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11 giugno 2025, lettera da Buenos Aires, Argentina
Quella che segue è la dichiarazione che il mio amico e socio Julio Santucho ha rilasciato l’11 giugno 2025, in apertura del XXIV Festival de Cine de Derechos Humanos de America Latina y Caribe di Buenos Aires, Argentina, di cui è stato fondatore nel 1997. In poche righe, Julio ha sintetizzato la sua straordinaria esistenza, segnata dalla lotta contro i regimi dittatoriali che hanno caratterizzato indelebilmente la storia del suo Paese, l’Argentina; con questa riflessione, Julio ha pure spiegato il significato della scelta di avere creato un Festival cinematografico per ricordare un passato doloroso che non è mai definitivamente scomparso. Nel testo si fa riferimento al ruolo svolto da suo fratello Roberto (Robi) fondatore del Partito Armato dei Lavoratori (PRT), di ispirazione guevarista, in cui lo stesso Julio ha militato, che è stato il primo oppositore della dittatura militare degli anni 1976-83. E si fa cenno alla figura di Cristina Navajas, sua prima moglie, desaparecida, trucidata dai militari dopo avere dato alla luce il suo terzo figlio, Daniel, ritrovato soltanto nel 2023, a 46 anni, grazie all’incessante impegno delle Nonne (Abuelas) della Plaza de Majo, le mitiche donne argentine che sconfissero la dittatura senza usare le armi, solo con la loro implacabile e pacifica determinazione. Il loro lavoro silente e inarrestabile ha fatto anche questo miracolo e Daniel è stato il 133simo bambino rapito e ritrovato. Credo che il testo che segue sia il testamento spirituale di Julio che, in tutti questi anni, ha portato nella mente e nel cuore il peso insostenibile di una memoria paragonabile solo a quella di Adelmo Cervi, l’unico sopravvissuto di una grande famiglia massacrata dai fascisti italiani nella parte finale della seconda guerra mondiale. Il racconto di queste memorie, di cui Julio è l’ultimo depositario, rende omaggio infine alla capacità del nostro popolo di ospitare i profughi di guerre e persecuzioni, una virtù che stride, oggi, con il frenetico tentativo del nostro governo di relegare i migranti e i profughi in campi di concentramento, allestiti in tutta fretta per impedire che le file di disperati in fuga dalle guerre possano trovare ospitalità sul nostro territorio. Queste parole ci parlano quindi di un’Italia che sta scomparendo e di un mondo in cui la scelta di dare vita ad un Festival di Cinema dei Diritti Umani per non perdere l’insegnamento della storia si è rivelata opportuna, necessaria e quanto mai attuale. Per questo il nostro Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, di cui io e lui siamo cofondatori, lo ringrazia e si augura che queste due manifestazioni restino legate ancora per molto, soprattutto ora che la forza è tornata prepotentemente a piegare la storia e il nostro dovere è quello di tornare in trincea, in Argentina come in Italia, nell’America Latina come in Europa. Buona lettura a tutti e a tutte. A questo punto della mia vita, vale la pena ricapitolare. Sono il decimo figlio di una famiglia di cui sono orgoglioso. Essere lo shuika, come si dice in quechua per “figlio minore”, ha i suoi vantaggi e svantaggi. Lo svantaggio è che non ho mai conosciuto nessuno dei miei nonni o nonne. A scuola mi prendevano in giro perché “non hai una nonna” era una specie di insulto. I vantaggi sono che ho avuto un padre e una madre laboriosi e nove fratelli che mi viziavano eccessivamente. Al termine di un’infanzia e un’adolescenza felici, influenzato dal fervente cattolicesimo di mia madre e nonostante la feroce opposizione di mio fratello Robi, ho deciso di intraprendere la carriera sacerdotale, che mi ha portato prima a Buenos Aires e poi in Spagna. Durante uno dei suoi viaggi di ritorno da Cuba, Robi venne