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97 naufraghi ancora bloccati a bordo del mercantile Port Fukuoka
Come denunciato ieri da Sea Watch, 97 persone si trovano attualmente a bordo della nave mercantile Port Fukuoka dopo aver trascorso almeno quattro giorni in mare. Tra loro ci sono tre donne incinte e i cadaveri di due bambini. Il rischio che vengano respinti in Libia rimane alto. SOS Mediterranee informa che nella notte il capitano e il proprietario del mercantile hanno chiesto assistenza alla sua nave Ocean Viking, non essendo preparati a gestire una situazione così drammatica e non avendo ricevuto alcuna istruzione per lo sbarco delle persone salvate. “La mancanza totale di assistenza da parte delle autorità italiane è un vuoto enorme. Chiediamo di assegnare subito un porto” conclude la Ong su X. Redazione Italia
Naufragio di Cutro, le Ong del soccorso in mare parte civile al processo
EMERGENCY, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS MEDITERRANEE, parte civile nel processo sul naufragio di Cutro, soddisfatte per il rinvio a giudizio. Le Ong chiedono che le autorità responsabili, a tutti i livelli, siano chiamate a rispondere della deliberata negligenza nelle operazioni di soccorso. Sollecitano infine il pieno rispetto del diritto internazionale nel Mediterraneo. Una tappa importante nel lungo percorso per ottenere verità e giustizia sui mancati soccorsi al caicco Summer Love, naufragato a Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023 causando almeno 94 morti e un numero imprecisato di dispersi. Così EMERGENCY, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS MEDITERRANEE, che si sono costituite parte civile nel processo sul naufragio di Cutro, salutano il rinvio a giudizio dei sei imputati deciso dal giudice ieri sera a conclusione dell’udienza preliminare. Considerata la grave serie di negligenze e sottovalutazioni con cui sono state attivate e portate avanti, ma di fatto mai realizzate, le operazioni di soccorso, ai quattro militari della Guardia di Finanza e ai due della Guardia Costiera che andranno a processo la Procura della Repubblica di Crotone contesta i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. Le Ong costituitesi parte civile chiedono che sia chiarita la sequenza di eventi e omissioni che hanno portato a uno dei più tragici naufragi della storia italiana. Proprio il processo potrebbe essere l’occasione giusta per fare luce su tutti i passaggi critici, sulle responsabilità dei sei imputati e, auspicabilmente, anche su quelle dei funzionari e delle autorità di livello più alto. “I tempi sono fondamentali per la buona riuscita delle operazioni di soccorso; per questo i ritardi nell’attivare interventi di salvataggio non sono un incidente, ma una negligenza, che non può restare impunita” commentano le Ong. In questo caso specifico le autorità italiane hanno ignorato il loro dovere di soccorso e l’omissione ha avuto conseguenze drammatiche. “Non è accettabile e non si deve più consentire che i responsabili di questo come di altri naufragi restino impuniti mentre le persone continuano ad annegare” dicono ancora le Ong. “Il diritto internazionale, la tutela della vita e il dovere di soccorrere chi è in difficoltà in mare devono essere rispettati sempre, anche nel Mediterraneo”. EMERGENCY, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS MEDITERRANEE chiedono inoltre di porre immediatamente fine alla criminalizzazione delle persone in movimento e di ripristinare efficaci operazioni di ricerca e soccorso in mare, auspicabilmente anche con una missione europea dedicata.       Redazione Italia
Sbarco a Savona per i 73 naufraghi soccorsi dalla Ocean Viking
“Dopo tre giorni di navigazione, abbiamo raggiunto Savona per sbarcare 73 naufraghi. Siamo stati accolti con calore da tante persone giunte al porto. Un naufrago ha sussurrato: “لا مزيد من الناس السيئين” (“Niente più persone cattive”). Gli auguriamo che sia così” riferisce su X la Ong SOS Mediterranee. Redazione Italia
Giornata Mondiale del Rifugiato: tutti gli eventi organizzati da SOS MEDITERRANEE
