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Prima nazionale del docufilm sull’assedio di Sarajevo “Sniper Alley – To My Brother”
Sabato 29 novembre 2025 dalle 18 Spazio Comunale Piazza Forcella, via Vicaria Vecchia 23, Napoli “Per la forza con cui intreccia memoria personale e storia collettiva, restituendo allo spettatore uno sguardo vivo e necessario su ciò che la guerra lascia e ciò che la memoria può ancora salvare. Attraverso la ricerca di un fratello perduto, il film costruisce un linguaggio universale che parla di lutto, umanità e rinascita”. Con questa motivazione il docufilm ‘Sniper Alley – To My Brother’ si è aggiudicato il premio principale come miglior documentario al Glocal DOC 2025 di Varese. Un riconoscimento prestigioso per il lavoro incentrato sulla storia di Džemil Hodžić e sul suo progetto “Sniper Alley Photo” (che ha l’obiettivo di ricostruire la memoria dell’assedio di Sarajevo attraverso le immagini dei più grandi fotoreporter di guerra), nato dopo la tragica perdita del fratello Amel, ucciso da un cecchino a soli 16 anni. Il docufilm – realizzato dallo studio di produzione con sede a Pescara Creative Motion, che da anni porta avanti progetti di impegno civile e culturale a livello internazionale – continua a essere proiettato in contesti autorevoli. Dopo la presentazione nell’aula magna dell’Università di Anversa seguirà la prima nazionale italiana, con la proiezione in occasione del XVII Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli alla presenza di numerosi ospiti. Alla presentazione nella città partenopea, prevista per il 29 novembre (a partire dalle ore 18 nello “Spazio Comunale Piazza Forcella” di via Vicaria Vecchia, 23 a Napoli) interverranno i registi dell’opera Cristiana Lucia Grilli e Francesco Toscani. Saranno introdotti da Maurizio Del Bufalo, coordinatore del Festival. Prima della proiezione è prevista una breve performance musicale dal vivo sulla colonna sonora del documentario, con Max Fuschetto (oboista e compositore) e Pasquale Capobianco (chitarrista, membro degli Osanna). Al termine della proiezione ci sarà un dibattito con gli interventi, tra gli altri, dei registi, di Džemil Hodžić (protagonista sopravvissuto alla guerra di Sarajevo) con la traduzione curata da Fiorenza Grilli (mediatrice linguistica); Mario Boccia (fotoreporter, autore delle immagini originali) e Nicole Corritore (giornalista di Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa). L’evento straordinario, fortemente voluto dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, arricchisce il palinsesto della manifestazione, che quest’anno è stata dedicata ai popoli curdo, saharawi e palestinese. Ricorre inoltre in occasione del XX anniversario dalla fondazione dell’associazione Cinema e Diritti, che da diciassette edizioni organizza il Festival. Il tema trattato dal docufilm è più che mai attuale dopo le recenti notizie che avrebbero per protagonisti anche alcuni italiani. La Procura di Milano sta infatti indagando per omicidio volontario plurimo aggravato da motivi abietti e crudeltà sui “cecchini del weekend”. Si tratta di persone che negli anni Novanta avrebbero pagato per andare a uccidere uomini, donne e bambini a Sarajevo, partecipando all’assedio da parte dei serbo-bosniaci. Durante l’assedio di Sarajevo tra il 1992 e il 1996 ci sono state oltre 11mila vittime. Attraverso tante autorevoli voci, tra cui quella del giornalista italiano Toni Capuozzo, e preziose immagini di repertorio, il docufilm racconta la vicenda di Džemil e di suo fratello Amel. Il 3 maggio 1995, giorno in cui era stata annunciata una tregua dall’esercito serbo che assediava Sarajevo, i due fratelli stavano giocando in strada quando un cecchino aprì il fuoco: Amel morì a soli 16 anni tra le braccia della madre. Il titolo è innanzitutto la dedica ad Amel Hodžić, ma diventa anche un richiamo universale che ognuno di noi rivolge al proprio “fratello” in ogni parte del mondo, a chi lotta per dignità, libertà e giustizia. Il documentario si fa così inno alla pace e alla responsabilità collettiva: stimolare il dialogo, favorire la condivisione, educare i popoli alla bellezza della diversità. In un mondo ancora segnato da conflitti che colpiscono in modo drammatico i bambini, la testimonianza di Džemil e il messaggio del film acquistano nuova urgenza. Le immagini di Sarajevo si riflettono nei volti dei bambini e delle famiglie che oggi, altrove, continuano a subire gli effetti devastanti della guerra. È in questa dolorosa attualità che Sniper Alley – To My Brother trova la sua più profonda ragione d’essere: ricordare che la memoria non appartiene solo al passato, ma è un impegno vivo verso il presente. È in questa dolorosa attualità che Sniper Alley – To My Brother trova la sua più profonda ragione d’essere: ricordare che la memoria non appartiene solo al passato, ma è un impegno vivo verso il presente. Trailer:   Redazione Napoli
XVII Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli: tutti i premiati
