Sulla traccia delle parole di luce e di caloreUna vibrante massa di fuoco sulla copertina dell’agile libro Lingue di fuoco.
Parole dal cratere del mondo (Gabrielli editori, 2025) è un buon indizio
riguardo al viaggio intrapreso dalle autrici, l’etnografa Maria Livia Alga e la
teologa Lucia Vantini. Si tratta infatti di un particolare della mappa del
pianeta Terra tratta dal Mundus subterraneus (1665) dell’enciclopedico
scienziato gesuita Athanasius Kircher, dove si illustra il nucleo incandescente
terrestre, da cui si diramano reticoli sotterranei nel quali confluiscono
vortici oceanici e dai quali risalgono lava e acqua. Non importa quanto le
teorie di Kircher siano scientificamente veritiere alla luce delle scoperte
successive, conta la sua visione del nostro pianeta come un grande organismo nel
quale tutto è interconnesso, visione per molti versi affine al modello più
recente degli ecosistemi alla luce dell’epistemologia cibernetica, un modo di
pensare in termini di relazioni, interazioni, connessioni e contesto.
Dall’ Introduzione si apprende che l’approdo al volume Lingue di fuoco giunge da
un percorso inaugurato a Camaldoli nel 2023 durante un seminario del
Coordinamento Teologhe Italiane intorno alla cura del mondo alla prova della
crisi, al quale assistettero le editrici Cecilia e Lucia Gabrielli interessate
all’intreccio spiritualità-ecologia-femminismi, e proseguito nello stesso anno a
Verona con l’intervento delle autrici, dal titolo Tutto deve passare dal fuoco.
Per una poetica della luce, al Grande Seminario della comunità filosofica
femminile Diotima centrato sulle trame invisibili nella realtà contemporanea.
L’intento finale ruota intorno alla scommessa di enucleare la potenza
terapeutica e rigeneratrice di lingue di fuoco reperendole «nei crateri del
mondo, dove pulsa la vita che anela alla luce ma anche dove si annida l’orrore
che consuma ogni forma di resistenza costruttiva» (p. 10).
Consapevoli dell’ambivalenza del fuoco, al fine di svelarne i molteplici aspetti
e di affinare in chi legge il discernimento delle fiamme che trasformano dalle
fiamme che annientano, Lucia Vantini in Lingue di fuoco, verso l’aurora e Maria
Livia Alga in Qualcosa si è acceso dispiegano esperienze proprie e altrui,
saperi, competenze in una ricerca variegata che asseconda i moti stessi di
questa forza primigenia – dalla minuscola favilla ai guizzi delle vampe, dalla
rapida propagazione alla lenta combustione, dai crepitanti falò all’ardente
cenere che cova vita. Una impresa abbastanza complessa, giacché esige il rigore
di non frammischiare i molteplici piani di una indagine che tiene conto del
fuoco materiale così come del fuoco vissuto, quindi del mosaico di immagini e
figure che questo archetipo così potente custodisce e proietta.
Le lingue di fuoco sono proposte come un farmaco sulla via della guarigione da
una cultura necrofila e come un sostegno nella saldezza dell’abbracciare «la
prospettiva solidale e biofila del vita tua vita mea» (p. 30), scrive Lucia
Vantini: infatti, «le parole, come il fuoco, possono salvare e distruggere,
possono trasformare le cose in una storia da raccontare, possono tenere insieme
la materia e lo spirito, rendere visibile l’invisibile, possono sfumare i
confini e generare speranza» (p. 24). Si tratta di uscire dalla condizione di
sordità e cecità nei confronti delle esistenze che pulsano nelle zone in ombra
del mondo e di acquisire una lingua che faccia spazio alle differenze, al dono
del nome proprio nel quale risiede il mistero di «un segreto legato alla
generazione di una vita ma anche di una trama di legami e di una nuova
narrazione di eventi in un intreccio inscindibile che richiede continua cura e
attenzione per non scadere nella banalità della burocrazia o dell’abuso» (p.39).
In definitiva una lingua che abbia cura delle dinamiche relazionali tenendo
conto dei diversi piani dell’essere, senza cadere nell’idolatria della parola.
