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Rapporto di Amnesty International sulle violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione USA Alligator Alcatraz e Krome
Il 4 dicembre 2025 Amnesty International ha diffuso un rapporto sui trattamenti crudeli, inumani e degradanti all’interno di due centri di detenzione per persone migranti della Florida, Usa: l’Everglades Detention Facility (noto come “Alligator Alcatraz”) e il Krome North Service Processing Center. Il rapporto, basato su una missione di ricerca svolta nel settembre 2025, denuncia violazioni dei diritti umani di tale gravità da costituire in alcuni casi tortura, in un contesto di crescente ostilità nei confronti delle persone migranti che vede l’amministrazione del governatore Ron DeSantis ricorrere sempre più alla criminalizzazione e agli arresti di massa di persone in cerca di salvezza. “Le nostre conclusioni confermano l’esistenza di un intenzionale sistema di punizione, disumanizzazione e occultamento della sofferenza delle persone detenute. Le politiche sull’immigrazione non possono operare al di fuori della legge o sentirsi esonerate dal rispetto dei diritti umani. Quello a cui stiamo assistendo in Florida dovrebbe allarmare l’intera regione americana”, ha dichiarato Ana Piquer, direttrice di Amnesty International per le Americhe.  “Alligator Alcatraz”: un disastro per i diritti umani prodotto dallo Stato della Florida Dalla ricerca di Amnesty International è emerso che le persone detenute arbitrariamente ad “Alligator Alcatraz” vivono in condizioni inumane e insalubri: gabinetti traboccanti con feci che invadono i dormitori, accesso limitato alle docce, esposizione a insetti senza prodotti o sistemi di protezione, luci accese 24 ore al giorno, scarsa qualità del cibo e dell’acqua e mancanza di riservatezza con telecamere collocate persino sopra i gabinetti. Le persone intervistate hanno concordemente dichiarato che l’accesso alle cure mediche è incostante, inadeguato o del tutto negato con conseguenti gravi rischi per la salute fisica e mentale. Anche all’aperto sono sempre coi ceppi. C’è poi la cosiddetta “scatola”, una gabbia di due metri per due usata come luogo di punizione, dove si resta a volte per ore, esposti agli elementi atmosferici, praticamente senza acqua e con mani e piedi bloccati ai ceppi fissati sul pavimento. “Alligator Alcatraz” non è supervisionata a livello federale e mancano i sistemi di tracciamento usati nelle strutture gestite dall’Ice (Immigration and Customs Enforcement), l’agenzia federale per l’immigrazione). L’assenza di meccanismi di registrazione o tracciamento favorisce la detenzione senza contatti col mondo esterno e costituisce una forma di sparizione forzata nella misura in cui i familiari delle persone detenute non hanno informazioni o queste ultime non possono contattare i loro avvocati. “Le spregevoli e nauseanti condizioni di ‘Alligator Alcatraz’ fanno parte di un sistema di intenzionale diniego dei diritti, congegnato per disumanizzare e punire le persone detenute. È una situazione irreale: dov’è la supervisione su tutto ciò?”, ha affermato Amy Fischer, direttrice del programma Diritti delle persone migranti e rifugiate di Amnesty International Usa. Krome: un luogo sovraffollato, caotico e pericoloso Krome è un centro di detenzione che fa capo all’Ice, diretto da un’agenzia privata for-profit. Nonostante sia dotato di servizi medici, le persone detenute hanno denunciato gravi negligenze, come la mancata fornitura di medicinali e l’assenza di valutazioni diagnostiche. La ricerca di Amnesty International ha confermato precedenti denunce di violazioni dei diritti umani: sovraffollamento, isolamento arbitrario e per lunghi periodi di tempo, mancanza di assistenza medica, gabinetti traboccanti, assenza di docce, illuminazione costante e sistema d’aria condizionata non funzionante. Le persone detenute hanno riferito episodi di violenza e maltrattamenti da parte degli agenti penitenziari. Il personale di Amnesty International ha visto uno di loro colpire con la parte metallica di una porta di una cella d’isolamento la mano ferita di un detenuto. Sono stati denunciati anche casi di persone detenute picchiate e prese a pugni. È stata segnalata poi la difficoltà nell’accedere ai servizi di assistenza legale: le persone non sapevano per quanto tempo sarebbero rimaste all’interno della struttura, né cosa sarebbe loro accaduto in seguito. “L’estremo sovraffollamento, il diniego di assistenza medica e le denunce di trattamenti umilianti e degradanti costituiscono un quadro di orrende violazioni dei diritti umani a Krome”, ha commentato Fischer. “Ogni persona che si trovi in un centro di detenzione sta soffrendo”: la gestione dell’immigrazione e la detenzione in Florida Nel febbraio 2025 lo Stato della Florida ha emanato leggi durissime e discriminatorie che mettono in grave pericolo le comunità migranti. La modifica degli accordi 287 (g), che affidano alle agenzie locali per il mantenimento dell’ordine pubblico l’applicazione delle