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Leopoli: manifestazione contro la corruzione
La grande piazza di L’viv è affollatissima, la folla è assiepata, occupa l’intera piazza, la gradinata è il basamento dell’imponente monumento che sovrasta la statua bronzea di un illustre cittadino della città. Non mi ci vuole molto a capire che questa serata è molto particolare perché si manifesta per l’immediata abrogazione della legge, voluta dal governo e principalmente dal presidente Zelensky, che ostacola la lotta alla corruzione dilagante. “La corruzione uccide il nostro futuro”. “Il popolo Ucraino vuole una vera democrazia”. “No alla dittatura”.- Dicono i cartelli. In piazza scatto molte foto chiedendo a tutti il permesso presentandomi come reporter italiano volontario dell’ Agenzia Internazionale di Stampa no profit Pressenza. Due ragazzi, una giovane coppia, mi sorridono: lui ha 24 anni e quindi rischia tra pochi mesi di finire in trincea se non verrà accolta la sua domanda di rinvio per motivi di studio oppure di esenzione per il tipo di lavoro che svolge. La ragazza invece ha 20 anni, sa abbastanza bene l’italiano perché è stata a a Roma per diversi mesi e mi spiega i temi della manifestazione. Il popolo sta nelle piazze dei centri delle principali città dell’Ucraina perché prima di tutto questa nuovo legge la “12414”, che favorisce la corruzione ostacolando o abolendo gli organismi di controllo, non è stata approvata correttamente. È passata molto velocemente in parlamento. La discussione è durata una sola serata mentre di solito per l’approvazione di una nuova legge la discussione può durare un mese e anche di più. È la prima manifestazione dopo l’escalation della guerra e il popolo è uscito nelle piazze, nonostante la guerra, per far sentire la sua voce perché è contro la corruzione e non vuole che il governo faccia altri casini. Penso che il popolo abbia sentito che si possono realizzare importanti cambiamenti, perché è il popolo la fonte vera del potere. Mi colpisce che non solo a Leopoli o a Kyiv, ma in tutte le grandi città protestano. Mauro Carlo Zanella
Tra leggittima aspirazione all’indipendenza ed etnonazionalismo
Leopoli, per quanto possa sembrare strano é una città molto frequentata da turisti che fanno foto e selfie davanti alle chiese e alle piazze più belle. Ci sono anche diversi musei e tour organizzati, birrerie, ristoranti e locali sono affollati, (molti sono quelli “italiani” con nomi come “Limoncello” e “Celentano”). Nel pomeriggio la piazza antistante il Municipio si riempie di persone, mi fermo, convinto che si tratterà di una manifestazione folkloristica, un coro con i costumi tradizionali, perché questi sono indossati da molti, ma si tratta di un segno patriottico, legato alla propria identità culturale. Arriva però un furgone particolare, si ferma. Il silenzio é interrotto dal suono inconfondibile del silenzio fuori ordinanza. Le centinaia di persone presenti mettono la mano sul cuore. È l’omaggio civico e patriottico ad un soldato morto al fronte. “La meglio gioventù va sotto terra”. Tuttavia io credo che la migliore gioventù sia quella che trova il modo di disertare questa guerra fuggendo all’estero oppure evitando di rientrare quando viene richiamata alle armi, oppure semplicemente nascondendosi… Nonostante ciò fuori dalla chiesa cattolica della Trasfigurazione una mostra permanente dove militari e prelati vanno a braccetto da secoli per affermare che “Dio è con noi”. Peccato che la stessa cosa afferma il Patriarca di Mosca Cirillo I, fervente sostenitore di Putin e della sua guerra contro l’Ucraina Occidentale. Per Cirillo I si tratta addirittura di una crociati per contro l’Occidente corrotto che… difende le demoniache rivendicazioni dei gay. Insomma Cattolici e Ortodossi Ucraini benedicono il proprio esercito e la stessa cosa fanno gli Ortodossi Russi, la cui religione, fatto unico da secoli in Europa, è stata peraltro messa al bando da Kiev, nonostante le centinaia di migliaia di fedeli. Dio è con noi è stato il leitmotiv della grande manifestazione in cui mi sono imbattuto per caso nella piazza centrale di L’viv. Non nerboruti skinheads tatuati con svastiche, ma gente assolutamente comune: giovanissimi con i capelli colorati, donne, uomini, famiglie