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Rete intersindacale: «Avevamo detto “Blocchiamo tutto”. Il 22 settembre è un buon inizio!»
Pubblichiamo il comunicato della rete intersindacale Adl Cobas –  CLAP–Camere del Lavoro Autonomo e Precario – COBAS Lavoro Privato – Cobas–Confederazione dei Comitati di Base – Sial Cobas, con il quale il sindacalismo conflittuale autorganizzato fa un primo bilancio sulla manifestazione di lunedì scorso. Più di mezzo milione di persone hanno riempito le piazze. Un vero e proprio sciopero sociale generale, così come da tempo le reti pacifiste e i movimenti studenteschi invocavano, chiedendone la convocazione per una mobilitazione di massa, certi dell’orientamento generale della società che si percepiva, contro la guerra e per il disarmo totale. I prodromi verso la costituzione di un nuovo movimento dalle dimensioni così vaste, si erano registrate già nei due precedenti appuntamenti nazionali in quel di Roma, la cui straordinaria partecipazione – più che dagli sforzi, pure ammirevoli, degli organizzatori – era da attribuire alla presa di coscienza collettiva spontaneamente attivatasi e che è andata via via montando in modo irresistibile, fino all’esplosione oceanica di questi giorni. Tutto ciò ci indica che è ora di abbandonare le logiche politiche precostituite, ereditate dal “lungo secolo breve” ancora stantio a cedere il passo alle nuove insorgenze conflittuali. Pensiamo alle posizioni assunte, in particolare, dalla CGIL (ma anche ad altre realtà sindacali che ne mutuano il modello), la quale ancora una volta ha chiamato a raccolta le proprie forze interne, in modo autoreferenziale, guardando alle sue categorie verticali, piuttosto che convergere nella lotta socialmente diffusa. Lo sciopero generale non è solo uno strumento rivendicativo economico, monopolio della cd.”triplice sindacale”:  Landini è fermo ancora lì, ad aspettare Godot (leggi: CISL), pensando  al “dovere” di rappresentare unitariamente (come se fosse un “valore assoluto”) quel mondo del lavoro che, nel frattempo, è profondamente cambiato[accì]   Lo sciopero generale e sociale per Gaza e contro il genocidio si è preso tutto. L’obiettivo innanzitutto: un Paese praticamente fermo, da nord a sud: porti, stazioni, circolazione stradale. I dati provvisori dell’adesione su base nazionale ci parlano di uno degli scioperi più riusciti degli ultimi anni. Se apriamo lo sguardo alla solidarietà e alla complicità di chi non ha potuto formalmente aderire ma ha comunque partecipato, delle componenti sociali che hanno attraversato le piazze (quella studentesca ad esempio), dei e delle solidali che applaudivano dalle macchine bloccate per ore, forse iniziamo a cogliere l’ampiezza del fatto prodotto. Con buona pace degli haters da social, quelli del “E adesso cosa è cambiato?!”, la giornata del 22 settembre ha scosso probabilmente milioni di persone dal senso di impotenza vissuto negli ultimi due anni, dimostrando che ognunə può fare la sua parte, che il blocco del Paese può essere praticato insieme. L’attivazione intorno alla Global Sumud Flotilla ha tracciato una rotta chiara, che riporta l’attenzione sull’orrore di Gaza e su quel genocidio insopportabile che deve finire al più presto. La scena mediatica, in seconda battuta. L’enorme potenza delle piazze, strabordanti e determinate, ha fatto il giro del mondo, irrompendo nelle maggiori testate nazionali ed estere. “Disruption in Italy” ha titolato il Guardian, che insieme ad altre importanti testate si è focalizzato sul messaggio chiaro e inequivocabile veicolato dagli ottanta cortei in tutta Italia: Palestina libera, stop al genocidio, basta accordi con Israele. Ora il Governo Meloni ha qualche problema in più di cui occuparsi, nonostante il feticismo della maggioranza (e non solo purtroppo) e di una buona parte della stampa verso qualche vetrina rotta e qualche “pendolare indignato”. Il saggio indica la luna, lo stolto guarda la vetrina in frantumi: da parte nostra la piena e totale solidarietà alle persone arrestate che vogliamo rivedere presto al nostro fianco nelle lotte. Le vecchie