La XVII edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli si conclude con un quadro ricco e articolato di opere premiate, provenienti da aree del mondo attraversate da conflitti, oppressioni, resistenze civili e battaglie per l’affermazione dei diritti fondamentali. Anche quest’anno il programma si è distinto per la capacità di restituire attraverso il cinema testimonianze dirette e sguardi profondi sulle violazioni sistemiche che segnano epoche e territori diversi. Le giurie hanno riconosciuto il valore artistico, politico e umano dei film che hanno saputo raccontare con linguaggio originale e consapevole la complessità del presente. La Menzione Platea Diffusa va a “’48 – Resisting the Big Settlement” del collettivo greco 218Film Team, un documento che si impone per la forza testimoniale e per un impianto narrativo costruito come un coro di voci palestinesi. La giuria ha sottolineato la lucidità con cui il film descrive le condizioni di occupazione, apartheid e violazione dei diritti umani in Cisgiordania, mettendo in evidenza la continuità storica dell’oppressione dal 1948 a oggi. Nel film emerge una dignità condivisa, priva di vittimismi, e un’indignazione che interroga con nettezza la responsabilità del mondo occidentale, raccogliendo l’invito di Bessem Tamimi a unire le lotte per la giustizia. Il Premio Paciolla è assegnato a “Adas Falasteen”, di Hamdi Khalil Elhusseini e Samar Taher Lulu, che racconta come allo scoppio della guerra una cucina comunitaria palestinese trasformi la necessità quotidiana in un atto di resistenza. Da mille a oltre trentamila pasti al giorno, il luogo chiamato Takkaya si fa spazio di solidarietà, protezione e cura, riaffermando l’umanità collettiva nonostante la devastazione. In un contesto in cui tutto viene sottratto, il gesto del cucinare diventa politico, radicale e restituisce dignità al popolo che si ricompatta per non piegarsi alla violenza del conflitto. La storia della Takkaya è la storia di una resistenza che passa attraverso l’aiuto reciproco e la tutela della vita. La Menzione Arrigoni Mer Khamis è attribuita a “Shot the Voice of Freedom” di Zainab Entezar, girato spesso di nascosto con un iPhone. Il film mette in scena le vicende di due sorelle che sfidano le restrizioni imposte dai Talebani, esponendo la regista a rischi personali altissimi pur di denunciare l’oppressione che soffoca l’Afghanistan. La giuria ha riconosciuto nella sua opera un atto necessario di testimonianza, capace di trasformare la precarietà tecnica in una forza narrativa che restituisce dignità e coraggio a chi continua a lottare per la propria libertà. Il Premio FICC Human Rights Short va al turco “Eksi Bir” di Ömer Ferhat Özmen, che condensa in pochi minuti la frattura interiore di un uomo convinto della propria posizione dominante, improvvisamente attraversato dal dubbio. Tra profumi di spezie e identità che si sfiorano, il film apre uno spiraglio di ottimismo sulla possibilità di nuove convivenze. Il Premio FICC Human Rights Doc è assegnato a “Oltre la Pelle” di Alessandra Usai, che affronta l’orrore della violenza sul corpo delle donne restituendone l’impatto emotivo senza cedere alla retorica. La giuria ha riconosciuto la forza con cui il film afferma la sacralità dell’identità femminile e la determinazione delle protagoniste nel riappropriarsi della propria storia. Per la sezione Human Rights Youth, il Premio va a “Rise Up” di Caterina Salvadori, che affronta il tema del pregiudizio razziale dal punto di vista di chi lo subisce, evidenziando la paura interiorizzata di non essere pienamente riconosciuti nella società. Il film invita a guardare attraverso gli occhi degli altri, a riconoscere i propri condizionamenti e a sollevarsi per cambiare la realtà, anche attraverso gesti minimi. Nella sezione Human Rights Shorts, la Menzione Speciale della Giuria è attribuita a “Hatch” di Alireza Kazemipour e Panta Mosleh, che racconta i tentativi drammatici di superare il confine serbo e le tracce fisiche e psicologiche lasciate sulle persone costrette a migrare. Il film ricorda che oltre le procedure amministrative esistono individui privati dei diritti essenziali. Il vincitore della sezione è “Choice” di Marko Crnogorski, che affronta il tema del diritto all’aborto con intensità visiva e rigore narrativo, superando il contesto macedone per toccare una dimensione universale. La protagonista attraversa ostacoli istituzionali che mostrano come un diritto che dovrebbe essere acquisito sia ancora oggetto di contestazione. Per la sezione Human Rights Doc, la Menzione Speciale della Giuria va a “L’angelo di Buenos Aires” di Enrico Blatti, che restituisce alla memoria collettiva la figura di Filippo Di Benedetto e le sue battaglie tra Italia e Argentina, riannodando mezzo secolo di storia attraverso testimonianze che illuminano un percorso di resistenza e solidarietà internazionale. Il vincitore della sezione è “My Sextortion Diary” di Patricia Franquesa, che racconta in prima persona la vicenda di una grave estorsione sessuale. Con uno stile contemporaneo e un linguaggio diretto, il film smonta le fragilità burocratiche che circondano un reato in crescita, trasformando un’esperienza individuale in un dispositivo di denuncia lucida e necessaria. In chiusura, il coordinatore del Festival Maurizio Del Bufalo ricorda: «Queste storie e queste voci trovano un ulteriore spazio di riflessione nel