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Gli interventi umani non riescono a fermare l’aumento dei grandi incendi causati dal cambiamento climatico
I ricercatori hanno stabilito un legame diretto tra il cambiamento climatico e l’aumento della frequenza e dell’intensità dei grandi incendi in tutto il mondo, collegandolo anche a migliaia di decessi in più causati dal fumo negli ultimi decenni. In due studi separati, gruppi di ricerca dell’Università Dalhousie, del Belgio, del Regno Unito e del Giappone hanno studiato l’entità dei grandi incendi e il loro effetto sulla salute umana, riscontrando un peggioramento dei risultati per entrambi. Infatti, il gruppo di ricerca stima che negli anni ’60 i decessi correlati al fumo dei grandi incendi fossero meno di 669 all’anno, ma che tale cifra sia salita a 12.566 negli anni ‘10 di questo secolo. Uno studio pubblicato su Nature Climate Change ha confrontato modelli di grandi incendi con e senza gli effetti dei cambiamenti climatici, mostrando un aumento della frequenza e dell’intensità degli stessi in molte regioni, in particolare negli ecosistemi sensibili delle savane africane, dell’Australia e della Siberia. I risultati, tuttavia, evidenziano notevoli differenze regionali. In Africa, dove si trova fino al 70% della superficie bruciata a livello globale, si è registrato un netto calo dei grandi incendi, dovuto in gran parte all’aumento dell’attività umana e alla frammentazione del territorio che rendono più difficile la propagazione degli incendi. Al contrario, nelle zone boschive della California e della Siberia, il numero di incendi è in aumento a causa dei periodi di siccità più lunghi e delle temperature più elevate legate al cambiamento climatico. > “Lo studio è importante perché mostra e quantifica l’influenza dei cambiamenti > climatici sull’aumento dei grandi incendi in tutto il mondo, soprattutto > considerando l’impatto degli incendi sulla società e il loro effetto di > retroazione sui cambiamenti climatici”, afferma la dottoressa Sian > Kou-Giesbrecht, professore associato presso il Dipartimento di Scienze della > Terra e dell’Ambiente dell’Università Dalhousie, che ha condotto e analizzato > le simulazioni del modello canadese sugli incendi e ha collaborato alla > stesura di entrambi i rapporti. PERDITA DI CONTROLLO L’equipe ha utilizzato modelli che hanno preso in considerazione vari fattori quali il clima, la vegetazione e la densità della popolazione. I ricercatori sottolineano che, sebbene attività umane quali la lotta agli incendi e la gestione del paesaggio possano avere un effetto moderatore, spesso ciò non è sufficiente a contrastare completamente l’impatto dei cambiamenti climatici, specialmente negli anni caratterizzati da condizioni meteorologiche estreme. > “Ciò che colpisce è che nei periodi con un numero di incendi da basso a > moderato, gli interventi diretti dell’uomo hanno un effetto significativo. > Tuttavia, nei periodi con molti incendi, l’effetto dei cambiamenti climatici è > predominante, il che significa che in questi casi perdiamo il controllo”, ha > affermato Seppe Lampe, climatologo presso la Vrije Universiteit Brussel e uno > degli autori principali dello studio. Sebbene le attività umane, quali i cambiamenti del paesaggio e la crescita demografica, riducano generalmente l’area bruciata, l’effetto dei cambiamenti climatici continua ad aumentare. Le simulazioni mostrano che il cambiamento climatico ha aumentato la superficie bruciata a livello globale di quasi il 16% dal 2003 al 2019 e ha aumentato del 22% la probabilità di registrare mesi con un’area bruciata superiore alla media globale. Inoltre, il contributo del cambiamento climatico alla superficie bruciata è aumentato dello 0,22% all’anno a livello globale, con l’aumento maggiore registrato nell’Australia centrale. I risultati sottolineano l’importanza di una riduzione immediata, drastica e sostenuta delle emissioni di gas serra, insieme a strategie di gestione del paesaggio e degli incendi, per stabilizzare l’impatto degli incendi sulla vita, sui mezzi di sussistenza e sugli ecosistemi, afferma l’articolo. AUMENTANO I DECESSI CAUSATI DAL FUMO DEI GRANDI INCENDI Un altro studio ha rilevato che i cambiamenti climatici potrebbero aver aumentato di dieci volte la percentuale di decessi correlati al fumo dei grandi incendi nell’arco di circa 50 anni, un fenomeno che finora era stato in gran parte non quantificato. I ricercatori, tra cui quelli dell’Istituto Nazionale di Studi Ambientali del Giappone, hanno utilizzato modelli di incendio-vegetazione in combinazione con un modello di trasporto chimico e un quadro di valutazione dei rischi per la salute, per attribuire al cambiamento climatico la mortalità umana globale dovuta alle emissioni di particolato fine da incendi tra il 1960 e il 2019. Hanno scoperto che tra l’1% e il 3% delle morti causate dagli incendi negli anni ’60 erano attribuibili al cambiamento climatico, mentre fino al 28% lo erano negli anni ’10 di questo secolo, a seconda del modello utilizzato. SUD AMERICA, AUSTRALIA, EUROPA E LE FORESTE BOREALI DELL’ASIA HANNO REGISTRATO I