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Finta tregua e occupazione reale
Bombardamenti e demolizioni di case in tutta la Striscia. Israele prosegue il suo piano per la deportazione strisciante e graduale, rendendo il territorio inabitabile. Ieri sono state compiute 27 violazioni del cessate-il-fuoco. 24 civili uccisi e 87 feriti, portando il numero delle persone assassinate dalla data di firma della finta tregua a 342. Le truppe israeliane proseguono le demolizioni sistematiche e ricorrenti di case ancora in piedi, anche se diroccate da precedenti bombardamenti.  L’obiettivo è di rendere la Striscia inabitabile. È un’altra forma di aggressione militare e una violazione della finta tregua. Le demolizioni hanno interessato zone ad ovest della linea gialla, costringendo migliaia di famiglie ad un ennesimo sfollamento. La popolazione è costretta a vivere ammassata in condizioni estreme, in zone senza servizi, senza acqua e con migliaia di tonnellate di detriti attorno. L’arrivo dell’inverno inasprisce le condizioni di vita, in assenza di case o tende. “Il divieto all’ingresso di macchinari per movimento terra è una politica programmata per la deportazione”, ha affermato un ufficiale della protezione civile. In Cisgiordania intanto gli occupanti israeliani hanno confiscato ieri 1042 donum nella valle del Giordano, per la costruzione di strade di collegamento segregazioniste, per soli ebrei, tra le colonie ebraiche illegali. Un duplice danno per la popolazione nativa: toglie terre agricole ai villaggi palestinesi e rende molto più difficile il movimento alla popolazione assediata. Non si contano le invasioni militari nelle città e villaggi palestinesi. Un ragazzo ferito gravemente a el-Ram, a nord di Gerusalemme. La città maggiormente presa di mira ieri è stata Nablus, con l’ingresso nel centro commerciale cittadino di carri armati e mezzi cingolati di trasporto truppe. Una dimostrazione di forza punitiva ed inutile, che mirava soltanto alla distruzione del manto stradale. 22 novembre “Giornata nazionale di digiuno x Gaza” Si è svolto ieri, sabato 22 novembre, il digiuno per Gaza nella forma di un impegno nazionale. Più di trenta associazioni hanno aderito e si sono mobilitate con iniziativa pubbliche in solidarietà con la popolazione di Gaza e con il diritto del popolo palestinese alla libertà ed autodeterminazione. Molti media e social ne hanno parlato. Il digiuno a staffetta prosegue fino alla conclusione vera dell’aggressione militare. Per non voltare la faccia dall’altra parte. Per far sentire ai bambini palestinesi che siamo al loro fianco. “Oltre il digiuno, Gaza nel cuore”. Si propone di devolvere il costo di un pasto a favore di una raccolta fondi per la Palestina. Il link: https://gofund.me/4c0d34e2c Nel pomeriggio, dalle 17:00 alle 20:30 si è tenuto un incontro online, con la partecipazione di tre esponenti palestinesi: da Ramallah, Magida Al-Masri, del Consiglio Centrale palestinese, esponente del Hirak  Shaabi (Mobilitazione popolare) che aveva indetto lo scorso settembre lo sciopero della fame mondiale in occasione dell’assemblea  generale ONU dedicata alla Palestina. Al Masri è vice segretaria generale dell’FDLP. Un altro intervento apprezzato è stato quello di Asmaa Khaked Al-Hasanat, direttrice di Al-Najdah (soccorso sociale). Il libraio di Gerusalemme, Ahmad Muna, ha quindi descritto la discriminazione che subisce la cultura palestinese per mano del regime israeliano che occupa la città. Devastazione nella libreria, sequestro di libri, arresti con accuse assurde e poi dover pagare per il rilascio, malgrado non ci fossero né imputazioni né condanne. È stato deciso di dedicare la giornata alla figura del Mandela palestinese, Marwan Barghouti, da 23 anni in carcere in Israele.  Incontro per la Giornata Nazionale del Digiuno per Gaza – YouTube Libertà per Marwan Barghouti Il giorno 24 si terrà la seconda riunione organizzativa per avviare la campagna italiana in favore della liberazione dei prigionieri politici palestinesi e in particolare mettere fine alle torture e ai maltrattamenti. Al centro di tale campagna vi è l’obiettivo di salvare il Mandela palestinese, Marwan Barghouti, da 23 anni in carcere. Di seguito l’Appello: Campagna internazionale per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi – Anbamed Libia Blogger assassinata a Tripoli. Un crimine contro una donna moderna e indipendente in pieno giorno, nella capitale Tripoli. Khansaa Al-Mujahid, 34 anni, è blogger molto apprezzata. Non per il suo impegno politico o sociale è stata uccisa, ma molto probabilmente per il fatto di essere la moglie di un politico di Zawia, Muadh al-Manfukh. La donna è stata inseguita mentre era nella sua auto da diverse altre macchine guidate da uomini armati; poi, quando è scesa per tentare la fuga a piedi, è stata raggiunta e crivellata di pallottole. La zona dove è stata assassinata ricade sotto il controllo di una milizia guidata dal fratello del ministro dell’interno. Blogger libica assassinata a Tripoli – Anbamed     ANBAMED
