L’Italia di Giorgia Meloni all’attacco della giustizia internazionale
Non bastavano gli attacchi del governo Meloni alla Corte Penale
internazionale, dopo il rilascio del comandante Almasri ricercato dai giudici
dell’Aja, una vicenda sulla quale le autorità italiane hanno chiesto diverse
proroghe per ritardare la risposta ai quesiti posti dalla Corte, mentre
procedono le attività di indagine del Tribunale dei ministri.
Adesso nel mirino viene messa la Corte europea dei diritti dell’Uomo, che in
passato ha condannato in diverse occasioni i respingimenti illegali e i
trattenimenti amministrativi non formalizzati, praticati dalle forze di polizia
alle frontiere e nei centri Hotspot.
Altre condanne dalla Corte di Strasburgo erano state inflitte all’Italia per il
trattenimento in condizioni disumane nei CPR (centri per i rimpatri), o per il
trattenimento di persone che non avrebbero dovuto essere rinchiuse in queste
strutture. In passato l’Italia era stata condannata (caso Richmond Yaw) anche
per il trattenimento amministrativo prolungato oltre i termini di legge, in
assenza di qualsiasi base legale. Condanne che adesso potrebbero ripetersi a
catena, come si è già verificato con l’Ungheria di Orban, a fronte delle
pratiche di deportazione in Albania, e del ricorso alla detenzione
amministrativa come strumento privilegiato per gestire una politica dei rimpatri
che rimane fallimentare, sul piano dei risultati numerici, e sotto il profilo
del mancato rispetto dei diritti umani delle persone sottoposte a procedure di
detenzione pre-espulsiva, tra loro anche numerosi richiedenti asilo.
L’Italia e la Danimarca, secondo quanto si apprende dal sito Euractiv,
starebbero chiedendo ad altri paesi europei di sottoscrivere un documento che
critica la Corte europea dei diritti dell’uomo per essere andata “troppo
lontano” nell’interpretazione della legge, in particolare sulle questioni
migratorie.
Nella bozza del documento visto da Euractiv, i due paesi lamentano che alcune
recenti decisioni della Corte di Strasburgo avrebbero esteso il significato
della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo oltre i suoi
originari intenti, limitando la loro capacità di “prendere decisioni politiche
nelle nostre democrazie”. Un argomento consueto usato dagli esponenti dei
partiti populisti per fare pesare il principio di maggioranza in decisioni che
nello Stato democratico di diritto dovrebbero essere rimesse esclusivamente alla
legge come applicata dal giudice, secondo quanto impone nel nostro ordinamento
l’art. 101 della Costituzione.
Alcune fonti italiane avrebbero confermato l’esistenza del documento a Euractiv,
aggiungendo che sarebbe ancora oggetto di valutazione la sua firma. L’obiettivo,
sarebbe quello di una Convenzione EDU interpretata in modo da riflettere meglio
le “sfide della moderna migrazione irregolare”, perché “quello che una volta era
giusto potrebbe non essere la risposta di domani”.
Corrispondono a questi intenti le posizioni del partito popolare europeo della
presidente della Commissione Von der Leyen che ha chiesto una revisione della
Convenzione di Ginevra sui rifugiati per allinearla al “mondo attuale”.
Posizioni che al di là della svolta repressiva del nuovo cancelliere Merz in
Germania, incalzato dai neo-nazisti dell’AFD, potrebbero portare l’Unione
europea ad una gravissima crisi politica, se non ad una frattura definitiva.
Senza diritti umani, senza diritto di asilo, non ci potrà essere più Unione
europea.
Il documento promosso da Italia e Danimarca sarebbe ancora aperto in vista della
raccolta di altri firmatari e dovrebbe essere pubblicato nelle prossime
settimane, dopo mesi di crescenti richieste di rivedere o reinterpretare i
quadri giuridici internazionali di vecchia data, in particolare quelli relativi
alla migrazione. Tra i potenziali firmatari figura il gruppo informale di paesi
dell’UE interessati ad un inasprimento delle normative sulle migrazioni, che
l’Italia e la Danimarca hanno promosso e presieduto nel corso dell’ultimo anno,
in vista dei vertici dei leader europei. Si tratta di Repubblica ceca,
Finlandia, Polonia e Paesi Bassi.