logiche sindacali, anche quelle sì, lo sciopero del 22 settembre le ha prese e le ha mandate in frantumi. I tatticismi inspiegabili dei sindacati confederali, con la CGIL che prova a mettere la famosa pezza che è peggio del buco, non hanno avuto effetto sui numeri dell’adesione. Probabilmente mai senza uno sciopero confederale si erano raggiunte queste cifre. La lente della mera adesione però, come già ci dicevamo, risulta insufficiente per leggere la giornata. La piazza non è stata di nessunə ed è stata di tuttə, una marea incontrollabile come quelle che negli ultimi anni si erano viste solo nelle grandi giornate dei movimenti transfemministi e nella prima fase del movimento climatico, con una ritrovata e necessaria disponibilità alla radicalità. Uno sciopero sociale vero, ripreso in mano da lavoratrici e lavoratori di tutti i settori, al di là delle affiliazioni sindacali, da studenti di ogni ordine e grado, da realtà sociali e associative, da persone che forse in piazza non erano mai scese prima di lunedì. Questa ricchezza è frutto di un processo di attivazione generalizzato del quale dobbiamo prenderci cura, difendendolo dalle torsioni identitarie e personalistiche, da pulsioni di appropriazione, per continuare a liberarne la potenza. Un filo rosso unisce la fine del genocidio a Gaza, la fine degli accordi con Israele, la fine degli investimenti in armamenti e l’aumento dei salari, l’allargamento del welfare state, la ripresa di politiche di spesa pubblica in favore di sanità, istruzione, ricerca. È indispensabile che questo movimento non finisca con la data del 22 settembre, che sia davvero quel primo passo per cambiare i rapporti di forza, sia rispetto alle posizioni del Governo su quanto sta avvenendo a Gaza, sia per costruire un’opposizione larga alla prossima legge di bilancio e più in generale alle politiche economiche e sociali all’interno del regime di guerra. Facciamoci forti di questa straordinaria giornata, che sia la spinta per prendere la rincorsa: ne avremmo di certo occasione, a partire dalla fondamentale difesa della Global Sumud Flotilla che già questa notte ha subito un altro criminale attacco di droni in acque internazionali: se bloccano la Global Sumud Flotilla, se non si ferma il meccanismo che alimenta il genocidio in Palestina e le asfissianti politiche di sfruttamento capitalistico delle nostre vite…BLOCCHIAMO TUTTO! Redazione Italia
STOP genocide in Gaza! Il sindacalismo conflittuale con i lavoratori del porto di Genova
> SIAL COBAS > > COSTRUIAMO OVUNQUE INIZIATIVE DI DISOBBEDIENZA CIVILE A SOSTEGNO DELLA > PALESTINA E DELLA GLOBAL SUMUD FLOTILLA! 22 SETTEMBRE GIORNATE DI > MOBILITAZIONE E LOTTA!   In un clima di guerra globale, con focolai di conflitto sull’orlo di nuovi e pericolosi allargamenti – dal Medio Oriente all’Asia, dall’Ucraina al Sahel fino all’America Latina – l’Europa guidata da Von der Leyen ricorre alla propaganda militarista, all’invocazione di un’economia di guerra e di un nuovo ordine mondiale, trasformando queste narrative in strumenti per giustificare spese militari senza precedenti e misure straordinarie che rischiano di trascinarci in un conflitto su scala planetaria. Tutto ciò accade mentre nelle ultime ore, l’escalation militare sulla frontiera orientale dell’Europa si intensifica e la Polonia annuncia il dispiegamento di circa 40 mila soldati al confine. In questo scenario, una flotta di circa cinquanta imbarcazioni, con un equipaggio formato da attivisti, parlamentari e giornalisti provenienti da 44 paesi diversi, si dirige verso le coste di Gaza. Lo scopo è consegnare migliaia di tonnellate di aiuti umanitari, ma ancor più importante, è rompere il criminale assedio militare in cui viene costretta la popolazione palestinese. La Global Sumud Flotilla rappresenta ad oggi la più grande missione civile internazionale mai organizzata per rompere per portare soccorso a una popolazione civile stremata da due anni di massacri, bombardamenti e dall’uso della carestia come armi di guerra. Tutto questo avviene nella totale complicità dei governi occidentali, incluso quello italiano. Ci si