leggi federali in materia d’immigrazione, ha fatto sì che persone venissero arrestate per sbaglio, ha introdotto la profilazione razziale e ha diffuso una paura di massa tale da far sì che le persone migranti non frequentassero più le scuole, gli ospedali e luoghi dove poter ricevere servizi essenziali. La Florida è diventata un luogo dove si sperimentano politiche in materia d’immigrazione che violano i diritti umani, strettamente allineate con l’agenda razzista e anti-immigrazione dell’amministrazione Trump. Sotto il mandato del governatore Ron DeSantis, lo Stato della Florida ha intensificato la criminalizzazione delle persone migranti e ha fatto uso di poteri d’emergenza per aumentare rapidamente il numero degli arresti. Dal gennaio 2025 il numero delle persone detenute nei centri per persone migranti è aumentato di oltre il 50%. Solo tra luglio e agosto 2025, lo Stato ha concluso 34 contratti senza gara per “Alligator Alcatraz”, per un valore di oltre 360 milioni di dollari. Il costo annuo di questa struttura è calcolato in 450 milioni di dollari. Contemporaneamente, vengono tagliati milioni di dollari destinati a cure mediche essenziali, sicurezza alimentare, servizi di emergenza e programmi abitativi. “La scelta di dare priorità alla punizione, alla disumanizzazione e alla crudeltà rispetto ai servizi pubblici è miope e agghiacciante”, ha sottolineato Fischer. I centri di detenzione statunitensi per le persone migranti vantano una triste storia di violazioni dei diritti umani. Il presidente Trump ne ha aumentato l’uso di quasi il 70% dall’inizio del suo mandato e le condizioni al loro interno sono rapidamente peggiorate. Delle almeno 24 morti di persone migranti verificatesi dall’ottobre 2024 all’interno dei centri diretti dall’Ice, sei sono avvenute in quelli della Florida, quattro delle quali a Krome. Raccomandazioni Amnesty International chiede al governo dello Stato della Florida e all’amministrazione Usa di porre rimedio alle violazioni sistemiche dei diritti umani all’interno dei centri di detenzione per persone migranti. L’organizzazione chiede alle autorità della Florida di chiudere “Alligator Alcatraz” e di vietare l’uso di qualsiasi centro di detenzione gestito a livello statale. Dev’essere posta fine ai poteri di emergenza e alle assegnazioni di contratti senza gara. I fondi devono essere destinati alle cure mediche essenziali, ai programmi abitativi e a quelli di soccorso a seguito di disastri. Altre raccomandazioni comprendono: vietare l’uso dei ceppi, l’isolamento solitario e il confinamento durante l’ora d’aria; garantire accesso in condizioni di riservatezza all’assistenza legale e ai servizi d’interpretariato; condurre indagini trasparenti e indipendenti sulle denunce di tortura e di diniego di cure mediche e istituire un sistema di supervisione efficace e indipendente su tutti i centri di detenzione. Al governo federale, Amnesty International chiede di porre fine al suo crudele sistema di detenzione di massa delle persone migranti, alla criminalizzazione dell’immigrazione e all’uso di centri di detenzione statali per applicare le norme federali in materia d’immigrazione; di condurre indagini approfondite su tutte le morti nonché sulle denunce di tortura e di altre violazioni dei diritti umani e rispettare le norme internazionali sui diritti umani; di intraprendere una revisione complessiva sui contratti dell’Ice con agenzie statali e private, al fine di garantire il rispetto dei diritti umani; di ripristinare la protezione per “luoghi sensibili” come scuole, ospedali e chiese e di aumentare i fondi federali per rafforzare l’assistenza legale e i servizi d’interpretariato durante i procedimenti riguardanti l’immigrazione. “Le condizioni che abbiamo documentato ad ‘Alligator Alcatraz’ e a Krone non sono isolate, ma rappresentano un deliberato sistema di crudeltà inteso a punire le persone che cercano di rifarsi una vita negli Usa. Occorre cessare di arrestare le persone appartenenti alle nostre comunità migranti e in cerca di salvezza e agire, invece, per realizzare politiche in materia d’immigrazione umane e rispettose dei diritti”, ha concluso Fischer.   Amnesty International
Sudan, Amnesty International chiede protezione per i civili del Kordofan, sotto l’attacco delle Forze di supporto rapido
