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#norearm - Oggi a #Palermo, (martedì 2 dicembre) ore 16 - Istituto per la Ricerca e l'Innovazione Biomedica (IRIB) del #CNR SEMINARIO con ANTONIO MAZZEO (Giornalista e attivista - esperto Interazionale in tema “militarizzazione” dei territori e della società)
#nowar #norearm #Palermo, martedì 2 dicembre ore 16 - Istituto per la Ricerca e l'Innovazione Biomedica (IRIB) del #CNR SEMINARIO con ANTONIO MAZZEO (Giornalista e attivista - esperto Interazionale in tema “militarizzazione” dei territori e della società) L’evolversi degli eventi socio-politici degli ultimi tempi sta spingendo verso rapporti sempre più marcati tra le aziende del comparto militare e le Istituzioni della ricerca.
Le città vuote
Quella che più di un decennio fa era iniziata come una crisi abitativa si è trasformata in realtà quotidiana, in una ferita collettiva. UNA FERITA COLLETTIVA Scriviamo da Barcellona e Palermo, due capitali mediterranee che fungono come termometri di ciò che è diventato buona parte del Sud Europa: una destinazione turistica dove i propri abitanti riconoscono a malapena le proprie strade. Città in cui l’industria del turismo divora la vita quotidiana, ma che allo stesso tempo innesca nuove resistenze e tentativi di riconquistare i propri spazi urbani e sociali. La nostra lingua, la nostra cultura, la nostra storia e la nostra comunità vengono progressivamente espulse da un modello economico che tratta la città – e i suoi abitanti – come una merce. RAVALEAR A Barcellona, quartieri come Gràcia subiscono un processo di turistificazione a un ritmo più rapido di quanto il tessuto locale possa effettivamente assorbire. Le botteghe storiche chiudono i battenti, sostituiti da attività orientate al rapido consumo e alle tasche del visitatore straniero. In appena due anni, in un raggio di circa 50 metri, hanno aperto ben cinque gelaterie e diverse caffetterie in franchising, mentre librerie e macellerie sono scomparse. Il risultato è una crescente sensazione di espulsione simbolica: sono luoghi dove i residenti non si sentono più benvenuti. Un caso emblematico è il ristorante storico Can Lluis, nel quartiere del Raval. Aperto da oltre novant’anni,  è stato un punto di ritrovo per tassisti, politici, artisti e giornalisti. Un luogo di dibattiti, convivialità e comunità. Finché un fondo d’investimento non ha acquistato l’edificio, chiudendo di fatto il locale. «Non hanno comprato solo un ristorante – ricorda Pol, figlio dell’ultimo gestore – ma la nostra storia, la nostra identità». Un decennio dopo, Pol ha tradotto quella memoria in una serie documentaria prodotta da HBO, intitolata Ravalear. Secondo Pol, la piattaforma ha scommesso su un progetto politico perché «il problema della casa è diventato così grande che ormai è impossibile ignorarlo. Milioni di persone sono stanche, e raccontare queste storie ci permette di entrare in contatto con un pubblico più vasto». Ravalear diventa così una metafora di ciò che accade in città: interi quartieri soffocati dalla speculazione, dove la cultura mediterranea della convivialità – tempo, conversazione e incontro – è stata sostituita dalla logica del profitto economico immediato. LA CITTÀ ATTRAVERSATA Negli ultimi anni il turismo in Sicilia ha conosciuto un enorme boom. Tra le forze trainanti è la serie di HBO White Lotus, la cui seconda stagione è girata a Taormina, in provincia di Messina. La serie  ha avuto un’audience di ben  4,8 milioni di spettatori e il suo successo ha fatto sì che nel 2022 ricerche della parola “Sicilia” su Google siano raddoppiate negli Stati Uniti. Il fenomeno ha provocato un importante afflusso turistico, consolidando l’isola come la meta di tendenza di quell’estate. Borgo Parrini, villaggio rurale nell’entroterra palermitano che negli ultimi anni si è promosso come destinazione turistica / Bruna Cases – RUIDO Photo Nell’entroterra palermitano, nel territorio di Partinico, la piccola