a trovarmi in Galizia e, grazie a tutte le lettere e alle conversazioni che avevamo avuto fino ad allora, mi convinse definitivamente che era giunto il momento per me di unirmi al Partito Rivoluzionario dei Lavoratori e lottare per la trasformazione del Paese. All’inizio di questo nuovo percorso, conobbi Cristina. E poi, la passione politica e un amore travolgente mi portarono ad abbandonare l’ideale sacerdotale per un ideale più nobile: l’attivismo rivoluzionario. In ogni caso, conseguii la laurea triennale in filosofia e teologia, come mio padre si aspettava da tutti i suoi figli. Robi non era d’accordo perché mi disse che l’ideale sarebbe stato per me essere un prete rivoluzionario, perché avrebbe avuto un profondo impatto sociale. Il mio attivismo nei quartieri popolari della periferia sud e la nascita di due splendidi bambini diedero inizio a quello che fu forse il periodo più felice della mia vita. Facemmo attività legale nel Comitato di Base di Avellaneda fino al 1974, quando iniziò la repressione delle Tripla A. Non potevo più circolare con il mio documento d’identità a nome di Santucho. Poi, il Partito ci indirizzò a lavorare nelle Scuole Politiche, un’esperienza clandestina straordinaria che migliaia di compagni vissero, e la polizia non riuscì mai a scoprirci. In ogni caso, sentirci parte di un cambiamento storico ci riempì il cuore di gioia e minimizzò i rischi che correvamo. Nel 1976, la mia famiglia subì dei lutti gravissimi e ci fu il colpo di stato. Persi cinque fratelli e cinque donne, a cominciare dalla mia Cristina, due nuore e due nipoti. Non lo dico per suscitare pietà, ma perché sono orgoglioso che in quell’ondata di mobilitazione popolare la nostra famiglia abbia contribuito con la sua parte di combattenti e, di conseguenza, sia scomparsa. Poi arrivò l’esilio. Qualcosa di difficile da affrontare. I miei figli mi prendevano in giro perché passavo troppo tempo ad ascoltare il folklore, soprattutto Mercedes Sosa. Mi sistemai, mi risposai e questa meraviglia che è Florencia apparve nella mia vita. Ho ottenuto un lavoro all’università come professore durante il boom della letteratura latinoamericana. Era un lusso accompagnare i giovani nelle loro letture di Borges, Cortázar, García Márquez, Vargas Llosa, Asturias, Debenedetti, Galeano, ecc. Una musa ispiratrice mi ha ispirato a pensare che fosse appropriato introdurre i media audiovisivi nell’insegnamento, perché le opere di molti di questi autori erano state adattate per il cinema. Fu un enorme successo. Le mie classi erano piene di studenti di altri corsi di laurea. Questa era la conferma che i media audiovisivi stavano iniziando a essere il linguaggio preferito dai giovani. Il progetto di far tornare la famiglia in Argentina è stato interrotto perché la madre di Florencia è entrata in politica ed è diventata sindaco di un municipio di Roma, il che alla fine ha portato alla nostra separazione. Il mio figlio maggiore frequentava già l’università. Così, sono tornato in Argentina nel 1993, accompagnato solo da Miguel, che era già innamorato dell’Argentina. Quando sono arrivato a Buenos Aires, mi sono reso conto che, sebbene ci fosse già una significativa produzione cinematografica sui diritti umani, non c’erano canali per la sua distribuzione. Esisteva solo il Festival del Cinema di Mar del Plata; non esisteva ancora il Bafici, né i cinema indipendenti. Così iniziai a lavorare per organizzare un Festival del Cinema sui Diritti Umani. La società argentina era traumatizzata dal terrore imposto dalla dittatura. Solo le Madri di Plaza de Mayo facevano il loro giro, nell’indifferenza generale. Ma nel 1996 quell’incantesimo si ruppe. Era nata l’organizzazione HIJOS (Figli). Il 24 marzo 1996 fu una giornata storica: in ogni città del Paese, la gente scese in piazza per gridare MAI PIÙ (Nunca mas). Era la prima volta che Plaza de Mayo si riempiva di proclami di Memoria, Verità e Giustizia. I giornali pubblicarono speciali sulla dittatura e sui campi da calcio fu osservato un minuto di silenzio per i 30.000 desaparecidos. Era il momento di fondare il Festival del Cinema sui Diritti Umani. Ci riuscimmo il 24 marzo 1997, e da allora questa è stata la nostra trincea. Nel dicembre 2001, Florencia venne in vacanza, come ogni anno. Quando si imbatté nella ribellione sociale che dilagava per le strade, mi disse: “Io resto qui, in Italia non succede niente”. E da allora, il volto del Festival è cambiato, diventando più giovane, più femminista, più indigeno, più ambientalista, più globale, come lo è oggi. Non credo di avere abbastanza meriti per ricevere l’enorme dono che la vita mi ha fatto quando siamo riusciti a recuperare mio figlio Daniel, che era stato rubato dalla dittatura. Abbiamo recuperato una parte di Cristina, la cui perdita ci ha addolorato, ma è anche una vittoria per la democrazia e una sconfitta per la dittatura genocida che ha messo in atto un piano sistematico per rubare i figli dei rivoluzionari e far loro il lavaggio del cervello, cosa che non è riuscita a fare con Daniel. Inoltre, Dani è arrivata con una meravigliosa sorpresa: due nipoti tenerissime che portano il totale a quattro figli amorevoli e sei nipoti esplosivi. Cosa si può chiedere di più! Infine, nel 1976, quando sterminarono gran parte della nostra famiglia, mio padre compì 80 anni. Lungi dal deprimersi e dal ritirarsi a leccarsi le ferite, andò a combattere contro la dittatura. Ho accompagnato i miei due genitori anziani in un tour in Europa, dove siamo stati ricevuti dai capi di stato di Italia, Francia, Germania e Svezia per testimoniare che in Argentina era in corso un genocidio. Hanno poi testimoniato davanti alla Commissione per gli Affari Esteri del Senato degli Stati Uniti. Paradossalmente, nello stesso Paese il cui potere esecutivo ha promosso i colpi di Stato in Cile, Argentina e altri Paesi, il potere legislativo ha emesso la prima condanna internazionale della dittatura di Videla con la risoluzione che interrompe gli aiuti militari all’Argentina per violazioni dei diritti umani. A 80 anni, finché ne avrò la forza, non abbandonerò questo splendido luogo di lotta che è il Festival del Cinema per l’Ambiente e i Diritti Umani, per contrastare la battaglia culturale reazionaria di questo governo e di tutti quelli che verranno. Sebbene mi sia dimesso dalla carica di presidente del Festival per lasciare il posto ai giovani formati negli ultimi anni che lo organizzano meglio di me, non potrei vivere senza il Festival. Grazie.   Maurizio Del Bufalo
Il Caffè Sospeso dà voce alle donne afghane oppresse dai Talebani
A maggio comincia il tour italiano di Zainab Entezar, giovane regista di Kabul, rifugiata in Europa per sfuggire alla cattura da parte dei Talebani. E’ la testimone che il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e la Rete del Caffè Sospeso hanno scelto per la sessione di lavoro del 2025, per rendere omaggio, anche per quest’anno, alla fermezza degli intellettuali e artisti che si oppongono ai regimi totalitari per difendere il diritto di espressione e di pensiero. Raccontare storie di resistenze alle violazioni dei diritti fondamentali è il compito del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, ma per noi è importante che a parlare siano i testimoni diretti degli avvenimenti perché il nostro pubblico possa ascoltare, capire e chiedere a essi come si vive nei Paesi che negano la democrazia, l’uguaglianza delle persone e dei generi e perseguitano tutti coloro che vogliono vivere nella pienezza dei propri diritti. E’ il caso degli intellettuali che chiedono di esprimersi liberamente con la loro arte, di poter partecipare