Gaza. Nessuno potrà dire: “non sapevo”
Nel 47° anniversario dell’assassinio di Peppino Impastato, ieri 9 maggio, il
tradizionale corteo da Radio Aut di Terrasini sino alla casa della memoria sul
corso principale di Cinisi, a “cento passi” da casa Badalamenti, ormai bene
requisito alla mafia, il corteo – dicevamo – è stato dedicato alla Palestina, o
meglio a quello che in tutta Italia si è detto “l’ultimo giorno di Gaza”, con
un’espressione angosciosa che lascia capire che non c’è più tempo, come già ci
aveva ricordato Luisa Morgantini due giorni fa in convegno.
Ed oggi una pedalata per Gaza, “Life for Gaza”, in sintonia con altre dieci
città italiane tra le quali Venezia, ha attraversato le vie del centro storico
di Palermo fino al lungomare Yasser Arafat.
Fateh Hamdan, dell’associazione “Palestina nel cuore”, ha riepilogato lungo il
percorso per “stazioni” simili a una via crucis le tappe della persecuzione dei
palestinesi, dalla nascita del sionismo al congresso di Basilea del 1897,
attraverso la dichiarazione di Balfour del 1917 e la nascita dello stato di
Israele, lungo la Nakba del ’48 e la guerra dei sei giorni del ’67, sino alle
stragi di Sabra e Chatila in Libano nell’82 e alla prima intifada.
Ha narrato poi della terribile disillusione degli accordi di Oslo e della
seconda intifada, più sanguinosa, che è scaturita dalla loro violazione da parte
ebraica, ribadendo però la sua ferma fiducia, nonostante tutto, nel progetto di
Arafat e in una soluzione nonviolenta del conflitto.
Giunti sul mare, abbiamo ascoltato Valentina del CISS, reduce da più di dieci
anni vissuti nella Striscia, che tra le lacrime ha ricordato gli amici perduti
sotto le macerie e ha descritto con crudezza la vita quotidiana in quello che,
senza esagerazioni, l’ONU ha definito “un campo di sterminio”.
A Gaza non entrano cibo né medicine dai primi di marzo. Per impastare il pane,
la pasta cruda (quei pochi pacchi che restano) viene pestata per farne farina e
lavorata con l’acqua di mare. Per accendere il fuoco si usano le scarpe e
perfino i libri delle biblioteche universitarie.
Ci si arrangia disperatamente con tutto.
E i paesi ricchi tacciono, approvano e continuano a vendere armi a Israele.
Ma stavolta non sarà come per la Shoah: nessuno potrà dire “io non sapevo”.
Daniela Musumeci