LIVELLI DI MORTALITÀ PIÙ ELEVATI. > “Può essere difficile attribuire gli incendi boschivi al cambiamento climatico > a causa della complessità delle interazioni tra condizioni meteorologiche > favorevoli agli incendi, effetti del cambiamento globale sui potenziali > combustibili, gestione del territorio e cause di incendio, ma in questi > progetti internazionali abbiamo attribuito con certezza i grandi incendi al > cambiamento climatico utilizzando modelli multipli. Abbiamo anche > contestualizzato il tutto quantificando la mortalità umana associata > all’intensificarsi del fumo dei grandi incendi”, afferma la dottoressa > Kou-Giesbrecht, aggiungendo che se l’attuale ritmo dei cambiamenti climatici > continuerà, l’area di terreno bruciato e gli impatti sulla salute associati > aumenteranno in modo significativo nei prossimi decenni.   https://eoimages.gsfc.nasa.gov/images/imagerecords/154000/154641/namblackcarbon_geos5_20250803.mp4 (Video dell’Osservatorio terrestre della NASA realizzato da Lauren Dauphin, utilizzando i dati GEOS-5 forniti dal Global Modeling and Assimilation Office del GSFC della NASA.) Rapporto della NASA Articolo di Lindsey Doermann Il fumo provocato da centinaia di incendi boschivi in Canada ha creato cieli nebbiosi e una scarsa qualità dell’aria in diverse province e negli stati settentrionali degli Stati Uniti tra la fine di luglio e l’inizio di agosto 2025. Secondo quanto riportato dai media, l’inquinamento atmosferico ha colpito alcune zone dei Territori del Nord-Ovest, dell’Alberta, del Saskatchewan, del Manitoba e dell’Ontario, nonché alcune parti dell’alto Midwest e del nord-est degli Stati Uniti. L’animazione qui sopra raffigura la concentrazione e il movimento del fumo degli incendi boschivi dal 30 luglio al 3 agosto 2025. Mostra le particelle di carbonio nero, comunemente chiamate fuliggine, provenienti dagli incendi canadesi che si sono diffuse nei cieli del Nord America durante quel periodo. Il carbonio nero è un componente dell’inquinamento atmosferico da particolato fine (PM2,5), che può aggravare le condizioni cardiovascolari e respiratorie e causare altri problemi di salute. I dati relativi al carbonio nero provengono dal modello GEOS Forward Processing (GEOS-FP) della NASA, che assimila i dati provenienti da satelliti, aeromobili e sistemi di osservazione terrestri. Oltre alle osservazioni satellitari degli aerosol e degli incendi, GEOS-FP incorpora anche dati meteorologici quali temperatura dell’aria, umidità e venti per prevedere il comportamento delle colonne di fumo. L’animazione mostra come le colonne di fumo nel Canada settentrionale si siano diffuse e propagate verso est. Il 2 e il 3 agosto, alcune zone di diverse province sono state oggetto di allerta per la qualità dell’aria. Queste allerte vengono emesse quando l’ Indice di Qualità dell’Aria del Canada (AQHI) raggiunge il livello 10 o superiore, indicando un rischio molto elevato per la salute. Il 3 agosto, la visibilità è stata ridotta a 200 metri a Fort McMurray, Alberta. Secondo i meteorologi, la scarsa qualità dell’aria ha colpito anche le zone più lontane dagli incendi, poiché un sistema di alta pressione ha spinto il fumo dagli strati più alti dell’atmosfera verso la superficie. Ad esempio, le autorità del Minnesota hanno emesso un allarme sulla qualità dell’aria per l’intero Stato per quasi una settimana. Secondo quanto riportato dai media, il 3 agosto è stato consigliato agli abitanti di diversi Stati del nord-est di limitare le attività all’aperto a causa del fumo, e l’AQHI di Toronto, nell’Ontario, ha raggiunto quel giorno il livello 7, che indica un elevato rischio per la salute. Il Canada sta affrontando una delle peggiori stagioni di incendi mai registrate in termini di superficie bruciata. Secondo il Canadian Interagency Forest Fire Center, al 3 agosto erano andati in fumo oltre 6,6 milioni di ettari (16,3 milioni di acri). Questo dato supera la media venticinquennale di circa 2,2 milioni di ettari, ma è inferiore agli oltre 12,3 milioni di ettari bruciati alla stessa data nel 2023, un anno da record. Il 3 agosto 2025, 159 incendi stavano bruciando in Manitoba e 81 in Saskatchewan, molti dei quali classificati come fuori controllo. Altri 106 erano attivi nei Territori del Nord-Ovest. Per la seconda volta in questa stagione, il fumo provocato da questi incendi ha attraversato l’Oceano Atlantico dirigendosi verso l’Europa. Trasportato da una forte corrente a getto, si prevedeva che avrebbe raggiunto i cieli dell’Europa occidentale tra il 5 e il 7 agosto. A metà giugno 2025, un’altra colonna di fumo proveniente dal Canada ha degradato la qualità dell’aria e arrossato i cieli dell’Europa centrale e meridionale. -------------------------------------------------------------------------------- Fonte: Research reveals global increase in wildfires due to climate change despite human interventions, Dalhousie University. -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dall’inglese di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Rédaction Montréal
2025, Anno Internazionale della Preservazione dei Ghiacciai: salviamo i ghiacciai!
Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2025 come Anno Internazionale della Preservazione dei Ghiacciai per evidenziare la loro importanza e garantire che coloro che dipendono da essi, e coloro che sono colpiti dai processi criosferici (1), ricevano i servizi idrologici, meteorologici e climatici necessari. I ghiacciai sono cruciali per la regolazione del clima globale e la fornitura di acqua dolce, essenziale per miliardi di persone. Tuttavia, a causa dei cambiamenti climatici, causati principalmente dalle attività umane a partire dal XIX secolo, queste risorse vitali si stanno rapidamente sciogliendo. La risoluzione invita la comunità internazionale a trovare una soluzione ai conflitti attraverso il dialogo inclusivo e la negoziazione, al fine di garantire il rafforzamento della pace e della fiducia nelle relazioni tra gli stati membri delle Nazioni Unite come valore che promuove lo sviluppo sostenibile, la pace e la sicurezza, e i diritti umani. Contrariamente agli appelli alla comunità internazionale per risolvere i conflitti attraverso il dialogo inclusivo e la negoziazione, il Canada ha deciso di militarizzare l’Artico, citando la guerra in Ucraina come fattore principale. In realtà, gran parte del Circolo Polare Artico si trova in Russia, Canada e Groenlandia. L’anno scorso il governo canadese ha affermato che il NORAD (North American Aerospace Defense Command) e la NATO (North Atlantic Treaty Organization) garantiranno la sovranità canadese sull’Artico. Tuttavia, il NORAD, guidato dagli Stati Uniti e con sede a Colorado Springs, è al potere, mentre la NATO ha sede a Bruxelles. Questa decisione del governo federale conferisce un controllo sproporzionato sull’Artico canadese e minaccia la sovranità degli Inuit e l’equilibrio del già fragile ecosistema artico. La proposta di militarizzazione dell’Artico canadese minaccia di indebolire ulteriormente l’ecosistema già duramente colpito dai cambiamenti climatici e dallo scioglimento dei ghiacci. I drammatici cambiamenti nell’Artico, tra cui l’aumento degli incendi boschivi, il rinverdimento della tundra e l’aumento delle precipitazioni invernali, sono documentati nel “Rapporto sull’Artico 2024” dell’Amministrazione Nazionale Oceanica e Atmosferica degli Stati Uniti. Il rapporto rileva un crescente consenso scientifico sul fatto che lo scioglimento delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide, tra gli altri fattori, potrebbe rallentare importanti correnti oceaniche a entrambi i poli, con conseguenze potenzialmente disastrose per un’Europa settentrionale molto più fredda e un maggiore innalzamento del livello del mare lungo la costa orientale degli Stati Uniti. Purtroppo, il piano dell’amministrazione Trump di smantellare i programmi di ricerca atmosferica della nazione potrebbe riportare le previsioni degli Stati Uniti al medioevo, avvertono gli scienziati specializzati in uragani, meteorologia e oceanografia. > “Non possiamo negoziare con il punto di fusione del ghiaccio, è una delle > conclusioni fondamentali del rapporto dell’International Cryosphere Climate > Initiative, che include scienziati del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti > Climatici (IPCC) e della rete Global Cryosphere Watch dell’Organizzazione > Meteorologica Mondiale – OMM (World Meteorological Organization – WMO).” Questi nuovi risultati corroborano i recenti rapporti dell’OMM sullo Stato del Clima Globale e sullo Stato delle Risorse Idriche Globali che hanno anch’essi evidenziato l’allarmante scioglimento che sta colpendo la criosfera. Un ghiacciaio è principalmente un grande accumulo di ghiaccio e neve che ha origine sulla terraferma e scorre lentamente per effetto del suo stesso peso. I ghiacciai sono presenti in tutti i continenti. Esistono in molte regioni montuose e intorno ai bordi delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide. Nel mondo ci sono più di 200.000 ghiacciai che coprono un’area di circa 700.000 km2 (RGI, 2023). I ghiacciai sono considerati importanti torri d’acqua, in quanto immagazzinano circa 158.000 km3 di acqua dolce (Farinotti et al., 2019). I ghiacciai sono una fonte di vita e forniscono acqua dolce a persone, animali e piante. L’Okjökull (pronuncia islandese: [ˈɔkˌjœːkʏtl̥], “ghiacciaio di Ok”) era un ghiacciaio nell’Islanda occidentale sulla cima del vulcano a scudo Ok.