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Come continuare nelle lotte senza trovarsi tutt3 in carcere?
Da quando abbiamo pubblicato il libro “Carcere ai Ribell3” lo abbiamo usato come strumento di dialogo e di confronto sulle dinamiche della repressione e del carcere. Volevamo contribuire al movimento popolare che si stava attivando per contrastare il disegno di legge Sicurezza che l’anno scorso di questi tempi era stato proposto. ORA CHE IL DISEGNO È DIVENTATO LEGGE (LA 80/25), CON UNA FORZATURA IMPRESSIONANTE DEL SUO ITER, A COSA SERVE ANCORA PARLARE DI QUESTE STORIE? La risposta l’abbiamo trovata quasi subito: è necessario continuare a parlarne e proseguire in un’azione di contrasto a questa legge, sul piano giuridico certo, ma anche politico e sociale, tenendo alta l’attenzione sulle narrazioni e sulle intersezioni che finora abbiamo incontrato portando in giro il libro in varie parti d’Italia. E con questo intento che abbiamo portato al Festival Alta Felicità la nostra proposta di presentazione che è stato un nuovo luogo di confronto tra rappresentanti delle lotte oggi più attive: Bianca di Extinction Rebellion Torino, Dana Lauriola di Associazione a Resistere, Rosa delle Mamme e Mariapaola Boselli di Amnesty International – Italia. Con loro abbiamo affrontato i temi della repressione sempre più pervasiva che mira a contrastare tutte le lotte attive oggi in Italia, non solo quelle che utilizzano pratiche più conflittuali ma anche quelle che praticano azioni non violente e pacifiche. In ogni caso la portata della repressione si è abbattuta in maniera sempre più evidente: denunce, processi, fogli di via, multe estremamente costose, trattenimenti in questura e perquisizioni corporali … il tutto raccolto nelle famigerate schedature di polizia: le segnalazioni di sicurezza. Tutte procedure che mirano soprattutto a spaventare e intimidire gli e le attivist3, a impedirne le attività colpendoli sul piano economico e quello della mobilità personale (i fogli di via, i procedimenti penali). VIENE DETTO A PIÙ VOCI “𝐸’ 𝑛𝑒𝑐𝑒𝑠𝑠𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑟𝑖𝑓𝑙𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟𝑒 𝑠𝑢𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑝𝑎𝑧𝑖 𝑑𝑖 𝑙𝑖𝑏𝑒𝑟𝑡𝑎’ 𝑒 𝑑𝑖 𝑑𝑒𝑚𝑜𝑐𝑟𝑎𝑧𝑖𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑜𝑔𝑙𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑑𝑖𝑓𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒” Da parte di Amnesty, che ha impegnato tutto l’ufficio italiano per contrastarne il percorso di attuazione, viene riscontrato che la società civile ha saputo rispondere efficacemente e attivamente e si è mobilitata in maniera evidente contro al DDL, poi DL, evidenziandone le criticità anche a livello mediatico e comunicativo. La provocazione delle Mamme è: 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗶𝗻𝘂𝗮𝗿𝗲 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗲 𝗹𝗼𝘁𝘁𝗲 𝘀𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗽𝗲𝗿Ò 𝘁𝗿𝗼𝘃𝗮𝗿𝘀𝗶 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗲 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗲 𝗶𝗻 𝗰𝗮𝗿𝗰𝗲𝗿𝗲, 𝗼𝗿𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗼 𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲? 𝗖𝗼𝗺𝗲 𝘀𝗶 𝗽𝗿𝗼𝘀𝗲𝗴𝘂𝗲?   Anche se il tempo a nostra disposizione era ormai scaduto e la risposta doveva essere concisa, le attiviste presenti hanno fornito una serie di suggestioni e strategie molto chiare: la resistenza si farà, in maniera collettiva e solidale, bisognerà essere reattivi e solidali, essere sempre di più (allargare le reti), dialogare con tutti, agire attraverso l’autoformazione legale, la coscienza dei propri diritti e la conoscenza della legge, la resistenza legale, le casse di resistenza, inventare sempre nuove strategie di lotta … Ce n’est qu’un début, continuons le combat! Mamme in piazza per la libertà di dissenso