Venerdì 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato (World refugee day), indetta dalle Nazioni Unite nel 2001 per commemorare l’approvazione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati (Convention Relating to the Status of Refugees). Come ogni anno, SOS MEDITERRANEE ha deciso di organizzare sul territorio incontri ed eventi per sensibilizzare sul tema delle migrazioni, oggi più che mai strumentalizzato dalla politica mondiale, ma che resta solo una tragedia umana e umanitaria. Ecco la lista degli incontri che avranno luogo in varie parti d’Italia: * Venerdì 20 giugno ore 19, CIQ, via Fabio Massimo, Milano: sguardi e strumenti per capire le rotte migratorie oggi, con esperti del settore, musica e cena solidale. Interverranno: Valeria Taurino(SOS MEDITERRANEE), Sara Giudice (giornalista), Ignazio Signorelli (presidente NoWalls), Tareke Brhane (presidente comitato 3 ottobre), Carlo Notarpietro (esperto di politica Will Media), Iacopo Imberti (socio Le Carbet).  “Rotte di mare e di terra” è una serata di testimonianze, musica e impegno per comprendere meglio le rotte migratorie di oggi. Per ascoltare chi fugge da guerre, crisi climatiche, persecuzioni. Per dare spazio alle voci di chi attraversa, accoglie e racconta. * Venerdì 20 giugno,  14-19.30, Bologna, Complesso Unione (Via Azzo Gardino 33)e online: Intervento al seminario “Salute mentale, migrazione e cura culturalmente competente” Progetto HUMAN – Health for Urban Migrants And Needy * Sabato 21 giugno ore 16, palazzo Corrado Alvaro, Reggio Calabria: voci oltre il confine. Interverrà tra gli altri Francesco Creazzo, ufficio stampa e portavoce di SOS MEDITERRANEE.  Giornata Mondiale del Rifugiato: stand info & raccolta fondi * Venerdì 20 giugno, dalle 19, Castenaso, Via XXI Ottobre 1944, 29 — con foodtruck, interventi, musica. Una serata aperta a tutte e tutti, per conoscere da vicino le storie di chi cerca un nuovo inizio e contribuire alla costruzione di una comunità più consapevole e accogliente. * Sabato 21 giugno, dalle 19, Bologna, Centro sportivo Bonori– Giochi Antirazzisti: stand info & raccolta fondi Intervento sugli ostacoli al soccorso in mare + presentazione dossier “Curati con umanità”. Sport, cultura e attivismo si incontrano per rivendicare antifascismo, antirazzismo, antisessismo e antiabilismo. * Domenica 22 giugno,  18:00, Fondo Comini, via Fioravanti 68, Bologna– Serata speciale di raccolta fondi: Musiche per il mare – stop naufragi. – Progetto VESTA & Abraham Tesfai, attivista eritreo per i diritti umani- Danze africane con il percussionista Badara Fal – Concerto di Luca Signorelli & Hamidou Mbengue: cantautorato italiano tra ritmi tribali e letture di testimonianze dalla nave. Un’occasione per ascoltare, danzare, riflettere, per dire insieme: basta naufragi, basta indifferenza.   Redazione Italia
Decreto Piantedosi, domani l’udienza alla Corte Costituzionale
La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Brindisi grazie al ricorso di SOS MEDITERRANEE contro il fermo amministrativo del 9 febbraio 2024, a seguito dello sbarco di 261 sopravvissuti nel porto salentino. Il fermo era stato motivato in base alle false accuse mosse dalle autorità marittime libiche. In discussione al Palazzo della Consulta l’intero impianto di una legge ingiusta, discriminatoria e punitiva.  Si svolgerà domani l’udienza nel corso della quale la Corte Costituzionale sarà chiamata a valutare la costituzionalità del Decreto-legge 1/2023 poi convertito in legge n° 15/2023: il cosiddetto Decreto Piantedosi. La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Brindisi, nell’ambito del giudizio dovuto al ricorso con il quale SOS MEDITERRANEE aveva contestato il fermo amministrativo alla nave Ocean Viking il 9 febbraio 2024. «Qualunque sia la decisione della Corte – spiega la direttrice di SOS MEDITERRANEE Italia Valeria Taurino – quella di domani è già una giornata storica: di fronte ai tentativi di questo governo di aggirare con leggi ingiuste il diritto internazionale, quello umanitario e, soprattutto, i doveri di umanità, il fatto di essere di fronte alla più Alta Corte del Paese dimostra in modo inequivocabile che lo Stato di Diritto non è scavalcabile. Soccorrere chi è in pericolo di vita è un diritto e un dovere, e sta a chi vorrebbe rovesciare questo principio inviolabile dimostrare che così non è, non certo a chi, animato da spirito umanitario, è in mare per provare a salvare vite umane. Del resto, già nell’accoglimento della nostra richiesta di