Un governo di contafrottole
Che i governanti di tutto il mondo, nessuno escluso, amino “abbellire” i risultati della propria azione, è indubbio. Il problema è “quanto” quei risultati siano distanti dalla “narrazione”, e soprattutto quanto questa distanza può essere misurata dagli elettori. In poche ore il governo Meloni ha preso due “musate” di rara […] L'articolo Un governo di contafrottole su Contropiano.
Almasri arrestato in Libia. Una serie di responsabilità politiche da ricostruire
Il generale libico Osama Almasri, a capo della milizia denominata Rada, è stato infine arrestato il 5 novembre dalle autorità libiche, con l’accusa di tortura verso dieci migranti detenuti in un lager (perché di questo si tratta) sotto il suo comando, e dell’omicidio di uno di essi. Il militare era […] L'articolo Almasri arrestato in Libia. Una serie di responsabilità politiche da ricostruire su Contropiano.
Libia: MSF ha ricevuto l’ordine di lasciare il Paese entro il 9 novembre
Medici Senza Frontiere (MSF) annuncia di aver ricevuto una lettera dal Ministero degli Affari Esteri della Libia in cui viene ordinato all’organizzazione medico-umanitaria di lasciare il Paese entro il 9 novembre. Il 27 marzo 2025 MSF aveva ricevuto l’ordine di sospendere le attività in Libia dopo la chiusura imposta dall’Agenzia per la sicurezza interna (ISA) e l’interrogatorio di diversi membri del suo staff. Questa ondata di repressione ha colpito anche altre 9 organizzazioni umanitarie che operano nella parte occidentale del Paese. Da allora, MSF ha ripetutamente espresso il desiderio di poter tornare a fornire assistenza medica in Libia e ha continuato a dialogare con le autorità. “Siamo profondamente rammaricati per questa decisione e preoccupati per le conseguenze che avrà sulla salute delle persone che assistiamo” spiega Steve Purbrick, responsabile dei programmi di MSF in Libia. “Riteniamo di avere ancora un ruolo importante da svolgere in Libia, in particolare nella diagnosi e nel trattamento della tubercolosi, nel supporto al sistema sanitario libico, ma anche nel garantire l’accesso all’assistenza sanitaria ai rifugiati e alle persone migranti che sono escluse dalle cure e soggette a detenzioni arbitrarie e gravi violenze”.  In un contesto caratterizzato da crescenti ostruzioni alle attività delle ONG, da drastici tagli ai finanziamenti internazionali e dal rafforzamento delle politiche europee di collaborazione con le autorità libiche in materia di controllo delle frontiere, attualmente non vi sono ONG internazionali che forniscono assistenza medica ai rifugiati e ai migranti nella Libia occidentale. “Non è stata fornita alcuna motivazione per giustificare la nostra espulsione e il processo rimane poco chiaro. La registrazione di MSF presso le autorità competenti in Libia è ancora valida; speriamo, quindi, ancora di poter trovare una soluzione positiva a questa situazione” conclude Purbrick di MSF. In collaborazione con le autorità sanitarie libiche, MSF ha effettuato oltre 15.000 visite mediche nel 2024, 3.000 sessioni di salute mentale individuali e 2.000 visite per la tubercolosi. MSF si è occupata di identificare e accompagnare alcuni di questi pazienti non libici e particolarmente vulnerabili e di evacuarli attraverso un corridoio umanitario verso l’Italia. Dal 2024, 76 ex pazienti hanno beneficiato di questo programma e altri 63 avrebbero dovuto seguirli entro la fine dell’anno. Nel 2023, MSF ha anche fornito assistenza medica di emergenza in seguito alle inondazioni a Derna.     Medecins sans Frontieres
La delicata fase delle frontiere UE, usata per accusare la Russia di ‘guerra ibrida’
In questi giorni ci sono stati alcuni eventi che hanno evidentemente irrigidito ulteriormente il quadro che, per ciò che riguarda la gestione delle frontiere europee, è stato denunciato da più parti e più volte: la UE è una gabbia che ha ‘esternalizzato’ a governi dal pugno di ferro, a milizie […] L'articolo La delicata fase delle frontiere UE, usata per accusare la Russia di ‘guerra ibrida’ su Contropiano.