nostro evento speciale del 29 novembre con la prima nazionale di ‘Sniper Alley – To my brother’, un film di Cristiana Grilli e Francesco Toscani, coprodotto dall’Associazione Cinema e Diritti, che compie in questi giorni 20 anni. E’ la storia vera di un bambino ucciso dai cecchini di Serajevo, a cui è dedicato il museo fotografico ideato dal fratello sopravvissuto. Un appuntamento che completerà idealmente il percorso di questa edizione mettendo al centro, ancora una volta, la memoria delle recenti stragi, delle guerre dimenticate, della condizione dei civili sotto attacco. E’ un manifesto contro la guerra, per ricordare che non ci sono guerre giuste o umanitarie, ma solo stragi e violenze giustificate dall’ansia di potere e di rubare terra e risorse a chi è più debole». Nella serata del 29 novembre saranno presenti, oltre agli autori, il fotografo Mario Boccia, Il protagonista Džemil Hodžić e i musicisti Max Fuschetto e Pasquale Capobianco degli Osanna. Da diciassette anni il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli è un punto di riferimento per il cinema civile e per la promozione dei diritti umani in Italia. Promosso dall’Associazione Cinema e Diritti, con il contributo di Regione Campania, Film Commission Regione Campania, Comune di Napoli, Università L’Orientale e il patrocinio della Confederazione Elvetica e dell’Ambasciata svizzera in Italia, il Festival aderisce alla Human Rights Film Network patrocinata da Amnesty International ed è sostenuto da Banca Etica, Un Ponte Per, FICC, Expoitaly.   Redazione Italia
Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, l’ambasciata svizzera premia “Little Syria
Assegnato nelle scorse ore il Premio per la Pace che suggella l’amicizia tra il Festival partenopeo e la Confederazione Elvetica. Continuano le proiezioni a Palazzo Corigliano in attesa della seconda settimana di eventi internazionali. Il primo premiato dell’edizione 2025 del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli è “Little Syria”, di Madalina Rosca e Reem Karssli (Germania, Portogallo, Romania, 80’). La storia di tre rifugiati siriani in Europa, in fuga dopo la Rivoluzione, si aggiudica il “Premio per la Pace” che da cinque anni l’ambasciata svizzera in Italia assegna durante la manifestazione partenopea. Reem Karssli, presente nell’Aula delle Mura Greche di Palazzo Corigliano, sede dell’Università L’Orientale, ha ricevuto il premio dalle mani di Anna Russo Mattei, Vicecapo missione, alla guida della delegazione che comprendeva Barbara Wachter e la Console a Napoli Raffaella D’Errico. Il sostegno della Confederazione Elvetica e dell’ambasciata svizzera in Italia è ormai consolidato da tempo; questa sinergia si è tradotta, da cinque anni ad oggi, in un premio assegnato al film che meglio racconta il valore universale della pace. «La presenza costante dell’ambasciata svizzera è un impegno culturale e umano che ci accompagna da anni, di cui siamo particolarmente onorati e che speriamo possa interessare altre iniziative, come la Peace School Mario Paciolla», dichiara il Coordinatore del Festival, Maurizio Del Bufalo. Che aggiunge: «In un tempo in cui i Diritti Umani vengono costantemente violati, sapere di poter contare su un’istituzione che difende con coerenza il valore del dialogo e della pace rafforza la nostra missione e tutto ciò in cui crediamo» Intanto, la manifestazione, che quest’anno ha scelto il tema “Terre promesse, terre rubate. Popoli senza pace”, prosegue verso nuovi obiettivi. Dopo le tre mattinate dedicate alle scuole (lunedì 17 e martedì 18) e all’Università L’Orientale (mercoledì 19), continuano fino al 20 novembre le proiezioni dei film in gara a Palazzo Corigliano (ogni sera, dalle 19:00, fatta eccezione per domenica 16 novembre). C’è attesa per i successivi eventi internazionali in programma, tutti a Piazza Forcella dalle ore 18.00, nei giorni 17, 18, 19 e 20 novembre) che metteranno al centro le storie di tre popoli perseguitati (saharawi, curdi e palestinesi) che “resistono ai loro oppressori e dimostrano di saper vivere in promiscuità e in condizioni anche estreme.” Accompagneranno gli spettatori alla serata finale del 21 novembre a Piazza Forcella, quando assisteremo alle premiazioni per le altre categorie in gara (Human Rights Doc, Human Rights Short, Human Rights Youth, Premio Mario Paciolla), alle Menzioni (Arrigoni/mer Khamis e Giuria Diffusa) con l’omaggio musicale “… nostro mare è il mondo intero” di Alessio Lega. Andando nel dettaglio, lunedì 17 novembre è la Giornata dedicata al popolo saharawi. Alle 10.00, al Cinema Vittoria sito nel quartiere Arenella, si terrà l’incontro “Un popolo in esilio”, con Fatima Mahfud, rappresentante del Fronte Polisario in Italia, Mohammed Dihani, ex prigioniero politico, il fotografo Patrizio Esposito e il regista Mario Fusco Martone. Sarà proiettato il film Una storia Saharawi di Mario Martone, girato nel 1996 nei campi profughi del Tindouf. Nel pomeriggio (ore 18.00, Piazza Forcella), l’incontro “Saharawi, vedere l’occupazione” proporrà un confronto sulla situazione del Sahara Occidentale, ancora sotto controllo coloniale marocchino, con interventi di registi e attivisti impegnati nei territori occupati.  