Amnesty International ha sollecitato protezione per la popolazione civile della regione sudanese del Kordofan, sottoposta a un crescendo di attacchi da parte dei paramilitari delle Forze di supporto rapido (Fsr). Dopo aver preso il controllo della città di Bara, nel Kordofan settentrionale, le Fsr hanno preso di mira El Obeid. Il 3 novembre un attacco con un drone ha ucciso almeno 40 persone durante un funerale in corso nella periferia della città. Oltre a El Obeid, le Fsr stanno circondando Kadugli, nel Kordofan meridionale. “Il mondo non può continuare a girare le spalle alla popolazione civile del Sudan mentre i gravi pericoli che sta correndo sono del tutto evidenti. È incomprensibile rimanere a guardare mentre i civili rischiano di essere uccisi dalle Fsr. Gli orribili bagni di sangue e le atrocità delle ultime settimane a El Fasher, nel Darfur settentrionale, non devono ripetersi”, ha dichiarato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International. “Le Fsr devono immediatamente porre fine agli attacchi contro la popolazione civile e alle infrastrutture civili e garantire un passaggio sicuro a coloro che stanno cercando di lasciare El Obeid. Tutti gli stati che stanno alimentando il conflitto in Sudan devono cessare di farlo. Soprattutto gli Emirati Arabi Uniti devono interrompere la loro assistenza militare, compresa la fornitura di armi, alle Fsr”, ha aggiunto Callamard. “Coloro che, a livello regionale e internazionale, sostengono le Fsr devono chiedere loro di rispettare il diritto internazionale umanitario e di garantire che i civili saranno protetti. Devono fare tutto ciò che è in loro potere per far sì che i responsabili delle violazioni siano chiamati a risponderne”, ha proseguito Callamard. Da quando le Fsr hanno strappato il controllo di El Fasher alle Forze armate sudanesi, sono usciti molti video su uccisioni di massa e attacchi contro la popolazione civile. Il 3 novembre l’ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale si è detto allarmato circa le notizie di uccisioni di massa, stupri e altri crimini attribuiti alle Fsr durante i loro attacchi a El Fasher. “La comunità internazionale – tra cui Emirati Arabi Uniti, il Consiglio di sicurezza, gli stati membri dell’Unione europea, il Regno Unito, gli Usa, la Russia e la Cina – ha tradito la popolazione del Sudan. È ora di fare pressioni urgenti sulle Fsr perché cessino i loro brutali attacchi contro i civili”, ha concluso Callamard. Amnesty International chiede agli organismi regionali competenti – tra i quali l’Unione africana, l’Autorità intergovernativa sullo sviluppo, l’Organizzazione della cooperazione islamica e la Lega araba – di esercitare a loro volta pressioni sulle Fsr perché pongano fine ai loro attacchi contro i civili. Ulteriori informazioni Il conflitto in corso in Sudan è iniziato nell’aprile del 2023. Ha causato l’uccisione di decine di migliaia di persone e 12 milioni di sfollati, dando luogo alla più grande crisi umanitaria al mondo. Le Fsr, il gruppo paramilitare che si sta scontrando con le Forze armate del Sudan, sta assediando El Fasher dal maggio del 2024. Il 26 ottobre le Fsr hanno dichiarato di aver conquistato alcune zone di El Fasher, l’ultima grande città del Darfur ancora sotto il controllo delle Fas. Queste, il giorno dopo, hanno annunciato il loro ritiro. A El Fasher viveva oltre un milione e mezzo di abitanti, comprese centinaia di migliaia di persone sfollate da altre zone del Darfur nei primi anni Duemila e durante l’attuale conflitto. Si stima che prima dell’attacco del 26 ottobre si trovassero intrappolate in città circa 260.000 persone. Amnesty International aveva già denunciato i crimini di guerra commessi dalle Fsr e dalle milizie arabe loro alleate, responsabili congiuntamente di attacchi su base etnica contro i masalit e altre comunità non arabe nel Darfur occidentale. L’organizzazione per i diritti umani aveva altresì già documentato come il conflitto in Sudan fosse alimentato da un costante afflusso di armi, in evidente violazione dell’ embargo sulle armi vigenti per quanto riguarda il Darfur. Amnesty International
Vita e resistenza in Palestina
Un ennesimo, meritatissimo Premio ai Combattenti per la Pace per l’impegno che ogni giorno sono in grado di rinnovare sui vari fronti del conflitto: e in questi giorni eccoli impegnati in particolare su quella guerra strisciante, che giorno dopo giorno sta distruggendo economie, speranze, progetti di vita e territori in Cisgiordania. Si tratta del Premio ResPublica che il Comune di Mondovì conferirà sabato pomeriggio, 25 ottobre, alle due co-direttrici di questo movimento, Eszter Koranyi e Rana Salman, che i nostri lettori dovrebbero ormai ben conoscere grazie alle interviste e ai pubblici incontri di cui sono state protagoniste un annetto fa (tra Milano, Torino, Firenze, Roma e Napoli), puntualmente riportati su questa testata. E sulla via per Mondovì, eccole domani sera ospiti di una serata che avrà come tema proprio la guerra così poco raccontata in Cisgiordania: incontro già da tempo nel calendario di Assopace Palestina Milano, per documentare le esperienze di interposizione che in più occasioni hanno visto protagoniste Elena Castellani e Sara Emara – e che con l’occasione di questo rapido passaggio per Milano, ha coinvolto anche Eszter e Rana, naturalmente felicissime di esserci! “Ne sapete più noi di voi” mi dice Eszter Koranyi, che raggiungo su Zoom a Cipro, dove è stata in questi giorni per una conferenza insieme alla collega Rana Salman. “A parte alcune eccezioni come le testate Local Call o + 972, è raro che sui nostri media escano notizie su ciò che succede in Cisgiordania.” “Una ragione di più per continuare a fare quello che facciamo” aggiunge Rana Salman, che partecipa alla stessa