Le azioni di Israele possono essere interpretate solo come l’attuazione dell’intenzione dichiarata di rendere la Striscia di Gaza inabitabile per la popolazione palestinese. Credo che l’obiettivo fosse – ed è ancora – costringere la popolazione ad abbandonare completamente la Striscia o, considerando che non ha un posto dove andare, di debilitare l’enclave attraverso bombardamenti e gravi privazioni di viveri, acqua potabile, servizi igienici e assistenza medica, in modo da rendere impossibile ai palestinesi di Gaza mantenere o ricostituire la loro esistenza come gruppo. Omer Bartov, The New York Times, Stati Uniti 25.7.2025 La mia conclusione inevitabile è che Israele sta commettendo un genocidio contro il popolo palestinese. Sono cresciuto in una famiglia sionista, ho vissuto la prima metà della mia vita in Israele, ho prestato servizio nell’esercito israeliano come soldato e ufficiale e ho trascorso gran parte della mia carriera studiando e scrivendo sui crimini di guerra e sull’Olocausto, quindi è stata per me una conclusione dolorosa da raggiungere, a cui ho resistito il più a lungo possibile. Ma ho tenuto corsi sul genocidio per un quarto di secolo. So riconoscere un genocidio quando lo vedo. Questa non è solo la mia conclusione. Un numero crescente di esperti in studi sul genocidio e diritto internazionale ritiene che le azioni di Israele a Gaza si possano definire solo come genocidio. Lo sostengono Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Cisgiordania e Gaza, e Amnesty international. Il Sudafrica ha presentato una denuncia per genocidio contro Israele alla Corte internazionale di giustizia. Il continuo rifiuto di questa definizione da parte di stati, organizzazioni internazionali, giuristi e accademici causerà un danno incalcolabile non solo alla popolazione di Gaza e di Israele, ma anche al sistema di diritto internazionale costruito sulla scia degli orrori dell’Olocausto, concepito per impedire che queste atrocità si ripetano. È una minaccia alle fondamenta stesse dell’ordine morale su cui tutti facciamo affidamento. Il crimine di genocidio è stato definito nel 1948 dalle Nazioni Unite come “l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”. Nel determinare cosa costituisce un genocidio, quindi, dobbiamo sia individuare l’intenzione sia mostrare che viene messa in atto. Nel caso di Israele, questa intenzione è stata espressa pubblicamente da numerosi leader e funzionari pubblici. Ma l’intenzione può anche essere dedotta dal metodo delle operazioni sul campo, e questo metodo è diventato chiaro nel maggio 2024 – e poi sempre dei più – con la distruzione sistematica della Striscia di Gaza per mano delle forze armate israeliane.   Peacelink Telematica per la Pace
Amnesty International Italia celebra i suoi 50 anni restando a fianco di coloro che lottano per i diritti umani
Nel suo 50° anniversario, Amnesty International Italia celebra le lotte per i diritti umani, ricordando le vittorie del passato con uno sguardo al futuro. In un mondo in cui la libertà di espressione e il diritto di protesta sono sempre più minacciati, è essenziale continuare a dare voce a chi rischia la propria libertà per difendere i diritti di tutti e tutte. Tra le persone che difendono i diritti umani, soprattutto le donne e le ragazze rappresentano simboli di coraggio e resistenza. Ogni giorno, in ogni parte del mondo, sfidano discriminazioni, violenze e restrizioni imposte da leggi e tradizioni che limitano la loro libertà e la loro autodeterminazione. Nonostante questi ostacoli, continuano a lottare per i propri diritti e per quelli delle generazioni future, spesso pagando un prezzo altissimo. Un caso emblematico è quello di Daria Kozyreva, una delle più giovani prigioniere di coscienza, arrestata in Russia a soli 17 anni con l’accusa di “discredito delle forze armate”. La sua “colpa”? Aver espresso pubblicamente il suo dissenso contro la guerra di aggressione ai danni dell’Ucraina. Daria è stata arrestata il 24 febbraio 2024 dopo aver lasciato un foglio con dei versi della poesia “Testamento” ai piedi del monumento al poeta ucraino Taras Shevchenko. In passato era già stata accusata di aver rimosso adesivi con la lettera “Z”, simbolo della propaganda di guerra russa, da monumenti pubblici. Durante la sua detenzione, durata quasi un anno, Daria è stata espulsa dalla facoltà di Medicina dell’università di San Pietroburgo e, con il passare dei mesi, le accuse contro di lei sono aumentate. Nel febbraio 2025 è stata scarcerata, ma le restrizioni sulla sua libertà rimangono e le accuse non sono state ritirate. Il 19 aprile 2025 un tribunale distrettuale di San Pietroburgo ha condannato Daria Kozyreva a due anni e otto mesi di colonia penale per “ripetuta diffusione di informazioni volte a screditare le forze armate della Federazione russa”. Il suo caso è un esempio lampante delle gravi limitazioni alla libertà di espressione e del clima repressivo che dominano in Russia. Migliaia di donne e ragazze sono state incarcerate per aver espresso la loro opposizione