Lucia Vantini ci guida nel viaggio che va dall’inizio della Bibbia
all’Apocalisse, dalla Pentecoste al roveto ardente, in parallelo alla vita che
scorre tra due fuochi; invita a soffermarci all’incrocio fra la convivenza umana
con il fuoco, e più in generale con le risorse naturali da gestire in modo
sostenibile, e il mito di Prometeo, ladro per amore, non districabile dalla
sapienza della vita; ricupera la fenomenologia dell’immaginazione del filosofo
Gaston Bachelard e in particolare la figura della Fenice, «l’essere della doppia
favola: si infiamma con il proprio fuoco; rinasce dalle proprie ceneri […] una
somma di valori poetici, un gioco di svariate corrispondenze: fuoco, balsamo,
canto, vita, nascita, morte» (p. 23). Lungo la rotta rimbalza il monito di
Adrienne Rich a noi donne volto a perseverare nello scambio anche facendo uso di
una lingua addomesticata, perché se essa «è così potente da incenerire una vita,
deve esserlo anche per riaccendere la speranza» (p.29). Ci si inoltra quindi
nella via che raccorda la liberazione dall’angelo del focolare proclamata da
Virginia Woolf al «fuoco divino che riconcilia con il mondo, di Simone Weil»,
fino a comprendere «il focolare come spazio di pensiero e di luce nei Diari di
Etty Hillesum; la fiamma dell’aurora in Maria Zambrano» (p.
52).
Sono immagini che scalfiscono la lingua dura, anaffettiva, burocratica che
umilia, affama, mortifica, disintegra, devasta; esse aprono passaggi a parole di
convivialità, amore, ospitalità, speranza, condivisione che nutrono e
alimentano una lingua in definitiva ispirata che scorge in ogni essere vivente
l’aspettativa di bene; parole aurorali che vivono di libertà e di desiderio,
come proclama la poeta Chandra Livia Candiani nel suo anelare a:
«parole disobbedienti ma anche candide. Parole capriole e parole solletico,
parole lampi, fulmini e tuoni, parole aghi che cuciono e parole che strappano la
stoffa del discorso. Parole silenziosissime che non svegliano i bambini della
notte. Parole che conoscono i ring e non sferrano mai colpi bassi. Ma toccano.
Rintoccano. Fanno percepire la pelle e vibrare le ossa. Le ferite si acquietano
sotto le parole di fuoco, si riconoscono della stessa natura» (p. 72).
La conclusione di Lingue di fuoco, verso l’aurora di Lucia Vantini è affidata
all’immagine della poeta russa Ol’ga A. Sedakova che racchiude una potente
verità: «solo nel fuoco si semina il fuoco», un’immagine che sospinge in modo
inarrestabile a «dislocarsi dai campi di battaglia e sottrarsi alla logica dello
schieramento» (pp. 72-73), giacché occorre aver attraversato il fuoco per
risanare se stessi, occorre custodire nel proprio intimo granelli di luce,
scintille di fuoco per travasare nel mondo infuocato dal delirio di onnipotenza
semi di calore vitale che risanino le proprie ferite e quelle altrui e ricreino
un mondo nuovo in questo
mondo.
Maria Livia Alga, autrice dello scritto che occupa la seconda parte del
volumetto, si situa nell’oggi, nel mondo che a suo sentire sta bruciando dentro
e fuori, il mondo nel quale qualcosa si è acceso. Il lessico incendiario delle
proteste transfemministe ne è una chiara illustrazione: «Il fuoco è la metafora
agente per incoraggiare la combustione di dinamiche patriarcali che si
riproducono nella società ma anche nei collettivi antiegemonici […]. “Per Giulia
non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto” ha chiesto Elena
Cecchettin alle migliaia di persone che hanno riempito le piazze dopo l’omicidio
della sorella» (pp. 81-82). Segue un’osservazione acuta sulla percezione che
l’autrice avverte partecipando a Verona alla manifestazione in nome di Giulia:
riferisce di «una grande tensione tra le parole di fuoco incitanti alla rivolta,
al furore e alla rabbia, e i modi del corteo che, composto e lento, si rivelava
un modo per elaborare collettivamente il lutto, radicare una memoria collettiva,
fondare una lotta quotidiana» (p. 82, corsivo mio). È uno scenario che rimanda a
una sete di cambiamento radicale, e nello stesso tempo a «una funzione
protettiva di ciò che è irrinunciabile all’essere umano per dirsi tale» (p.
84).