frazione rurale di Borgo Parrini accoglie numerosi di questi turisti, illustrando come l’identità locale si trasformi in spettacolo da baraccone. Le case, decorate con murales di ispirazione gaudiniana e con colori mediterranei, attirano visitatori in cerca di una Sicilia da cartolina. Nelle sue strade vengono esibiti simboli come le teste di moro, i carretti siciliani o i pupi, presentati come merce in un processo di folclorizzazione che trasforma l’eredità culturale in un prodotto di consumo. A ridosso del villaggio, la cooperativa sociale NOE (No Emarginazione), che dal 1998 lavora su terreni confiscati alla mafia, promuove progetti di agricoltura sperimentale e attività educative. Tuttavia, il Comune di Partinico utilizzerà una porzione del bene confiscato per realizzare un’area di sosta destinata agli autobus turistici. Nonostante la mobilitazione della cooperativa, il 4 giugno 2025 una sentenza del TAR ha stabilito che il Comune di Partinico non dovrà pagare alcun risarcimento alla cooperativa per quanto riguarda il parcheggio realizzato sui terreni della cooperativa. > Mentre Palermo si promuove come destinazione internazionale – nel 2022 il > “National Geographic” l’ha inserita tra le migliori città al mondo per > lavorare da remoto insieme a Bali e a Lima – la popolazione locale del centro > città continua a diminuire. Secondo i dati ISTAT, dal 2011 il capoluogo ha > perso oltre 50.000 abitanti. Gli affitti medi si aggirano intorno ai 595 euro > per un appartamento di una o due stanze, mentre il reddito medio di una > persona sola supera a malapena i 440 euro. La continua crescita di piattaforme come Airbnb aggrava ulteriormente la situazione: già nel 2019 a Palermo si contavano oltre 6.000 annunci attivi. Come spiega il ricercatore Federico Prestileo e attivista di APRO (Assemblea Permanente Resistenza Overtourism), a Palermo, «non si tratta più soltanto di gentrificazione, ma di un modello in cui investitori internazionali facilitano l’introduzione in città di popolazioni temporanee. La città si trasforma in uno spazio di rotazione continua». L’effetto è visibile nel centro storico. Strade come la centralissima via Maqueda si sono trasformate in corridoi pedonali saturi di ristoranti e negozi di souvenir, dove lo spazio pubblico è ormai ridotto solamente al consumo. I mercati tradizionali – Ballarò, Capo, Vucciria – un tempo fulcro del quotidiano locale, oggi sono orientati al più becero turismo: prezzi più alti, qualità inferiore dei prodotti venduti e un folclore teatralizzato pensato per attirare i visitatori. Mercato di Ballarò a Palermo, dove molti mercanti si rivolgono principalmente ai turisti stranieri / Bruna Cases – RUIDO Photo Di fronte a questo modello, spazi comunitari come l’ex-convento San Basilio resistono. Occupato nel 2011, oggi funziona come centro sociale con attività educative, ospitando una frequentatissima palestra popolare. Ma il suo futuro è a rischio: il comune di Palermo prevede di riconvertirlo in una “Casa delle Culture”, legata a un piano da 90 milioni di euro di fondi europei per interventi nel centro storico, elaborato senza partecipazione cittadina. Per gli attivisti dell’ex-convento San Basilio, si tratta dell’ennesimo esempio di come il turismo finisca per espellere i residenti a vantaggio di interessi esterni ed opachi. IL TURISMO CAMBIA LA CITTÀ Secondo l’Istituto di Statistica della Catalogna (Idescat) e Input-Output Barcelona, il turismo rappresenta l’11% del PIL produttivo catalano e il 13,8% dell’occupazione in Spagna (dati del Ministero del Lavoro). Tuttavia, i suoi impatti urbani sono di gran lunga più profondi. > Come spiega Jaime Palomera, portavoce del Sindicat de Llogateres, «vale la > pena avere 30 milioni di turisti all’anno se chi li accoglie non può > permettersi di vivere in città? Il turismo genera ricchezza, ma è concentrata > nelle mani di pochi: catene alberghiere, fondi d’investimento e grandi > proprietari». Ciò che