Martedì 18 novembre è la prima delle due giornate dedicate al popolo curdo. La mattina (ore 10.00, Cinema Vittoria) previsto il panel “Il popolo delle montagne”, con il regista Veysi Altay, l’attivista Alfonso Di Vito e il ricercatore Alessandro Tinti. Proiezione de “La memoria di Sur” di Azad Altay (TUR, 2025, 36 min). Alle 18.00, a Piazza Forcella, “Il genocidio curdo” ripercorrerà gli esiti del processo aperto dal Tribunale Permanente dei Popoli che ha riconosciuto la straordinaria aggressione subito dal popolo curdo. A guidare la serata Gianni Tognoni, Segretario generale del Tribunale Permanente, accompagnato da Alfio Nicotra e Angelica Romano di Un Ponte Per, la giornalista Emanuela Irace e Yilmaz Orkan, coordinatore del Kurdistan National Congress in Italia. Proiezione ancora di “La memoria di Sur” di Azad Altay (TUR, 2025, 36 min). Mercoledì 19 novembre, seconda giornata dedicata al popolo curdo. Alle 10.00, al Palazzo Mediterraneo (sede de L’Orientale), la tavola rotonda “Oltre il conflitto: le sfide della pace curda” approfondirà, coordinata dalla prof.ssa Lea Nocera, il tema dell’autogoverno democratico nel Rojava e delle esperienze di confederalismo comunitario. Partecipano Gianni Tognoni, Ylmaz Orkan, Alfio Nicotra, il ricercatore Alessandro Tinti e Veysi Altay. Proiezione de “La memoria di Sur” di Azad Altay (TUR, 2025, 36 minuti). Nel pomeriggio, alle 18.00, “Rojava, il Confederalismo Democratico è qui” incontro a Piazza Forcella. Sarà proiettato “Naharina – Resistenza comunitaria nel Kurdistan siriano” di F.D. Tona (51 minuti), seguito da un confronto con Zilan Diyar, attivista femminile curda, Tiziano Saccucci dell’Ufficio UIKI di Roma, Alessandro Tinti e Yilmaz Orkan, sulla realtà curda del Rojava, dove il Confederalismo Democratico è oramai una realtà. La serata di giovedì 20 novembre è dedicata alla questione palestinese. L’appuntamento delle 18.00 a Piazza Forcella vedrà la partecipazione di Luisa Morgantini, Francesca Albanese (Relatrice ONU per i Diritti Umani nei Territori Palestinesi, in collegamento), Luigi de Magistris (già Sindaco di Napoli) e Luigi Daniele, giurista dell’Università del Molise. L’incontro, dal titolo “La crisi dell’ordine mondiale e il futuro della Palestina”, offrirà una riflessione ampia sul nuovo assetto geopolitico del Medio Oriente e sulle conseguenze umanitarie del conflitto a Gaza e in Cisgiordania. Il monologo di Nino Racco, cantastorie calabrese, “Una storia palestinese” chiuderà la serata proponendo una storia di amicizia israelo-palestinese tra due giovani. Fino al 21 novembre, nello Spazio Comunale Piazza Forcella, in via Della Vicaria Vecchia 23, dalle 9 alle 19.00, l’associazione Annalisa Durante accoglierà i visitatori della Mostra HeART che esporrà i disegni dei bambini di Gaza, l’arte dal genocidio, in collaborazione con il Festival. Il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli è promosso dall’associazione Cinema e Diritti, con il contributo di Regione Campania, Film Commission Regione Campania, Comune di Napoli, Università L’Orientale, e il patrocinio della Confederazione Elvetica e dell’ambasciata svizzera in Italia, il Festival aderisce alla Human Rights Film Network, è patrocinato da Amnesty International ed è sostenuto da Banca Etica, Un Ponte Per, FICC e Assopace Palestina. Redazione Napoli
A Napoli quattro giornate dedicate alle professioni della Pace
La Peace School Mario Paciolla è dunque finita, dopo 4 giorni di continui incontri, dibattiti, discussioni, confronti tra i tirocinanti, i 46 corsisti e i tanti ospiti che sono intervenuti a offrirci le loro storie per questo meeting che non ha nulla di scontato. Adesso è tornata la calma, la calma della guerra che è alle porte di casa e ci circonda, dell’indifferenza dell’Europa e dell’ipocrisia dei governi asserviti alla Nato. Dicono che è tornata la Pace, ma ne abbiamo sentita molta di più noi, in quell’aula del Maschio Angioino di Napoli dove abbiamo vissuto 4 giorni con i reduci di Ucraina e Palestina o con chi si collegava con noi dalla Cisgiordania per dirci di continuare a parlare ai giovani, a promuovere le professioni della Pace perché la vergogna della guerra finisca per sempre. E’ stata una meravigliosa esperienza, qualcosa che non ci aspettavamo neppure noi che l’avevamo pensata e costruita. Mentre la preparavamo, sentivamo che questa Scuola di Pace era un modo per rispondere all’esigenza che ci attanagliava davanti alle immagini strazianti del genocidio di Gaza. Volevamo dare una risposta piccola ma concreta all’indifferenza dei grandi media, che da due anni ci fanno vedere le case che crollano sotto le bombe, la gente fatta a pezzi dai droni e dalle armi intelligenti, i bambini uccisi come bambole rotte tra le braccia di genitori disperati e attorno a tutto questo ci mostrano il diritto internazionale irriso e la pietà umana cancellata dalle parole e dai gesti. Per noi, che parliamo da sempre di Diritti Umani, questo spettacolo quotidiano è un’onta inaccettabile, ora che non c’è più neppure il vecchio Papa che ci rampognava con i suoi richiami; adesso anche la sede di Pietro emana un silenzio di chi sa già tutto e deve pensare ad altro. Insomma, a guardare la