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TREVISO: MUORE IN CARCERE TRE GIORNI DOPO IL FERMO, PRESIDIO PER CHIEDERE VERITÀ E GIUSTIZIA PER DANILO RIAHI
Danilo Riahi era arrivato in Italia attraverso il mar Mediterraneo da circa un anno. Il 9 agosto è stato arrestato dopo essere fuggito dalla polizia, in seguito a vari tentativi di furto a Vicenza. Immobilizzato col taser, viene portato nel carcere per i minorenni di Treviso. Il giovane tunisino è morto all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso il 13 agosto. Secondo le autorità avrebbe tentato il suicidio. L’ultimo suicidio in un carcere minorile risale al 2003. Mentre era ancora in fin di vita, il Questore di Vicenza, in conferenza stampa, aveva elogiato il “lavoro encomiabile” degli agenti. Alla versione ufficiale non credono però attiviste e attivisti del Collettivo Rotte Balcaniche, del centro sociale Django e del centro sociale Arcadia: “come mai è stato portato in un carcere minorile invece che in un ospedale? È stato visitato dopo essere stato colpito con il taser? Cosa (non) è stato fatto per accertarne le condizioni di salute psico-fisica prima di rinchiuderlo in un carcere? Per quanto tempo è stato privo di sorveglianza mentre tentava il suicidio?”. Per chiedere risposte, è stato indetto un presidio per la serata di giovedì 28 agosto, alle ore 19, fuori dal carcere di Treviso in via Santa Bona Nuova. La storia di Danilo è simile a quella di altre persone con un background migratorio che vivono nelle città italiane, dicono dal Collettivo Rotte Balcaniche. Ragazzi che vengono continuamente “stigmatizzati ed etichettati come pericolosi, delinquenti, maranza”, giustificando così la “militarizzazione della vita sociale” e delle città. Danilo come Ramy, Moussa, Wissem, “vittime del razzismo di stato, della violenza della polizia, delle carceri, dei CPR”. Ci raccontano la vicenda e invitano al presidio di domani, Giovanni e Aladin del Collettivo Rotte Balcaniche. Ascolta o scarica
MIGRANTI: SEI MILITARI A PROCESSO PER IL NAUFRAGIO DI CUTRO. L’ACCUSA È DI NAUFRAGIO COLPOSO E OMICIDIO COLPOSO PLURIMO
Sono stati rinviati a giudizio i sei militari, quattro della Guardia di finanza e due della Guardia costiera, indagati per il naufragio del barcone a Steccato di Cutro, in cui, la notte del 26 febbraio del 2023, morirono 94 migranti, 35 dei quali minorenni e diversi dispersi. Il prossimo 14 gennaio, quando inizierà il processo di primo grado che dovrà accertare le eventuali responsabilità di sei militari italiani per il tragico affondamento del caicco Summer Love a Steccato, ai militari vengono contestati i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo in relazione alla mancata attivazione del Sar, il Piano per la ricerca ed il salvataggio in mare. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Human. Ascolta o scarica.
MIGRANTI: MEDITERRANEA SAVING HUMAN SOTTO ACCUSA PER UN SALVATAGGIO. È IL PRIMO PROCESSO A UN’ONG IN ITALIA
Per la prima volta in Italia un’ONG rischia il processo per aver soccorso e salvato migranti nel mediterraneo. Il salvataggio di vite umane nel Mediterraneo centrale è diventato terreno di scontro politico e giudiziario. Per la prima volta in Italia, un’organizzazione non governativa – Mediterranea Saving Humans – e l’equipaggio della nave Mare Jonio saranno processati con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare aggravato da presunto profitto economico. I fatti risalgono all’11 settembre 2020, quando l’equipaggio intervenne per soccorrere 27 persone abbandonate per oltre un mese sulla prua metallica di una petroliera danese, la Maersk Etienne. Il caso, già allora al centro dell’attenzione internazionale, si trasforma in un processo che inizierà il 21 ottobre. Tra gli elementi che pesano sulla decisione del Tribunale di Ragusa c’è anche una donazione posteriore da parte della compagnia armatoriale all’ONG, interpretata dalla procura come presunta “ricompensa”, e dunque come aggravante. Ad aumentare l’ambiguità della situazione è la presenza, tra gli atti, di intercettazioni, pedinamenti e vere e proprie attività di profilazione da parte dei servizi di sicurezza italiani. Eppure, nonostante il processo e le minacce, Mediterranea rilancia: una seconda nave, la Sea-eye 4, è pronta a partire. «Questi processi servono a farci smettere. Noi raddoppiamo», dichiara Luca Casarini, capomissione e fondatore di Mediterranea Saving Human ai microfoni di Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica.
MIGRANTI: ALLA SEA WATCH 5 ASSEGNATO IL PORTO PIÙ LONTANO. “FAR SOFFRIRE LE PERSONE SEMBRA ESSERE L’UNICO SCOPO DELLE AUTORITÀ ITALIANE”
La nave Sea-Watch 5 ha portato a termine il salvataggio di 190 persone in due distinte operazioni nel Mediterraneo centrale tra l’8 e il 9 maggio 2025. Dopo i soccorsi, l’imbarcazione aveva ricevuto dalle autorità italiane l’assegnazione del porto di Civitavecchia, scalo molto lontano dalle posizioni in cui si sono svolte le operazioni di soccorso in mare, soprattutto se si considerano le condizioni delle persone soccorse, stremate dal viaggio e dai molti giorni passati in mare oltre che dalla permanenza su una nave che, pur attrezzata per il soccorso marittimo, non è pensata per il trasporto prolungato di persone. Per questo attiviste e attivisti hanno chiesto l’assegnazione di un porto sicuro più vicino. In tutta risposta, lo stato italiano ha assegnato un porto ancora più lontano: Marina di Carrara, aggiungendo altri 240 km di navigazione verso nord. “Sembra che l’unico scopo delle autorità italiane sia, oltre a tenerci lontano dai luoghi di soccorso, far soffrire di più le persone, costringerle a ulteriori sofferenze oltre a quelle che hanno già vissuto”. Lo afferma microfoni di Radio Onda d’Urto Luca Faenzi, di Sea-Watch Italia. Ascolta o scarica.