questo comporta è una pressione crescente sul mercato abitativo. Tra il 2019 e il 2024, gli affitti a Barcellona sono aumentati del 39%, a fronte di un incremento salariale del 13%. Nel 2019 la spesa media per l’affitto equivaleva al 38% del salario; oggi supera il 50%. Non è un caso se le mura delle città sono ricolme di graffiti che ripetono: «El turismo mata la ciudad» – Il turismo uccide la città». La crisi della casa a Barcellona attraversa l’intera società. Colpisce tanto le famiglie lavoratrici quanto i giovani studenti, le persone migranti, i creativi e gli operatori culturali. Nessuno ne è escluso. Un esempio è Okdhuu, chef e concorrente dell’ultima edizione di MasterChef España. Lo stabile  in cui viveva, in Calle Sant Agustí, nel quartiere di Gràcia, è stato acquistato dal fondo New Amsterdam, che lo ha trasformato in appartamenti per affitti stagionali e stanze destinate ai nomadi digitali. Sebbene sia riuscito a prorogare il suo contratto, oggi continua a lottare per riuscire a mantenere l’alloggio. Condivide lo stabile con stanze di 6–15 m² affittate a 700–900 euro al mese, con bagno in comune. Il salario minimo in Spagna è di 1.200 euro, il che rende questi prezzi inaccessibili per la maggior parte dei residenti. Secondo Okdhuu, il 60% degli inquilini sono nomadi digitali statunitensi. Odkhuu, designer e residente del Bloc Sant Agustí, alle prese con uno sfratto causato dall’acquisto del suo stabile da parte di New Amsterdam, fondo di investimenti che converte gli appartamenti in unità di co-living ad alto costo / Bruna Cases – RUIDO Photo Con il sostegno del Sindicat de Llogateres, i residenti dell’edificio si sono organizzati per resistere allo sfratto. «Questa città è fatta per viverci, non è la Riviera Maya. Qui la gente lavora, non tutto è turismo», afferma Okdhuu. Il suo caso riflette una questione più ampia: ciò che un decennio fa era iniziato come una lotta operaia contro gli sfratti, si è esteso oggi alle classi medie, ai professionisti e ai creativi. L’abitare è diventato un mercato speculativo globale, in cui resta sempre meno spazio per chi rende possibile la vita quotidiana in città. LA CITTÀ OSTILE Mentre Barcellona ha iniziato il suo processo di turistificazione con i Giochi Olimpici del 1992, Palermo vive oggi un fenomeno simile, che si ripete anche in altre città dell’area euromediterranea: dalle isole Baleari a Venezia, Dubrovnik, Santorini o Lisbona. Il boom palermitano è cominciato nel 2015, con la dichiarazione del suo patrimonio arabo-normanno come Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Nel 2018, la città ha ospitato la biennale d’arte Manifesta ed è stata proclamata Capitale Italiana della Cultura. Da allora, una forte campagna di marketing e nuovi investimenti ne hanno accelerato la trasformazione. Protesta di massa per chiedere la regolamentazione degli affitti e la fine degli sfratti a Barcellona / Bruna Cases – RUIDO Photo La turistificazione risponde a un modello molto preciso: maschile, bianco, produttivo, ovvero qualcuno capace di sopportare un bombardamento costante di stimoli sensoriali”, afferma Federico Prestileo. «Dopo la pandemia la situazione è peggiorata: chiunque abbia difficoltà a sopportare le folle vive in una città ostile». Di fronte a questo modello economico che trasforma la città in una merce, emergono forme di resistenza: sindacati degli inquilini, collettivi di quartiere e centri sociali che rivendicano un’idea semplice e condivisa in tutto il Mediterraneo: la città non è un parco tematico ma un luogo in cui vivere dignitosamente. La copertina è di Bruna Cases (RUIDO Photo). La pubblicazione di questo articolo è stata supportata da Journalismfund Europe SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Le città vuote proviene da DINAMOpress.
A #Palermo, mercoledì 12 novembre, ore 17 Presentazione del libro "La controriforma permanente. La #scuola italiana tra mercato e #guerra" (a cura di Luca Cangemi).
