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Nel mondo 1 persona su 4 in condizione di sfruttamento o schiavitù moderna è minorenne
La maggior parte dei 12,3 milioni di bambini in condizione di sfruttamento o schiavitù moderna, ovvero circa 9 milioni, è coinvolta in matrimoni forzati, mentre i restanti 3,2 milioni sono divisi in sfruttamento sessuale (1,6 milioni), sfruttamento lavorativo o in attività illecite (1,3 milioni) e lavori forzati imposti dalle autorità statali (320.000). Per quanto riguarda la tratta, nel 2022 è minore più di una vittima su 3 (il 38% del totale delle 68.836 persone coinvolte per cui è stata rilevata l’età, cioè oltre 26mila bambini e adolescenti). E’ senz’altro una sottostima, ma in ogni caso il numero di minori identificati come vittime di tratta è aumentato del 31% rispetto al 2019, evidenziando una crescita significativa nella rilevazione del fenomeno minorile a livello globale. L’incremento è attribuibile alla maggiore incidenza delle ragazze tra le vittime trafficate a fini di sfruttamento sessuale e all’aumento dei ragazzi vittime di tratta per lavoro forzato, in particolare in Europa e nel Nord America, e alla forte crescita delle vittime minorenni in Africa Sub-Sahariana. Sono alcuni dei dati della XV edizione del Dossier Piccoli Schiavi Invisibili di Save the Children sul fenomeno della tratta e dello sfruttamento dei minori, un fenomeno che negli ultimi anni ha assunto una dimensione sempre più complessa e dinamica, alimentata da crisi globali interconnesse. Le ragazze rappresentano il 57% delle vittime minorenni rilevate a livello globale e nel 60% dei casi il loro sfruttamento è di tipo sessuale. I ragazzi, al contrario, risultano maggiormente coinvolti in situazioni di lavoro forzato (45%). I Paesi dell’America Centrale e dei Caraibi si presentano come quelli con la più alta incidenza di vittime minorenni: più di 3 vittime su 5, tra quelle rilevate, sono sotto i 18 anni (67%). Seguono l’Africa Sub-Sahariana e i Paesi del Nord Africa con, rispettivamente, il 61% e il 60% dei minori tra le vittime di tratta. Per quanto riguarda l’Europa, nel 2023 le vittime minorenni di tratta costituiscono il 12,6%, pari a 1.358 bambine, bambini e adolescenti, per lo più identificate in Francia (29,4%), Germania (17,7%) e Romania (16,3%), sfruttate nel 70% dei casi a fini sessuali, mentre il restante 30% è impiegato in lavoro forzato (13%) o in altre forme come l’accattonaggio forzato o attività criminali forzate (17%) come rapine, borseggi o spaccio di sostanze stupefacenti. “Rilevante sottolineare – sottolinea Save the Children –  che, nel periodo 2021-2022, l’81% delle vittime di tratta minorenni (2.401) in Europa era rappresentato da cittadini dell’UE e l’88% di essi (2.120) è stato sfruttato nello Stato membro di appartenenza. Generalmente, i trafficanti cercano di adescare minori che provengono da contesti sociali e familiari fragili, che vivono in condizioni di povertà e in alcuni casi soffrono di disturbi psicologici”. In Italia, invece, la tratta e lo sfruttamento dei minori rappresentano una realtà sommersa, che coinvolge sia flussi migratori internazionali – il Paese si conferma crocevia di transito e destinazione di minori vittime di tratta – sia contesti interni di vulnerabilità sociale.  Le vittime sono spesso coinvolte in forme multiple di sfruttamento: sessuale, lavorativo, forzato in ambito domestico, fino al coinvolgimento in attività criminali forzate o accattonaggio coatto. La digitalizzazione della società contemporanea ha profondamente trasformato il panorama della tratta e dello sfruttamento minorile. In questo contesto, si parla sempre più spesso di “e-trafficking”, che include tutte le forme di tratta e sfruttamento di esseri umani che si avvalgono in modo determinante delle tecnologie digitali, sia per il reclutamento, l’adescamento e il controllo delle vittime, sia per la gestione logistica, il pagamento e la distribuzione dei profitti. “L’e-trafficking, sottolinea Save the Children, caratterizzato dall’uso sistematico di piattaforme online, social network, app di messaggistica e strumenti digitali, consente di abbattere le barriere geografiche, rendere più rapidi ed efficienti i processi di tratta e sfruttamento e ridurre i rischi per gli sfruttatori. Questa modalità – utilizzata sia per sfruttamento sessuale che per