chiamata su Zoom. “Da anni organizziamo spedizioni in sostegno agli agricoltori, ai pastori, alle abitazioni, ai villaggi che ahimè vivono sulla propria pelle questa continua aggressione da parte dei coloni, con crescenti livelli di violenza; la situazione sta diventando davvero seria. E quel che è peggio è la presenza dei militari, che invece di garantire almeno un minimo di ‘ordine pubblico’, intervengono in sostegno degli aggressori: inaccettabile! E infatti noi non ci arrendiamo, e siamo sempre di più, con sempre più giovani da Tel Aviv e altre città israeliane che partecipano alle nostre proposte di interposizione.” In questi giorni il confronto più duro è sul fronte degli ulivi, o quel che resta degli uliveti dopo le decine di migliaia di piante distrutte, sradicate, spiantate con la forza dal 7 ottobre a oggi (cfr OCHA, Ufficio delle Nazioni Unite per gli Aiuti Umanitari). Sulle pagine social dei CfPeace (che trovate tradotte in Italiano su Facebook alla pagina Combattenti per la Pace Italia) è possibile seguire le cronache degli ultimi giorni, nell’uliveto che apparterebbe di diritto alla famiglia di un membro fondatore dei CfPeace, il palestinese Jamil Qassas. Come ogni anno la sua famiglia si stava preparando alla raccolta delle olive, quando è arrivata l’ordinanza che vieta l’accesso ai terreni data la prossimità con l’ennesimo insediamento dei coloni in località Gush Etzion, poco lontano da Betlemme. L’azione di interposizione dei CfPeace è cominciata venerdì scorso: “Eravamo una trentina di persone” specifica il post su Facebook “nonostante le piante fossero in uno stato pietoso siamo riusciti a raccogliere un po’ di olive, ma abbiamo potuto lavorare soltanto un’ora, perché i militari ci hanno ingiunto di lasciare l’area in quanto zona militare! Ecco l’ingiustizia quotidiana dell’occupazione in Palestina. Ecco ciò cui stiamo attivamente co-resistendo con le nostre azioni nonviolente.” La situazione è proseguita con crescente tensione nei giorni successivi fino a che ieri non è arrivata una sonora multa per Jamil e tutto il gruppo che era con lui: “Ennesimo abuso di potere della milizia agli ordini di Ben Gvir nei territori occupati della Palestina.” Se ne parlerà domani sera, 23 ottobre, ore 20.30 allo Spazio ‘Il Cielo Sotto Milano’ di Stazione Porta Vittoria, su Viale Molise: con ricco corredo di foto e video-riprese raccolte da Elena Castellani e Sara Emara nelle loro varie spedizioni, con le testimonianze di Eszter Koranyi e Rana Salman e con l’intervento di Antonio Scordia per Amnesty International. Da NON Mancare!   Daniela Bezzi
Un’altra strada è possibile. Storie di vita e resistenza in Palestina, tra occupazione militare, apartheid, pulizia etnica e genocidio
Giovedì 23 ottobre 2025 h 20:30 Il Cielo Sotto Milano  (Lo spazio-eventi nella stazione del passante ferroviario di Porta Vittoria, su Viale Molise) Mentre per un attimo abbiamo creduto in una qualche fragile pace a Gaza, l’aggressione dei coloni non si è mai fermata in Cisgiordania ed è particolarmente acuta in questo periodo di raccolta delle olive. Ce ne parleranno le attiviste Elena Castellani e Sara Emara, che in quei territori occupati sono state più volte come “internazionali”, testimoni delle continue e sempre più aggressive incursioni dei coloni apertamente spalleggiati dai militari: situazioni che hanno documentato con un’impressionante carrellata di riprese-video e foto. Ci renderanno inoltre partecipi del loro bel progetto di empowerment femminile e di un winter camp in fase di allestimento per le donne e i bambini dei campi profughi di Nablus. E di passaggio per Milano sulla via per Mondovì (per via del Premio Respublica che verrà loro conferito nel pomeriggio di sabato 25 ottobre, ci saranno anche l’israeliana Eszter Koranyi e la palestinese Rana Salman. Co-direttrici del movimento pacifista Combatants for Peace ci aggiorneranno sulla situazione di co-resistenza che le vede da tempo impegnate tra Israele e Palestina, insieme ai tanti movimenti attivi sul fronte dei diritti umani, per porre fine alle condizioni di occupazione, apartheid, detenzione amministrativa e inaccettabili abusi, che sono la maggior causa del conflitto in Medio Oriente. Perché “che significa davvero la pace e chi ha il diritto di definirla?” Domanda che richiederebbe ben altre soluzioni, come hanno scritto qui. In rappresentanza di Amnesty International interverrà Antonio Scordia, Responsabile per il Medio Oriente e il Nord Africa. E con l’occasione verrà presentata anche la nuova edizione del libro Combattenti per la Pace, (Ed Multimage, a cura di Daniela Bezzi), con un aggiornamento a firma di Bianca Ambrosio sul panorama delle tante iniziative e movimenti di pace attivi tra Israele e Palestina. La serata è organizzata da Assopace Palestina. Ingresso libero fino a esaurimento di posti. Redazione Milano
Libano: a un anno dall’escalation militare di Israele, le persone colpite da crimini di guerra attendono ancora giustizia e riparazione
