terrore
esistenziale, portandole a dire ‘a meno che non cambiamo quel che stiamo
facendo, non potremmo pareggiare il bilancio per il prossimo anno”. Columbia,
dopo i tagli, ha infatti modificato in senso restrittivo le norme sulla gestione
delle proteste studentesche e “commissariato” il Dipartimento di studi
mediorientali, noto nel mondo anche perché vi aveva insegnato il palestinese
Edward Said, autore di Orientalism, uno dei testi chiave degli studi
post-colonali. In parallelo, con il supporto del governatore della Florida
DeSantis, Rufo ha inaugurato un nuovo modello di università, il New College, che
promette di incoraggiare nelle discipline umanistiche “un impegno condiviso a
una cultura del dibattito civile che tenda verso il vero, il bene e il bello,
che costituiscono la grande tradizione della Civiltà occidentale”.
La guerra all’ordinamento scolastico e universitario americano, pur elitario e
fortemente diseguale, viene portata dal nuovo conservatorismo in nome del
decentramento e di ulteriori privatizzazioni, e si combina con il rilancio di un
discorso sull’Occidente. Se questo ha confini geografici mutevoli come lo sono
gli umori della diplomazia internazionale, estendendosi dal Canada al Giappone,
per inglobare l’Australia e l’Argentina di Milei (ma non il Brasile di Lula), ha
il vantaggio di poter essere plasmato in un progetto politico reazionario.
Alla fine degli anni cinquanta il progetto era quello della lotta al comunismo
internazionale. Oggi il progetto sembra, nella sua dimensione esterna, quello di
contrapporsi al Sud globale (in primo luogo alla Cina), proprio nel momento in
cui i BRICS hanno superato i Paesi del G7 per prodotto interno lordo, e la Cina
non solo è la principale potenza industriale del pianeta, ma sfonda la frontiera
tecnologica, dall’intelligenza artificiale alle rinnovabili. Nella sua
dimensione interna, il “progetto Occidente” incarna invece una battaglia sociale
e culturale contro quelle componenti della società, cresciute anche assieme a
flussi migratori mal governati, che vedono nella critica alla natura coloniale
dell’espansionismo europeo un elemento chiave della propria identità – e non si
ritrovano in definizioni che stigmatizzano come “antisemita” chiunque critichi
lo stato di Israele e i crimini contro l’umanità perpetrati dalla sua attuale
leadership. Un Occidente contro il Sud, sia fuori che dentro le stesse società
occidentali.
Se dunque la riforma dell’insegnamento della storia dovrà valorizzare, alla luce
delle ricerche più recenti, l’evoluzione storica dell’Italia e dell’Europa,
inquadrandole, come sostiene la commissione, nelle “vicende della storia
mondiale”, è opportuno che ciò avvenga tenendosi debitamente alla larga da
riferimenti ad un progetto così ideologicamente connotato e divisivo come quello
di Occidente.
(Pubblicato su Il Fato Quotidiano)