a pieno titolo al confronto delle idee, alla scelta dei propri rappresentanti, a costruire il futuro del loro popolo, a difendere la memoria collettiva e l’identità di persone e comunità. Se proviamo a far parlare le donne del mondo arabo, potremmo trovarci davanti a diseguaglianze ancora maggiori di quelle che ci riservano i Paesi occidentali che pure si professano “avanzati” e di fatto discriminano le donne nelle attività politiche o professionali. Il caso dell’Afghanistan è davvero singolare ed emblematico, anche per colpa del disastro provocato dalla guerra dei primi anni del XXI secolo, fortemente voluta dagli USA per punire i presunti responsabili dell’attentato alle Torri Gemelle, che ha stravolto i già fragili equilibri in cui convivono alcune differenti etnie, già duramente provate dall’invasione russa degli anni 70. Il fallimento della ventennale Operazione militare occidentale (Iraqi Freedom) , che ha visto anche l’Italia in prima fila a combattere i regimi di Saddam Hussein, di Daesh ed Al Qaeda, ha riconsegnato alle milizie degli integralisti islamici il governo dell’Afghanistan con il risultato che nel Paese, dopo la partenza dei contingenti militari occupanti, è scattata una feroce rappresaglia contro i collaborazionisti dell’esercito occupante, con stragi incontrollate e una diaspora continua a cui i governi occidentali hanno voltato le spalle. Oltre alle vittime della nuova persecuzione, a registrare la peggiore repressione di stampo religioso sono state le donne, a cui è stata impedita una vita sociale dignitosa e addirittura il diritto all’istruzione oltre i 12 anni, ma anche molte altre libertà, come quella di muoversi da sole oltre una distanza limite dalla propria abitazione ed altri diritti fondamentali, anche nel modo di vestirsi. Questo ha provocato la creazione di nuclei femminili di resistenza che stanno pagando un prezzo altissimo alla repressione che non ha esitato a imprigionare, torturare ed eliminare le figure di spicco della resistenza. Zainab Entezar è una scrittrice e regista afghana di 31 anni, rifugiata attualmente in Germania. Ha una laurea triennale in giornalismo e un master in pubblica amministrazione. Zainab ha pubblicato il suo primo libro, “A Man of the Gentle Kind of Father”, nel 2017, e il suo secondo libro, “Yusra”, nel 2020. Il terzo libro è stato pubblicato in Danimarca nel 2023. Nel 2025 è uscito in Italia “Fuorché il silenzio”, con 36 interviste ad altrettante donne afghane. Ha realizzato diversi cortometraggi e i suoi film sono stati proiettati in vari Paesi, tra cui Italia, Francia, Stati Uniti, Canada, India, Bulgaria e altri e ha anche vinto premi internazionali. Zainab Entezar ha realizzato il suo primo lungometraggio documentario, Against the Taleban, di fronte agli occhi dei talebani. Il suo documentario è stato proiettato per la prima volta all’IDFA Festival ad Amsterdam e ha attirato l’attenzione del pubblico. Il documentario è stato anche presentato in diversi altri Paesi e festival internazionali. Nel 2025 è in corso la presentazione del suo nuovo lungometraggio “Shot the voice of freedom” girato nel 2021 in Afghanistan. “I miei lavori hanno ottenuto riconoscimenti e sono stati selezionati ufficialmente in oltre 170 festival cinematografici internazionali, che includono Paesi come Germania, Spagna, Messico, Irlanda, Stati Uniti, Italia, India e altri. Sono onorata di aver ricevuto il premio Best Emerging Storyteller all’Imagine This Women’s Film Festival. Inoltre, sono stata riconosciuta con premi dal Best Short Film Golden Femi Film Festival, dall’UNDP Film Festival in Afghanistan e dal Political Film Festival per la migliore regia. Il mio film, “Maryam”, ha ricevuto una menzione d’onore all’InClucine Festival, mentre il mio film, “Bicycle”, è stato riconosciuto al Copper Flower