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L’ultima supercazzola del governo sul caso Almasri
L’ambasciatore italiano nei Paesi Bassi, Augusto Massari, ha consegnato una memoria integrativa di una quindicina di pagine alla Corte Penale Internazionale, per cercare di evitare il deferimento dell’Italia a causa delle inadempienze sul caso Almasri. E anche per evitare a Nordio di doversi mostrare come inadeguato, o come connivente coi […] L'articolo L’ultima supercazzola del governo sul caso Almasri su Contropiano.
La Life Support salva 71 naufraghi in due operazioni di soccorso
La Life Support, la nave search and rescue (Sar) di EMERGENCY, ieri alle 19.20 ha concluso un secondo soccorso di un’imbarcazione in difficoltà nelle acque internazionali della zona SAR libica, portando in salvo altre 21 persone. Naufraghi che si sono aggiunti alle 50 persone soccorse sempre ieri, ma in mattinata. Complessivamente sono ora al sicuro a bordo della nave di EMERGENCY 71 persone.  Il secondo caso di mezzo in pericolo, una piccola barca in vetroresina inadatta ad affrontare la traversata del Mediterraneo, è stato avvistato direttamente dal ponte di comando della Life Support, poco prima delle 19. “Ieri sera mentre ci apprestavamo a raggiungere la posizione di un secondo caso di barca in difficoltà, abbiamo visto due mezzi che si avvicinavano alla nostra nave e ci siamo resi conto che uno dei due era sovraccarico di persone senza giubbotto salvagente e che chiedevano aiuto – spiega Jonathan Naní La Terra, Capomissione della Life Support di EMERGENCY. “Abbiamo quindi messo in acqua un mezzo di soccorso e ci siamo avvicinati al barchino. Il nostro team ha effettuato una prima valutazione del caso e distribuito i salvagente, successivamente ha trasferito le persone a bordo del nostro mezzo e poi al sicuro sulla Life Support. Ora stiamo navigando verso Ancona, il Pos (Place of safety) che ci è stato assegnato dalle autorità italiane, dove arriveremo il 26 luglio alle 13 circa.” Le 21 persone soccorse con l’intervento di ieri sera, tutti uomini tra cui 4 minori non accompagnati, provengono da Egitto, Bangladesh, Eritrea, Somalia e Myanmar. Tre persone che erano a bordo dell’imbarcazione in difficoltà hanno rifiutato il soccorso e, finito l’intervento della Life Support, si sono allontanate insieme all’altro mezzo che si era avvicinato senza interferire con le operazioni. Tra i 71 naufraghi a bordo della nave di EMERGENCY ci sono 2 donne, una delle quali incinta al nono mese, e 15 ragazzi minori non accompagnati. “Abbiamo attualmente a bordo 71 persone, tra loro ci sono anche minori non accompagnati e una donna alla 36esima settimana di gravidanza; tutti sono molto provati dal viaggio, ma fortunatamente al momento nessuno presenta criticità cliniche” dichiara Serena Buzzetti, Medical team leader della Life Support di EMERGENCY.  Dopo aver completato il soccorso e aver informato le autorità competenti alla Life Support di EMERGENCY è stato confermato il Pos di Ancona, a oltre 800 miglia di distanza dalla zona operativa. EMERGENCY ribadisce che costringere i naufraghi ad ulteriori giorni di navigazione prima di poter sbarcare in un porto sicuro significa aumentarne le sofferenze, posticipare il loro accesso alla rete dei servizi socio-sanitari e la loro richiesta di asilo. Tutte le persone soccorse in mare, in quanto naufraghe e considerate le loro difficili esperienze pregresse, sono vulnerabili e per questo dovrebbero essere sbarcate in luogo sicuro nel minor tempo possibile. La Life Support, con un equipaggio composto da marittimi, medici, infermieri, mediatori e soccorritori, sta compiendo la sua 34/a missione nel Mediterraneo centrale, operando in questa regione dal dicembre 2022. Durante questo periodo, la nave ha soccorso un totale di 2.854 persone.        Emergency
Nordio sapeva tutto per tempo sul caso Almasri
Il ministero della Giustizia era stato informato per tempo di un atto urgente da firmare per evitare l’inefficacia dell’arresto di Osama Almasri, criminale libico ricercato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità come carceriere di migranti. Ora la situazione del governo si complica. Con la fine delle indagini […] L'articolo Nordio sapeva tutto per tempo sul caso Almasri su Contropiano.