#stopthegenocideingaza🇵🇸 Oggi, domenica 2 novembre, ore 17.30 - #Castelbuono (#Palermo) #freepalestine🇵🇸 𝐁𝐨𝐢𝐜𝐨𝐭𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐞 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 #𝐠𝐞𝐧𝐨𝐜𝐢𝐝𝐢𝐨 Quando le immagini e i fatti sono vittime loro stessi della censura e del genocidio, resta la voce di chi non smette di raccontare. Una conversazione con Al Hassan Selmi, Marcella Brancaforte, Collettivo Zona Aut, Mario Cicero e Michele Spallino, moderata dal giornalista e scrittore Antonio Mazzeo.
#stopthegenocideingaza🇵🇸 #Palermo, venerdì 31 ottobre, ore 17.30 - G#enocidio e complicità. Approfondimento su quello che sta accadendo a #Gaza e in tutto il territorio palestinese occupato, sul genocidio, sulle complicità delle aziende e sui traffici di armi. #freepalestine🇵🇸
Quando la guerra si fa spettacolo: il caso del Villaggio dell’Esercito a Palermo
Dal 2 al 5 ottobre Palermo ha ospitato il “Villaggio dell’Esercito”, un’iniziativa promossa dal Ministero della Difesa e dal Comune di Palermo che ha portato nel cuore della città – in piazza Castelnuovo, davanti al Teatro Politeama, uno dei luoghi simbolo della cultura e della vita civile – mezzi militari, installazioni interattive, aree dimostrative e simulatori dedicati alle professioni dell’esercito. Presentato come un «evento culturale e divulgativo», l’allestimento ha trasformato la piazza in un vero e proprio parco tematico della guerra, con carri armati, elicotteri da combattimento, veicoli blindati utilizzati nelle missioni internazionali e mezzi storici che ripercorrono la tradizione militare italiana. Tra gli spazi interattivi figuravano anche simulatori di volo in realtà aumentata e percorsi «educativi» per bambinə, invitatə a partecipare a mini-esercitazioni al ritmo della sigla di Dragon Ball. Secondo le istituzioni promotrici, l’obiettivo era di «avvicinare la popolazione civile all’esercito italiano», mostrando il volto «umanitario» di questi e l’impegno nelle missioni di peacekeeping. Il sindaco Roberto Lagalla, difendendo l’iniziativa, ha parlato di una manifestazione che valorizza la presenza dell’esercito nelle missioni di pace e il suo contributo alla sicurezza nazionale e internazionale. Ma il messaggio che si diffondeva dalle corazze lucenti dei mezzi bellici e dai soldati in uniforme era tutt’altro che neutro. In una città segnata da precarietà e abbandono, portare carri armati in piazza significa normalizzare la guerra, trasformare lo spazio pubblico – luogo di incontro e di memoria civile – in una vetrina della potenza militare. L’evento ha suscitato una forte reazione da parte della popolazione palermitana, risuonando tra collettivi, sindacati, associazioni e realtà studentesche che hanno denunciato la militarizzazione dello spazio urbano e la propaganda bellicista dietro la facciata “educativa”. «La piazza è uno spazio civile, non un’esposizione di potenza militare. Via le armi da Palermo!», hanno gridato i e le manifestanti, ricordando che la pace non si costruisce mostrando fucili, ma garantendo diritti, istruzione, salute, case e lavoro. di Our Voice Il 1° ottobre, un corteo partito da piazza Sant’Anna – nato dal presidio in solidarietà con la Global Sumud Flotilla, iniziativa internazionale in sostegno al popolo palestinese – ha tentato di raggiungere l’area del Politeama per contestare l’allestimento del Villaggio. Il corteo, composto da centinaia di persone, si è trovato di fronte un imponente cordone di forze dell’ordine. Durante i momenti di tensione si sono verificati scontri e una persona è rimasta ferita. Gli e le attiviste hanno denunciato la sproporzionata presenza di polizia e carabinieri, sottolineando come ancora una volta la risposta dello Stato alle voci di dissenso sia stata la repressione. A seguito delle proteste, il prefetto di Palermo ha convocato un tavolo tecnico su richiesta dei e delle manifestanti, per discutere il rinvio o l’annullamento dell’evento. Il prefetto ha accolto le rimostranze portate avanti dalla cittadinanza