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La Camera respinge risoluzione sul disarmo nucleare
La Rete Italiana Pace e Disarmo esprime profondo rammarico per la bocciatura, da parte della Commissione Esteri della Camera, della risoluzione – a prima firma dell’on. Laura Boldrini – a favore di percorsi di disarmo nucleare, stimolata anche dalla campagna “Italia Ripensaci” nel ricordo dell’80° anniversario dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki. Un’occasione persa per definire un ruolo positivo dell’Italia nella costruzione di una sicurezza realmente condivisa e fondata sul diritto internazionale. La Risoluzione proponeva di riconoscere la crescente instabilità dell’attuale scenario globale, segnato da una rinnovata corsa agli armamenti nucleari e valorizzava norme internazionali fondamentali come il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN), nella sua complementarietà con il Trattato di Non Proliferazione e le possibile strade di definizione di politiche di “Non Primo Uso” nucleare. Tali politiche sarebbero cruciali, in un contesto di accrescimento e ammodernamento globale degli arsenali nucleari, per ridurre il rischio di escalation accidentali e per costruire maggiore prevedibilità e cooperazione. Una vera sicurezza internazionale e di ogni singolo Paese (compresa l’Italia) non potrà mai essere basata sulla minaccia di distruzione nucleare di intere città e popoli, né sull’accettazione passiva di dottrine che prevedono esplicitamente l’eventualità di un “primo uso” dell’arma atomica. È invece necessario promuovere un dibattito pubblico maturo e trasparente, fondato su un’autentica presa in carico della sicurezza delle persone. La risposta del governo, nel motivare il rigetto della Risoluzione Boldrini, contiene poi un elemento di sorprendente rilievo: per la prima volta in modo esplicito si fa riferimento alla partecipazione italiana alla missione di deterrenza nucleare della NATO tramite “assetti a doppia capacità”, cioè aerei e piloti addestrati all’uso di ordigni nucleari a confermando quindi un contributo nazionale finora mai ufficialmente confermato (e nemmeno definito in termini di impatto finanziario) al meccanismo del nuclear sharing atlantico. Si tratta di un’ammissione politicamente significativa, che avviene tuttavia senza che nel Paese si sia mai svolto un vero dibattito parlamentare e pubblico su questa forma di compartecipazione diretta alle strategie nucleari dell’Alleanza. A fronte di un’opinione pubblica chiaramente contraria alla presenza e all’uso potenziale delle armi nucleari, come mostrano tutte le rilevazioni e il crescente sostegno istituzionale all’Appello delle Città della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons e di  “Italia, Ripensaci” (sottoscritto da oltre 130 Comuni e due regioni) la mancanza di trasparenza rappresenta un grave vulnus democratico. «La risposta del governo non solo conferma senza esitazioni la piena adesione alla strategia di deterrenza nucleare della NATO, ma ammette apertamente il contributo italiano al nuclear sharing. È un’ammissione di grande rilievo politico, che arriva però senza che il Parlamento e il Paese abbiano mai avuto un confronto serio sulla scelta di essere parte attiva di una dottrina che contempla anche il “primo uso” dell’arma nucleare. Accettare come inevitabile questa impostazione (che rende evidente come dietro la parola “deterrenza” si celi invece un vero e proprio “ricatto” con le armi più distruttive della storia) significa rinunciare a qualsiasi forma di autonomia politica su un tema che riguarda direttamente la sicurezza e i valori costituzionali dell’Italia», commenta Francesco Vignarca, coordinatore Campagne di Rete Pace Disarmo. «Nella NATO siamo “alleati” o “sudditi”? Davvero non è possibile proporre anche in seno all’Alleanza – a partire da un dibattito pubblico trasparente e democratico sulla presenza di armi nucleari sul nostro territorio – possibili alternative all’idea che la nostra sicurezza debba per forza essere fondata sulla possibilità di distruzione completa e genocidiaria di un presunto