televisione, pare che la storia stia facendo il suo corso e dobbiamo rassegnarci alle regole del più forte. Noi invece, a Napoli, forti della sensibilità di un Ateneo antico e moderno al tempo stesso, l’Orientale, che ci ha seguito fin dalle prime intuizioni del nostro Festival, abbiamo deciso che qualcosa andava detta, ma non al governo, occupato a compiacere l’uomo più potente del mondo, piuttosto a chi domani avrà il compito di scegliere dove portare le sue gambe, dove e come vivere la propria vita. Ci sono milioni di giovani che con le loro scelte di vita e di lavoratori, di elettori, consumatori e cittadini coscienti, porteranno il mondo da qualche parte, speriamo oltre questo buio disumano che ha offuscato i nostri giorni, ed è a loro che abbiamo parlato con quanta voce abbiamo. Sappiamo perfettamente che nelle scuole di tutt’Italia, dalle Alpi al mare, è in corso già da alcuni anni una campagna di reclutamento di giovani, soprattutto provenienti da famiglie povere, a cui importanti aziende produttrici di armi e prodotti bellici stanno prospettando assunzioni a tempi brevi, con stipendi più che decenti, per rimpinguare le fila dell’impresa silenziosa che progetta e costruisce sistemi militari, per difendere, a quanto affermano costoro, la nostra Repubblica. E questo è vero fino ad un certo punto, perché le armi italiane sono vendute in tutte le guerre che insanguinano il mondo. Davanti a questa propaganda strisciante e ambigua, è tempo che anche chi difende la Pace e i Diritti prenda l’iniziativa e la parola, visto che nella scuola e nell’università questo messaggio stenta ad arrivare ai giovani, e dimostri che si può vivere (anche meglio) senza contribuire al mercato della guerra.  Anche a questo la Peace School ha voluto dare una risposta. Ai giovani che hanno aderito al nostro invito abbiamo voluto mostrare con un esempio, piccolo ma concreto, quanta luce ci sia ancora da portare sulla verità e lo abbiamo fatto raccogliendo una piccola squadra di volenterosi studenti universitari, 46 per la precisione, che sono venuti per 4 giorni di seguito a conoscere alcune realtà coraggiose di cui pochi parlano e di cui scuola e università non hanno mai tracciato un profilo. Noi, alla fine, lo abbiamo fatto e abbiamo portato una nutrita rappresentanza di questi “altri mondi possibili” a Napoli, per ascoltare come i loro attori protagonisti hanno vissuto le loro vite tra guerre, conflitti, odi e contrapposizioni esasperate, sentendosi semplici lavoratori, gente comune che ha appreso una professione o acquisito un titolo di studio e poi ha scelto una direzione precisa: quella della Pace. Un Festival cinematografico che ha fatto dell’azione il suo linguaggio preferito e un Ateneo che contiene da sempre germi di internazionalismo sociale, culturale e politico si sono messi insieme per dire qualcosa che non era mai stato detto prima, con parole semplici e immediate: che si può vivere di Pace, che la Pace può essere un lavoro. L’originalità di questa prima edizione della Peace School napoletana è il primo carattere da mettere in evidenza e non siamo noi a farcene vanto o a millantare un primato inesistente; sono stati gli operatori di Pace che abbiamo invitato a dircelo senza mezze misure: “Non abbiamo mai partecipato a una rassegna di esperienze come questa”. E i parametri con cui oggi proviamo a fare un bilancio, un resoconto di ciò che abbiamo vissuto, sono pochi e semplici e non partono dalle quantità dei consensi, che pure ci sono stati, ma dalle espressioni che gli stessi corsisti hanno usato per salutarci alla fine di questa prima esperienza. Le parole più usate da questi giovani sono state “speranza”, “scoperta”, “alternativa”, per dire che ai loro sensi si è rivelata una realtà possibile e non lontana, prima sconosciuta, che opera ogni giorno, animata da migliaia di persone normali, che produce solidarietà e progetti di Pace che danno frutti evidenti e misurabili, che diffonde una cultura nuova del fare e del pensare, che non ha nulla a che vedere con la forza, la guerra, le armi. Anzi, può essere la base di un nuovo Sistema di Sviluppo globale che non si misura con il reddito lordo, ma con la qualità della vita e dell’ambiente del pianeta che è la nostra casa e sarà la casa di chi verrà dopo di noi. Tutto questo si chiama Pace, perché si traduce in un’espressione semplice da pronunciare ma difficile da declinare: convivenza pacifica. E’ il progetto che ci avevano lasciato le generazioni che ci hanno preceduto e che abbiamo smarrito nel fumo delle guerre e delle ideologie, nel ritorno alla logica della forza e dei blocchi, è la nostra memoria che oggi i potenti del mondo deridono e calpestano. A Napoli per 4 giorni, alla Peace School Mario Paciolla, si è sentita solo la voce di chi ha scelto la Pace come bussola della propria esistenza, lavora per questo e vive di questo. Quindici organizzazioni, tra Atenei, Scuole di pace, Associazioni e Organizzazioni Non Governative, si sono succedute ai nostri microfoni per ribadire che queste parole non sono utopie e illusioni per un domani diverso, ma sono realtà operative già oggi, ipocritamente oscurate dall’ informazione e dalle stesse istituzioni che dovrebbero promuovere