alla guerra in Ucraina, subendo processi iniqui e condanne ingiuste. Ma, grazie anche all’impegno e agli appelli di Amnesty International, non mancano le storie finite bene. Come quella di Aleksandra Skochilenko, tornata in libertà il 1° agosto 2024. Il 16 novembre 2023 era stata condannata a sette anni di carcere, sempre per “discredito delle forze armate” per avere, il 31 marzo 2022, sostituito i cartellini dei prezzi di un supermercato di San Pietroburgo con etichette contenenti informazioni sull’invasione russa dell’Ucraina. Amnesty International Italia continua a battersi per il diritto di protesta e la libertà di espressione, mobilitandosi in difesa delle donne e di tutte le persone in ogni parte del mondo, dalla lotta contro la violenza di genere in Italia con la campagna #Iolochiedo al sostegno alle bambine private dell’istruzione in Afghanistan, fino alla protezione delle giornaliste minacciati in India, Turchia e Medio Oriente. Amnesty International
-Sanzioni Usa contro Francesca Albanese, Amnesty International: “Vergognoso affronto alla giustizia internazionale”
Reagendo all’annuncio, da parte del segretario di stato Usa Marco Rubio, di sanzioni contro Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sul Territorio palestinese occupato, la segretaria generale di Amnesty International Agnès Callamard ha diffuso la seguente dichiarazione: “Questo è un vergognoso e trasparente attacco ai principi fondamentali della giustizia internazionale. I relatori e le relatrici speciali non sono nominati per piacere ai governi o per avere popolarità ma per svolgere il loro mandato. Quello di Francesca Albanese è di promuovere i diritti umani e il diritto internazionale, un’azione essenziale in un momento in cui è in gioco la stessa sopravvivenza delle persone palestinesi nella Striscia di Gaza occupata. Queste sanzioni sono state emesse appena pochi giorni dopo che Francesca Albanese aveva pubblicato un suo nuovo rapporto in cui descrive come le aziende abbiano tratto profitto dall’occupazione illegale da parte di Israele, dal suo brutale sistema di apartheid e dal suo genocidio tuttora in corso nella Striscia di Gaza”. “Dopo le recenti sanzioni nei confronti della Corte penale internazionale, quelle annunciate ieri sono in continuità con l’assalto dell’amministrazione Trump al diritto internazionale e coi suoi tentativi di proteggere a ogni costo Israele dal rendere conto delle sue azioni. Sono gli ultimi di una serie di azioni assunte dall’amministrazione Trump per intimidire e ridurre al silenzio coloro che osano parlare in favore dei diritti umani delle persone palestinesi. Invece di attaccare la relatrice speciale e compromettere ulteriormente l’ordine basato sul rispetto delle regole, il governo statunitense dovrebbe porre fine al suo incondizionato sostegno a Israele, che consente a quest’ultimo di beneficiare della completa impunità per i suoi crimini nel Territorio palestinese occupato”. “Gli stati devono vigorosamente respingere queste sanzioni vergognose e vendicative ed esercitare le massime pressioni diplomatiche sul governo statunitense perché siano annullate. Le Nazioni Unite, a loro volta, devono sostenere pienamente Francesca Albanese in quanto esperta indipendente nominata dal Consiglio Onu dei diritti umani. I governi del mondo e tutti coloro che credono in un ordine basato sul rispetto delle regole e del diritto internazionale devono fare tutto il possibile per mitigare e bloccare gli effetti delle sanzioni contro Francesca Albanese e, più in generale, per proteggere il lavoro e l’indipendenza delle relatrici e dei relatori speciali”. Amnesty International
Perugia: iniziative di solidarietà con la Palestina
In una corrispondenza con un compagno di "All eyes on Palestine - Perugia" presentiamo due diverse iniziative che si svolgeranno questo fine settimana a Perugia e nel suo territorio. Il 28 giugno, a Passignano sul Trasimento, si terrà un festival di tre giorni, il Revolution Lake Festival, nel corso del quale si svolgeranno concerti e la tavola rotonda dal titolo "Dal fiume al mare", dedicata alla questione palestinese e, più in generale, alla crisi medio-orientale. Domenica 29 giugno, alle 17:30, al cinema Méliès di Perugia, sarà invece presentato il report annuale delle attività svolte da Amnesty International; a seguire, in piazza Italia, sarà allestito un presidio delle associazioni che promuovono la causa palestinese nel territorio del capoluogo umbro.