avversario? Il governo italiano e la stessa NATO continuano a ripetere di essere a favore di un disarmo nucleare totale: sarebbe ora di passare dalle vuote dichiarazioni ai fatti, costruendo un percorso concreto di messa al bando delle armi nucleari», conclude Vignarca. In tal senso Rete Pace Disarmo (in linea con quanto sempre affermato dalla campagna “Italia, ripensaci” promossa con Senzatomica) ribadisce che il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN) non è una norma ideologica, ma uno strumento concreto che mette al centro la vita delle persone, includendo misure innovative come il sostegno alle vittime e il risanamento ambientale. Allo stesso modo, le proposte di Non Primo Uso costituiscono un passo pragmatico per abbassare la tensione internazionale e ridurre le possibilità di un conflitto nucleare, intenzionale o accidentale. Continueremo dunque a lavorare affinché l’Italia possa contribuire a una nuova stagione di cooperazione sul disarmo, promuovendo informazione, consapevolezza e un dialogo costruttivo e responsabile. Il cambiamento è possibile: richiede coraggio politico, visione e la volontà di rispondere con trasparenza alle richieste di pace della società civile e dell’opinione pubblica italiana. Rete Italiana Pace e Disarmo
“Nucleare in Italia: quale futuro ci aspetta?” Convegno a Milano
Un’alleanza tra Milano e territori, tra scienza e democrazia, tra etica ed economia di pace è il percorso che cerca di tracciare il convegno di sabato 22 novembre 2025 “Nucleare in Italia: quale futuro ci aspetta?” Il convegno si tiene in sala Buozzi presso la Camera del Lavoro, in Corso di Porta Vittoria 43 a Milano e si svolge in due sessioni – alla mattina dalle 10 alle 13, al pomeriggio dalle 15 alle 17:30 – ed è promosso da molte associazioni che intendono sostenere la prospettiva delle energie rinnovabili come valida alternativa sia alle fonti fossili che al rischio del ritorno del nucleare civile in Italia. Rischio da non sottovalutare, visto che l’attuale governo sta portando al voto del Parlamento un Disegno di Legge Delega che ripropone la costruzione di nuove centrali nucleari sul territorio nazionale, centrali sempre a fissione come quelle bocciate dal Referendum del 2011 e senza aver prima risolto il problema di dove collocare le scorie radioattive prodotte dalle vecchie centrali. La lotta ai cambiamenti climatici è una cosa seria ed urgente. La decarbonizzazione complessiva dell’intero sistema produttivo e dei consumi richiede l’alleanza di ampie forze sociali e la conversione all’ecologia integrale di cultura, strategia e programmi da parte delle forze politiche e delle nostre istituzioni elette. Per questo una parte del convegno è dedicata al confronto con le forze politiche che intendono impegnarsi in questa direzione. Al termine della mattinata interverranno l’on. Enrico Cappelletti del M5S, l’on. Eleonora Evi del Partito Democratico, il consigliere regionale Onorio Rosati di Alleanza Verdi Sinistra e il segretario regionale di Rifondazione Matteo Prencipe. Da segnalare tra i relatori Daniela Padoan, presidente di Libertà e Giustizia; Mario Agostinelli, presidente dell’associazione Laudato Sì – Alleanza per il clima, la cura della Terra, la giustizia sociale; Sara Asti, biologa e portavoce di Rete Ambiente Lombardia; Angelo Tartaglia, professore emerito di fisica al Politecnico di Torino; Gian Piero Godio, esperto di sistemi energetici, già tecnico Enea; avv. Veronica Dini, consulente in Diritto ambientale;  Vittorio Bardi del Comitato nazionale Sì Rinnovabili No Nucleare; Elio Pagani di “Abbasso la guerra ODV”; don Lorenzo Maggioni, teologo e docente universitario; Graziano Fortunato, Arci Milano e Arci Lombardia; Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia; Umberto Lorini, presidente di Pro Natura Piemonte; Michele Arisi, Stati generali Clima, Ambiente, Salute; Marco Pezzoni, coordinatore di Rete Ambiente Lombardia. Redazione Milano
Fridays For Future torna in piazza contro il governo: dalla Palestina alla COP30 più fatti e meno parole vuote