Il Tribunale di Trapani ci dà ragione: sospesa la detenzione di Mediterranea
Il Ministro dell’Interno Piantedosi aveva voluto costruire una pesante speculazione politica sul nostro caso, ma questa volta il diritto è più forte della propaganda. Il Tribunale di Trapani si è pronunciato in merito al ricorso presentato dal Comandante e dall’Armatore della nave MEDITERRANEA contro le pesanti sanzioni – 60 giorni di fermo amministrativo e 10mila euro di multa – comminate dal Ministero dell’Interno dopo la scelta dello scorso 23 agosto di rifiutare il lontano porto di Genova e fare invece rotta su quello di Trapani, per poter sbarcare le 10 persone soccorse al largo della Libia nel drammatico caso del 21 agosto. L’esito dell’udienza è clamoroso: la giudice Federica Emanuela Lipari ha accolto il ricorso cautelare e ha deciso la sospensione della detenzione della nave. Il Tribunale di Trapani, in attesa di pronunciarsi sul merito complessivo della vicenda, intanto “censura l’illegittimità del provvedimento [del Ministero dell’Interno] sotto il profilo della quantificazione della sanzione.” E – dando ragione alle argomentazioni presentate dalle nostre avvocate Cristina Laura Cecchini e Lucia Gennari – insiste sul fatto che il Viminale ha ignorato tutte le richieste “sempre motivate in ragione delle circostanze concrete” con cui dalla nave chiedevamo una “riassegnazione del porto sicuro di sbarco. Ma ancora più chiaro è il pronunciamento sulla legittimità delle nostre scelte: MEDITERRANEA ha fatto rotta su Trapani “a tutela delle persone tratte in salvo” … “tenuto conto delle loro condizioni di vulnerabilità e di fragilità, sia sul piano fisico che psicologico.” In sostanza la “trasgressione delle indicazioni delle autorità” è mossa da “esclusivo spirito solidaristico, a tutela dei soggetti fragili che si trovavano a bordo dell’imbarcazione” e quindi finalizzata “a salvaguardare gli obiettivi di tutela della vita e della salute in mare” di cui gli Stati dovrebbero essere portatori sulla base delle diritto internazionale che regola la materia. Infine il Tribunale afferma che la nave deve essere liberata al più presto perché altrimenti si pregiudicano gli “obiettivi umanitari e solidaristici”, ritenuti “particolarmente meritevoli di tutela poiché finalizzati alla salvaguardia della vita umana”, perseguiti da MEDITERRANEA. Il Ministro dell’Interno Piantedosi aveva voluto costruire una pesante speculazione politica sul nostro caso, voleva una punizione esemplare per colpire la nostra nave, il soccorso civile e la solidarietà in mare, rivendicando apertamente un atteggiamento gravemente lesivo dei diritti fondamentali delle persone salvate. Ma questa volta il diritto è più forte della propaganda governativa e di ordini e provvedimenti ingiusti e illegittimi. La vita e la salute delle persone vengono per prime e l’imposizione di un “porto lontano” si rivela per quello che è: una inutile e illegale crudeltà, oggi sconfitta. MEDITERRANEA tornerà presto in missione in mare, a fare invece quello che è giusto fare: soccorrere.   Mediterranea Saving Humans
Voluntary Humanitarian Refusal: la campagna di denuncia dei falsi rimpatri volontari dai paesi di transito