intere con bambini piccoli e tutti reggevano cartelli di cartone, striscioni e bandiere (queste erano il segno più inquietante) che chiedevano a gran voce, riuniti intorno ad una grande scritta formata da lumini, “la liberazione dei nostri difensori: i coraggiosi miliziani del Battaglione Azov prigionieri dei Russi durante la difesa e conquista di Mariupol'” !!! Quella di Mariupol’ è stata, finora, una delle battaglie più sanguinose di questa guerra, combattuta casa per casa lasciando macerie, morti, mutilati e sfollati che hanno hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni distrutte. Resto letteralmente basito mentre fotografo numerosi volti, indisturbato poiché mostro il tesserino da reporter volontario. Per noi, in base alle numerose testimonianze raccolte nel Donbas e alle foto scattate da loro stessi sui loro corpi tatuati da svastiche, sono criminali di guerra, fanatici ultranazionalisti simpatizzanti del collaborazionista Stephen Bandiera che commise innumerevoli crimini contro l’umanità contro polacchi, ebrei e rom sognando, da vero nazionalista suprematista, una Ucraina etnicamente pura. Alla fine venne imprigionato dai nazisti tedeschi che alla fin fine odiavano e consideravano inferiori tutti gli slavi senza fare troppi distinguo. L’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina Occidentale, non solo non ha abbattuto il governo ultranazionalista di Kiev, sostenuto anche da formazioni minori neonaziste, unico caso in tutta Europa se non nel mondo intero, ma ha permesso di dare il colpo di grazia a tutte le voci critiche, democratiche, non nazionaliste, ma semmai sostenitrici di una Ucraina plurinazionale ponte tra Unione Europea e Federazione Russa. Le armate russe hanno compattato gran parte del popolo ucraino di lingua e cultura ucraina regalando paradossalmente, almeno per ora l’egemonia ai banderisti che hanno buon gioco nel mischiare la legittima difesa dell’indipendenza dell’Ucraina al peggior nazionalismo etnico. In tutto questo la Nato ha fatto la sua parte aizzando i nazionalisti ucraini nell’odio antirusso, distruttivo e devastante per l’unità dell’Ucraina. Un film che abbiamo già visto svolgersi in tutta la sua crudeltà nelle guerre che hanno distrutto la Repubblica Federativa e Socialista di Jugoslavia trasformata in ininfluenti 6 nazioncine. Ora come allora l’Italia ufficiale era ed è dalla parte della guerra mentre molti pacifisti, forse più allora che oggi, tentavano e tentano dal basso di favorire e sostenere le molte persone che qui, come allora nei Balcani, rifiutano la guerra in mille modi diversi, anche sottraendosi alla chiamata alle armi con la fuga. Sta a tutte e a tutti noi, rifiutando ogni campismo, sostenere i loro sforzi dando loro l’occasione di fare sentire la loro chiamata alla Pace. Mauro Carlo Zanella
A Leopoli suona la sirena, poi la vita riprende nella sua apparente normalità
Ieri mattina mi sono svegliato presto e mentre stavo andando in bagno ha iniziato a suonare la sirena. Non era la mia prima volta: l’ho sentita anche negli altri miei due viaggi a Kiev, Odessa e Mykolaïv. Nessuno sembrava curarsene, neppure a Mykolaïv che pure è abbastanza vicino al fronte, anche se non è tra le città devastate, abbandonate da quasi tutti, in pratica delle città fantasma. Non ho avuto né paura né fretta, anche perché dubito che nei rifugi ci siano i bagni. Intanto da potenti trombe poste sulla torre del municipio una voce stentorea sembra dare ordini che io ho immaginato di tradurre più o meno così: “Sbrigatevi ad andare nei rifugi, teste di cavolo, sono dieci minuti che suona la sirena: cosa aspettate? Che vi cada in testa un missile russo?”