Tra due settimane, a sei mesi dall’ultimo sciopero globale per il clima Fridays For Future torna per le strade di tutta Italia per riportare al centro un grande assente nel dibattito pubblico degli ultimi due anni: la crisi climatica. “Dalla siccità in Sicilia fino alle alluvioni nel nord il nostro Paese ha attraversato un’altra estate da film distopico di fantascienza. Eppure non è di fantascienza che si tratta: negli ultimi 10 anni le morti per ondate di calore sono raddoppiate in Italia” afferma Simona Di Viesti di Fridays For Future. Da quando il movimento è nato 7 anni fa molte cose sono cambiate, oggi viviamo in un mondo in cui la transizione ecologica è una realtà e si sta muovendo anche rapidamente. Ma allo stesso tempo la crisi climatica è peggiorata in modo tragico, sono stati raggiunti alcuni punti di non ritorno e sulle prime pagine dei giornali non si parla mai di queste cose. “La politica insieme a molti altri attori parla di clima in modo marginale; sembra di essere tornati a prima del 2019” commenta ancora Simona. Questa manifestazione vuole mandare un messaggio chiaro ai governi del mondo: affrontate la crisi climatica oppure fatevi da parte. Le richieste sono le stesse dal 2022, quelle contenute nell’Agenda climatica redatta dal movimento prima che la coalizione di Giorgia Meloni vincesse le elezioni, ma il problema oggi è che nessuno sembra ascoltarle. Serve dare uno scossone, cambiare gli equilibri. Da Trump al governo italiano, il bilancio fatto da Fridays For Future è negativo: “Questi governi non parlano di clima perché metterebbe in pericolo gli interessi fossili da cui sono sorretti. Nell’amministrazione Trump, secondo il Guardian, si contano oltre 40 funzionari legati strettamente alle industrie di gas e petrolio” racconta Guglielmo Rotunno di FFF. Ma anche in Italia la situazione è poco incoraggiante: “Tanto da portare la Corte di Cassazione a pronunciarsi. Re Common e Greenpeace hanno ottenuto una vittoria storica quest’estate nei confronti di ENI, MEF e Cdp: la Suprema Corte ha affermato che sono legittime le cause intentate per i danni derivanti dal cambiamento climatico” continua Guglielmo. Ma Fridays For Future non dimentica il tragico contesto internazionale in cui ci troviamo, dalla Palestina fino ai crescenti conflitti in Europa che hanno portato ad un piano di Riarmo europeo che dirotta i fondi destinati alla riconversione ecologica. Nello specifico il regime coloniale, genocida e di apartheid di Israele dipende fortemente dal sostegno energetico esterno per mantenere le sue operazioni. In risposta, i palestinesi hanno chiesto un embargo energetico totale per fermare il genocidio e contribuire alla liberazione della Palestina. Queste richieste di embargo energetico sono in linea con le richieste dei sindacati palestinesi di interrompere il sostegno all’apparato militare israeliano, un movimento che ha già acquisito un vasto slancio globale. Gli embarghi energetici oggi rappresentano uno strumento potente per far rispettare il diritto internazionale e costringere Israele a porre fine al suo regime coloniale e genocida. Per questo Fridays For Future Italia aderisce alle richieste della campagna internazionale: 1. Fermare tutte le esportazioni di energia verso Israele. 2. Porre fine a tutte le importazioni di energia israeliana. 3. Disinvestire dai progetti di estrazione e dalle joint venture con le società energetiche israeliane. Nella striscia di Gaza la situazione resta drammatica e profondamente ingiusta, la pace raggiunta non rispetta l’autodeterminazione del popolo palestinese e rischia di assomigliare ad un colonialismo non dichiarato. Ma non solo: l’impunità verso lo Stato di Israele mette in discussione il diritto internazionale e il ruolo stesso delle Nazioni Unite, attaccate senza pudore dagli alleati di Netanyahu. Tra 10 giorni inizierà in Brasile la COP30, ovvero la trentesima Conferenza delle parti sul clima, che coinvolge quasi tutti i governi del mondo. A organizzarla sono proprio le Nazioni Unite: “E’ necessario ribadire che la cooperazione tra popoli e Paesi è l’unica strada. Ma non solo: questa COP deve portarci dalle parole ai fatti, dopo 30 anni tutti gli ultimatum sono scaduti: i governi del mondo devono agire oppure levare le tende” dice Mattia Catania del movimento FFF. Il 14 novembre Fridays For Future ci invita a “diventare marea”. Per questa battaglia servono tutti e tutte: studentesse e studenti, lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, giornaliste e giornalisti, movimenti, associazioni, sindacati. Una grande piazza per gridare al mondo che la crisi climatica esiste ancora e deve essere affrontata.   Fridays For Future