questi percorsi formativi, questi lavori nobili, e disseminarne i principi tra le giovani generazioni. A guidare la schiera dei nostri partner non poteva che essere l’ONU, l’organismo posto 80 anni fa a tutela della Pace mondiale, della Cooperazione, del Multilateralismo, dei Diritti Umani. Benché aggredito e spesso neutralizzato, l’ONU è ancora la massima espressione di questo equilibrio sognato e mai compiutamente raggiunto; è una istituzione unica che va riformata per curare la sua deriva etica, ma non cancellata. L’Ufficio UPeace di Roma, nato solo pochi mesi fa e collegato all’Università ONU del Costa Rica, ci ha accompagnato in questo primo esperimento che, per noi, nati in questa terra del sud, non poteva non essere dedicato ad un giovane cooperante che in questi valori ha forgiato la sua esistenza, Mario Paciolla, difendendoli fino al sacrificio finale. A lui va il nostro rispetto e la nostra ammirazione, è lui che abbiamo additato ai nostri giovani corsisti e, nel suo nome, abbiamo sentito anche il dovere di chiedere quella giustizia che non gli è stata concessa dal governo italiano, dalla sua magistratura e dalle stesse Nazioni Unite che sono complici silenti del suo omicidio.  Questa Scuola è l’ennesimo nostro contributo alla lotta dei familiari di Mario per ottenere giustizia e verità sulla sua fine. Per questo, non potevamo chiudere la nostra Scuola senza interrogare alcuni giornalisti e giuristi sul senso del rischio connesso a queste professioni e sulle garanzie che il diritto internazionale deve assicurare a chi mette la propria vita al servizio della Pace, accettando di operare in contesti di guerra o di conflitto. E l’applauso finale dei nostri giovani ci ha ripagato di tanta fatica, suggellando un legame che speriamo potrà continuare negli anni a venire. Sono state le ultime parole che abbiamo ascoltato dai genitori di Mario e da coloro, giuristi e giornalisti d’inchiesta, che seguono le indagini più complesse per giungere alla verità su queste storie, a consegnarci il testimone da lasciare alla prossima edizione che vorremmo ancora più intensa e frequentata, più ricca di contributi e racconti, come il nostro Festival, che l’ha ispirata con le storie dei popoli oppressi e degli attivisti perseguitati che vedono nel nostro impegno  uno spiraglio di luce verso un mondo più libero. Il nostro nuovo traguardo sarà costituire un nucleo di promotori che dovrà tentare di costruire il futuro della Peace School Mario Paciolla, per servire i giovani di domani, per non dimenticare Mario, la sua professione, i suoi sogni.   Maurizio Del Bufalo
La Peace School Mario Paciolla aprirà i battenti a Napoli il prossimo 8 ottobre
IL MONDO DELLA PACE SI RIUNISCE A NAPOLI PER RICORDARE MARIO PACIOLLA. L’8 OTTOBRE INIZIA LA PRIMA PEACE SCHOOL PER ORIENTARE I GIOVANI VERSO LE PROFESSIONI DELLA PACE. Il nostro XVI Festival (2024), col suo titolo “Costruiamo una cultura di pace” ci ha lasciato un’eredità molto pesante, un obbligo morale che non scompare con il sipario dell’ultima giornata di cinema. Avevamo promesso (a noi stessi, ma soprattutto alla famiglia e agli amici di Mario Paciolla) di dare un esempio di impegno concreto per ottenere finalmente un po’ di chiarezza per una delle vittime più dimenticate dalla giustizia italiana, un operatore di pace, caduto sul lavoro in Colombia, un caso ipocritamente archiviato come suicidio. E avevamo altresì annunciato di voler contribuire, con i nostri mezzi limitati, a spiegare che la Pace non si accontenta del silenzio delle armi, ma vive soprattutto nell’impegno quotidiano e incessante di chi ha scelto di farne una scelta di vita. Per questo, insieme con l’Università L’Orientale di Napoli, già straordinario partner del Festival del Cinema dei Diritti Umani, abbiamo voluto esprimere la nostra convinzione di dover generare una nuova “Cultura di Pace”, adeguata ai tempi che viviamo, immaginando un evento multiforme, complesso e pur semplice da fruire, in cui le giovani generazioni potessero incontrare alcuni dei principali attori della solidarietà internazionale, con cui dialogare, per capire cosa vuol dire fare della Pace il proprio lavoro e non solo l’impegno di un giorno. Così è nata la Peace School Mario Paciolla, che aprirà i battenti il prossimo 8 ottobre a Napoli e, per 4 giorni intensissimi, parlerà ai giovani universitari con la voce dei protagonisti per promuovere il lavoro di pace. Spiegare che “la pace è anche un lavoro” è stato il primo obiettivo che ci siamo dati, perché questa semplice affermazione non viene pronunciata né dai nostri insegnanti, nelle scuole o nelle università, ma neppure nei luoghi della fede, del tempo libero e della semplice quotidianità. Ne parlano solo gli “addetti ai lavori” nei circuiti riservati agli esperti e una parte preziosa della nostra storia, legata alle decisioni che seguirono la fine del secondo conflitto mondiale, resta ignota ai più. Settori operativi come la Cooperazione Internazionale e le Organizzazioni non Governative, ma soprattutto i progetti delle Agenzie dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, appaiono come spazi estranei al mercato del lavoro e nell’immaginario collettivo sono assimilati a luoghi