. Finalmente esco dall’albergo, pensando che potrei scrivere un articolo sulla vita nei rifugi. Appena fuori vedo un uomo che sta sistemando un vaso di fiori. “Dov’è il rifugio dell’albergo?” chiedo. Alza le spalle: non c’è. “Il rifugio più vicino?” chiedo ancora. Mi indica un percorso a zig zag che subito dimentico. Tra il suono della sirena e la voce stentorea che ordina di andare nei rifugi c’è un silenzio irreale. Inizio a preoccuparmi. Vedo una barista fuori dal locale che parla concitata al telefono e con il traduttore automatico le chiedo dov’è il rifugio. Sul cellulare scrive e cancella febbrilmente, poi me lo riconsegna. Sono in ansia, non so dove andare. Chiedo a una giovane donna che beve un caffè seduta. Alza le spalle. A questo punto la cosa più saggia mi sembra entrare in uno dei pochi bar aperti per fare colazione. Evito il primo, che espone una bandiera con un mitra e un serpente attorcigliato e finalmente ne trovo uno normale. La barista non ha l’aria spavalda: tiene aperto perché non sa dove andare. Prendo il cappuccino maxi, servito in una tazza che sembra una scodella e una fetta di torta deliziosa. Mi pare davvero improbabile che un missile russo possa interrompere la mia colazione. Una ragazza entra e si siede con aria serena. Ho un’idea e le porgo il cellulare, ovviamente con la traduzione in ucraino: “Sono un reporter italiano di un’agenzia stampa internazionale che si chiama Pressenza. Vorrebbe scrivere una frase su come vede la situazione attuale in Ucraina –  guerra, crisi economica, corruzione… ?” Con mia grande sorpresa si mette a scrivere: si chiama Sofia e ha circa vent’anni. Sembrerebbe ancora convinta della necessità di difendere in armi il suo Paese, ma non sono sicuro di questo, perché non  esplicita il tipo di aiuto che si aspetta dal mondo. Da notare che non parla di vincere la guerra o di riconquistare i territori del Donbass e la Crimea. Parla di difendere il suo Paese senza esternare sentimenti di odio verso gli aggressori. Sofia scrive dunque: “Questo è il periodo più difficile per l’Ucraina. Mio fratello è in prima linea. Vorrei avere più opportunità per difendere il nostro mondo, affinché il mondo non pensi che questo sia solo un altro conflitto facilmente risolvibile. Spero che la gente in Ucraina dimentichi finalmente cosa siano i bombardamenti e che le famiglie possano riunirsi.  Gli uomini sono molto grati per l’aiuto del mondo e saremo grati per un ulteriore supporto“. Non si sono sentite esplosioni, neppure in lontananza e la vita a Leopoli riprende nella sua apparente normalità. E’ l’unico modo per resistere al quotidiano orrore della guerra, combattuta soprattutto lungo il confine a centinaia di chilometri da qui, ma da fratelli, figli, padri, fidanzati, mariti, amanti: una ferita aperta, che a volte sprofonda nel dolore più grande, la perdita di un proprio caro.   Mauro Carlo Zanella
Perché vado per la terza volta in Ucraina
Un’amica mi ha chiesto tempo fa: “Si può sapere cosa cavolo vai a fare in Ucraina? Vuoi farti ammazzare?” Iniziamo dalla seconda questione: mi piace vivere e non mi sono votato al martirio, anche perché, essendo sostanzialmente agnostico/ateo (pur di cultura cristiana) non avrei paradisi, Valhalla, Valchirie o Vergini ad aspettarmi in un’ipotetica vita eterna in cui, con tutta la buona volontà possibile, non credo né ho mai creduto. Morire per un missile russo a Leopoli, a Kiev o a Odessa?  È possibile tanto quanto morire in un incidente stradale sulla Pontina o sul Grande Raccordo Anulare di Roma, facendo escursioni in montagna o nuotando in uno dei mari italiani. Potrebbe paradossalmente essere maggiore e più “mirata” la possibilità di essere fatto fuori dai servizi segreti ucraini o alleati vari. E’ già successo. Qui confido nel buon senso: perché creare un casino internazionale quando basta non farmi entrare o al limite espellermi? Inoltre confido nella mia irrilevanza: posso scrivere ciò che voglio, ma la potenza di fuoco dei menestrelli di corte, della scorta mediatica dei signori della guerra, del fatto che in “tempo de guera: più bugie che tera” rendono per loro assolutamente irrilevante qualsiasi cosa io possa scrivere. Allora perché vado? Perché le nostre innumerevoli irrilevanze sono semi gettati al vento, brace che sotto la cenere potrebbe tornare a essere fuoco, umile goccia che scava la pietra o meglio ancora goccia che costruisce colonne quando una stalattite si salda con una stalagmite. Ho la stessa ambizione del colibrì che vuole spegnere l’incendio della foresta gettando la sua gocciolina d’acqua o della “piccola pietra” che Emilio Guarnaschelli, comunista torinese vittima del terrore staliniano, decise di portare a Mosca, rifugiandosi là come perseguitato politico italiano durante il regime fascista. Voleva contribuire all’edificazione della città di