Solidarietà a Francesca Albanese da Giuristi e Avvocati per la Palestina
Giuristi e Avvocati per la Palestina esprimono la loro solidarietà a Francesca Albanese, indebitamente attaccata in pubblico dal rappresentante del governo italiano alle Nazioni Unite. La dr.ssa Albanese è e resta una Relatrice Speciale delle Nazioni Unite, che svolge con scrupolo, competenza e coraggio l’alto ruolo alla quale è stata chiamata; le infondate accuse e le volgari offese che le sono state rivolte, prima dal rappresentante dello Stato di Israele, poi dal rappresentante permanente della Repubblica italiana Maurizio Massari sono una offesa non solo alla sua persona, ma al suo ruolo e al ruolo, al prestigio e all’autorità delle Nazioni Unite. Purtroppo il rappresentante del governo italiano, evidentemente sulla base delle istruzioni ricevute da tale governo, invece di tutelare una propria concittadina che ricopre un ruolo tanto importante nel consesso delle Nazioni Unite dalle deliranti offese di stregoneria pronunziate dal rappresentante del governo di Israele, e di quelle altrettanto gravi provenienti dal rappresentante di Orban, ha deciso di denigrare il lavoro della Relatrice e di accusarla apertamente di aver violato gli obblighi di integrità, imparzialità e buona fede. Ai fatti descritti con coraggio, onestà e rigore da parte di una giurista oggi sostenuta dal consenso della gran parte della popolazione mondiale e di quella italiana, coloro che difendono le ragioni del genocidio in corso che ha fatto finora oramai almeno settantamila vittime di cui oltre un terzo bambini, non sanno opporre altro che accuse sconnesse e deliranti. La scomposta presa di posizione del rappresentante italiano e le sue aperte accuse di violazione del codice di condotta alla relatrice, se condivise e non smentite dal Ministro degli Affari Esteri e dal governo, non fanno che confermare le ipotesi di complicità nel crimine di genocidio che ci hanno condotto a chiedere alla Procura presso la Corte Penale Internazionale di indagare sulle responsabilità dei membri del governo italiano anche contro i nostri governanti, che hanno dato e continuano a dare copertura politica e materiale ai crimini del governo di Israele. Dobbiamo purtroppo registrare al riguardo anche il persistente silenzio del Presidente della Repubblica, che dovrebbe invece far sentire la sua voce di supremo garante dell’ordinamento costituzionale. Giuristi e Avvocati per la Palestina Redazione Italia
Colpiti ma non fermi: la Ocean Viking si prepara a tornare in mare
Dall’attacco subito il 24 agosto da parte della Guardia Costiera Libica, la Ocean Viking è ancora ferma in porto per le riparazioni necessarie a garantire che la nave torni in mare in piena sicurezza e funzionalità. Da oltre due mesi la nostra squadra lavora senza sosta per tornare a salvare vite, ma l’obiettivo di ripristinare le condizioni ottimali per il ritorno in mare non è ancora stato raggiunto. A settembre abbiamo promosso un crowfunding e ci sono buone notizie. I due RHIB – i nostri gommoni veloci di salvataggio danneggiati durante l’attacco sono stati riparati e sono tornati a bordo della nave. Sono stati anche riparati i “Centifloats” forati dai proiettili: tubi galleggianti usati come paraurti e barriere per proteggere gli scafi, stabilizzare le manovre e creare corridoi d’imbarco sicuri. Le nuove finestre su misura per la plancia di comando, che andranno a sostituire quelle distrutte a colpi di mitra, arriveranno la prossima settimana. I vari componenti del team sono impegnati nei lavori di riparazione, in attesa di poter tornare a fare quello