Ma non si può dimenticare che l’Italia è stata anche principale promotrice del
gruppo dei paesi mediterranei (Spagna, Malta, Cipro, Grecia) che si è cercato di
aggregare per sollecitare a livello europeo l’anticipazione dei Regolamenti che
devono ancora entrare in vigore a seguito del Patto europeo sulla migrazione e
l’asilo dello scorso anno, a partire dalla lista comune dei paesi di origine
“sicuri”. Una questione sulla quale si avvicina l’atteso pronunciamento
della Corte di giustizia dell’Unione europea, sulla quale si sta cercando di
esercitare pressioni, riunendo un gruppo ancora più ampio di paesi che sono
intervenuti nel giudizio, in linea con il governo Meloni, per imporre una
definizione estensiva della definizione di “paese di origine sicuro”, anche
quando siano riscontrabili diffuse violazioni dei diritti umani.
Nell’ultimo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis, che si è svolto a
Villa Pamphilj a Roma l’intesa sull’attacco alla Corte europea dei diritti
dell’Uomo non sarà mancata. Anche la Grecia ha subito diverse condanne dalla
Corte di Strasburgo per molteplici casi di detenzione amministrativa in
condizioni disumane e sistematici respingimenti illegali. Giorgia Meloni ha
dichiarato di lavorare “per consolidare un cambio di approccio che in Unione
europea si sta manifestando nei confronti dei flussi migratori”.
Evidentemente i diritti umani, e le Corti internazionali che ne potrebbero
garantire l’effettivo riconoscimento, danno fastidio a governi che, non solo in
materia di trattenimento amministrativo e rimpatri forzati, stanno cercando in
tutti i modi di ridurre la portata dei controlli giurisdizionali anche sul piano
del diritto nazionale, a vantaggio dei poteri dell’esecutivo e delle forze di
polizia.
Ma l’insistenza di Giorgia Meloni e del suo governo sull’inasprimento delle
politiche migratorie sta portando l’Italia all’isolamento nell’Unione europea,
malgrado il residuo sostegno della Commissione. Non potranno che risultare vani
gli sforzi per dimostrare un ruolo guida che non potrà essere riconosciuto ad un
governo che, sui dossier economici e in materia di sicurezza, è più vicino al
trumpismo globale che ai nuovi equilibri che si stanno costruendo a Bruxelles.
Di certo nell’ottica delle politiche di rimpatrio, tanto importanti per l’Unione
europea, i risultati conseguiti dall’Italia, anche con il Protocollo
Italia-Albania, sono fallimentari.
Mentre si continua a lavorare per svuotare il riconoscimento dei diritti
fondamentali della persona, nella prospettiva di accordi bilaterali, come nel
caso del recente viaggio del ministro Piantedosi in Pakistan, dopo gli accordi
con paesi come l’Egitto, la Libia e la Tunisia, e si rilancia il logoro rituale
della difesa dei confini nazionali, persone innocenti, anche bambini di pochi
anni, continuano a morire, in mare e nei paesi di transito, per effetto di
precise scelte politiche che non si potranno più nascondere dietro i richiami
alle responsabilità degli scafisti ed alla lotta ai trafficanti nell’intero
globo terracqueo.
Con la delegittimazione della giustizia internazionale e con accordi con paesi
che non rispettano i diritti umani non si arrestano gli arrivi di migranti, ma
si garantisce soltanto impunità a chi abusa, in mare ed a terra, di persone
costrette a vario titolo a migrazioni forzate. E al di là dei tentativi di
normalizzazione si favoriscono, soprattutto nei paesi di transito, come la
Libia, conflitti interni e scontri armati che potrebbero estendersi anche a
livello regionale. La storia insegna che la negazione dei diritti umani porta
inevitabilmente alla moltiplicazione dei focolai di guerra.
Fulvio Vassallo Paleologo