quella “futura umanità” cantata nelle centinaia di lingue in cui è tradotta l’Internazionale. Io faccio la mia parte, meglio di piangersi addosso o di spargere depressione. Del resto, già ora, centinaia e centinaia di migliaia di persone, se non milioni, in Italia, in Europa e nel mondo, e tra le quali tante e tanti giovanissimi, la loro parte la fanno tutti i giorni, in mille modi diversi e senza il bisogno di scrivere lettere aperte. Questi meritevoli sforzi mi paiono tuttavia poco coordinati per non dire disarticolati o polverizzati, rendendoli poco efficaci politicamente. Perché io vado proprio in Ucraina, quando abbiamo decine di guerre dimenticate e un genocidio ostentato e addirittura rivendicato in diretta? Torno per la terza volta in Ucraina perché lì c’è una guerra tra potenze nucleari, anche se la Nato non invia truppe ma armi, tecnologia e addestratori militari. Una guerra in cui è in corso lo sterminio sistematico di un’intera generazione di giovani maschi ucraini e di altrettanti giovani russi (uguali per numero, ma non certo in termini proporzionali rispetto alle rispettive popolazioni). Una guerra che è sostanzialmente rimossa proprio dalla mia parte politica, perché per mobilitarsi sente l’istintivo bisogno di schierarsi con una delle parti in conflitto secondo l’infantile logica binaria e manichea che ci vuole a fianco dei buoni contro i cattivi. Eppure sembrerebbe tanto facile dire che siamo contro la guerra e contro chi l’ha promossa, non ha voluto impedirla e ora la alimenta. Siamo contro una delle guerre più pericolose per i destini del genere umano. Se Kiev venisse bombardata a tappeto, trasformandola in una sorta di Gaza, allora sì che la mia vita sarebbe in grave pericolo, ma tanto quanto quella degli abitanti di Pietroburgo e Mosca, e di conseguenza Roma, Parigi, Berlino e Londra. (Madrid sarebbe risparmiata insieme a Dublino, a Bratislava e a chi pur tra mille esitazioni ha provato a non farsi trascinare nel bellicismo suicida). In quanto a me i nazionalisti russi (cioè i tre o quattro che mi hanno letto) mi hanno accusato di essere filo ucraino, che per loro significa sostanzialmente essere filonazista, per aver definito “truppe di invasione” i soldati della Federazione Russa che dalla Bielorussia tentarono di arrivare a Kiev (attraversando peraltro la foresta chiusa in quanto iper-contaminata dal plutonio di Chernobyl). Attenzione, non reputo necessariamente invasori i soldati russi entrati in Crimea e nel Donbass! Mentre i nazionalisti ucraini (sempre i tre o quattro che mi hanno letto) si sono stracciati le vesti perché, davanti alla Casa dei Sindacati di Odessa, città da sempre cosmopolita, imponente edificio oramai chiuso, abbandonato e addirittura cancellato da Google Maps, ho definito quella orrenda strage, pianificata dai neonazisti ucraini, il punto di non ritorno che portò alla guerra civile iniziata nel 2014. Sarei quindi filo Putin e giacché Putin sarebbe il nuovo Hitler, sarei di nuovo filonazista. Una guerra civile che ha distrutto uno stato binazionale. Una guerra civile in cui dopo otto anni di sostanziale indifferenza della comunità internazionale, bloccata dai veti incrociati espressi nelle risoluzioni presentate al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si è inserita con le sue truppe d’invasione la Federazione Russa, che, per quanto provocata dalla Nato, ha anch’essa violato il diritto internazionale (lo dice anche Francesca Albanese). Altri tre o quattro lettori di entrambi gli schieramenti mi hanno detto, bontà loro, che, benché in buona fede, dovrei studiare la Storia (scritta suppongo dagli storici degli opposti schieramenti). Replico rivendicando di essere pacifista, internazionalista e quindi comunista poiché il capitalismo sta alla guerra come i nuvoloni neri stanno alla pioggia. Replico che sto dalla parte dei renitenti alla leva e dei disertori di entrambi gli schieramenti, che ormai sono d’accordo soltanto sul fatto che l’obiezione di coscienza sia il più grave dei delitti… Replico, come sostenne con la sua vita il socialista riformista Giacomo Matteotti, che il nazionalismo porta alla guerra e la guerra porta al fascismo. Infine, come mi ha insegnato il redattore umanista di Pressenza Olivier Turquet, è inutile disperarsi: “Signori della Guerra, vi spazzeremo via con Pace, con Forza, con Allegria!” Mauro Carlo Zanella