per cui hanno rischiato la vita: salvare persone in difficoltà e portarle in un posto dove possano sentirsi al sicuro. Nel frattempo, nel Mediterraneo centrale continua la strage silenziosa: nei giorni scorsi in diversi naufragi hanno perso la vita 3 bambini e una donna incinta, tra gli altri. “L’unica cosa che ha fatto il governo in questi mesi – spiega Valeria Taurino, direttrice generale di SOS MEDITERRANEE Italia – è stata rimanere immobile: immobile di fronte all’attacco ingiustificato e ingiustificabile che abbiamo subito e immobile di fronte al rinnovo automatico del Memorandum Italia Libia, che dal prossimo 2 novembre non sarà più modificabile. Abbiamo appaltato la gestione dell’immigrazione a uno Stato non sicuro, dove vengono sistematicamente violati i diritti umani e il diritto internazionale, solo per interessi politici e sulla pelle di uomini, donne e bambini innocenti: come associazione umanitaria non possiamo accettare questo epilogo, per questo riteniamo urgente tornare in mare a ribadire con forza che il diritto marittimo internazionale non è un’opzione trascurabile, ma dovrebbe essere alla base di ogni scelta compiuta in mare. Nonostante tutto quello che ci è capitato, torneremo presto dove c’è più bisogno di noi“. Redazione Italia
Il governo abbandona i propri cittadini, ma la società civile avanza e non si ferma
Il governo italiano continua a evitare di impegnarsi pienamente per riportare a casa i propri concittadini, rapiti illegalmente in mezzo al Mediterraneo durante un’operazione di pirateria militare condotta dall’esercito di occupazione israeliano. A oltre due giorni dal sequestro della nave ospedale Conscience e delle imbarcazioni della Thousand Madleens to Gaza, non garantisce piena tutela consolare e l’effettivo rientro sicuro dei cittadini italiani coinvolti. Ancora una volta, il nostro governo dimostra una totale inadeguatezza rispetto al dovere di rappresentanza e di protezione dei propri cittadini, scegliendo di non farsi carico del rientro dei partecipanti italiani alla missione umanitaria della Freedom Flotilla, dopo il sequestro delle imbarcazioni e il rapimento e sequestro dei volontari. La Freedom Flotilla Coalition si è assunta la responsabilità della difesa legale dei partecipanti — in collaborazione con lo staff di Adalah, che era già presente al porto di Ashdod ancor prima dell’arrivo delle navi.  Le istituzioni italiane invece hanno preso tempo e non sono intervenute altrettanto tempestivamente in difesa di chi ha agito nel nome del diritto internazionale, della libertà dei popoli e dell’umanità. È sconcertante constatare come lo stesso governo che ha messo a disposizione un volo di Stato per il trasferimento di un cittadino libico ricercato per torture e traffico di esseri umani, si rifiuti oggi di affrontare le spese necessarie per riportare a casa cittadini italiani impegnati in una missione di pace e solidarietà. Questo doppio standard misura il livello di ipocrisia politica di un esecutivo che partecipa all’investimento di  800 miliardi di euro nella spesa militare europea, ma non trova la volontà di proteggere chi opera per la giustizia, la libertà e la dignità umana. È un atto di grave irresponsabilità istituzionale e una ferita morale per tutto il popolo italiano. Freedom Flotilla Italia, insieme alle famiglie dei nostri connazionali, è impegnata a garantire il rientro sicuro dei volontari e a fornire il necessario sostegno umano e legale. Ancora una volta è la società civile a dover intervenire dove le istituzioni mancano, a difendere i valori che esse sembrano aver dimenticato: libertà, solidarietà e rispetto dei diritti umani. Il coordinatore della Freedom Flotilla Italia Zaher Darwish   Redazione Italia
Roma, il movimento per la Palestina e i diritti di tutti è inarrestabile
