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Coordinamento NO-NATO: Emilia Romagna, inchiesta per mappare presìdi NATO e filiera bellica
Lo scorso 8 dicembre si è costituito a Bologna il Coordinamento Nazionale NO NATO (CNNN), grazie alla convergenza delle tante realtà che lo compongono e che da tempo sono impegnate contro le guerre imperialiste e contro l’Alleanza atlantica. Su alcuni territori il Coordinamento si è anche articolato a livello regionale ed in particolare in Emilia Romagna si sono svolte diverse iniziative fra la zona del parmense e la Romagna, passando per Bologna, al fine di sensibilizzare attivisti e cittadini sulla diffusione della presenza della filiera bellica in regione. Per fornire uno strumento di analisi utile a comprendere alcune dinamiche, ma anche rapporti ed implicazioni sul territorio regionale, il Coordinamento No NATO Emilia Romagna ha promosso la realizzazione di un’inchiesta, oramai alla sua seconda versione (scaricabile in formato pdf dal link di seguito), con l’intento di mappare il più possibile i presìdi della NATO e le realtà che a vario titolo sono connesse alla produzione di armi e sistemi d’arma o tecnologie dual use, nonché la presenza di collaborazioni con istituzioni sioniste. Alla redazione dell’inchiesta hanno partecipato, oltre agli attivisti del Coordinamento, anche Linda Maggiori, giornalista e scrittrice da tempo impegnata su questi temi, e Giuseppe Curcio, che segue l’ambito universitario per l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Un contributo di riflessione molto prezioso è stato fornito anche da Antonio Mazzeo attivista dell’Osservatorio, il quale è intervenuto alla presentazione pubblica della prima versione del dossier realizzata dal Coordinamento. L’inchiesta, corredata da utili mappe anche a livello locale, mostra in tutta la sua evidenza come il territorio emiliano-romagnolo sia costellato di una fitta rete di installazioni militari e presìdi bellici che rappresentano quello che viene denominato in gergo CMI, cioé il Complesso Militare Industriale. Una rete che assume le sembianze di un motore a triplice elica, nel quale le aziende, le università e le istituzioni (regionali, nazionali ed internazionali) concorrono al processo di progressiva militarizzazione del tessuto economico, produttivo ed “organizzativo” per rendere il territorio regionale funzionale al sistema della guerra. L’inchiesta è molto ricca di spunti e di informazioni, difficili da sintetizzare qui, ma ci sono alcuni aspetti che si possono evidenziare in particolare: * lo sviluppo del Complesso Militare Industriale in Emilia Romagna risulta quasi “invisibile” agli occhi di chi ci vive, perché sia che si tratti di presìdi fisici (basi militari, siti produttivi, reti o infrastrutture) sia che si tratti di elementi immateriali (collaborazioni, accordi, reti di dati) restano per lo più ignoti alla quasi totalità della popolazione. Da qui l’esigenza di diffondere e rendere consapevoli i cittadini di come siamo già immersi in un ambiente predisposto alla guerra. * Il quadro che emerge dall’inchiesta è quello di un territorio regionale che si trova nel cuore di un processo di conversione produttiva e di riorientamento dei saperi e delle conoscenze rispetto alle tradizionali vocazioni territoriali: dalla storica Motor Valley e dalle imprese con radici familiari, l’Emilia sta progressivamente effettuando una transizione verso il settore della meccatronica e verso processi di fusione e joint venture internazionali, più in linea con le esigenze belliche, sia rispetto alla ricerca universitaria che allo sforzo produttivo delle medie e grandi imprese locali. * dietro le quinte, ad unire università ed aziende c’è ad esempio ANSER, il Consorzio della Regione Emilia Romagna che supporta le aziende locali nel settore dell’Aerospazio, settore che sempre di più è sinonimo di guerra nelle sue applicazioni finali. * L’inchiesta evidenzia come l’approccio imperialista vada oltre le collaborazioni esplicitamente belliche e si sviluppi anche su attività che riguardano la rete infrastrutturale e la gestione del territorio (suolo e risorse idriche), come nel caso della collaborazione del Gruppo delle Bonifiche Ferraresi con i partner israeliani nell’ottica degli insediamenti dei coloni sionisti in Palestina o la cooperazione accademica con l’Ariel University, che ha la sua sede proprio nei territori occupati. L’inchiesta termina con delle conclusioni chiare e lapidarie che condividiamo di seguito: Fuori l’Italia dalla NATO, fuori la NATO dall’Italia!! Per scaricare il pdf dell’inchiesta clicca sul link di seguito: DOSSIER 2.0_digitale_DEFDownload