Espulsa delegazione della Ue dalla Libia dell’est
Ieri una delegazione della Ue, della quale faceva parte anche il ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, era arrivata in Libia all’aeroporto di Benina, in Cirenaica, ma il governo parallelo di Bengasi ha annullato la visita in programma denunciando “violazioni delle norme dello Stato libico”. La visita dei ministri dell’Interno di […] L'articolo Espulsa delegazione della Ue dalla Libia dell’est su Contropiano.
Ustica 45 anni dopo, il rischio archiviazione e le “reticenze e menzogne” di Francia e Usa
L'accusa di un avvocato di parte civile alla commemorazione ieri in Comune. L'associazione dei familiari delle vittime sottolinea che grazie alle ultime indagini "sappiamo molto di più": il Dc9 "fu abbattuto in un episodio di guerra aerea" e non c'è più spazio per tesi mai dimostrate come il cedimento o la bomba a bordo.
SOS Humanity condanna la fine dei finanziamenti alle ONG di ricerca e soccorso da parte del governo federale tedesco
Il direttore generale di SOS Humanity, Till Rummenhohl, commenta l’interruzione del sostegno finanziario per la ricerca e il salvataggio civile da parte del Ministero degli Esteri tedesco e il riutilizzo da parte dei media di una falsa affermazione fatta dal Ministro degli Esteri Johann Wadephul nel 2023, in cui accusa le organizzazioni non governative di ricerca e salvataggio di permettere alle “bande di contrabbandieri di fare i loro affari”: “È allarmante e pericoloso quando le false affermazioni di politici tedeschi di primo piano, come l’attuale Ministro degli Esteri Johann Wadephul, diffamano senza fondamento il lavoro di salvataggio delle organizzazioni della società civile. È stato più volte dimostrato scientificamente che non c’è alcun legame tra i movimenti dei rifugiati e la presenza di navi di soccorso nel Mediterraneo. Le persone scappano attraverso il Mediterraneo centrale perché non hanno alternative per sfuggire alla guerra, alla violenza, alla discriminazione, alla mancanza di prospettive e ai cambiamenti climatici nei loro Paesi d’origine, nonché alle violazioni dei diritti umani e alle torture in Libia o in Tunisia. Il cosiddetto “fattore di attrazione” è un mito. L’affermazione di Johann Wadephul del 2023, secondo cui le organizzazioni di soccorso permettono alle “bande di trafficanti di fare i loro affari”, è fondamentalmente sbagliata. Forniamo aiuti umanitari di emergenza in base al diritto internazionale e salviamo vite umane laddove gli Stati europei non riescono ad agire. Lo sfruttamento e la violenza sono piuttosto la conseguenza della mancanza di percorsi migratori legali e sicuri verso l’Europa. Tali affermazioni diffamano – contro ogni evidenza – gli aiuti umanitari e la società civile, che da dieci anni è impegnata nella ricerca e nel salvataggio e nei diritti umani in mare. Soprattutto ora, in tempi di continuo rafforzamento dell’estremismo di destra in Europa e in Germania, abbiamo bisogno di una politica migratoria basata sui fatti e di una retorica da parte di tutti i partiti democratici che non sia basata su narrazioni di estrema destra e non promuova travisamenti ed emotività”. Informazioni sull’interruzione del sostegno finanziario da parte del Ministero degli Esteri federale  “Come SOS Humanity, non siamo sorpresi, ma indignati per il fatto che questo già modesto sostegno di 2 milioni di euro all’anno per le organizzazioni di ricerca e soccorso sia stato prematuramente cancellato dal nuovo governo federale tedesco”, afferma Till Rummenhohl, direttore generale di SOS Humanity. “In questo modo, il governo tedesco ignora una decisione del Parlamento federale tedesco del 2022,  concordata per quattro anni fino al 2026. Questo si inserisce nella tendenza europea di lasciare alla società civile il compito di salvare vite in mare e di proteggere i diritti dei rifugiati nel Mediterraneo centrale. Da dieci anni a questa parte, le organizzazioni non governative hanno colmato il vuoto di salvataggio lasciato dagli Stati europei. Più di 175.000 vite sono state salvate grazie agli impressionanti sforzi della società civile europea, con 21 ONG di soccorso che operano nel Mediterraneo centrale, 10 delle quali provengono dalla Germania. Tuttavia, nello stesso periodo, più di 21.700 vite sono state perse su questa rotta migratoria mortale. Siamo testimoni del fatto che le persone in movimento vengono continuamente lasciate morire. L’UE ha finanziato le sue politiche a porte chiuse spendendo 242 milioni di euro in dieci anni per le cosiddette Guardie Costiere libiche e tunisine e per i Centri di Coordinamento dei soccorsi, che sistematicamente conducono respingimenti illegali e commettono violazioni dei diritti umani. È assurdo che si spendano così tanti soldi per sigillare l’Europa, mentre i fondi per il salvataggio degli esseri umani sono apparentemente ancora troppo pochi. Ora servono un programma europeo di ricerca e salvataggio e percorsi migratori sicuri e legali per le persone in cerca di protezione”. Redazione Italia