Afghanistan, torna in libertà il regista Sayed Rahim Saidi
Sayed Rahim Saidi, 57 anni, regista, direttore e produttore del canale YouTube Anar Media, è tornato in libertà dopo 11 dei 36 mesi a cui era stato condannato per aver “diffuso propaganda” contro i talebani. Prima del ritorno al potere di questi ultimi, Saidi aveva lavorato per oltre 20 anni alla tv nazionale dell’Afghanistan e, dal 2005, per Ariana Tv. In precedenza aveva diretto documentari e cortometraggi aventi per tema la discriminazione e la necessità di un cambiamento sociale.  Su YouTube pubblicava programmi culturali, sociali e religiosi. Arrestato il 14 luglio 2024 dai servizi di sicurezza afgani, dopo oltre cinque mesi di detenzione in isolamento e di interrogatori sotto tortura era stato condannato a tre anni di carcere a partire dal giorno dell’arresto, al termine di un processo svoltosi in assenza di un avvocato difensore. Amnesty International aveva lanciato un’azione urgente in suo favore, lamentando l’illegalità dell’arresto e della condanna di Saidi e sottolineando le sue gravi condizioni di salute – a causa di un’ernia del disco e di una prostatite – e l’assenza di cure mediche adeguate.   Riccardo Noury
SAWTNA: Gaza, è il momento di metterci in gioco tutti assieme
Si è svolto martedì 10 giugno a Firenze, presso LUMEN, l’incontro “SAWTNA, Storie di Donne, Resistenza e Palestina”, con la partecipazione di Valentina Venditti Responsabile Medio Oriente CISS, Gabriel Illescas Alvarez Responsabile Unità Advocacy CISS, Tina Marinari, Coordinatrice Campagne di Amnesty International Italia, Micaela Frulli Docente di Diritto Internazionale all’Università degli Studi di Firenze, Amal Khayal Coordinatrice D’Area Gaza CISS e l’attrice Gaia Nanni con le letture delle testimonianze. Quest’ultime molto toccanti e commoventi così come il racconto di Amal, uscita da Gaza poco dopo l’attentato del 7 ottobre e che ora lavora a Palermo a supporto dei progetti per la Palestina e Gaza e che ha ancora parenti e amici che si trovano nell’inferno di Gaza. Valentina Venditti  ha ricordato che Sawtna significa “La nostra voce”, quella delle storie delle lotte e delle ingiustizie subite delle donne di Gaza e palestinesi in generale e ha rimarcato che prima del 7 ottobre molti avevano dimenticato la Palestina, nessuno parlava più dei diritti, del sacrosanto diritto del popolo palestinese alla sua auto-determinazione, alla libertà e alla giustizia. Non è dal 7 ottobre, ma è dal 1948 che le donne palestinesi sono state imprigionate e hanno subìto vessazioni all’interno delle carceri. Molto spesso fare prigioniere le donne viene utilizzato come una leva per fare pressione su coloro che partecipano alla resistenza, quindi per costringere i loro familiari ad arrendersi. Dall’ottobre del 2023, 490 donne sono state imprigionate, tra queste abbiamo attiviste per i diritti umani, parlamentari come Calida Gerrar, avvocatesse, giornaliste, studentesse come quella di di Birzeit, arrestata in quanto palestinese. Con la detenzione vediamo come il corpo delle donne viene trasformato in un’arma, un’arma che viene utilizzata contro di loro per infliggere sofferenza. Le violazioni che abbiamo registrato sono appunto violenze fisiche, sessuali, psicologiche, privazioni di cibo, privazioni di beni di prima necessità come i prodotti igienici, l’impossibilità di allattare i bambini, questo “per indebolire la loro resistenza psicologica e la loro capacità di affrontare collettivamente la violenza”.  