limita a dichiarazioni di indignazione di facciata. Si riconosce tutt’al più che Israele abbia superato ogni limite, ma nessun governo ha finora adottato misure concrete per isolarlo: non sono stati realmente toccati gli interessi economici israeliani, bloccati i rifornimenti di armi né sospese le relazioni diplomatiche con un governo che sta perpetrando, oramai senza dubbi, un genocidio, come riconosciuto dalla Corte Internazionale di Giustizia e, ormai, dalla maggioranza dell’opinione pubblica mondiale. I provvedimenti annunciati dalla Commissione Europea contro Israele non hanno nessuna possibilità di contribuire a fermare il massacro: arrivano tardi di fronte a violazioni sistematiche del diritto internazionale e, per di più, sono del tutto insufficienti e inadeguati a lenire seppur relativamente le sofferenze impresse a questo popolo. Il governo Netanyahu ha già annunciato che non si limiterà solo a fermare le imbarcazioni impedendo la consegna degli aiuti, arresterà tutti i membri dell’equipaggio trasferendoli nelle carceri israeliane, senza che abbiano commesso alcun reato. Intanto, come dimostrano i gravissimi attacchi del 9 e del 10 settembre, due navi della Flotilla sono state colpite da droni nelle acque tunisine allo scopo di spaventare e fermare la missione umanitaria. Tutto ciò accade mentre prosegue il progetto di espulsione della popolazione da Gaza e si intensifica l’occupazione coloniale in Cisgiordania con l’approvazione di un piano esplicitamente f inalizzato a un’ulteriore espansione delle colonie, operazione anche questa dichiarata illegittima dall’ONU. > DI FRONTE ALLA TOTALE ASSENZA DI EFFICACI INIZIATIVE SANZIONATORIE DA PARTE > DEI GOVERNI EUROPEI NEI CONFRONTI DI ISRAELE È EVIDENTE CHE LA MOBILITAZIONE > DEVE PROSEGUIRE DAL BASSO In questi giorni, in Italia stiamo assistendo a imponenti manifestazioni di sostegno alle partenze della Global Sumud Flotilla. Le iniziative solidali si moltiplicano in tutto il Paese, segno di una crescente e determinata partecipazione che chiede di fermare immediatamente il massacro in corso e di contrastare il progetto coloniale. La Global Sumud Flotilla con il suo equipaggio di mare e le migliaia di solidali che compongono l’“equipaggio di terra” è oramai evidentemente uno straordinario segnale di capacità internazionale dei movimenti sociali di opporsi alla corsa al riarmo e di rilanciare politiche di pace. Per fare pressione sui governi europei e garantire che la missione della Flotilla raggiunga il suo obiettivo è necessario attivare subito ogni forma di azione diretta. Sappiamo che la guerra in Medio Oriente è solo un tassello di un conflitto più ampio, per giunta sempre sull’orlo di un ulteriore allargamento. Accanto ai diversi teatri militari, la guerra è oramai entrata pienamente anche nella nostra quotidianità. Le politiche di riarmo, il riorientamento di capitoli della spesa pubblica e del welfare a favore della difesa, la ristrutturazione di interi comparti produttivi, la derubricazione di politiche concrete ed efficaci a sostegno dell’aumento dei salari e contro l’aumento della povertà, sono solo una parte degli effetti di un regime di guerra che concretamente si sta imponendo nelle nostre vite, anche attraverso nuove forme di restrizione delle libertà, dei diritti e delle tutele. Per questo accogliamo la proposta dei lavoratori del porto di Genova di convergere nella giornata di sciopero del 22 settembre, in modalità diverse nei territori, con picchetti, blocchi e occupazioni capaci di intrecciarsi con i movimenti sociali che si mobiliteranno, mettendo in campo al tempo stesso iniziative di disobbedienza civile in tutto il Paese qualora la flottiglia venga bloccata nei prossimi giorni. Nello spirito di costruire scioperi reali, capaci di superare realmente la frammentazione sindacale, la giornata del 22 settembre segna per noi l’avvio di un processo da estendere il più possibile tra lavoratori e lavoratrici, rafforzando le convergenze e alimentando la mobilitazione dal basso, con l’obiettivo di costruire una risposta collettiva ampia e generalizzata contro il Genocidio a Gaza e l’economia di guerra.   Redazione Italia