Rapporto di Medici Senza Frontiere denuncia violenze e blocchi all’azione salvavita nel Mediterraneo
La rimozione orchestrata delle navi di ricerca e soccorso, come la Geo Barents, dal Mediterraneo centrale toglie un’ancora di salvezza per i sopravvissuti in fuga dalle orrende violenze in Libia. È la denuncia di Medici Senza Frontiere (MSF) pubblicata oggi nel rapporto “Manovre mortali: ostruzionismo e violenza nel Mediterraneo Centrale”, che contiene dati operativi e medici, oltre a testimonianze di sopravvissuti raccolte a bordo della Geo Barents tra il 2023 e il 2024. Il rapporto descrive come, dopo più di due anni di attività con leggi e politiche italiane restrittive, in particolare il decreto Piantedosi e la pratica di assegnazioni di porti lontani, la capacità delle navi di ricerca e soccorso di fornire assistenza salvavita sia stata gravemente limitata, costringendo MSF a cessare le operazioni della Geo Barents a dicembre scorso. MSF chiede alle autorità italiane di smettere di ostacolare le operazioni di salvataggio in mare e di imporre sanzioni alle navi di ricerca e soccorso delle ONG. Invita, inoltre, l’UE e i suoi Stati membri a sospendere immediatamente il sostegno finanziario e materiale alla Guardia Costiera libica (LCG) e a smettere di incentivare intenzionalmente i rimpatri forzati di persone in Libia. “Le testimonianze, i dati e le prove raccolte in questi anni dimostrano la collusione dell’Italia e dell’UE con la LCG e altri attori armati nell’effettuare intercettazioni che riportano forzatamente le persone ad un giro di estorsioni e abusi” afferma Juan Matias Gil, responsabile per le attività di ricerca e il soccorso in mare di MSF. Se nel 2023 MSF ha assistito a incidenti che coinvolgevano operatori libici durante il 38% delle rotazioni della Geo Barents, questa percentuale è salita al 65% nel 2024. Nel 2023 e 2024 MSF ha documentato 30 intercettazioni confermate o sospette di imbarcazioni di migranti da parte di navi libiche. A causa delle restrizioni, il numero di persone soccorse dalla Geo Barents è diminuito drasticamente da 4.646 nel 2023 fino 2.278 nel 2024. Nonostante ciò, è aumentato del 14% il numero complessivo dei ricoveri medici, in particolare quelli urgenti, dimostrando che una percentuale notevolmente più elevata di persone soccorse era in uno stato critico e necessitava di cure specialistiche salvavita a terra. “Il decreto Piantedosi è un meccanismo strutturato e istituzionalizzato senza precedenti per bloccare le attività di ricerca e salvataggio di persone in pericolo” aggiunge Gil di MSF. “L’impatto di queste sanzioni è peggiorato nel corso degli anni e la capacità di salvataggio della nostra nave è stata significativamente ridotta e compromessa”. Secondo i dati medici di MSF, nel 2024, tutti i 124 pazienti visitati dal team di psicologi sulla Geo Barents hanno riferito di aver subito violenze fisiche e/o psicologiche durante il viaggio, e metà di questi pazienti hanno identificato la detenzione come luogo principale in cui hanno avuto luogo gli abusi. Il rapporto riporta anche le testimonianze di persone che sono riuscite a fuggire dalla Libia, documentando le violente intercettazioni subite in mare e il ritorno forzato in Libia, come parte del più ampio sforzo di esternalizzazione per impedire gli arrivi in Europa. “Abbiamo trascorso 5 ore di navigazione in mare, finché non siamo stati catturati da un’imbarcazione libica. Ci hanno tenuti a bordo per circa 53 ore mentre continuavano a cercare altre imbarcazioni. Non ci hanno dato né cibo né acqua, né ci hanno permesso di usare il bagno, abbiamo dovuto urinarci addosso. Mio fratello era così spaventato perché aveva perso la sensibilità delle gambe e non poteva muoversi per tanto tempo, piangeva e vomitava. Da allora soffre di incontinenza. Li abbiamo pregati di riportarci indietro, vomitavamo, eravamo disidratati, ma