A un anno dall’intensificarsi degli attacchi dell’esercito israeliano in Libano, le persone colpite da violazioni del diritto internazionale attendono ancora giustizia e riparazioni. Amnesty International ha dichiarato che il governo libanese non ha ancora conferito alla Corte penale internazionale (Cpi) la giurisdizione per svolgere indagini sul suo territorio e molti abitanti nelle cittadine e nei villaggi del sud del Libano non hanno potuto fare ritorno a ciò che resta delle loro case. Il 23 settembre 2024, una delle giornate più sanguinose del conflitto, le forze israeliane hanno lanciato una serie di attacchi aerei in tutto il Libano, denominando l’operazione militare “Northern Arrows”. Quel giorno, secondo il ministero della Salute libanese, sono state uccise almeno 558 persone, tra cui 50 bambine e bambini, e altre 1800 sono rimaste ferite. Nelle settimane e nei mesi successivi interi villaggi del Libano sono stati ridotti in macerie. Famiglie intere sono fuggite sotto i bombardamenti e non sono ancora potute tornare. Amnesty International ha documentato come le forze israeliane abbiano effettuato attacchi illegali contro edifici residenziali, uccidendo e ferendo civili, e la distruzione su larga scala di luoghi al confine del sud del Libano. Questi attacchi e queste azioni devono essere indagati come crimini di guerra. Kristine Beckerle, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International, ha dichiarato: “A un anno dall’inizio di una fase in cui la popolazione civile in Libano ha pagato un prezzo sempre più alto, tra attacchi illegali e letali in tutto il paese e distruzioni su larga scala lungo la frontiera, le persone colpite da violazioni del diritto internazionale umanitario non hanno ancora visto alcuna forma di assunzione di responsabilità né di riparazione”. “Dopo il cessate il fuoco, non solo l’esercito israeliano ha vietato a chi abitava in decine di villaggi di tornare a casa, ma ha continuato a danneggiare e distruggere beni civili senza che vi fosse una necessità militare imperativa. Ogni famiglia sfollata ha il diritto di rientrare nella propria abitazione. Israele deve consentire immediatamente un ritorno sicuro e garantire riparazioni tempestive, complete e adeguate a tutte le persone colpite da crimini di guerra e violazioni del diritto internazionale umanitario. Le riparazioni, anche nella forma di indennizzi, devono estendersi oltre i singoli individui, comprendendo i comuni, le scuole, gli ospedali e le altre infrastrutture civili colpite da condotte illegali che ne hanno compromesso i locali”. “Nel frattempo, il governo libanese deve spezzare il ciclo dell’inazione e garantire giustizia a tutte le persone colpite e per le sofferenze loro inflitte. Deve urgentemente conferire alla Cpi la giurisdizione per indagare e perseguire i crimini previsti dallo Statuto di Roma commessi sul territorio libanese dall’ottobre 2023, anche con l’adesione allo Statuto. Non aderendo alla Cpi il governo libanese sta consapevolmente bloccando un percorso essenziale verso la giustizia internazionale. Le autorità devono inoltre percorrere ogni via legale disponibile per tutelare il diritto delle persone e delle comunità alle riparazioni, anche collaborando con le Nazioni Unite per istituire un registro dei danni”. Il Libano deve agire rapidamente per garantire la giustizia che le persone colpite meritano, mentre gli stati terzi – in particolare gli Stati Uniti – devono sospendere immediatamente ogni trasferimento di armi e altre forme di assistenza militare a Israele, data l’elevata probabilità che queste armi siano utilizzate per commettere o facilitare gravi violazioni del diritto internazionale”. Ulteriori informazioni Gli scontri tra Hezbollah e Israele si sono intensificati nell’ottobre 2023. Da allora, Amnesty International ha denunciato le conseguenze sui civili, dovute anche all’uso da parte delle forze israeliane di fosforo bianco, a esplosioni simultanee, indiscriminate e mirate a dispositivi elettronici, ad attacchi contro giornalisti, strutture sanitarie, ambulanze e paramedici, ad attacchi aerei illegali contro civili e beni civili, e alla distruzione diffusa nei villaggi al confine del Libano, così come al ripetuto lancio da parte di Hezbollah di razzi non guidati contro aree abitate in Israele. Amnesty International ha chiesto che le condotte di Israele e Hezbollah siano oggetto di indagine come crimini di guerra. Nonostante l’entrata in vigore, il 27 novembre 2024, di un accordo di cessate il fuoco, l’esercito israeliano ha continuato a condurre raid aerei nel sud del Libano e nella periferia meridionale di Beirut, dichiarando di colpire postazioni e personale militare di Hezbollah. Due giorni dopo l’annuncio del cessate il fuoco l’esercito israeliano ha proibito agli abitanti di tornare nelle località situate a sud di una linea che correva pressappoco parallela alla frontiera a sud del Libano, a una distanza variabile tra i 3 e gli 11 km all’interno del territorio libanese, dichiarando che chiunque si fosse spostato a sud di questa linea si sarebbe messo in pericolo. Secondo l’Ufficio dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani almeno 57 civili sono stati uccisi nei primi 60 giorni di cessate il fuoco, mentre cercavano di raggiungere i luoghi a sud del Libano. Nel 2025 gli abitanti di alcune località di confine hanno riferito ad Amnesty International che né loro né altri erano riusciti a tornare a casa, sia perché i loro luoghi di appartenenza rientravano nella zona in cui le autorità israeliane avevano vietato il rientro, sia per via della prosecuzione degli attacchi israeliani. Il 17 febbraio 2025, un portavoce dell’esercito israeliano ha dichiarato che le forze israeliane erano ancora presenti in alcune “posizioni strategiche” all’interno del Libano. Amnesty International