il coinvolgimento dei minori in attività criminali forzate, il lavoro forzato e la produzione e/o distribuzione di materiale di abuso online – permette di raggiungere un numero molto più ampio di potenziali vittime, di agire in modo anonimo e di rendere più difficile l’individuazione e il contrasto da parte delle autorità”. Una nuova frontiera è la “gamification” dello sfruttamento, una strategia che utilizza gli sviluppi della tecnologia – che ha trasformato le esperienze di gioco online facendole passare da piattaforme chiuse a spazi virtuali che consentono un’ampia gamma di interazioni sociali – e la risposta psicologica associata alle fasi del gioco – come il progresso (es. Il passaggio a un livello successivo del gioco) o i premi e le ricompense (es. i badge che si ottengono quando si completa un’attività o si vince una sfida) – per rendere più accettabile e “normale” la partecipazione a reti criminali, mascherando lo sfruttamento dietro dinamiche ludiche e sociali apparentemente innocue. Qui il Rapporto: https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/piccoli-schiavi-invisibili-2025. Giovanni Caprio
In Italia madri sempre più sole e penalizzate
Le diseguaglianze di genere nel mondo del lavoro, lo sbilanciamento tra carichi di cura e vita professionale a sfavore delle donne, l’insufficienza o l’assenza dei servizi per la prima infanzia continuano a condizionare pesantemente la vita e il benessere delle madri. Non sorprende se la natalità tocca il minimo storico con solo 1,18 figli per donna e che il 20% delle donne smette di lavorare dopo essere diventata madre. Nel nostro Paese le madri sono sempre più sole e penalizzate, e quelle che si trovano spesso ad affrontare ulteriori difficoltà in termini di supporto sociale e stabilità economica sono le mamme single: poco più di 1 mamma single su 2, tra i 25 e i 34 anni, lavora. Questi sono solo alcuni dei dati raccolti nella 10ma edizione di “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2025”, il rapporto diffuso in occasione dalla Festa della Mamma e che ogni anno traccia un bilancio sulle sfide e gli infiniti equilibrismi che le donne in Italia devono affrontare quando scelgono di diventare mamme e i dati sulla maternità. Un rapporto che mette in luce lo sbilanciamento tra carichi di cura e vita professionale, la fragilità delle mamme single e di quelle che per lavorare in Italia lasciano i figli nel Paese di origine e il divario tra le regioni più o meno “mother friendly” nella classifica elaborata in esclusiva dall’ISTAT. In Italia il 2024 ha registrato un nuovo record negativo delle nascite con soli 370.000 nuovi nati, una flessione del 2,6% rispetto all’anno precedente. L’età media delle madri al parto ha raggiunto i 32,6 anni. In questo panorama di crisi demografica, le donne sono penalizzate nel mondo del lavoro, con divari occupazionali e retributivi a danno di tutte, ma per le madri la situazione rimane critica in molte aree del Paese. Tra loro, le madri sole con figli minorenni devono superare gli ostacoli maggiori. Più di una donna su quattro, il 26,6%, nel nostro Paese è a rischio di lavoro a basso reddito, mentre la stessa condizione interessa un uomo su sei, cioè il 16,8%. Su 146 Paesi nel mondo, l’Italia occupa il 96° posto per partecipazione femminile al mondo del lavoro. Se guardiamo invece il dato sul gender gap retributivo, ci troviamo alla 95esima posizione. I dati sul divario salariale a sfavore delle donne aumentano ancora di più quando queste decidono di mettere al mondo un figlio. Parliamo quindi di “child penalty”, evidenziata nei dati di seguito, per cui mentre gli uomini con figli sono più presenti nel mercato del lavoro rispetto agli uomini senza figli, per le donne avere figli è associato a una minore occupazione lavorativa: Il 77,8% degli uomini senza figli è occupato, ma la percentuale sale al 91,5% tra i padri (92,1% per chi ha un figlio minore e 91,8% per chi ne ha due o più), mentre per le donne la situazione è molto diversa, poiché lavora il 68,9% tra quelle senza figli, ma la quota scende al 62,3% tra le madri (65,6% per chi ha un figlio minore e 60,1% con due o più).  