accessibili a soli privilegiati, mentre il fabbisogno di nuove figure professionali (gli operatori di pace, appunto), rimane spesso insoddisfatto e straordinarie occasioni di crescita professionale restano ignote ai più. Gli eventi drammatici degli ultimi anni, a partire dalla pandemia fino alle guerre e al deflagrare del neocolonialismo genocida in Medio Oriente, hanno mostrato che l’idea che abbiamo dello sviluppo e del benessere è sempre più legata alla competizione più esasperata e all’approvvigionamento di materie prime ed energia a spese dei Paesi più deboli. A questa spietata aggressività si collegano ideologie violente ed esclusive, talvolta mascherate da teorie messianiche, che sembravano sepolte con il secolo breve. Il ritorno della forza come metodo per dirimere le controversie internazionali è ormai un esito costante e obbligato. La stessa Costituzione Italiana sembra finita in soffitta, messa da parte dall’incedere di un’insistente indifferenza delle nostre istituzioni e dei loro rappresentanti verso le continue violazioni dei diritti fondamentali. E’ tempo di proporre lo sviluppo umano come orizzonte del nuovo mondo, ma di questi concetti pochi sanno parlare e la pace e l’ambiente sono vittime dei programmi di sviluppo economici e industriali che stanno distruggendo il pianeta e la specie umana. Un muro di silenzio circonda il pensiero critico, confinato in poche università messe all’indice, rigorosamente esiliato dal suprematismo, espulso dai grandi circuiti mediatici e informativi, confuso nelle pagine dei social, criminalizzato da parole d’ordine manipolate e da fake news potenziate dall’uso indiscriminato dell’Intelligenza artificiale. L’obiettivo che si intravede dietro questo caos è quello di cancellare la speranza di vivere in pace che ogni essere umano porta naturalmente con sé e dare la sensazione che non c’è altro futuro che il riarmo e la guerra. Soltanto l’impegno della società civile può cambiare il corso degli eventi. Noi, come Festival, abbiamo deciso di fare la nostra parte, facendo leva sul cinema-azione di cui siamo promotori da anni, il cinema che racconta storie di resistenze umane e ci spinge a riflettere e ad agire. Per questo abbiamo costruito, con l’aiuto dell’Università Orientale, un’opportunità concreta per allargare l’orizzonte dei nostri giovani, raccontando finalmente un mondo “minore”, animato da protagonisti spesso eroicamente isolati: medici e avvocati senza frontiere, giornalisti armati di tastiere e macchine fotografiche, agenti umanitari del diritto internazionale, equipaggi di navi umanitarie che allungano le braccia nel mare in tempesta per salvare naufraghi, uomini e donne che non temono la violenza della repressione, della persecuzione e del potere, pur di dare voce a milioni di disperati. Così è nata la Peace School Mario Paciolla, una vetrina di pensiero alternativo, di scuole di vita diverse, con la speranza che non resti un caso isolato, ma diventi un appuntamento periodico che confermi la vocazione di Napoli ad essere Capitale dei Diritti Umani, città di Pace e di Resistenza, avamposto del mondo che cambia. Vorremmo che in pochi giorni questa piccola scuola offrisse lo spazio ad alcuni dei più importanti costruttori di pace che indicheranno le strade che portano a questi mestieri, che non hanno un albo professionale, ma possono offrire a tanti giovani una vita più consapevole e giusta, più dignitosa. Considerato che nessuno, né a scuola né altrove, ci racconta come e perché sono nate le Nazioni Unite, cos’è la pace e come si persegue, cosa sono la Cooperazione Internazionale e il Diritto Umanitario e come si diventa operatori di pace, per un giorno o per tutta la vita, proveremo a farlo noi per dimostrare che la pace conviene, perché non arricchisce i produttori di armi, ma offre una vita dignitosa a tutti. Ecco, è questo quello che abbiamo scelto di dire ai più giovani che vorranno iscriversi alla Peace School Mario Paciolla, perché è tempo che crolli la cortina di silenzio che avvolge queste professioni e finisca l’indifferenza, la rinuncia a lottare. La pace è anche una professione, va detto, ripetuto e ribadito nei fatti e la Peace School vuole farlo con chiarezza, senza avere la pretesa di dare attestati o nuovi titoli, ma solo una informazione chiara e trasparente sulle opportunità già disponibili. La pace era la professione di Mario Paciolla, che ha dato la sua vita per contribuire a fermare la guerra ed è pure la missione di Francesca Albanese, rapporteur dell’ONU, straordinaria testimone che difende col suo coraggio e la sua lucida competenza il concetto di Diritto Universale. E questo dobbiamo ricordarlo a tutti, soprattutto alle istituzioni italiane. Infine, sappiamo che la Peace School ha bisogno di tante adesioni, di volenterosi agenti di Pace che siano disposti a raccontare la propria vita e le proprie esperienze superando la coltre di silenzio che nasconde il loro lavoro, un lavoro il cui successo non si misura con il danaro, con i “passaggi” televisivi o con i posti di comando acquisiti. Non sarà facile spiegare tutto questo in pochi giorni di full immersion, ma dobbiamo provarci perché è il momento di farlo. Non c’è tempo da