Youth Film Festival. Inoltre, il mio film, “When God Takes Your Hand” ha ricevuto una menzione d’onore allo Student World Impact Film Festival. In particolare, “Bicycle” è stato premiato come miglior film sperimentale dal Political Film Festival. Il mio film, “Maryam”, ha vinto un premio dal SamhainBaucogna International Film Festival. Il mio film “House” ha ricevuto una menzione d’onore dal Beyond Border International Film Festival” racconta Zainab. Zeinab è stata invitata dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e dalla Rete del Caffè Sospeso a partecipare a un tour italiano che partendo da Salerno e Napoli (19 e 20 maggio), toccherà Firenze, Roma, Ragusa, Comiso, Trieste, Ravenna e Forlì. L’obiettivo delle iniziative della Rete del Caffè Sospeso resta quello di sostenere a distanza il lavoro e l’opera di intellettuali e dissidenti che nel proprio Paese o nel Paese che li ha accolti rischiano il carcere, la tortura o la persecuzione per avere espresso idee diverse da quelle del governo. Sarà pertanto utile stabilire, in ogni città che ospiterà Zainab, un collegamento con la regista e continuare a comunicare con lei per dimostrarle solidarietà e apprezzamento per il suo coraggio, sostenerla nella distribuzione delle sue opere o invitarla nuovamente nel nostro Paese. La presenza di Zainab in Italia offrirà anche la possibilità di conoscere il lavoro del CISDA (Coordinamento Italiano per il Sostegno alle Donne Afghane) e le attività della numerosa comunità afghana in Italia. Di seguito l’agenda del mese di maggio del viaggio in Italia di Zainab Entezar.   DATA CITTA’ ATTIVITA’ LUOGO DOMENICA 18 SALERNO Arrivo all’aeroporto di Napoli e trasf. a Salerno LUNEDI 19 SALERNO Ore 10.30 – Incontro con studenti e docenti dell’Univ. di Salerno. Proiez. corti e presentazione libro Ore 18.00 Ist. Alfano I – Incontro con la Citta’ di Salerno – Proiez. “Shot the voice of freedom” e presentazione libro Università di Fisciano (SA) Via dei Mille, 41 – Salerno MARTEDI 20 NAPOLI/FIRENZE Ore 16.00 Incontro con studenti e docenti dell’Universita’ L’Orientale di Napoli Ore 18.40 trasf. in treno Napoli-Firenze Palazzo Corigliano –Piazza san Domenico Maggiore – Napoli MERCOLEDI 21 FIRENZE In serata – Casa Internazionale Delle Donne Via delle Vecchie Carceri, 8 – Firenze GIOVEDI 22 ROMA Mattina – trasf. in treno Firenze – Roma Ore 11.00 Museo Arti e Tradizioni Piazza G. Marconi, 8 – Roma EUR VENERDI 23 ROMA Ore 17.30 – Casa Internazionale Delle Donne via della Lungara, 19-Roma SABATO 24 ROMA Ore 10.30 –  Consulta Intercultura XV Municipio – Aula Polifunzionale, Area Mercato Ore 17.30 –– Galleria Delle Arti Via Riano – Roma Via dei Sabelli, 2 – Roma DOMENICA 25 COMISO Mattina – trasf. aereo da Roma a Catania Comiso (Ragusa) LUNEDI 26 MODICA 19.00 – Ente Liceo Convitto – proiez. 2 corti e presentazione libro Via Liceo Convitto – Modica (Ragusa) MARTEDI 27 TRIESTE Trasf. aereo da Catania a Trieste Ore 18.00 – Incontro con stampa locale Ore 21.00 – Teatro Miela Bonaventura Proiez. “Shot the voice of Freedom” Piazza Luigi Amedeo, 3 -Trieste MERCOLEDI 28 TRIESTE Ore 18.30 – Spazio Anarchico Germinal – presentazione libro Via del Bosco 52/A – Trieste GIOVEDI 29 FORLI Trasf. in treno da Trieste a Forli Ore 20.45 – EXATR – Proiez. “Shot the voice of Freedom” Via Ugo Bassi, 16 – Forli VENERDI 30 FORLI/RAVENNA Ore 10.30 – Ex Asilo Santarelli – Forli Festa provinciale dell’Arci – Ravenna Ore 18.30 – Presentazione libro Ore 20.00 – Proiez. “Shot the voice of freedom” Via Caterina Sforza,45 – Forli Villanova di Bagnacavallo (RA) Sala Azzurra Redazione Italia
XII edizione de “I Giovedì di Salerno. La Pace, nonostante la guerra”