Non è semplice orientarsi in un mondo con molteplici fuochi di rivolta in cui
sono coinvolti masse di giovani maschi delle banlieues metropolitane e delle
capitali di diversi paesi dell’Africa, sarebbe necessaria una mappa delle voci
della contemporaneità, che tuttavia non posso abbracciare in toto. Nondimeno la
parte dello scritto che più interroga e sollecita alla riflessione nasce
dall’esplorazione dei gesti della rivolta, del No, della negazione nell’ambito
di un laboratorio permanente di autoformazione in pedagogia del corpo nel quale
Maria Livia Alga è impegnata da due anni e che è frequentato da universitari e
operatrici del settore educativo. Ne emerge uno stato d’animo diffuso,
consistente in una paralisi dal di dentro, che viene letta alla luce della crisi
della presenza di Ernesto De Martino:
«Il rischio radicale della presenza è inteso dall’antropologo come l’esito di un
aggravarsi della crisi che “restringe sempre più il margine della possibile
iniziativa, finché in un supremo conato di rinuncia a sé e al mondo la volontà
entra in un blocco spasmodico, restando come sospesa […]”. Più precisamente,
alla base della crisi della presenza è la condizione di chi non può o sente di
non riuscire ad adattarsi all’ambiente in cui vive, trovandosi minacciata/o
nella sua propria esistenza. Non si tratta del senso del “non essere”, ma del
non esserci, specifica l’antropologo» (p. 91).
È una condizione intollerabile di perdita che si può attraversare e mentre la si
attraversa si può a mio avviso riacquisire o acquisire il senso del nostro
essere materia sensibile (Simone Weil) sottoposta allo sgretolamento nelle
interazioni con il tempo in un ciclo continuo che disfa e rifà ogni cosa
vivente; un punto di vista non lontano dall’elaborazione del filosofo nigeriano
Bayo Akomolafe che tiene insieme cultura yoruba, poststrutturalismo francese e
materialismo femminista statunitense: «… nel fare i conti con la materia sempre
soggetta alle interazioni con il tempo, l’essere umano può farne esperienza,
attraversarla, gioirne e soffrirne, smettendo di sentirsi separato dal resto del
vivente» (p.94). Nella condizione contemporanea di perdita e angoscia, scrive
Maria Livia Alga, si può attingere dal pensiero e dalle pratiche delle donne: ad
esempio da Carla Lonzi apprendiamo a liberarci dei canoni simbolici previsti e
prevedibili, a privilegiare le relazioni in presenza, a risvegliare il fuoco
generativo di stupore, meraviglia, speranza, a ritrovare il «contatto
rivitalizzante e metamorfico degli opposti in connessione» ((p. 97). Si può
rilanciare il pensiero di Luisa Muraro che suggerisce la possibilità soggettiva
di sottrarre credito alle leggi e alle autorità costituite, di combattere senza
odiare, di disfare senza distruggere, di «puntare sulla indipendenza simbolica
nei confronti dei mezzi e delle mediazioni del potere e soprattutto riprendersi
l’intera disponibilità di sé e della propria forza, senza usarla in posizione
rivendicativa, senza usarla cioè “contro” ma “per”» (p. 99).
L’assillo di dare uno sbocco al come affrontare il rischio di una
trasformazione radicale sospinge Maria Livia Alga a cercare tracce antiche di un
sapere sulla simbologia del fuoco in sponde lontane – per esempio, nel poema Il
verbo degli uccelli del mistico persiano Farīd ad-Dīn ‘Attār del XII secolo,
letto con la lente di James Hillman, o nelle pratiche delle tribù native della
California – e in sponde vicine – gli usi rituali del fuoco in Sicilia e nel
Mediterraneo, le narrazioni mitologiche intorno a Estia, la dea greca del
focolare – luogo di passaggio, luogo di circolazione tra i diversi livelli
cosmici, luogo dello scambio con le potenze ctonie e celesti – o intorno a
Tapati/Tabiti, la Vesta sciita secondo Erodoto.
Il libro Lingue di fuoco si chiude con una celebre storia africana che ruota
intorno a un incendio nella giungla e a un colibrì, che compie un piccolo gesto
che richiama a sua volta tanti piccoli gesti da parte di altri cuccioli di
diverse specie. L’insieme di questi piccoli gesti innesca un processo dall’esito
positivo anche se non scontato, che può provocare lo shock del risveglio dando
vigore a una fiamma che riscalda e rin-salda, a pratiche e parole di luce e di
calore, a un’autentica passione per la vita.
Redazione Italia