Disabilità e povertà: il welfare ignora i bisogni reali
In Italia povertà e disabilità si intrecciano in modo sistemico e drammatico,
alimentandosi reciprocamente. Un circolo vizioso che colpisce centinaia di
migliaia di famiglie, costrette a vivere condizioni di grave deprivazione
economica, isolamento sociale e mancanza di risposte adeguate.
Per la prima volta, una ricerca nazionale realizzata da CBM Italia ETS insieme
alla Fondazione Emanuela Zancan scatta una fotografia nitida – e impietosa – di
questo fenomeno.
La ricerca “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane”, rappresenta un punto
di svolta. Ha coinvolto quasi 300 persone con disabilità e i loro nuclei
familiari, distribuiti nelle regioni del Nord, Centro e Mezzogiorno. L’indagine,
attraverso un approccio quantitativo e qualitativo, ha ricostruito condizioni
economiche, relazionali, abitative, educative e sanitarie. Un lavoro che ha dato
voce a chi, troppo spesso, resta fuori dal dibattito pubblico e fuori dalle
statistiche.
Povertà: la condizione normale delle famiglie con disabilità
I dati parlano chiaro: il 73% delle persone con disabilità vive in famiglie che
fanno fatica ad arrivare a fine mese. Questa percentuale sale al 76,4% se si
considera solo chi ha limitazioni gravi. La povertà, però, non è solo reddito. È
mancanza di servizi, salute, relazioni, opportunità. Ed è così che va letta la
disuguaglianza strutturale che colpisce chi vive la disabilità.
Tra i dati più allarmanti:
Il 62% non può affrontare una spesa imprevista di 500 euro.
Due su tre non possono permettersi una settimana di vacanza all’anno.
Quasi uno su tre ha rinunciato a spese mediche per motivi economici.
Il 55% delle famiglie vive senza alcun supporto da parte delle istituzioni.
Ma c’è di più. L’isolamento relazionale e istituzionale è la cifra dominante di
queste famiglie. Oltre il 70% dichiara di non avere reti amicali di supporto, e
la metà non partecipa ad alcuna forma di associazionismo.
Un welfare cieco, rigido e standardizzato
Il rapporto smaschera una gestione rigida e burocratica della disabilità, basata
su procedure standardizzate che ignorano la pluralità dei bisogni. Le famiglie
non chiedono elemosina, ma servizi umani e personalizzati. Nove su dieci
dichiarano che ciò che serve davvero non sono i contributi economici una tantum,
ma una presa in carico globale, che guardi alla persona nel suo contesto di
vita.
L’attuale modello di welfare italiano – troppo spesso centrato su prestazioni
economiche passive – si rivela incapace di affrontare il disagio
multidimensionale che colpisce queste famiglie. Serve un cambio di paradigma:
meno modulistica, più relazioni.
Capacità nascoste: chi è fragile, spesso sostiene gli altri
Nonostante le difficoltà, il 34% delle persone con disabilità coinvolte nello
studio offre aiuto alla propria rete informale, sotto forma di supporto morale o
compagnia. Questo dato rompe un altro stereotipo tossico: le persone con
disabilità non sono solo portatrici di bisogni, ma anche risorse relazionali e
sociali.
Eppure, anche qui, le opportunità mancano: solo una persona su cinque ha accesso
a percorsi di formazione e inserimento lavorativo. Il carico di cura – spesso in
capo ai genitori – limita le possibilità occupazionali e acuisce le
vulnerabilità economiche. Le famiglie chiedono politiche per conciliare lavoro e
cura, servizi diurni e sostegno al “dopo di noi”.
Il nodo politico: se non esisti nelle statistiche, non esisti nelle politiche
La ricerca evidenzia una lacuna gravissima: in Italia non esiste una rilevazione
sistematica che colleghi disabilità e povertà. Il dato è spezzettato, non
integrato, poco utilizzabile per politiche pubbliche mirate.
Questa assenza di numeri non è neutra: rende invisibili bisogni reali, impedisce
una pianificazione efficace e alimenta l’inerzia politica.
Secondo i dati Eurostat 2022, il 32,5% delle persone con disabilità gravi in
Italia è a rischio povertà, contro il 23,8% della popolazione generale. Eppure,
a livello nazionale, non esistono piani organici che affrontino la questione in
modo strutturale, se non nella frammentazione di progetti locali.
Le quattro strade per uscire dall’emergenza
Il rapporto CBM-Zancan non si limita alla denuncia. Indica quattro direzioni
concrete per cambiare rotta:
Abbattere i muri dell’isolamento: serve un welfare che parli, ascolti, raggiunga
le persone.
Investire in servizi umanizzati, capaci di leggere la persona e il contesto, non
solo l’incartamento medico.
Riconoscere e valorizzare le capacità delle persone con disabilità, anche nel
lavoro e nella formazione.
Promuovere opportunità inclusive, con progettualità che accompagnino il “durante
e dopo di noi”.
Conclusione: il tempo della carità è finito, è l’ora dei diritti
Il diritto all’abitare, alla salute, al lavoro, alla relazione: non si tratta di
concessioni, ma di diritti costituzionali.
Questo rapporto lo dimostra in modo inequivocabile: non è più accettabile che le
famiglie con disabilità siano abbandonate, invisibili, lasciate a cavarsela.
Se lo Stato non cambia approccio, non è solo inefficiente: è complice della
disuguaglianza.
Abbattere i muri, investire nei servizi, riconoscere le persone con disabilità
come soggetti attivi: è una questione di giustizia, non di assistenza.
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Redazione Italia