non hanno mai avuto pietà di noi. Mangiavano pesce, bevevano, ma non ci hanno mai dato nulla. Solo a un certo punto hanno avuto pietà di mia figlia e le hanno dato un pacchetto di biscotti, che è stata l’unica cosa che abbiamo mangiato in quei giorni” racconta una donna siriana salvata dalla Geo Barents nel febbraio del 2024. MSF nel Mediterraneo centrale  MSF è presente nel Mediterraneo centrale con attività di ricerca e soccorso dal 2015, lavorando su 8 diverse imbarcazioni, da sola o in collaborazione con altre ONG, e salvando più di 94.000 persone. I team di MSF a bordo della Geo Barents, attiva da giugno 2021 a dicembre 2024, hanno soccorso 12.675 persone, concluso 190 operazioni, recuperato i corpi di 24 persone, organizzato l’evacuazione medica di 18 persone e assistito la nascita di un bambino. Dall’entrata in vigore del Decreto Piantedosi, la Geo Barents è stata sanzionata 4 volte, per un totale di 160 giorni di detenzione forzata. Tra dicembre 2022 e dicembre 2024, le misure restrittive hanno inoltre imposto alla Geo Barents di percorrere altri 64.966 chilometri e di trascorrere altri 163 giorni in mare per raggiungere porti lontani del nord Italia per lo sbarco dei sopravvissuti dopo il salvataggio, anziché nei vicini porti della Sicilia.   Medecins sans Frontieres
A Ustica, per rompere il silenzio sul passato coloniale italiano
Nel cuore del Mediterraneo, sull’isola di Ustica, là dove le onde hanno da sempre portato storie di confino e resistenza, prenderà vita un’iniziativa civile e simbolica di grande valore: una delegazione di attivisti, ricercatori, studenti e rappresentanti di associazioni nazionali si recherà presso il cosiddetto “Cimitero degli arabi” per rendere omaggio a un passato cancellato. Questo luogo, nascosto tra le memorie dell’isola, ospita le tracce fisiche della deportazione di oltre 10.000 oppositori libici che, tra il 1912 e il 1934, furono reclusi sulle isole italiane, tra cui Favignana, le Tremiti, Ponza e Ustica stessa, in condizioni disumane. Una repressione coloniale feroce, che rimane largamente assente dal discorso pubblico, dalla memoria collettiva e dai programmi scolastici. A promuovere l’iniziativa, in collaborazione con il Centro Studi Ustica, è una rete ampia e articolata della società civile: tra i promotori figurano Un Ponte Per, Arci, Anpi, Cgil, la Rete Yekatit 12/19 Febbraio, il Movimento Italiani senza cittadinanza, l’Unione degli Universitari e altre realtà impegnate sul fronte dei diritti e della memoria. L’evento si inserisce in un percorso più ampio che punta all’istituzione di una Giornata nazionale della memoria per le vittime del colonialismo italiano, con l’obiettivo di aprire un confronto pubblico e politico sulla necessità, ormai non più rinviabile, di fare i conti con una parte rimossa della storia nazionale. Il momento centrale di questo evento sarà il 17 maggio, quando un corteo partirà da piazza Municipio, con la partecipazione degli studenti del liceo locale, e si dirigerà al cimitero degli arabi, dove verrà piantumato un ulivo e apposta una targa commemorativa, con versi tratti dalle poesie dei deportati libici e dei confinati antifascisti italiani. Una vergogna nazionale, rimossa. Così possiamo definire la vicenda della deportazione degli oppositori libici nelle isole minori italiane durante l’età coloniale. Si tratta di una pagina che ha inciso profondamente sulla storia del nostro Paese, anche se in modo sotterraneo, nascosto, negato. A raccontare perché questa memoria sia rimasta ai margini della narrazione pubblica è Fabio Alberti, fondatore e presidente onorario di Un Ponte Per, tra i promotori dell’iniziativa a Ustica. «L’Italia non ha mai davvero fatto i conti con la propria storia coloniale. Altri Paesi europei, pur senza un’elaborazione piena, hanno almeno riconosciuto quel passato – anche perché, forse, più ingombrante del nostro. La consapevolezza della propria eredità coloniale, altrove, alimenta dibattiti che incidono sulle politiche e sull’identità nazionale. In Italia, invece, tutto questo è mancato. > Le ragioni sono almeno due: da un lato, l’assenza di una vera fase di > decolonizzazione, poiché le colonie italiane furono perse con la guerra e > occupate dalle potenze vincitrici; dall’altro, la volontà di tenere unito il > fronte repubblicano ha impedito uno sguardo critico sull’Italia prefascista, > liberale e monarchica, che fu anche coloniale. È come se la nuova Repubblica avesse