Sono state ricordate le tecnologie, come quelle di riconoscimento facciale e oculare che rappresentano dei sistemi di raccolta di dati di massa che poi servono per attuare quello che possiamo chiamare “genocidio automatizzato”. Basta pensare ai sistemi che hanno come Lavender o The Gospel che servono proprio a identificare il bersaglio e automatizzare l’eliminazione della persona ricercata o, ancor peggio, il sistema Where is Daddy, “dov’è il mio papà”, che è utilizzato per rintracciare la casa della persona e colpire anche la sua famiglia proprio all’interno della sua abitazione. Le donne vengono spesso denudate, anche di fronte a soldati uomini e costrette a azioni umilianti pena restare anche senza vestiti: “io sono la numero 5, ci ha detto una donna, con tutto quello che ci riviene in mente quando sentiamo queste parole”. Tina Marinari ha ricordato il rapporto che Amnesty International ha pubblicato il 5 dicembre 2024 e che descrive i crimini e il genocidio in atto, con le motivazioni raccolte le testimonianze e gli interventi delle colleghe. “C’è una convenzione del 1948, la convenzione sul genocidio, che elenca 5 azioni che possono essere commesse per eliminare completamente o in parte un gruppo etnico nazionale: l’uccisione dei membri appartenenti a quel gruppo, arrecare gravi danni fisici e mentali a quel gruppo etnico nazionale, creare condizioni di vita che portano alla distruzione di quel gruppo, prevenire nuove nascite all’interno del gruppo e spostare i minori da quel gruppo verso un altro gruppo”. Amnesty International si è concentrata su 3 delle 5 azioni, ma è stato sottolineato che per la convenzione basta anche solo una di queste azioni per portare avanti un’accusa di genocidio con la volontà di distruggere un gruppo etnico nazionale. Amnesty International ha portato le prove per analizzare e confermare le prime 3 azioni. I bombardamenti (sulle abitazioni sulle scuole, le chiese, le moschee, gli ospedali, le strade, i pali della luce, i campi da coltivare e per allevare gli animali…) sono avvenuti con bombe pesanti, cioè tra i 110 e i 900 kg. Una bomba di 900 kg non lascia via di scampo, distrugge palazzi per intero, non danno la possibilità di sopravvivere e di salvarsi in alcun modo. “Ci tantissime famiglie che hanno perso tutti i familiari, 30 persone, due o tre generazioni di famiglie che sono state distrutte in un’unica notte”, in un unico bombardamento: tutto questo contravviene a quei “princìpi del diritto internazionale umanitario che sono il principio di distinzione, precauzione e proporzionalità che dovrebbero salvaguardare la popolazione”. E se tutto questo non bastasse va aggiunto “l’impedimento da parte dell’esercito israeliano di far passare i beni di prima necessità. Israele ha deciso di chiudere Gaza, per più di 80 giorni, non è entrato più nulla”. Prima del 7 ottobre a Gaza si viveva grazie all’ingresso di 500 TIR al giorno che portavano acqua, cibo, medicinale, carburante: questo numero non è mai stato più raggiunto. “Oggi si parla di almeno 60.000 morti, ma in realtà questo numero non è reale, perché sappiamo che questo numero è quello delle persone che sono state registrate in qualche modo da qualche autorità, ma sappiamo che sotto le macerie ci sono persone morte che non sono state identificate. Lo stesso discorso vale per i feriti, si parla di oltre 120.000 feriti, ma quante persone non sono riuscite a raggiungere un posto per essere identificate e curate”? A questo si aggiunga che a Gaza è ormai impossibile essere curati e che la popolazione palestinese vive ogni giorno così da ormai 19. Dopo