Amnesty: gli USA impiegano l’IA per repressione del dissenso ed espulsioni di massa
L’accusa diretta al governo statunitense proviene da Amnesty International, l’organizzazione internazionale per i diritti umani: negli Stati Uniti, le autorità starebbero impiegando sistemi automatizzati basati sull’intelligenza artificiale per controllare e reprimere il dissenso sociale. Gli strumenti impiegati sono, in particolare, Babel X, prodotto da Babel Street, e Immigration OS, prodotto da Palantir. Nel mirino delle autorità sono finite soprattutto le proteste a sostegno della Palestina: secondo Amnesty, infatti, il controllo ha il fine di inserire gli studenti pro-palestinesi nel programma Catturare e Revocare, che prevede la revoca dei visti a chi prende parte a manifestazioni a favore della Palestina. Ad essere controllati sono anche persone migranti e richiedenti asilo. Le prove del monitoraggio di massa provengono dall’esame di documenti pubblici come quelli del Dipartimento per la Sicurezza interna, bandi di assegnazione e altri. Il programma Babel X, riporta Amnesty, verrebbe impiegato per «valuta le “emozioni” e le probabili intenzioni delle persone utenti basandosi sul loro comportamento online». In questo modo, vengono identificati «contenuti collegati al “terrorismo”», che le autorità possono poi impiegare per decidere se revocare o meno i visti. Babel X è infatti in grado di «accogliere rapidamente una serie di dati relativi a una persona, come nome e cognome, indirizzo di posta elettronica o numero di telefono; può avere accesso ai suoi post sui social media, al suo indirizzo IP, al suo curriculum professionale e ai codici univoci di identificazione per le app di annunci pubblicitari in modo da localizzare il dispositivo». Per quanto riguarda Palantir, il coinvolgimento con gli apparati di sicurezza e di intelligence statunitensi e israeliani è appurato (l’azienda fornisce a Israele i software necessari per portare a termine la propria campagna genocidiaria a Gaza). Il suo prodotto Immigration OS, versione aggiornata di programmi precedentemente esistenti, viene impiegato dall’ICE sin dal 2014, spiega Amnesty. Esso permette di «creare un archivio elettronico, che organizza e collega tutte le notizie e i documenti associati a una particolare indagine [su un caso di immigrazione], in modo che possano essere consultati da uno specifico luogo». Entrambe gli strumenti sono fondamentali per portare avanti la politica di repressione delle proteste studentesche a favore della Palestina e di espulsione di massa di tutti i migranti “irregolari” messa in atto dall’attuale amministrazione Trump. In questo contesto sono divenuti celebri casi come quello di Mahmoud Khalil, neolaureato alla Columbia University (che, insieme ad Harvard ed altre univestià statunitensi, è finita nel mirino del governo nel contesto delle proteste contro il genocidio a Gaza) e titolare di un permesso di residenza permanente negli USA, arrestato nel suo appartamento dagli agenti della ICE in quanto portavoce delle proteste per la Palestina. Il suo permesso, come quello di tanti altri studenti, è stato successivamente revocato. Come sottolineato da Erika Guevara, alta direttrice delle ricerche e delle campagne di Amnesty, «sistemi come Babel X e Immigration Os hanno un ruolo fondamentale nel rendere possibile l’attuazione delle politiche repressive dell’amministrazione USA, facilitando decisioni rapide e automatizzate che hanno già causato espulsioni di massa a un ritmo senza precedenti, che non consentono un livello adeguato di procedure eque e che mettono significativamente in pericolo i diritti umani di tutte le persone immigrate, anche delle studenti e degli studenti che non sono cittadini USA». Guevara ha definito la situazione «profondamente preoccupante», in quanto «queste tecnologie consentono alle autorità di rintracciare rapidamente e prendere di mira studenti e altri gruppi marginalizzati con una velocità e un’ampiezza senza precedenti. Ne derivano arresti illegali ed espulsioni di massa, un clima di paura e un effetto raggelante ancora più diffuso tra le comunità migranti e tra le studenti e gli studenti internazionali nelle scuole e nei campus universitari». L'Indipendente
Come continuare nelle lotte senza trovarsi tutt3 in carcere?