sospensione del fermo, il Tribunale di Brindisi aveva sottolineato come le nostre attività di ricerca e soccorso siano ‘di per sé meritevoli’ di tutela istituzionale.». I legali di SOS MEDITERRANEE Dario Belluccio e Francesca Cancellaro ribadiranno, davanti ai giudici della Suprema Corte, quanto già aveva convinto il Tribunale Brindisino a richiede l’intervento del Palazzo della Consulta. Secondo i legali dell’associazione, infatti, è in gioco un principio giuridico fondamentale: “Non può essere sanzionata una condotta che è finalizzata a salvare la vita di altri”. Oltre a questo, gli avvocati che rappresentano la ONG contesteranno diversi elementi di dubbia costituzionalità nel decreto Piantedosi. Le principali questioni riguardano: Il principio di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione. “Il principio di proporzionalità dovrebbe sempre guidare le decisioni del legislatore quando si tratta di limitare i diritti fondamentali”, avevano dichiarato gli avvocati nell’udienza che ha avuto luogo nell’ottobre 2024. “In questo caso, sono in gioco diritti fondamentali, sia per coloro che sono colpiti dalla sanzione prevista dalla legge, come le navi di soccorso, sia per i naufraghi stessi. La detenzione della nave rappresenta una sanzione che inibisce le attività di salvataggio e quindi impedisce l’accesso ai diritti fondamentali delle persone in pericolo in mare.” Il principio di determinatezza. Questo principio è incrinato dal fatto che il decreto subordina l’accertamento della condotta illecita della Ocean Viking alle valutazioni delle autorità di uno Stato terzo, in questo caso la Libia.  Inoltre, il team legale di SOS MEDITERRANEE sostiene che la legge è così vaga da obbligare la ONG di ricerca e soccorso a rispettare qualsiasi indicazione, anche se provenienti da autorità appartenenti ad altri Stati come la Libia: dal punto di vista legale quindi la sanzione dell’Italia alla Ocean Viking -una nave battente bandiera norvegese e in acque internazionali – per non aver rispettato le indicazioni delle autorità libiche è ampiamente discutibile. I giudici della Corte Costituzionale sono dunque chiamati a esprimersi principalmente su questi rilievi sollevati dal giudice di merito, che mettono in dubbio non soltanto singole previsioni legislative ma l’intero impianto di una legge ingiusta, discriminatoria e punitiva.       Redazione Italia
In Tunisia mi hanno venduto ai libici per meno di una capra: le testimonianze della tratta di stato
Una realtà comincia ad emergere con chiarezza dai racconti dei sopravvissuti soccorsi dalla nave di SOS MEDITERRANEE, la Ocean Viking: esiste una tratta di esseri umani facilitata e gestita anche da apparati statali tunisini verso le milizie libiche; attraverso il confine nel deserto, le persone intercettate in mare dalle autorità di Tunisi sarebbero vendute a bande di trafficanti libiche. Sono gli stessi Stati che l’Europa e l’Italia finanziano con denaro pubblico, propagandando il contributo come “contrasto al traffico di esseri umani” Dopo essere stati intercettati dalle autorità tunisine, tre migranti provenienti dall’Africa occidentale, soccorsi da SOS MEDITERRANEE, raccontano come sono stati consegnati alle milizie libiche, detenuti ed estorti. Le loro testimonianze rivelano l’inquietante realtà della tratta di esseri umani tra Tunisia e Libia, resa possibile dalla complicità statale. VENDUTI, NON DEPORTATI – “IO, VENDUTO PER MENO DI UNA CAPRA” Quando il gommone su cui viaggiavano è stato soccorso il 20 gennaio 2025 nella zona SAR libica, molte delle persone a bordo avevano già affrontato ripetuti viaggi, arresti e detenzioni. Alcuni dei sopravvissuti, tra cui Charly*, Ivanna* e Aïssa*, hanno condiviso racconti particolarmente drammatici, una volta a bordo della Ocean Viking. Tutti e tre hanno raccontato di essere stati intercettati dalle autorità tunisine, per poi essere venduti alle milizie libiche oltre confine, nel deserto. “La polizia tunisina ci ha venduto a rapitori, a banditi libici”, ha detto Charly, un pittore del Camerun. “Il prezzo di vendita era di 150 dinari [circa 25 euro], meno del prezzo di una capra”. Charly è stato intercettato per la prima volta al largo della Tunisia dopo aver tentato di raggiungere Lampedusa in barca. Era tra le circa 200 persone fermate in mare