L’associazione “Cinema e Diritti” e il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, in collaborazione con il Liceo Statale Alfano I di Salerno presentano “I giovedì del cinema dei diritti umani”. XII edizione – Salerno, 15 – 28 maggio 2025. Premessa La nuova edizione della rassegna cinematografica salernitana promossa dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli si apre in un momento di grande instabilità della politica internazionale, in cui la presenza di due conflitti straordinariamente cruenti (Ucraina e Palestina) e di numerose altre crisi internazionali indusse Papa Francesco a definire “guerra mondiale a pezzi” quella che si sta consumando sotto i nostri occhi. La redistribuzione dei ruoli geopolitici e le nuove aggregazioni dei blocchi che fanno capo alle maggiori potenze economiche e militari del pianeta stanno subendo cambiamenti drastici e rapidi, tanto da sconvolgere le previsioni degli osservatori, ma anche delle imprese multinazionali e delle lobby che governano gli equilibri e i sistemi di sviluppo mondiali. La globalizzazione non è più un processo a senso unico e sembra evolvere in forme contraddittorie, il multilateralismo è in crisi irreversibile, il progetto della Pace mondiale e la missione dell’Onu sembrano eclissati, ma nuove ambizioni stanno nascendo e questa mutazione non sarà certo indolore. Occorre tempo perché le nuove linee guida possano delinearsi con maggiore chiarezza, con l’auspicio che, nel frattempo, le società civili possano trovare il modo di far valere il proprio ruolo, senza essere soggetti passivi delle scelte di governi che sono ormai espressioni di oligarchie e potentati. A questa analisi drammatica non sfuggono neppure il nostro Paese e l’Europa che, ormai orfana del legame storico con gli Alleati d’Oltreoceano, non riesce a seguire la strada tracciata dai suoi fondatori, che avrebbero voluto superare i nazionalismi per creare uno spazio privo di frontiere e di piccoli interessi. In questo disordine, i fenomeni migratori si stanno esasperando e l’ostinato respingimento degli esseri umani in fuga si sta rivelando un lucido crimine di Stato. Le stragi in mare, le persecuzioni e i centri di detenzione prendono il posto della solidarietà e dell’accoglienza, legittimando nuovi egoismi e dittature; il mondo ha imboccato una china pericolosa, sospinto anche da modelli di sviluppo che divorano le risorse ambientali e non hanno attenzione per le conseguenze che subirà la stragrande maggioranza della specie umana. Il tempo della forza è tornato e, con esso, riaffiorano gli istinti primordiali che rendono difficile se non impossibile, la convivenza tra le comunità umane. La Democrazia è la vittima designata di queste scelte e le prime istituzioni a farne le spese sono la Pace, i Diritti Umani e i Diritto Internazionale. Qual è il senso del pacifismo in questo contesto martoriato? Su questo proverà a riflettere, con lucidità, la XII edizione dei Giovedì. Gli appuntamenti e i temi trattati La scelta degli argomenti da trattare quest’anno è caduta su quattro casi di studio che possono agire da apripista per discussioni più ampie. “Palestina, tra genocidio e pacifismo” Il primo tema che sarà affrontato giovedì 15 maggio è la crisi israelo-palestinese. A guidarci nella riflessione sul futuro di questo lembo di Medio Oriente, piagato da 80 anni di guerra e disordini, sarà il film “SARURA” di Nicola Zambelli, film vincitore della XV edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli. E’ una storia vera di speranza e di pace nata anni fa nella Palestina devastata dal conflitto tra i due popoli che, recentemente, ha fatto registrare quasi 70.000 morti, un “genocidio” come lo hanno definito le Nazioni Unite. Il film testimonia una cooperazione tra pacifisti delle due sponde che operano da anni in un antico villaggio palestinese, Sarura appunto, che, nonostante la disperata situazione venutasi a creare, resistono nella convinzione di poter