In vista della discussione sulla Legge di Bilancio e del rinnovo automatico del “Memorandum Italia-Libia”, in scadenza a febbraio 2026 ma la cui decisione per i successivi tre anni di estensione sarà presa già a partire da novembre di quest’anno, le organizzazioni promotrici della campagna “Voluntary Humanitarian Refusal – Una scelta che non puoi rifiutare” ovvero ActionAid, A Buon Diritto, ASGI, Differenza Donna, Le Carbet, Refugees in Libya, Lucha y Siesta e Spazi Circolari, hanno presentato i primi risultati nel corso di conferenza stampa alla Camera dei Deputati. Nel corso della presentazione della campagna a Milano lo scorso 24 maggio nel contesto degli Stati Generali sulla Detenzione Amministrativa, Maria Adelaide Massimi in rappresentanza dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) aveva evidenziato come il concetto stesso di “volontarietà” venga stravolto di fatto nella pratica ed esposto l’obiettivo dell’azione ovvero una chiara denuncia delle gravi criticità e dell’uso strumentale dei cosiddetti rimpatri volontari assistiti (RVA o Voluntary Humanitarian Return – VHR) dai paesi di transito, in particolare la Libia e la Tunisia, chiedendo al tempo stesso un cambiamento radicale nelle politiche migratorie europee. Le testimonianze sono inequivocabili: quando la scelta avviene all’interno dei centri di detenzione, sotto minaccia di espulsione o in contesti di violenza e violazione sistematica dei diritti fondamentali, non c’è di fatto nulla di ‘volontario’ e si tratta di ‘espulsioni camuffate’ come illustrano i promotori della campagna, il cui manifesto è stato firmato da 64 associazioni e 320 persone in pochi mesi. «Non è un caso – ha spiegato Massimi – che l’esistenza di alternative al rimpatrio non sia nemmeno contemplata nella definizione ufficiale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che è di fatto l’unico ente a implementare questi programmi». Eppure, ha sottolineato Massimi, «secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e il Relatore Speciale ONU per i diritti dei migranti, la presenza o meno di alternative è determinante nel qualificare un rimpatrio come effettivamente volontario». Nel 2018, durante una visita in Niger, il Relatore Speciale ha chiarito che nella maggior parte dei casi i rimpatri volontari non rispettano i criteri di reale volontarietà: le persone migranti si trovano di fronte a scelte obbligate, spesso tra la detenzione, lo sfruttamento o il ritorno in paesi dai quali erano fuggite. La volontarietà e la legalità dei rimpatri effettuati nell’ambito del quadro RVA, in particolare per le persone vulnerabili, tra cui donne, bambini, vittime della tratta e persone con esigenze mediche, continuano a destare preoccupazione a tutti i livelli. Le criticità di questo meccanismo sono, infatti, ben note alle persone che vivono le rotte migratorie, così come ad accademici e organizzazioni impegnate nel settore. Tuttavia, nell’opinione pubblica prevale ancora una narrazione “umanitaria” del rimpatrio volontario, visto come una forma di supporto a chi si trova in situazioni insostenibili nei paesi di transito. In realtà, è proprio questa rappresentazione a nascondere il nodo centrale: le condizioni di insostenibilità nei paesi di transito non sono accidentali, bensì il prodotto diretto delle politiche europee di esternalizzazione. «Bisogna allargare lo sguardo – ha affermato Massimi – e interrogarsi sulla responsabilità dell’Unione europea nella creazione di queste situazioni. I finanziamenti e i mezzi forniti alla Guardia costiera libica o alla Garde nationale tunisina parallelamente ai sistemi di controllo della mobilità nei paesi di transito sono strumenti che, di fatto, bloccano le partenze e contribuiscono a creare scenari di violenza strutturale». In questo contesto, il ricorso massiccio ai rimpatri “volontari” allontana il problema dalle frontiere europee, lasciando le persone migranti sprofondare nuovamente nei sistemi oppressivi dai quali erano fuggite, spesso aggravando la situazione con lo stigma del ritorno e del fallimento. Particolarmente drammatica la situazione delle persone vittime di tratta: bloccate in Libia, impossibilitate a proseguire il viaggio, finiscono per essere