e riportate con forza a Sfax, dove lui e gli altri sono stati picchiati, legati e caricati su autobus. I veicoli hanno viaggiato per ore senza fermarsi, senza fornire cibo o acqua. “Ci hanno trasportato su questi autobus dove non c’erano posti a sedere. Ci siamo seduti per terra con le mani legate dietro la schiena e ci hanno picchiato. Abbiamo trascorso 10 ore sugli autobus. Ci hanno torturato e ci hanno detto che i neri non dovevano venire in Tunisia”, ha raccontato. “Quando siamo arrivati nel deserto, abbiamo visto i pick-up libici e i tunisini ci hanno venduto a rapitori, a banditi libici”. RAID E RAPIMENTI – “RAPITI DALLA FINTA POLIZIA” Ivanna, 26 anni, viveva in una casa con circa 100 altri migranti a El Jem, in Tunisia, quando è stata arrestata in un raid notturno della polizia locale. “Ci hanno ammanettato e messo in macchina, portandoci nel deserto”, ha raccontato. “Siamo arrivati in un posto dove c’era scritto ‘centro di deportazione’. Erano uomini armati provenienti dalla Libia. Ci hanno caricato su un camion con la scritta ‘polizia’, ma non era la polizia: erano i trafficanti. Le loro armi erano puntate contro di noi e i libici hanno dato alla polizia tunisina dei soldi in una borsa”. È stata rinchiusa in una prigione gestita da un uomo di Tripoli. Per ottenere il suo rilascio, ha dovuto chiamare sua sorella in Camerun, che si è indebitata per pagare 450.000 franchi CFA centrafricani [circa 690 euro]. “Sono rimasta in prigione per un mese, mangiando pochissimo: pane e formaggio, solo questo. Faceva molto caldo”. Una volta rilasciata, ha lavorato per otto mesi senza paga, come serva, per una famiglia libica che le avrebbe pagato la traversata del Mediterraneo centrale. MORIRE IN DETENZIONE – “LA MIA AMICA È MORTA APPOGGIATA ALLE MIE GINOCCHIA” Aïssa, 22 anni, della Guinea Conakry, ha raccontato di aver vissuto fatti simili. Nell’estate del 2023 è stata intercettata dalla guardia costiera tunisina mentre tentava di attraversare il Mediterraneo da Sfax. “Ci hanno maltrattato, picchiato e trasferito in un autobus. Dentro era come essere in un frigorifero, tutto chiuso. Ci hanno legato le mani e ci hanno spostato. Non sapevo dove stavo andando”. L’autobus l’ha portata al confine libico, dove è stata consegnata a uomini in uniforme militare. È stata portata a Zawiya, in un sito gestito da un uomo di nome Osama – un uomo di cui ha parlato anche Charly. Il sito fungeva sia da centro di detenzione che da punto di partenza per le traversate in barca. “Due dei miei amici sono morti in prigione. Una è morta sulle mie ginocchia. Quando hanno portato fuori il suo corpo, stavo piangendo. Mi hanno colpito per farmi smettere e calmare. Per uscire, ho chiamato la mia famiglia in Guinea. Sono rimasta in quella prigione per otto mesi. Mi hanno mandato 4.000 dinari [circa 650 euro] per farmi uscire”. IL TRAFFICO DI ESSERI UMANI FACILITATO DALLO STATO  Le testimonianze di Charly, Ivanna e Aïssa sono in linea con i risultati di altre indagini, che evidenziano il diretto coinvolgimento delle autorità tunisine nella vendita e nel trasferimento forzato di migranti a gruppi armati in Libia. Il rapporto State Trafficking, pubblicato nel gennaio 2025 dal collettivo di ricercatori RRX, documenta una pratica sistematica: i migranti subsahariani in Tunisia vengono presi di mira in raid di larga scala, detenuti senza un regolare processo e poi consegnati ad attori libici noti per la gestione di reti di traffico ed estorsione. Durante la presentazione del rapporto al Parlamento dell’Unione europea il 29 gennaio 2025, SOS MEDITERRANEE ha condiviso alcune di queste testimonianze. Lucille Guenier, responsabile della comunicazione dell’organizzazione e autrice delle interviste a Charly, Ivanna e Aïssa, ha riferito che molte altre persone a bordo della Ocean Viking avevano vissuto esperienze simili, ma hanno preferito non esporsi per timore di ritorsioni. Queste pratiche non sono però isolate. In diversi casi documentati, le autorità tunisine hanno condotto espulsioni collettive con il pretesto della sicurezza delle frontiere o dell’espulsione. In pratica, però, hanno trasportato i migranti in zone desertiche remote, dove sono stati consegnati a gruppi armati libici in cambio di denaro. Queste testimonianze trovano riscontro anche in una comunicazione