tenere aperto il dialogo tra i due popoli. Sono tante le domande che dobbiamo porci sul futuro di questa regione e dell’idea di coesistenza pacifica tra i due popoli che diventa sempre più difficile. In particolare analizzeremo il fenomeno dell’aggressività e dell’invadenza dei coloni israeliani, ma anche il lavoro incessante dei gruppi bilaterali di pacifisti. A parlarcene saranno due testimoni appena rientrati dalla Cisgiordania, l’on. Franco Mari, componente della delegazione parlamentare, e Umberto Garini, volontario di Operazione Colomba, una delle Ong più attive in Palestina, che ci parlerà di Sarura oggi. Chiuderemo ricordando la strage dei giornalisti palestinesi avvenuta negli ultimi due anni (oltre 200 casi) e racconteremo la storia di Abdallah Motan, giovanissimo filmmaker palestinese attualmente in detenzione amministrativa in Cisgiordania e vedremo un suo breve, drammatico filmato (“Deferred Reclaim”) sui desaparecidos palestinesi, che sarà commentato da alcuni amici di Motan. Nota: La serata sarà introdotta da un ricordo dell’intellettuale salernitano on. prof. Francesco Calvanese, esperto di migrazioni e docente dell’Università di Salerno, recentemente scomparso. “Il coraggio delle donne afghane” La seconda serata, lunedì 19 maggio, a partire dalle ore 18.00, proporrà una riflessione sulla condizione delle donne afghane, vittime prime di un regime religioso radicale, quello dei Talebani, che si è nuovamente insediato a Kabul a partire dall’agosto del 2021, dopo il fallimento della missione militare dell’Alleanza Occidentale guidata dagli USA, riportando un Paese già duramente provato dall’invasione russa del 1979 a livelli di oscurantismo medioevale. L’ospite, la regista Zainab Entezar, è un testimone di straordinaria importanza, una donna scampata alle rappresaglie dei Talebani che ha documentato, con il suo lungometraggio “Shot the voice of Freedom” (che vedremo in anteprima italiana), le condizioni impossibili in cui è maturata la protesta sua e delle sue compagne, fino alla fuga in Europa. Zainab ha inoltre recentemente pubblicato in Italia un volume, “Fuorché il silenzio” (ed. Mimesis/Jouvena) che raccoglie le interviste da lei condotte a 36 donne del suo Paese. Ad intervistare Zainab ci saranno due attiviste salernitane, Titti Santulli e Chiara Fiore. L’incontro è patrocinato dalla Rete del Caffè Sospeso, un’iniziativa coordinata dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli che prevede l’ospitalità di intellettuali dissidenti, perseguitati e profughi provenienti da tutti i Paesi del mondo a cui viene offerta ospitalità in Italia per far conoscere le loro opere e stabilire contatti col mondo della solidarietà italiano. “Mario Paciolla, una vita per la Pace” La mattinata di mercoledì 23 maggio, a partire dalle 10.15, tratterà del lavoro degli operatori di Pace, cioè di coloro che attivamente operano in zone di guerra o di post conflitto. Sono giovani cooperanti dislocati in territori che sono stati oggetto di scontri civili o militari, e che provano a ristabilire le condizioni di pacifica convivenza nelle comunità coinvolte. Il racconto emblematico che illustreremo è quello della vita di Mario Paciolla, tragicamente scomparso nel luglio del 2020 in Colombia, mentre serviva la locale missione dell’ONU. Mario costruiva la Pace e ha pagato con la vita il suo ruolo di osservatore e analista del programma di pacificazione tra il Governo Colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (FARC). La sua fine violenta è stata dissimulata da un suicidio, la sera prima del suo programmato rientro in Italia. Il film proposto, “Mario che costruiva la Pace”, realizzato dal giornalista Rai Valerio Cataldi subito dopo la morte del giovane, racconta con esemplare precisione i dettagli di questa storia ed è ancora oggi un grido