ricondotte nei paesi d’origine – dove le attende, molto spesso, una nuova spirale di sfruttamento e violenza, senza reali prospettive di pianificazione futura né tantomeno di salvezza. L’ASGI, con altre organizzazioni ed esperti giuridici in tutta Europa, da molto tempo è impegnata in contenziosi presso i Tribunali Amministrativi per sottoporre a giudizio la legittimità dei finanziamenti ai programmi di rimpatrio dalla Libia e dalla Tunisia. «L’esito non è ancora favorevole – ha specificato Massimi – ma quel che è emerso con chiarezza è la profonda mancanza di consapevolezza pubblica sulle implicazioni di questi meccanismi». Proprio per queste ragioni la campagna “Voluntary Humanitarian Refusal” ha un duplice obiettivo: aprire un dibattito pubblico sulle responsabilità europee nella produzione di condizioni inumane nei paesi di transito e rilanciare l’urgenza di alternative politiche. «L’alternativa – ha concluso Massimi – esiste sempre: è una scelta politica. Occorre prima di tutto liberarsi dalla retorica dell’aiuto umanitario che, di fatto, legittima l’inazione e normalizza la violenza strutturale. Dopodiché la nostra richiesta riguarda anche l’attivazione di politiche di protezione verso le persone bloccate nei paesi di transito e la sospensione di ogni forma di cooperazione con questi paesi finalizzata al blocco della mobilità». Anna Lodeserto
Humanity 2, una nuova barca a vela per la ricerca e soccorso nel Mediterraneo
Con la barca a vela Humanity 2, l’organizzazione di ricerca e soccorso SOS Humanity, attiva da dieci anni, sta portando una seconda nave di soccorso nel Mediterraneo centrale. La barca a vela, lunga circa 24 metri, è attualmente in fase di acquisto da parte di SOS Humanity e sarà poi convertita. A partire dalla metà del 2026, la Humanity 2 colmerà un gap letale al largo delle coste tunisine come nave di soccorso e di monitoraggio. “Le rotte migratorie nel Mediterraneo stanno diventando sempre più pericolose perché l’UE paga i Paesi terzi per intercettare i rifugiati. Invece di salvare vite umane, l’Europa si sta isolando a tutti i costi e rendendo il Mediterraneo ancora più letale”, afferma Till Rummenhohl, amministratore delegato di SOS Humanity. “Nella zona marittima al largo della Tunisia si è creato un vuoto di operazioni di soccorso che mette a rischio la vita delle persone ed è caratterizzato da violazioni sistematiche dei diritti umani da parte della Guardia Costiera tunisina. Le imbarcazioni scompaiono senza lasciare traccia perché la Tunisia impedisce la ricognizione aerea e il Centro di coordinamento dei soccorsi tunisino non coordina adeguatamente i soccorsi. Le persone fuggono su imbarcazioni metalliche altamente pericolose che affondano rapidamente. Questa drammatica realtà ci spinge ad agire. Con la barca a vela Humanity 2 salveremo vite umane e documenteremo le violazioni dei diritti umani al largo della Tunisia, dove l’Europa sta fallendo. La nostra barca a vela è perfettamente complementare alla Humanity 1, che opera al largo della Libia. In questo modo saremo in grado di soccorrere più persone in pericolo in mare e aumentare la pressione sui responsabili”. Il veliero è attualmente ancora ormeggiato in un porto sulla costa francese, ma sarà trasferito in Sicilia nel mese di novembre e dovrebbe essere sottoposto a lavori di conversione presso il cantiere navale a partire da dicembre. SOS Humanity sta ora raccogliendo donazioni per finanziare il progetto. “Soprattutto ora che il nuovo governo federale tedesco ha tagliato tutti i finanziamenti statali, abbiamo più che mai bisogno del sostegno della società civile”, sottolinea Till Rummenhohl. “Siamo fermamente convinti che la maggioranza dei cittadini europei