[2] Ok si trova a nord-est di Reykjavík. Il ghiacciaio è stato dichiarato morto nel 2014 dal glaciologo Oddur Sigurðsson a causa della sua perdita di spessore. La lapide è stata installata il 18 agosto 2019,[5] con un’iscrizione in islandese e inglese da Andri Snær Magnason, intitolata “Una lettera al futuro“. La versione inglese recita:   Ok è il primo ghiacciaio islandese a perdere il suo status di ghiacciaio. Nei prossimi 200 anni si prevede che tutti i nostri ghiacciai seguiranno lo stesso destino. Questo monumento è il riconoscimento del fatto che sappiamo cosa sta accadendo e cosa deve essere fatto. Solo voi sapete se lo abbiamo fatto.   L’impatto I ghiacciai e le calotte glaciali sono fondamentali per il sostentamento degli ecosistemi e dei mezzi di sussistenza umani. Forniscono un essenziale deflusso di acqua derivata dallo scioglimento dei ghiacciai durante le stagioni secche, fornendo supporto per l’acqua potabile, l’agricoltura, l’industria e la produzione di energia pulita, rendendo queste riserve ghiacciati vitali per le risorse idriche globali. I cambiamenti climatici e della criosfera, tuttavia, stanno sconvolgendo il ciclo dell’acqua, alterando la quantità e i tempi di scioglimento dei ghiacciai, causando un effetto a catena sulla disponibilità delle risorse idriche e contribuendo anche all’innalzamento del livello del mare. Con la continua riduzione dei ghiacciai e la diminuzione del manto nevoso, le comunità avranno meno acqua a disposizione, soprattutto nelle regioni con siccità stagionale. Si prevede una maggiore competizione per le risorse idriche, con regioni come la Cina, l’India e le Ande tra le più vulnerabili. I ghiacciai che hanno superato il loro “picco idrico” -lo stadio in cui il deflusso dell’acqua ottenuta dallo scioglimento dei ghiacciai raggiunge il massimo- forniranno gradualmente un contributo sempre minore alle riserve idriche a valle, intensificando le sfide per la sicurezza idrica. Nell’ultimo secolo, pur rappresentando solo lo 0,5% della superficie terrestre globale, i ghiacciai hanno contribuito all’innalzamento del livello del mare in misura maggiore rispetto alle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide. Tra il 2000 e il 2023, si stima che i ghiacciai abbiano perso una massa media di circa 273 miliardi di tonnellate all’anno, equivalenti a circa 0,75 mm all’anno di innalzamento globale del livello del mare (The GlaMBIE Team, 2025). Il continuo ritiro dei ghiacciai evidenzia il crescente impatto del riscaldamento globale e accresce la comparsa di nuovi rischi, intensificando quelli esistenti. Ad esempio, lo scioglimento dei ghiacciai sta aumentando il rischio di pericoli come le esondazioni dei laghi glaciali, le valanghe di ghiaccio e le colate detritiche glaciali, che rappresentano un pericolo per le comunità locali e a valle. Tuttavia, le valutazioni del rischio spesso non sono possibili a causa dell’assenza di dati (IPCC, 2019). Un’osservazione più approfondita della criosfera è fondamentale per prevedere efficacemente gli impatti dei pericoli ad essa correlati.   Fonti: https://www.igsoc.org/publications/annals-of-glaciology/2025-international-year-of-glaciers-preservation https://public.wmo.int/resources/campaigns/launch-of-website-international-year-of-glaciers-preservation-2025 (1) Criosfera: La criosfera è un termine generico che indica quelle porzioni della superficie terrestre in cui l’acqua è allo stato solido. Comprende il ghiaccio marino, il ghiaccio dei laghi e dei fiumi, la neve, i ghiacciai, le calotte glaciali, le distese di ghiaccio e il terreno ghiacciato (che comprende il permafrost).   Traduzione dall’inglese di Stella Maris Dante. Revisione di Maria Sartori. Rédaction Montréal