l’intervento di Micaela Frulli, che ha rimarcato il concetto di genocidio, ma si è soffermata anche su  tutta quella serie di comportamenti che “possiamo classificare ormai, per fortuna, tra virgolette, come crimini di guerra e crimini contro l’umanità”, c’è stata la testimonianza toccante e emozionante di Amal Khayal che ci ha permesso di ascoltare le esperienze dirette, personali e dei familiari e amici rimasti a Gaza, denunciando, non solo quello che sta succedendo da dopo il 7 ottobre, ma ormai da più di 80 anni, con gli stessi accordi di Oslo disattesi dopo solo una settimana con nuovi insediamenti di coloni. Il popolo stava accettando molte cose perché vogliamo la pace e vogliamo vivere una vita normale anche se ha dovuto “normalizzare” in tutti questi anni di vivere sotto occupazione. Valentina Venditti ha concluso rimarcando che “se noi vogliamo che il diritto internazionale riesca a svolgere il suo lavoro, vuol dire che ci dobbiamo mettere tutti assieme, quindi basta di fare lotte separate, mettiamoci in rete, in rete con quelle istituzioni che vogliono lavorare con noi, spingiamo le università, … mettiamoci assieme, ONG, universitari, giuristi, tutti, supportiamo i lavoratori portuali che bloccano le navi della morte”. “In questo modo noi diamo anche forza al lavoro incredibile che ha fatto la giustizia internazionale: loro ci hanno dato il quadro, ci hanno detto ‘siete dalla parte giusta della storia’, ve lo stiamo dicendo anche noi, adesso dimostriamolo e, come ci hanno detto i palestinesi che abbiamo incontrato a Rafa, dobbiamo essere più coraggiosi, questo è il momento di alzare l’asticella delle azioni che facciamo, è il momento in cui dobbiamo mettere realmente in gioco i nostri corpi e lo dobbiamo, non solo alla Palestina, ma davvero a tutta l’umanità, perché qua è in gioco tutta l’umanità, non solo la Palestina”. La mattina dell’11 giugno Amal è stata invitata a tenere un altrettanto ricca e emozionante testimonianza in Palazzo Vecchio alla Commissione 7 presieduta da Stefania Collesei dedicata alla discussione della mozione “Rete degli Enti locali per i diritti del popolo palestinese” che è possibile rivedere in streaming a questo link.  L’incontro è stato replicato a Livorno l’11 giugno e Sesto Fiorentino il 12 giugno.   Paolo Mazzinghi
Mobilitazioni in tutta Italia per la Freedom Flotilla
Greta Thunberg e gli altri attivisti rapiti da Israele dopo l’assalto notturno alla nave Madleen della Freedom Flotilla verranno probabilmente processati ed espulsi domani. La solidarietà nei loro confronti e la protesta per l’ennesimo atto illegale di Israele si sono espresse oggi in presidi a Udine, Torino, Milano, Genova, Brescia, Bergamo, Padova, Verona, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Pisa, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Catania e Palermo. Forte protesta anche da parte di Amnesty International: “La nave Madleen cercava di portare aiuti umanitari nel tentativo di violare l’illegale blocco israeliano della Striscia di Gaza occupata. Trasportava civili disarmati in missione umanitaria. L’intercettazione della nave da parte di Israele viola il diritto internazionale. In quanto potenza occupante, Israele ha l’obbligo legale di garantire ai civili di Gaza cibo e medicine a sufficienza e avrebbe dovuto permettere alla Madleen di consegnare gli aiuti umanitari a Gaza” ha dichiarato l’organizzazione per i diritti umani in un comunicato.   Redazione Italia
Norvegia, storica vittoria: il sesso senza consenso è stupro. Quando in Italia?