di giustizia di cui il nostro Festival si è fatto interprete solidale. I genitori di Mario da allora, cercano di convincere il Governo Italiano a restituire la verità e la giustizia alla memoria del loro figlio, impedendo che il caso venga archiviato, chiedendo indagini approfondite che chiariscano il ruolo ambiguo svolto da alcuni funzionari delle Nazioni Unite. La storia fungerà da occasione per comprendere la necessità di garantire condizioni di sicurezza a chi opera per la Pace e quali sono le strade da intraprendere per i giovani che volessero diventare cooperanti o professionisti della Pace. Saranno presenti i genitori di Mario, Pino Paciolla e Anna Motta, e il compositore Valerio Bruner, che proporrà alcuni suoi brani dedicati all’amico Mario. E’ previsto un collegamento con Maria Rita Vittori dell’Istituto Sereno Regis di Torino per un contributo sulla campagna di smilitarizzazione delle scuole italiane. “L’Europa in guerra” L’ultima serata della rassegna, quella di mercoledì 28 maggio a partire dalle ore 18.00, vedrà un confronto tra due importanti storici, Piero Bevilacqua, saggista e professore emerito degli Atenei di Roma, Bari e Salerno, e Alfonso Conte, docente di storia moderna dell’ateneo salernitano. Parleremo della “guerra a pezzi” con cui abbiamo aperto la nostra riflessione. Il professor Bevilacqua ha recentemente pubblicato un volume su questo tema e sul fallimento dell’Europa, di cui si discuterà a partire dalla proiezione di “Photophobia”, un film sloveno/ucraino presentato all’ultimo Festival di Venezia, che racconta la storia di due bambini che vivono nel sotterraneo della stazione della metropolitana di Kharkyv, una delle città ucraine più colpite dal conflitto. Sarà questa l’occasione per parlare, in generale, del ritorno della guerra come strumento di superamento delle controversie internazionali, una minaccia concreta alla Pace mondiale, e del ruolo dell’informazione durante i conflitti. Focalizzeremo la nostra analisi sul valore discusso delle politiche europee, sul senso del nuovo pacifismo e delle istituzioni internazionali che vivono una crisi profonda sotto la spinta di nuovi nazionalismi e della politica dei blocchi economici e militari che controllano il pianeta. Una grave ipoteca sul futuro dei nostri giovani e della Pace. Conclusioni La XII edizione della rassegna salernitana si presenta come momento di confronto, a più livelli, sul senso dei conflitti e delle guerre che sono tornati a essere protagonisti della storia moderna, sulla loro crescente pericolosità come innesco di conflitti maggiori per la loro capacità di creare divisioni insanabili tra popoli e Paesi. E’ questo che ci spinge a interrogarci sul bisogno di una nuova Cultura di Pace, un tema che il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli ha messo al centro della sua azione con iniziative concrete come la Scuola di Orientamento verso le Professioni della Pace di cui il Festival è promotore con l’Università L’Orientale di Napoli e la Università della Pace delle Nazioni Unite (Costa Rica). La Scuola vedrà la luce nel mese di ottobre 2025 in Campania e sarà rivolta a 30/40 studenti universitari. La Scuola sarà intitolata alla memoria di Mario Paciolla, costruttore di Pace, e sarà presentata in anteprima ai giovani del Liceo Alfano I di Salerno, l’istituto che ospiterà le tre serate de “I Giovedi” 2025. Sarà questo lo spirito di azione e di speranza che animerà questa rassegna. N.B. Un ringraziamento speciale del nostro Festival va alla Dirigente Scolastica del Liceo Statale Alfano I di Salerno, prof.ssa Elisabetta Barone, che con particolare sensibilità ha accettato di ospitare queste serate nell’Istituto da lei diretto. E un grazie a quanti, docenti, studenti e cittadini, contribuiranno al successo di queste serate. Redazione Italia