L’Europa si adagia in un sonno profondo
L’Europa si adagia in un sonno profondo e gli appelli di un Leone serafico e vacanziero escono da un castello romano e si librano in volo con la forza celeste di un cessate il fuoco-amico che consola la Palestina coventrizzata come terra cristiana e dannata. L’Europa si adagia in un sonno profondo e le richieste di tregua si sprecano nell’Ucraina occupata e difesa dalle armi patriot-tiche attese da un popolo che in buona fede crede nella ricostruzione pre-matura avviata tra le bombe. L’Europa si adagia in un sonno profondo e le spese pubbliche vengono s-caricate nella sicurezza delle armi contro nemici costruiti nei laboratori di pace e nella democrazia che si lascia catturare da una maggioranza risicata e va alla deriva… senza approdi. L’Europa si adagia in un sonno profondo e le preghiere laiche vengono recitate e internate nei rapporti di produzione e di lavoro che trattano le ferite con oratorie danzanti prodotte e rivolte al dio-capitale veterano di tante guerre di pace e di tante case penali ri-abilitate alla malvivenza. Pino Dicevi
La vicenda del maestro Gergiev a Caserta: quando le crociate di regime uccidono la cultura
È stato annullato il concerto, previsto per la prossima domenica 27 luglio alla Reggia di Caserta, del grandissimo direttore d’orchestra russo Valery Gergiev, reo di aver espresso simpatie per l’attuale presidente del suo Paese – almeno secondo i 700 intellettuali che, lo scorso 18 luglio, hanno indirizzato una lettera di protesta al governatore della Campania Vincenzo De Luca. Si tratta di una chiara crociata ideologica in chiave anti-russa più che anti-putiniana – crociata che si era già fatta sentire nel 2022 con l’annullamento di un corso universitario sul grande scrittore Dostoevskij, in quanto considerato un imprescindibile esponente della cultura russa. Apparentemente, per i benpensanti dell’Università Bicocca di Milano andava stigmatizzato tutto ciò che è russo. Così, ieri, lunedì 21 luglio, il governatore De Luca ha dovuto cedere alle «logiche di preclusione» e al «rifiuto di dialogare» dei 700 intellettuali, sorretti da numerosi partiti politici, e ha accettato di allontanare dall’Italia uno dei più grandi direttori d’orchestra al mondo, colpevole di aver espresso l’opinione che la guerra in Ucraina sia stata istigata dalla NATO per destabilizzare la Russia. Punto di vista vietatissimo nella nostra sedicente democrazia, la quale impone, come in un qualsiasi regime autoritario, un Pensiero Unico sui fatti ucraini. Si tratta, tuttavia, di un Pensiero Unico pieno di contraddizioni: eccone una. Tutti sanno (ma molti cercano di dimenticare) che, sotto la presidenza di G.W. Bush, gli Stati Uniti hanno fatto molto di più di quanto la Russia di Putin stia facendo in Ucraina oggi. Infatti, nel 2003, gli USA hanno non solo invaso illegalmente il Paese sovrano dell’Iraq, ma l’hanno occupato per intero, bombardandolo selvaggiamente per ben 10 anni e al costo di oltre un milione di morti civili. Eppure, per quanto all’epoca ci fossero forti proteste dirette contro Bush, non ci sono stati tentativi istituzionali di istigare un clima di odio verso la cultura e la società statunitensi. In Italia, i corsi universitari su Hemingway si sono tenuti regolarmente, nessuno si è sognato di cancellarli e se il maestro statunitense James Levine non ha potuto tenere il suo concerto presso l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel 2021, è soltanto perché egli è purtroppo deceduto tre mesi prima. Nessuno chiedeva l’annullamento del suo concerto perché avrebbe messo in buona luce la cultura statunitense – come il concerto di Gergiev metterebbe in buona luce la cultura russa. In pratica, non c’è stata nessuna campagna per estirpare l’influenza statunitense in Italia. Non c’è stata un’«inchiesta sull’utilizzo di fondi pubblici» per fermare eventi filo-americani, come invece hanno chiesto i 700 intellettuali per bloccare ogni evento filo-russo nel territorio dell’Unione Europea. Non c’è stata la richiesta di un «fondo culturale dedicato agli artisti che si oppongono» al regime a stelle e strisce, come invece oggi