Un rodato tam tam che attraversa scuole superiori, università e comitati dei quartieri periferici e popolari ha portato nuovamente in piazza una fetta di popolo di Roma che esprime un sentimento di orrore per quanto accade in Palestina, ma anche di solidarietà con la popolazione martoriata e allo stremo di Gaza e della Cisgiordania, ormai sotto attacco dei coloni spalleggiati dall’esercito, autore impunito del genocidio in corso. Un corteo improvvisato nel giro di poche ore, appena appreso il nuovo atto di vera e propria pirateria ai danni degli attivisti della Freedom Flotilla che ha nuovamente tentato di forzare il blocco illegale, sostituendosi al doveroso e necessario intervento dei Caschi Blu dell’Onu per aprire i varchi che impediscono via terra e via mare l’accesso di migliaia di camion fermi ai valichi. Il veto degli Stati Uniti impedisce ogni risoluzione coerente con il ripristino della legalità internazionale, di cui l’intero Occidente, salvo rare eccezioni come quella della Spagna, ha fatto ormai apertamente strame, sia con le parole e sia con gli aiuti militari, indispensabili per proseguire la politica genocidaria, che ormai è a tutti chiaro non è solo di Israele, la punta avanzata della nazificazione della classe dirigente politica ed economica dei nostri Paesi che si autoproclamano liberi e democratici. Il popolo scende in piazza perché avverte un legame profondo tra la propria condizione di una vita impoverita, precarizzata e umiliata e ciò che accade a Gaza: le nostre vite per lorsignori sono sacrificabili sull’altare del profitto e del privilegio. Le oltre ventimila persone che hanno per l’ennesima volta attraversato Roma, dal Colosseo a Piramide, oltre ai consueti slogan di appoggio alla liberazione della Palestina chiedevano le immediate dimissioni di un governo antipopolare e complice se non mandante del genocidio. L’unità trovata dalla Cgil all’Usb, soprattutto grazie ai comitati di base unitari, ha reso inarrestabile questo movimento che chiede ed esige la liberazione della Palestina e dell’Italia dai fascisti, in nome di una politica che metta senza ipocrisie e nei fatti al centro di ogni decisione politica ed economica la dignità e i diritti di tutti gli esseri umani.   Mauro Carlo Zanella
Angelo Bonelli: “Scandaloso portare gli attivisti della Flotilla nel carcere delle torture di Ketziot”
È scandaloso che gli attivisti della Global Sumud Flotilla vengano trasferiti nel centro di detenzione di Ketziot, nel deserto del Negev, tristemente noto per essere stato teatro di torture e violenze inflitte ai palestinesi. È inaccettabile che persone pacifiche, il cui unico “reato” è quello di voler portare aiuti umanitari a Gaza, vengano trattate come criminali e condotte in una struttura che rappresenta uno dei simboli più bui dell’occupazione israeliana. Chiedo al governo italiano di spiegare come possa tollerare questo trattamento. L’Italia non può accettare un simile trattamento e questa e l’ennesima prova della repressione da parte di Netanyahu, che ha rapito in acque internazionali gli attivisti della Flotilla. Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra e co-portavoce di Europa Verde. Ufficio stampa Europa Verde Redazione Italia
La vera minaccia è l’assedio, non la Flotilla
La Presidente del Consiglio ha definito la Global Sumud Flotilla un pericolo per il “piano di pace” americano. Avete letto bene: civili disarmati, attivisti nonviolenti e navi cariche di farina e medicinali sarebbero una minaccia alla stabilità. Il paradosso è evidente: si chiama pace un progetto che condanna Gaza a restare una prigione a cielo aperto e si bollano come “nemici” coloro che tentano di spezzare un assedio illegale. Stanotte non è a rischio solo l’equipaggio della Flotilla, ma il diritto internazionale stesso, calpestato da un governo che preferisce accodarsi ai diktat di una strategia neocoloniale. Diversi Paesi hanno scelto di rispettare la legge; l’Italia, invece, certifica la propria noncuranza. Colpisce che la Presidente Meloni non abbia mai pronunciato la parola “legalità” e non abbia citato l’artefice del genocidio: lo Stato di Israele. Non una calamità naturale, non una “guerra”, ma la responsabilità precisa di un potere che assedia, affama e bombarda una popolazione civile. A fine agosto l’OMS aveva lanciato l’allarme: entro la fine di settembre oltre 640 mila persone a Gaza sarebbero entrate in carestia — l’equivalente dell’intera città di Palermo.     Redazione Italia