condividendole, ma dichiarandosi impossibilitato all’annullamento dell’evento “culturale” poiché organizzato da mesi e portato avanti per volontà del ministro della Difesa Guido Crosetto, con il supporto del sindaco e dell’assessore alla cultura Giampiero Cannella. di Our Voice Una decisione che può essere interpretata come un atto politico preciso: l’affermazione, nel pieno centro della città, di una retorica patriottica e militarista, in un momento in cui l’Italia decide di investire in riarmo. Per i promotori, il villaggio rappresenta «un’occasione per valorizzare il ruolo dell’esercito nelle missioni di pace». Ma dietro questa narrazione si nasconde una campagna di consenso: un tentativo di rendere accettabile, persino desiderabile, la presenza militare nella vita quotidiana. L’uso di linguaggi ludici, la partecipazione dei e delle bambine, la mostra di armamenti e uomini in divisa che sfilano: tutto serve a rendere la guerra un gioco, a cancellare la violenza reale che essa produce, a rieducare le nuove generazioni a una visione distorta della pace come ordine armato. Questo contrasto assume un significato ancora più profondo nel contesto attuale, segnato dalle tensioni internazionali e dal dolore, dalla rabbia e dalla frustrazione per il genocidio in Palestina, che scuote le coscienze e riempie le piazze di tutto il mondo. Mentre le immagini di bombardamenti e distruzione entrano ogni giorno nelle nostre case, Palermo si ritrova a ospitare carri armati nel suo salotto buono, come se la guerra fosse un’attrazione, una curiosità tecnologica da toccare e fotografare. In un momento storico in cui cresce la spinta a nuove alleanze militari e all’aumento delle spese per gli armamenti, eventi come il Villaggio dell’Esercito appaiono come strumenti di consenso e addestramento ideologico alla guerra permanente. di Our Voice «Portare carri armati in piazza non avvicina alla pace, ma la allontana», ripetono i e le manifestanti. La pace non è una parata, non è un’operazione di marketing. È un percorso fatto di giustizia sociale, di solidarietà  tra i popoli, di autodeterminazione e di lotta contro chi trae profitto dai conflitti. La presenza di mezzi bellici nel cuore di Palermo non è soltanto una provocazione: è un atto politico che tenta di ridefinire l’immaginario collettivo, abituandoci a convivere con la guerra, a considerarla parte normale del paesaggio urbano. Ma Palermo, città di mare, di accoglienza e di resistenza, non dimentica la propria storia. Dalle lotte dei portuali contro il traffico d’armi ai movimenti per la pace degli anni Novanta, dalle manifestazioni studentesche contro la NATO ai presidi per la Palestina, la città ha sempre saputo dire no alla guerra e sì alla dignità dei popoli. E oggi, di fronte ai carri armati davanti al Politeama, quel “no” risuona ancora una volta forte e chiaro. Perché nessun elicottero Mangusta, nessun blindato, nessuna divisa potrà mai rappresentare la pace. E perché le piazze, le piazze di chi le vive ogni giorno, devono restare spazi di vita, di incontro e di libertà, spazi pubblici non palcoscenici per la propaganda della guerra. Foto di copertina e nell’articolo di Our Voice SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Quando la guerra si fa spettacolo: il caso del Villaggio dell’Esercito a Palermo proviene da DINAMOpress.
Università di #Palermo, giovedì 4 settembre, ore 9. Master in Analisi, prevenzione e contrasto della #criminalità organizzata #Guerra e #Pace tra Diritto Internazionale e Situazione sui Territori. Con Massimo Starita - Professore di Diritto Internazionale UNIPA; Antonio Mazzeo
#Palermo, giovedì 7 agosto, ore 18. Antonio Mazzeo racconta "Handala". Percorso per la liberazione della #Palestina #FreedomFlotilla #StopTheGenocide
#Palermo, Oggi, lunedì 30 giugno, ore 18 - DISARMIAMOLI. - NO RIARMO. #norearm NO #NATO. Dopo il vertice NATO dell'Aia e con i conflitti in atto nel Medio Oriente, facciamo il punto sul piano di riarmo europeo e sul processo di militarizzazione dei nostri territori