quei 700 intellettuali vorrebbero che ci fosse contro la Russia. Evidentemente, le invasioni e le occupazioni sono accettabili quando a farle è un Paese alleato, non un Paese competitore. Anzi, per le classi dirigenti occidentali, oggi il Paese di Putin è diventato non solo un concorrente, ma potenzialmente un nemico in guerra. Un nemico da abbattere per eliminare un competitore, certo, ma anche e soprattutto per potersi impadronire delle sue immense ricchezze energetiche. Così, dal momento che non sono bastati 18 pacchetti di sanzioni per far crollare la Russia, né un’estenuante guerra per procura “fino all’ultimo ucraino” (e quindi fino all’ultimo russo), il Regno Unito, la Francia e la Germania hanno deciso di alzare la posta: hanno formato un’alleanza per spingere l’UE a contemplare un conflitto diretto con la Russia per dare il colpo di grazia al suo regime attuale. Quei tre Paesi occidentali si ricordano bene, infatti, come il crollo dell’URSS nel 1989 abbia poi consentito all’UE e agli USA di insediare a Mosca il debole Boris Eltsin, disposto a consentire alle industrie energetiche europee e statunitensi di accaparrarsi buona parte delle enormi ricchezze russe. Così, la Francia, la Germania e soprattutto il Regno Unito vogliono fare oggi. E non solo per il petrolio: infatti, il crollo della Russia consentirebbe all’Europa – insieme agli Stati Uniti – di poter più facilmente aggredire in seguito la Cina, costretta a difendersi da sola. Anzi, per molti osservatori, questo è l’obiettivo principale dietro il tentativo di intrappolare e di indebolire la Russia provocando la guerra estenuante in Ucraina. L’ondata di propaganda antirussa che imperversa in Italia e in Europa da tre anni, dunque, sembrerebbe servire ai tre Paesi occidentali appena menzionati per raccogliere consensi per una guerra anche nucleare dell’Europa contro la Russia. Bisogna combattere questo indottrinamento e contrastare la dilagante propaganda antirussa. Bisogna creare legami e scambi tra il popolo italiano e quello russo a tutti i livelli. Legami d’amicizia che rendano poi più difficili i tentativi del Potere di trascinarci in una guerra demonizzando la Russia. Legami che renderebbero più difficile cancellare le espressioni della cultura russa, come il concerto che Valery Gergiev avrebbe dovuto tenere questa domenica alla Reggia di Caserta.   Patrick Boylan
Perché le bombe russe ammazzano meno civili di quelle israeliane?
Stando ai titoli dei giornali italiani, il massiccio attacco notturno dei russi su Kiev con droni, missili e bombardieri ha fatto 2 morti e 15 feriti. Invece, l’offensiva di terra a Deir al Balah, nella Striscia di Gaza da parte dell’IDF – secondo il ministero della Salute – ha fatto […] L'articolo Perché le bombe russe ammazzano meno civili di quelle israeliane? su Contropiano.
L’ansia di attaccare la Russia dei generali euroatlantici
La si potrebbe definire una nuova edizione de “La notte dei generali”, il famoso film con Peter O’Toole, Omar Sharif e Philippe Noiret, se non fosse che, nel nostro caso, tutto avviene alla luce del sole e le vittime, reali e potenziali, sono non singole persone, bensì coloro che operano […] L'articolo L’ansia di attaccare la Russia dei generali euroatlantici su Contropiano.
L’ultima di Trump sulla guerra in Ucraina
Come ampiamente annunciato, ieri Trump ha lanciato il suo ukaze contro Putin: “se non mette fine alla guerra entro 50 giorni, dazi al 100%.” Esultano i gazzettieri guerrafondai (Corriere e Repubblica fanno da levrieri), frenano gli analisti più esperti, mugugnano gli ucraini. Due letture piuttosto contrapposte… Chi avrà ragione? Non […] L'articolo L’ultima di Trump sulla guerra in Ucraina su Contropiano.
Un paese da spolpare. Così la Troika ha messo le mani sul futuro di Kiev /1
La grande privatizzazione è appena iniziata. L’Ucraina indebitata non ha altra scelta che rispettare le condizioni dei suoi prestatori, abilmente travestiti da alleati disinteressati. Unione Europea e Fondo monetario internazionale stanno disegnando il futuro del Paese, sconvolto da tre anni di guerra, con un debito pubblico raddoppiato, 7 milioni di emigrati, […] L'articolo Un paese da spolpare. Così la Troika ha messo le mani sul futuro di Kiev /1 su Contropiano.