Da quando abbiamo pubblicato il libro “Carcere ai Ribell3” lo abbiamo usato come strumento di dialogo e di confronto sulle dinamiche della repressione e del carcere. Volevamo contribuire al movimento popolare che si stava attivando per contrastare il disegno di legge Sicurezza che l’anno scorso di questi tempi era stato proposto. ORA CHE IL DISEGNO È DIVENTATO LEGGE (LA 80/25), CON UNA FORZATURA IMPRESSIONANTE DEL SUO ITER, A COSA SERVE ANCORA PARLARE DI QUESTE STORIE? La risposta l’abbiamo trovata quasi subito: è necessario continuare a parlarne e proseguire in un’azione di contrasto a questa legge, sul piano giuridico certo, ma anche politico e sociale, tenendo alta l’attenzione sulle narrazioni e sulle intersezioni che finora abbiamo incontrato portando in giro il libro in varie parti d’Italia. E con questo intento che abbiamo portato al Festival Alta Felicità la nostra proposta di presentazione che è stato un nuovo luogo di confronto tra rappresentanti delle lotte oggi più attive: Bianca di Extinction Rebellion Torino, Dana Lauriola di Associazione a Resistere, Rosa delle Mamme e Mariapaola Boselli di Amnesty International – Italia. Con loro abbiamo affrontato i temi della repressione sempre più pervasiva che mira a contrastare tutte le lotte attive oggi in Italia, non solo quelle che utilizzano pratiche più conflittuali ma anche quelle che praticano azioni non violente e pacifiche. In ogni caso la portata della repressione si è abbattuta in maniera sempre più evidente: denunce, processi, fogli di via, multe estremamente costose, trattenimenti in questura e perquisizioni corporali … il tutto raccolto nelle famigerate schedature di polizia: le segnalazioni di sicurezza. Tutte procedure che mirano soprattutto a spaventare e intimidire gli e le attivist3, a impedirne le attività colpendoli sul piano economico e quello della mobilità personale (i fogli di via, i procedimenti penali). VIENE DETTO A PIÙ VOCI “𝐸’ 𝑛𝑒𝑐𝑒𝑠𝑠𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑟𝑖𝑓𝑙𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟𝑒 𝑠𝑢𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑝𝑎𝑧𝑖 𝑑𝑖 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑡𝑎’ 𝑒 𝑑𝑖 𝑑𝑒𝑚𝑜𝑐𝑟𝑎𝑧𝑖𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑜𝑔𝑙𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑓𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒” Da parte di Amnesty, che ha impegnato tutto l’ufficio italiano per contrastarne il percorso di attuazione, viene riscontrato che la società civile ha saputo rispondere efficacemente e attivamente e si è mobilitata in maniera evidente contro al DDL, poi DL, evidenziandone le criticità anche a livello mediatico e comunicativo. La provocazione delle Mamme è: 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗶𝗻𝘂𝗮𝗿𝗲 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗹𝗼𝘁𝘁𝗲 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗽𝗲𝗿Ò 𝘁𝗿𝗼𝘃𝗮𝗿𝘀𝗶 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗲 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗲 𝗶𝗻 𝗰𝗮𝗿𝗰𝗲𝗿𝗲, 𝗼𝗿𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗼 𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲? 𝗖𝗼𝗺𝗲 𝘀𝗶 𝗽𝗿𝗼𝘀𝗲𝗴𝘂𝗲?   Anche se il tempo a nostra disposizione era ormai scaduto e la risposta doveva essere concisa, le attiviste presenti hanno fornito una serie di suggestioni e strategie molto chiare: la resistenza si farà, in maniera collettiva e solidale, bisognerà essere reattivi e solidali, essere sempre di più (allargare le reti), dialogare con tutti, agire attraverso l’autoformazione legale, la coscienza dei propri diritti e la conoscenza della legge, la resistenza legale, le casse di resistenza, inventare sempre nuove strategie di lotta … Ce n’est qu’un début, continuons le combat! Mamme in piazza per la libertà di dissenso
Le azioni di Israele possono essere interpretate solo come l’attuazione dell’intenzione dichiarata di rendere la Striscia di Gaza inabitabile per la popolazione palestinese. Credo che l’obiettivo fosse – ed è ancora – costringere la popolazione ad abbandonare completamente la Striscia o, considerando che non ha un posto dove andare, di debilitare l’enclave attraverso bombardamenti e gravi privazioni di viveri, acqua potabile, servizi igienici e assistenza medica, in modo da rendere impossibile ai palestinesi di Gaza mantenere o ricostituire la loro esistenza come gruppo. Omer Bartov, The New York Times, Stati Uniti 25.7.2025 La mia conclusione inevitabile è che Israele sta commettendo un genocidio contro il popolo palestinese. Sono cresciuto in una famiglia sionista, ho vissuto la prima metà della mia vita in Israele, ho prestato servizio nell’esercito israeliano come soldato e ufficiale e ho trascorso gran parte della mia carriera studiando e scrivendo sui crimini di guerra e sull’Olocausto, quindi è stata per me una conclusione dolorosa da raggiungere, a cui ho resistito il più a lungo