diffusa dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) nell’ottobre 2024, in cui venivano espresse gravi preoccupazioni per le numerose segnalazioni ricevute riguardo alla vendita di migranti, rifugiati e richiedenti asilo da parte delle forze di sicurezza tunisine a gruppi armati non statali attivi in Libia. Tali pratiche costituiscono una chiara violazione del diritto internazionale, incluso il principio di non respingimento, che proibisce il trasferimento forzato di persone verso Paesi dove potrebbero subire torture o trattamenti inumani e degradanti. IL CICLO DI ABUSI IN LIBIA Una volta entrati in Libia, tutti e tre i sopravvissuti hanno parlato di abusi sistematici, che vanno dal lavoro forzato alla detenzione arbitraria e alla violenza fisica. Carceri come Bir Al Ghanam e Zawiya, di cui sia Charly che Aïssa hanno parlato, fanno parte di una vasta rete di luoghi di detenzione dove i migranti sono tenuti in ostaggio per ottenere un riscatto. “C’è un uomo di nome Osama che dice di essere una ONG e di voler aiutare le persone ad attraversare”, ha detto Charly. “Ha le sue barche. Ha allestito un campo a Zawiya, una sua prigione dove raduna le persone”. Mentre Charly alla fine è riuscito a guadagnarsi la via d’uscita dipingendo case, altri – come Ivanna e Aïssa – sono stati costretti a lavorare per mesi per assicurarsi il rilascio o per finanziare un altro tentativo di attraversamento. Charly ha anche spiegato perché il mare è l’unica via d’uscita dal ciclo di sfruttamento e abusi in Libia. “Quando sono arrivato in Libia, non avevo documenti d’identità e non avevo modo di far riconoscere la mia nazionalità”, ha raccontato. “Non c’è un consolato camerunese in Libia. La Libia non è più un Paese governato. Ognuno fa quello che vuole”. “IO SONO AL SICURO, MA QUESTO È PER GLI ALTRI” Alla fine, tutti e tre sono riusciti a lasciare la Libia e sono stati salvati in mare. Ma sanno che molti altri non sono stati così fortunati. “Era la prima volta che tentavo la traversata dalla Libia quando mi avete salvato”, ha detto Charly, che però aveva già tentato di attraversare il Mediterraneo dalla Tunisia. “È stato Dio a mandarvi.” Le loro testimonianze – e il crescente numero di prove che documentano la natura sistematica di questi abusi – ricordano ancora una volta che il partenariato dell’UE e dell’Italia con la Libia e la Tunisia in materia di migrazione è indifendibile. Attraverso accordi come il Memorandum d’intesa Italia-Libia e l’accordo UE-Tunisia, gli Stati europei hanno finanziato, equipaggiato e legittimato autorità e attori responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. All’inizio di aprile, in un preoccupante inasprimento della repressione nei confronti della società civile e del supporto alle persone in movimento, l’Agenzia per la sicurezza interna libica ha sospeso le attività di quasi tutte le principali organizzazioni umanitarie internazionali presenti nel Paese, accusandole di compromettere la sovranità nazionale e di promuovere valori considerati incompatibili con l’identità libica. Queste sospensioni, insieme agli interrogatori, alla chiusura degli uffici e al congelamento dei conti, privano di fatto migliaia di persone vulnerabili dell’accesso a cure mediche vitali e all’assistenza umanitaria. “Vi sto parlando perché siete una ONG e questo può aiutare i miei fratelli, sollevando l’attenzione internazionale sul trattamento dei neri, perseguitati nei Paesi del Maghreb”, ha detto Charly. “Io sono arrivato, sono in salvo… ma è per gli altri”. La Libia e la Tunisia non sono luoghi sicuri per le persone soccorse in mare. Entrambi i Paesi sono stati ripetutamente documentati come luoghi di violenza razziale, estorsione e abusi diffusi contro migranti e rifugiati. SOS MEDITERRANEE chiede con urgenza alle autorità europee e italiane di interrompere ogni forma di sostegno ai sistemi che intrappolano le persone in movimento in cicli di abusi e sfruttamento. SOS MEDITERRANEE *Tutti i nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità dei sopravvissuti. La testimonianza di Charlie è stata raccolta a bordo della Ocean Viking dal giornalista freelance Robert Prosser. ¹ https://statetrafficking.net/ ²https://spcommreports.ohchr.org/TMResultsBase/DownLoadPublicCommunicationFile?gId=29320 Redazione Italia