12 Maggio 2025, precariato universitario in sciopero col CLAP
A partire dalla proposta delle Assemblee Precarie Universitarie, le CLAP, ADL Cobas e la Confederazione Cobas, hanno proclamato per il prossimo 12 maggio lo sciopero del personale precario della ricerca delle Università pubbliche. Giornata di sciopero proclamata anche dalla CGIL FLC, dall’USB, dalla CUB, da Usi. A Roma, la mattina presidi e comunicazione nei tre Atenei, il pomeriggio, ore 17, convergenza a Piazza Capranica_   Sarà una nuova, importante, giornata di lotta. Mentre il Governo, con un nuovo colpo di mano, tenta di imporre la riforma del preruolo. Dopo mesi di contestazioni, la Ministra Bernini aveva deciso di fare marcia indietro col DdL 1240. Proprio negli scorsi giorni, però, con un emendamento al DL 45, tra l’altro relativo alla Scuola, la maggioranza è ripartita all’attacco. Obiettivo? Cancellare, di fatto, il Contratto di Ricerca, rapporto di lavoro di tipo subordinato, seppur temporaneo, introdotto dalla Legge 79/2022, in sostituzione del parasubordinato (Co.co.co.) Assegno di Ricerca. Bene chiarire che restano i tagli, il vero problema. Senza risorse, infatti, il Contratto di Ricerca stenta a partire e i 37 milioni della Ministra sono una sonora presa in giro (3 Contratti di Ricerca per Ateneo/Ente). Come sono una presa in giro, anche fastidiosa, i 50 milioni per il “rientro dei cervelli” (vincitori di ERC che sono andati all’estero). Al pari dei 400 milioni per il FIS, rimane invariata la ratio: niente risorse per il reclutamento (posizioni tenure track o RTT), risorse premiali e competitive per ricercatori che si trasformano in fundraiser e, di fatto, smettono di studiare. Lo sciopero del 12 maggio riguarderà il personale precario: i 30 mila con RTD-A e Assegni di Ricerca in scadenza. Per fermare l’emendamento Occhiuto in Senato, ma soprattutto per chiedere risorse per il Fondo di Finanziamento Ordinario. In assenza di nuove risorse, infatti, almeno fino al 2027 il reclutamento rimarrà congelato e almeno 2/3 dei 30 mila precari finiranno per strada, con pochi spicci di Dis-coll e una vita incrinata. Ma si tratta di un primo e fondamentale momento di convergenza (delle OO.SS., ma anche delle forze politiche di opposizione e della loro iniziativa parlamentare) che dovrà tradursi, a ottobre, in un grande sciopero dell’intero comparto. Servono 10 miliardi in più, nei prossimi 5 anni, per stabilizzare il personale precario e allargare gli organici delle Università pubbliche italiane. Il colpo di mano che sta tentando la maggioranza, probabilmente in accordo con parte della CRUI, serve semplicemente a risolvere il problema della didattica: la scadenza di 7.500 RTD-A per un verso, la compressione del numero dei Docenti a contratto (che impattano negativamente sulla valutazione degli Atenei) per l’altro, daranno un colpo durissimo alla proposta didattica degli Atenei. Invece di reclutare, il Governo pensa bene di introdurre nuove figure precarie, l’incarico postdoc più nello specifico, per sopperire al problema. La didattica va pagata e contrattualizzata nel giusto modo: con RTT e Professori strutturati (Associati e Ordinari). Mentre Macron e Von der Leyen pensano alla fuga da Trump delle star delle discipline STEM, e Bernini in modo patetico replica che i suoi 50 milioni faranno la differenza, le lotte debbono occuparsi di sconfiggere la precarietà nelle Università italiane. Il riformatore più zelante arruolato dalla Ministra, Andrea Graziosi, sostiene che solo la giusta incertezza contrattuale può selezionare i ricercatori migliori. Noi proponiamo di mandare affanculo Andrea Graziosi e quelli come lui (i tanti che hanno usufruito dell’ope legis – passaggio alla docenza senza concorso – agli inizi della controrivoluzione italiana, gli anni Ottanta, e che adesso si dedicano con solerzia a uccidere una generazione) nelle piazze di tutta Italia, il prossimo 12 maggio. Sarà liberatorio, sarà solo l’inizio! SCARICA LA PROCLAMAZIONE DELLO SCIOPERO IN PDF  CLAP-CAMERA DEL LAVORO AUTONOMO E PRECARIO  Redazione Italia