possibile. Ma ho tenuto corsi sul genocidio per un quarto di secolo. So riconoscere un genocidio quando lo vedo. Questa non è solo la mia conclusione. Un numero crescente di esperti in studi sul genocidio e diritto internazionale ritiene che le azioni di Israele a Gaza si possano definire solo come genocidio. Lo sostengono Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Cisgiordania e Gaza, e Amnesty international. Il Sudafrica ha presentato una denuncia per genocidio contro Israele alla Corte internazionale di giustizia. Il continuo rifiuto di questa definizione da parte di stati, organizzazioni internazionali, giuristi e accademici causerà un danno incalcolabile non solo alla popolazione di Gaza e di Israele, ma anche al sistema di diritto internazionale costruito sulla scia degli orrori dell’Olocausto, concepito per impedire che queste atrocità si ripetano. È una minaccia alle fondamenta stesse dell’ordine morale su cui tutti facciamo affidamento. Il crimine di genocidio è stato definito nel 1948 dalle Nazioni Unite come “l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”. Nel determinare cosa costituisce un genocidio, quindi, dobbiamo sia individuare l’intenzione sia mostrare che viene messa in atto. Nel caso di Israele, questa intenzione è stata espressa pubblicamente da numerosi leader e funzionari pubblici. Ma l’intenzione può anche essere dedotta dal metodo delle operazioni sul campo, e questo metodo è diventato chiaro nel maggio 2024 – e poi sempre dei più – con la distruzione sistematica della Striscia di Gaza per mano delle forze armate israeliane.   Peacelink Telematica per la Pace
Amnesty International Italia celebra i suoi 50 anni restando a fianco di coloro che lottano per i diritti umani
Nel suo 50° anniversario, Amnesty International Italia celebra le lotte per i diritti umani, ricordando le vittorie del passato con uno sguardo al futuro. In un mondo in cui la libertà di espressione e il diritto di protesta sono sempre più minacciati, è essenziale continuare a dare voce a chi rischia la propria libertà per difendere i diritti di tutti e tutte. Tra le persone che difendono i diritti umani, soprattutto le donne e le ragazze rappresentano simboli di coraggio e resistenza. Ogni giorno, in ogni parte del mondo, sfidano discriminazioni, violenze e restrizioni imposte da leggi e tradizioni che limitano la loro libertà e la loro autodeterminazione. Nonostante questi ostacoli, continuano a lottare per i propri diritti e per quelli delle generazioni future, spesso pagando un prezzo altissimo. Un caso emblematico è quello di Daria Kozyreva, una delle più giovani prigioniere di coscienza, arrestata in Russia a soli 17 anni con l’accusa di “discredito delle forze armate”. La sua “colpa”? Aver espresso pubblicamente il suo dissenso contro la guerra di aggressione ai danni dell’Ucraina. Daria è stata arrestata il 24 febbraio 2024 dopo aver lasciato un foglio con dei versi della poesia “Testamento” ai piedi del monumento al poeta ucraino Taras Shevchenko. In passato era già stata accusata di aver rimosso adesivi con la lettera “Z”, simbolo della propaganda di guerra russa, da monumenti pubblici. Durante la sua detenzione, durata quasi un anno, Daria è stata espulsa dalla facoltà di Medicina dell’università di San Pietroburgo e, con il passare dei mesi, le accuse contro di lei sono aumentate. Nel febbraio 2025 è stata scarcerata, ma le restrizioni sulla sua libertà rimangono e le accuse non sono state ritirate. Il 19 aprile 2025 un tribunale distrettuale di San Pietroburgo ha condannato Daria Kozyreva a due anni e otto mesi di colonia penale per “ripetuta diffusione di informazioni volte a screditare le forze armate della Federazione russa”. Il suo caso è un esempio lampante delle gravi limitazioni alla libertà di espressione e del clima repressivo che dominano in Russia. Migliaia di donne e ragazze sono state incarcerate per aver espresso la loro opposizione alla guerra in Ucraina, subendo processi iniqui e condanne ingiuste. Ma, grazie anche all’impegno e agli appelli di Amnesty International, non mancano le storie finite bene. Come quella di Aleksandra Skochilenko, tornata in libertà il 1° agosto 2024. Il 16 novembre 2023 era stata condannata a sette anni di carcere, sempre per “discredito delle forze armate” per avere, il 31 marzo 2022, sostituito i cartellini dei prezzi di un supermercato di San Pietroburgo con etichette contenenti informazioni sull’invasione russa dell’Ucraina. Amnesty International Italia continua a battersi per il diritto di protesta e la libertà di espressione, mobilitandosi in difesa delle donne e di tutte le persone in ogni parte del mondo, dalla lotta contro la violenza di genere in Italia con la campagna #Iolochiedo al sostegno alle bambine private dell’istruzione in Afghanistan, fino alla protezione delle giornaliste minacciati in India, Turchia e Medio Oriente. Amnesty International