fatto i conti con il fascismo, ma non con ciò che lo ha preceduto: il Regno, la monarchia. Invece di affrontare criticamente l’eredità dell’Italia prefascista – che si è cercata di riabilitare evocando una presunta continuità virtuosa con l’epopea risorgimentale – si è preferito costruire il mito consolatorio degli “italiani brava gente”, un modo edulcorato per distinguere il colonialismo italiano da quello delle altre potenze europee. Eppure, oggi sappiamo con chiarezza che l’impresa coloniale italiana, per brutalità e violenza, non fu affatto un’eccezione». L’iniziativa a Ustica non rappresenta soltanto un atto dovuto di riconoscimento verso le vittime del colonialismo italiano. È, al tempo stesso, un gesto politico denso di significato, capace di interpellare il presente. In un contesto in cui cittadinanza, razzismo strutturale e memoria pubblica tornano a occupare il centro del dibattito, il valore simbolico di radicare un ulivo e deporre una targa in quel cimitero dimenticato assume una forza nuova, concreta, urgente. Alberti lo riassume con lucidità, intrecciando memoria, resistenza e visione del futuro in un unico filo narrativo. «Questo progetto intende rendere omaggio e restituire dignità alle vittime del colonialismo italiano, a partire da quelle sepolte sull’isola, che rappresentano simbolicamente tutte le altre. Ma il suo significato va oltre. Si collega, ad esempio, all’azione con cui, come associazione Un ponte per, riportammo alla luce il film Il leone del deserto, rimasto censurato per 44 anni in Italia. Un’opera che, per la prima volta, raccontava il colonialismo dal punto di vista dei colonizzati, non come semplici vittime, ma come resistenti. Ustica rappresenta uno dei luoghi meno noti, ma significativi, della repressione della resistenza libica al colonialismo italiano. Un frammento di storia in cui, simbolicamente, si sono incrociate due forme di opposizione: quella degli anticolonialisti libici e quella degli antifascisti italiani, confinati sulla stessa isola, se non necessariamente in contatto diretto, almeno in una convivenza forzata nel tempo e nello spazio. Non a caso, sulla targa che verrà posta nel cosiddetto “Cimitero degli arabi”, accanto a una poesia scritta durante la prigionia da un deportato libico, compariranno anche i versi di un antifascista italiano, anch’egli confinato a Ustica, dedicati proprio alla lotta anticoloniale. Due resistenze che, seppure distinte, si sono sfiorate e che oggi ci parlano ancora, richiamando l’urgenza di costruire alleanze tra chi si oppone alla guerra del Nord del mondo e chi combatte le nuove forme di colonialismo nel Sud del mondo». > L’iniziativa di Ustica si colloca all’interno di un percorso più ampio che > mira all’istituzione di una Giornata della memoria per le vittime del > colonialismo italiano. Una proposta che sollecita le istituzioni a riconoscere > la propria responsabilità – non solo storica, ma anche politica e culturale – > e che mette a nudo le scelte, mai neutre, con cui una società decide cosa > ricordare e cosa dimenticare della propria storia. «Sulla proposta di una Giornata del ricordo del colonialismo esiste un dibattito aperto. C’è infatti il rischio di perpetuare una narrazione in cui il colonizzato appare solo come vittima. Il nostro approccio, invece, mira a valorizzare la lotta anticoloniale: non solo il dolore subito, ma anche la resistenza. Tuttavia, il riconoscimento di quella resistenza e delle vittime – che furono molte, si parla di circa 700.000 – è il punto di partenza per assumere, da parte italiana, la responsabilità storica del colonialismo e per ripensare il nostro approccio alla questione migratoria. Le vittime ci sono state, sono state rese invisibili agli occhi degli italiani e vanno invece riportate alla luce. Solo così può emergere anche la storia coloniale italiana, smentendo definitivamente il mito degli “italiani brava gente”. È fondamentale, perché la rimozione del passato coloniale ha privato almeno due generazioni della conoscenza di una parte essenziale della propria storia. E questo non riguarda solo le persone colonizzate: riguarda noi. Ci è stato negato il diritto di conoscere la nostra storia, le nostre ragioni, le radici della nostra identità nazionale. A intere generazioni sono mancati gli strumenti per comprendere il presente, perché fenomeni come le migrazioni o le guerre non possono essere letti senza la lente del passato coloniale. Per