non voglia semplicemente lasciare annegare chi cerca protezione nel Mediterraneo. La società civile ci ha permesso di salvare oltre 39.000 persone in dieci anni e continuerà a sostenere il nostro lavoro di soccorso”. Questa solidarietà e umanità in azione dovrebbero servire da esempio ai politici. Dal 2015, l’UE e i suoi Stati membri non sono riusciti a istituire un programma europeo di ricerca e soccorso per porre fine alle morti nel Mediterraneo. Al contrario, sono complici di violazioni dei diritti umani e ostacolano deliberatamente il lavoro delle organizzazioni di soccorso in mare. Ma non ci faremo intimidire; continueremo con una seconda nave!”. Redazione Italia
La Life Support soccorre 31 persone nelle acque internazionali della zona SAR libica
La Life Support, la nave Search and Rescue (Sar) di EMERGENCY, alle 9.15 di mercoledì 6 agosto ha concluso il soccorso di un’imbarcazione in difficoltà nelle acque internazionali della zona SAR libica, portando in salvo 31 persone, tra cui cinque donne di cui una incinta e undici minori non accompagnati. Il mezzo in pericolo, un piccolo gommone grigio inadatto ad affrontare la traversata del Mediterraneo, è stato avvistato direttamente dal ponte di comando della Life Support. “Quando i nostri mezzi di soccorso hanno approcciato il gommone in pericolo abbiamo visto che nessuna delle persone a bordo indossava giubbotti salvagente. La barca era sovraffollata e c’era un forte odore di benzina – dichiara Jonathan Nanì La Terra, capomissione della Life Support – Abbiamo quindi stabilizzato le persone distribuendo giubbotti salvagente per poi trasferire i naufraghi sui nostri mezzi di soccorso e successivamente sulla Life Support. Al momento il nostro team si sta prendendo cura di loro a bordo.” Le 31 persone soccorse riferiscono di essere partite da Sabratha, in Libia, alle 23 di ieri sera. Provengono da Burkina Faso, Camerun, Gambia, Ghana, Guinea, Costa d’Avorio, Mali, Nigeria, Senegal e Somalia. “In questo momento stiamo visitando le persone che richiedono assistenza. Le condizioni sono in generale buone, anche se molte di loro stanno soffrendo a causa del mal di mare – dichiara Marzia Gentile, Medical Team Leader a bordo -. Tra di loro inoltre c’è una donna incinta.” Dopo aver completato il soccorso e aver informato le autorità competenti alla Life Support di EMERGENCY è stato assegnato il Pos di Savona a circa 675 miglia nautiche di distanza dal luogo del soccorso. EMERGENCY ribadisce che costringere i naufraghi ad ulteriori giorni di navigazione prima di poter sbarcare in un porto sicuro significa aumentarne le sofferenze, posticipare il loro accesso alla rete dei servizi sociosanitari e la loro richiesta di asilo. Tutte le persone soccorse in mare, in quanto naufraghe e considerate le loro difficili esperienze pregresse, sono vulnerabili e per questo dovrebbero essere sbarcate in luogo sicuro nel minor tempo possibile. La Life Support con un equipaggio composto da 29 persone tra cui marittimi, medici, infermieri, mediatori e soccorritori, sta compiendo la sua 35/a missione nel Mediterraneo centrale, operando in questa regione dal dicembre 2022. Durante questo periodo, la nave ha soccorso un totale di 2.885 persone.     Emergency
L’ultima supercazzola del governo sul caso Almasri
L’ambasciatore italiano nei Paesi Bassi, Augusto Massari, ha consegnato una memoria integrativa di una quindicina di pagine alla Corte Penale Internazionale, per cercare di evitare il deferimento dell’Italia a causa delle inadempienze sul caso Almasri. E anche per evitare a Nordio di doversi mostrare come inadeguato, o come connivente coi […] L'articolo L’ultima supercazzola del governo sul caso Almasri su Contropiano.