Global Sumud Flotilla: nuova mobilitazione nazionale in caso di ostacoli alla missione
La Global Sumud Flotilla prosegue nella sua navigazione verso Gaza; mancano circa 250 miglia all’ingresso nelle acque palestinesi. Lo scopo della missione è quello di rompere il blocco illegale di Israele, aprire un corridoio umanitario e favorire l’ingresso permanente di aiuti per la popolazione di Gaza. Durante il viaggio la flottiglia ha subito due attacchi da parte di droni che hanno causato danni ad alcune imbarcazioni. Nonostante ciò, la missione continua con determinazione verso le acque palestinesi. A sostenere gli equipaggi in mare vi sono centinaia di migliaia di persone a terra. La solidarietà verso il popolo palestinese ha generato mobilitazioni, scioperi ed eventi su tutto il territorio nazionale, con richieste rivolte al governo italiano perché adotti ogni iniziativa necessaria per fermare le violenze e rispettare il diritto internazionale. La partecipazione allo sciopero del 22 settembre ha mostrato l’attenzione diffusa dell’opinione pubblica italiana su Gaza e sulla missione umanitaria della GSF. Global Movement To Gaza Italia ritiene che una delle principali forme di protezione per le imbarcazioni sia la pressione pubblica nelle piazze, soprattutto di fronte a un intervento istituzionale che finora è apparso insufficiente nel garantire tutela e sicurezza a chi naviga pacificamente in acque internazionali. Dall’inizio della missione l’equipaggio di terra ha accolto l’appello dei portuali: “Se toccano la GSF blocchiamo tutto”. Tale messaggio viene ribadito ora che le imbarcazioni si avvicinano alla destinazione, dove persiste il rischio di ulteriori attacchi. La portavoce Delia: “L’incontro tenutosi domenica 28 settembre tra la delegazione italiana e il Ministro Crosetto non ha portato a impegni concreti volti a garantire sicurezza e protezione alla flottiglia. Pur riconoscendo la complessità del quadro internazionale, riteniamo che l’atteggiamento del governo italiano si stia traducendo in nient’altro che nella complicità con le linee politiche che stanno causando sofferenze a Gaza, poiché l’assenza di azioni concrete contribuisce a mantenere lo status quo. Un governo che sceglie di non intervenire, e di non esercitare pressione diplomatica, finisce con il legittimare situazioni che violano il diritto internazionale anziché contrastarle.” Per questo chiediamo al governo italiano misure concrete e tempestive: sanzioni contro Israele, che sta commettendo un genocidio secondo le Nazioni Unite e le corti internazionali; la sospensione di accordi commerciali che possano contribuire a sostenere le operazioni militari; e l’interruzione immediata dell’invio di armi e di materiali a duplice uso verso chi è coinvolto in azioni che mettono a rischio civili e infrastrutture umanitarie. Tali misure devono essere coordinate con partner europei e organismi internazionali e accompagnate da iniziative diplomatiche per promuovere indagini indipendenti, responsabilità e accesso umanitario senza ostacoli. Il governo italiano ha il dovere di richiedere il rispetto delle convenzioni internazionali, agire per porre fine al genocidio e adottare misure coerenti con tali obiettivi. È inoltre fondamentale proteggere gli equipaggi e permettere alla missione di proseguire in sicurezza. GMTG Italia conferma che gli incontri istituzionali sono stati condotti nell’interesse dell’intera flottiglia, non soltanto dei cittadini italiani. L’obiettivo resta Gaza: ogni azione, in mare e a terra, è finalizzata a esercitare pressione sui governi affinché si ponga fine alle sofferenze della popolazione. Se si verificheranno ulteriori aggressioni alle imbarcazioni, la popolazione è pronta a mobilitarsi nuovamente con scioperi e manifestazioni pacifiche. Esprimiamo solidarietà a chi ha subito provvedimenti o repressione a seguito dello sciopero del 22 settembre. Non ci fermeremo fino a quando non saranno garantiti canali umanitari permanenti per Gaza. Per una Palestina libera e per la tutela dei diritti di tutti/e.   Redazione Italia