questo, prima di tutto, rivendichiamo un diritto alla conoscenza. Solo da lì può nascere un percorso di conciliazione, un ragionamento sulla riparazione e, in definitiva, una rilettura delle politiche italiane alla luce del nostro passato». Il corteo che il 17 maggio si dirigerà verso il “Cimitero degli arabi” non vedrà soltanto la partecipazione di attivisti, ricercatori e rappresentanti del mondo associativo. A prenderne parte saranno anche le e gli studenti del liceo di Ustica: una presenza che conferisce all’iniziativa una dimensione educativa tutt’altro che accessoria. Restituire spazio alla memoria rimossa del colonialismo italiano significa anche trasmettere strumenti per leggere criticamente il presente. In un contesto in cui la scuola fatica a colmare questo vuoto, esperienze come questa si configurano come momenti di apprendimento autentico, in cui la storia si intreccia con l’esercizio della cittadinanza. Su questo punto, la riflessione di Fabio Alberti è particolarmente incisiva. «La generazione che oggi frequenta la scuola è la prima a non avere alcun legame diretto né con l’esperienza della guerra né con quella del colonialismo e spesso lo stesso vale per i loro genitori. Senza un’adeguata trasmissione storica, attraverso la scuola e il dibattito pubblico, rischia di crescere all’oscuro di capitoli fondamentali di questo Paese, e quindi priva di strumenti critici per interpretare il presente. Allo stesso tempo, però, è una generazione in formazione, che sta costruendo ora la propria visione del mondo e che può riconsiderarla, se messa nelle condizioni di conoscere anche ciò che è stato rimosso. In questo senso, approfondire la storia della colonizzazione italiana nei programmi scolastici è essenziale. Non per demonizzare il passato, che non si può riscrivere, ma per comprenderlo. Perché solo conoscendo ciò che è stato si può influenzare la qualità dello sguardo che le nuove generazioni rivolgono all’altro, in particolare a chi proviene da contesti non europei. In fondo, questa esperienza insegna che la scuola va supportata da un’educazione alla conoscenza, che continua anche fuori dai confini dell’aula. È un invito a superare i limiti di ciò che la scuola trasmette: apprendere richiede anche un impegno autonomo, personale e collettivo, per andare oltre ciò che le istituzioni raccontano o tacciono. Finora, la storia insegnata è stata in gran parte quella dell’Occidente. Ma nessun fenomeno politico contemporaneo, dalle grandi migrazioni alle guerre, fino alla povertà globale, può essere davvero compreso senza tener conto anche della dimensione coloniale che i Paesi europei hanno avuto con il resto del mondo per 500 anni. Certo, il colonialismo non spiega tutto, ma senza di esso si comprende ben poco. Riconoscerne le radici è fondamentale per leggere i processi in corso e confrontarsi con il presente in modo critico. Pensiamo, ad esempio, alle politiche migratorie: l’Europa deve assumersi la responsabilità di essere parte delle cause delle migrazioni, non solo per il proprio passato coloniale, ma anche per il prolungamento postcoloniale delle disuguaglianze economiche, militari e commerciali che ancora oggi condizionano i rapporti con il Sud del mondo». Ma la memoria del colonialismo, come sottolineano i promotori dell’iniziativa a Ustica, non riguarda solo il passato. Riguarda il presente, e il modo in cui l’Italia e l’Europa continuano a costruire le proprie relazioni con il Sud globale. Le politiche migratorie, commerciali e militari non possono essere comprese – né trasformate – senza guardare in faccia la genealogia coloniale che le attraversa. Anche in questo senso, piantare un ulivo tra le tombe dimenticate non è solo un gesto simbolico: è un atto politico che interroga il nostro presente. Come conclude Fabio Alberti: «Guardare alle migrazioni con la consapevolezza di esserne in parte causa dovrebbe condurre a due conseguenze: anzitutto, al riconoscimento di un dovere di accoglienza; ma soprattutto, alla necessità di rivedere profondamente le politiche estere – commerciali, economiche e militari – specialmente nei confronti dell’Africa, dove persiste una politica di spoliazione che alimenta la pressione migratoria, costringendo milioni di persone a cercare altrove una possibilità di vita». L’immagine di copertina è “Libia-1912-piazzando-i-reticolati“ SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. 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