Il 20% delle donne, infatti, smette di lavorare dopo essere diventata madre, spesso a causa dell’assenza di servizi per la prima infanzia e della mancanza di condivisione dei compiti di cura nelle famiglie, che rendono inconciliabile lavoro e vita familiare. Secondo alcune stime preliminari, inoltre, questa percentuale salirebbe di 15 punti, arrivando al 35%, tra le madri di figli con disabilità. Anche i dati sulle dimissioni volontarie dei genitori con figli 0-3 anni indicano disparità di genere nel mondo del lavoro: sono principalmente le madri a dimettersi, al primo figlio ed entro il suo primo anno di vita. Il 72,8% di tutte le 61.391 convalide da parte di neogenitori di bambini tra 0 e 3 anni è riferito a donne e nel 96,8% dei casi si tratta di dimissioni volontarie. Tra le motivazioni più frequenti rientra la difficoltà di conciliazione della vita familiare con quella lavorativa per ragioni legate ai servizi, all’organizzazione del lavoro o a scelte del datore di lavoro. Come già emerso nei rapporti passati di Save the Children, anche nella 10ma edizione de “Le Equilibriste” l’Italia si dimostra un Paese poco accogliente per le madri. Ma sono le madri single ad incontrale le difficoltà più grandi, arrivando ad essere delle equilibriste tra le equilibriste. Dal 2011 al 2021 i nuclei monogenitoriali sono aumentati del 44% e il 77,6% delle famiglie monogenitoriali è costituita da madri sole con i propri figli. Le madri single sono più esposte al rischio di povertà: secondo gli ultimi dati ISTAT, se complessivamente nel 2024 il 23,1% della popolazione italiana è a rischio povertà o esclusione sociale, la percentuale sale al 32,1% tra i nuclei monogenitoriali. Nel complesso, tra il 2023 e il 2024 si registra un miglioramento del tasso di occupazione complessivo che passa dal 66,6% al 68,5 per le mamme single tra i 25 e i 54 anni. Tuttavia, la combinazione di fattori come la bassa istruzione, la giovane età e la residenza nel Mezzogiorno continua a rappresentare un ostacolo per l’occupazione delle madri single. Dai dati emerge infatti una netta frattura tra Nord e Mezzogiorno: nel 2024, il tasso di occupazione delle mamme single tra i 25 e i 54 anni supera l’83% nel Nord, sia per le madri con almeno un figlio minore che per il totale delle madri sole, mentre nel Mezzogiorno non va oltre il 45,2 %. Nel Centro si registra una crescita più contenuta, ma comunque positiva. I dati del Rapporto, oltre allo squilibrio di genere evidenziano forti disparità territoriali e sociali: al Nord, il tasso di occupazione maschile è dell’87% per gli uomini senza figli e 96,3% per quelli con almeno un figlio minore, mentre per le donne si attesta all’80,2% per le donne senza figli, e al 74,2% per quelle con almeno un figlio minore. Anche nelle regioni del Centro emerge uno svantaggio femminile nei tassi di occupazione: per le donne senza figli è del 74,3% e quelle con figli minori è del 69,2%. Nel Mezzogiorno, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è molto più bassa e presenta comunque una differenza tra le donne senza figli (49,4%) e quelle con almeno un figlio minore (44,3%), in linea con quelle del Centro e del Nord. Come ogni anno, lo studio include anche l’Indice delle Madri, elaborato dall’ISTAT, una classifica delle regioni italiane dove per le mamme è più facile o difficile vivere. L’indice è il risultato di un’analisi basata su 7 dimensioni: Demografia, Lavoro, Rappresentanza, Salute, Servizi, Soddisfazione soggettiva e Violenza, per un totale di 14 indicatori da diverse fonti del sistema statistico nazionale. Anche quest’anno, l’Indice riporta la Provincia Autonoma di Bolzano in cima ai territori amici delle madri, seguita da Emilia-Romagna e Toscana. Una menzione particolare in questa edizione va fatta per l’Umbria, che occupava la nona posizione nella scorsa edizione e che quest’anno si attesta al 4° posto. Peggiora in modo significativo la regione della Valle d’Aosta, che scende dal quinto posto della scorsa edizione al sedicesimo nell’attuale. Sebbene rispetto all’anno precedente, la situazione italiana sia migliorata in termini assoluti, le regioni del Mezzogiorno continuano a posizionarsi tutte al di sotto del valore di riferimento italiano, con alcune particolarmente lontane dal target. Fanalino di coda, come nella scorsa edizione, risulta la Basilicata, preceduta in fondo alla classifica da Campania, Puglia e Calabria. Qui per scaricare il rapporto: https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/le-equilibriste-la-maternita-italia-nel-2025 Giovanni Caprio