Il Parlamento della Norvegia ha emendato, con 91 voti a favore e solo 12 contrari, l’articolo 291 del codice penale sul reato di stupro, integrandolo con un primo paragrafo che afferma che un rapporto sessuale con una persona che né con le parole né con i fatti ha espresso il consenso deve essere punito come stupro con una pena fino a sei anni. Un secondo nuovo paragrafo stabilisce che un rapporto sessuale mediante violenza o minacce, con una persona che non ha espresso consenso o con una persona che non è in grado di resistere all’azione altrui sarà considerato una circostanza aggravante e punito con una pena maggiore. Amnesty International ha espresso soddisfazione per un provvedimento che allinea finalmente il codice penale della Norvegia agli obblighi internazionali dello Stato. La legge ora chiarisce che il “freezing”, ossia l’assenza di reazione, non equivale mai a un consenso e che un comportamento passivo può essere interpretato come consenso solo se ve ne siano prove concrete. Ora, secondo l’organizzazione per i diritti umani, è necessario attuare bene la norma attraverso la formazione e il rafforzamento delle competenze e delle esperienze del sistema giudiziario. La Norvegia si è allineata agli altri Stati vicini del nord, portando così a 19 il numero degli Stati dell’Area Economica Europea che hanno una legge sullo stupro basata sul consenso. All’elenco degli Stati europei che hanno adeguato il proprio codice penale agli obblighi internazionali manca ancora l’Italia, dove Amnesty International ha avviato una campagna sin dal 2020. Per quanto tempo ancora?       Riccardo Noury
Ungheria, appello per lasciar sfilare il Budapest Pride
Per 30 anni, il Budapest Pride è stato un momento di visibilità, solidarietà e libertà in uno stato, l’Ungheria, dove le persone Lgbtqia+ venivano progressivamente emarginate. Da quando Victor Orbán è salito al potere, la prima volta a cavallo dei due secoli per poi rimanerci stabilmente dal 2010, gli spazi di libertà sono stati via via erosi e il Budapest Pride è diventato un luogo condiviso di resistenza all’autoritarismo. Non è un caso, dunque, che il 18 marzo – 24 ore dopo la sua presentazione – il Parlamento ungherese abbia approvato un emendamento costituzionale che colpisce ulteriormente la libertà di espressione. Con un linguaggio generico che ricorda le disposizioni della legge sulla “propaganda gay” adottata dalla Russia nel 2023, il testo vieta ogni raduno ritenuto “contrario allo sviluppo morale dei minorenni”. La legge, adottata con 136 voti a favore, consente l’uso della tecnologia per il riconoscimento facciale per identificare le persone che prendono parte a iniziative ora vietate, nonché una multa di 500 euro (il salario minimo in Ungheria è di poco superiore ai 700 euro e l’inflazione è una delle più alte in Europa) per chi vi partecipa. Chi organizza eventi vietati rischia fino a un anno di carcere. Infine, la legge amplia il numero dei casi in cui le forze di polizia possono disperdere manifestazioni di cui era stata data notifica. È dal 2020 che il governo ungherese si accanisce contro i diritti delle persone Lgbtqia+: ha vietato il riconoscimento legale delle persone trans, ha cancellato da gran parte della dimensione pubblica compresa le scuole e la programmazione televisiva diurna  le minoranze sessuali e di genere, ha impedito le adozioni alle coppie omosessuali e ha emendato la Costituzione in modo tale da definire la famiglia “unione di un uomo e di una donna”. Quello di Orbán è un misto di ideologia e cinico calcolo politico: additando come capri espiatori le persone Lgbtqia+, il governo devia l’attenzione dalla crisi economica e riduce il dissenso al silenzio. I mezzi d’informazione pro-Orbán, praticamente quasi tutti, definiscono il Pride “una provocazione illegale” che ha l’obiettivo di “corrompere i giovani”. Ma il 28 giugno le persone Lgbtqia+, i movimenti per i diritti umani e quella parte della società civile non ancora “orbanizzata”, intendono scendere in piazza. Nel rispetto delle attuali disposizioni, un mese prima, il 28 maggio, l’organizzazione del Budapest Pride chiederà l’autorizzazione e la polizia avrà 48 ore di tempo per rispondere. Qui l’appello di Amnesty International a sostegno della richiesta: https://www.amnesty.it/…/ungheria-lasciar-sfilare-il…/ L’Unione Europea intenderà sostenere questa elementare rivendicazione dei diritti alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica?   Riccardo Noury