perdere. La pace non può aspettare, ce lo ha insegnato Mario. La Peace School Mario Paciolla è un corso breve che inizierà a Napoli l’8 ottobre 2025  e terminerà l’11 ottobre, ospitato dall’Istituto di Storia Patria nell’aula “G. Galasso” del Castelnuovo (Maschio Angioino), in piazza Municipio. L’organizzazione è curata dall’Università di Napoli L’Orientale e dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli. Partner primario è l’Università della Pace delle Nazioni Unite. Sarà una vetrina di esperienze legate alle professioni di pace e orienterà 30 giovani universitari, selezionati attraverso un bando di evidenza pubblica, verso i corsi, i master, i seminari e altre forme di sensibilizzazione e qualificazione che i partner presenti offriranno nelle loro presentazioni. L’auspicio è che la Peace School possa diventare un appuntamento annuale per tutti gli operatori della solidarietà, per offrire un’immagine esemplare di Napoli e rendere omaggio al lavoro di chi dedica, ogni giorno, la propria vita alla pace. Alle 4 giornate della prima edizione di corso hanno assicurato la loro presenza le l’Ambasciata di Svizzera, le Università di San Josè del Costa Rica (ONU), Uppsala (Svezia), Basilea (Svizzera), Padova e Federico II di Napoli, l’Associazione Assopace Palestina e il Comitato Verità e Giustizia per Mario Paciolla, le ONG Un Ponte per, Emergency, Operazione Colomba, l’Istituto Sereno Regis, le navi umanitarie SOS Mediterranee e ResQ People, le Scuole di Pace di Napoli, Monteleone e Monte Sole. Un grazie particolare al Comune di Napoli, alla Regione Campania, all’Istituto di Storia Patria di Napoli, alla Banca Etica e a tutti coloro che sosterranno questa impresa.  Nei prossimi giorni pubblicheremo il calendario delle attività e le regole per iscriversi alla Peace School. Redazione Napoli
11 giugno 2025, lettera da Buenos Aires, Argentina
Quella che segue è la dichiarazione che il mio amico e socio Julio Santucho ha rilasciato l’11 giugno 2025, in apertura del XXIV Festival de Cine de Derechos Humanos de America Latina y Caribe di Buenos Aires, Argentina, di cui è stato fondatore nel 1997. In poche righe, Julio ha sintetizzato la sua straordinaria esistenza, segnata dalla lotta contro i regimi dittatoriali che hanno caratterizzato indelebilmente la storia del suo Paese, l’Argentina; con questa riflessione, Julio ha pure spiegato il significato della scelta di avere creato un Festival cinematografico per ricordare un passato doloroso che non è mai definitivamente scomparso. Nel testo si fa riferimento al ruolo svolto da suo fratello Roberto (Robi) fondatore del Partito Armato dei Lavoratori (PRT), di ispirazione guevarista, in cui lo stesso Julio ha militato, che è stato il primo oppositore della dittatura militare degli anni 1976-83. E si fa cenno alla figura di Cristina Navajas, sua prima moglie, desaparecida, trucidata dai militari dopo avere dato alla luce il suo terzo figlio, Daniel, ritrovato soltanto nel 2023, a 46 anni, grazie all’incessante impegno delle Nonne (Abuelas) della Plaza de Majo, le mitiche donne argentine che sconfissero la dittatura senza usare le armi, solo con la loro implacabile e pacifica determinazione. Il loro lavoro silente e inarrestabile ha fatto anche questo miracolo e Daniel è stato il 133simo bambino rapito e ritrovato. Credo che il testo che segue sia il testamento spirituale di Julio che, in tutti questi anni, ha portato nella mente e nel cuore il peso insostenibile di una memoria paragonabile solo a quella di Adelmo Cervi, l’unico sopravvissuto di una grande famiglia massacrata dai fascisti italiani nella parte finale della seconda guerra mondiale. Il racconto di queste memorie, di cui Julio è l’ultimo depositario, rende omaggio infine alla capacità del nostro popolo di ospitare i profughi di guerre e persecuzioni, una virtù che stride, oggi, con il frenetico tentativo del nostro governo di relegare i migranti e i profughi in campi di concentramento, allestiti in tutta fretta per impedire che le file di disperati in fuga dalle guerre possano trovare ospitalità sul nostro territorio. Queste parole ci parlano quindi di un’Italia che sta scomparendo e di un mondo in cui la scelta di dare vita ad un Festival di Cinema dei Diritti Umani per non perdere l’insegnamento della storia si è rivelata opportuna, necessaria e quanto mai attuale. Per questo il nostro Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, di cui io e lui siamo cofondatori, lo ringrazia e si augura che queste due manifestazioni restino legate ancora per molto, soprattutto ora che la forza è tornata prepotentemente a piegare la storia e il nostro dovere è quello di tornare in trincea, in Argentina come in Italia, nell’America Latina come in Europa. Buona lettura a tutti e a tutte. A questo punto della mia vita, vale la pena ricapitolare. Sono il decimo figlio di una famiglia di cui sono orgoglioso. Essere lo shuika, come si dice in quechua per “figlio minore”, ha i suoi vantaggi e svantaggi. Lo svantaggio è che non ho mai conosciuto nessuno dei miei nonni o nonne. A scuola mi prendevano in giro perché “non hai una nonna” era una specie di insulto. I vantaggi sono che ho avuto un padre e una madre laboriosi e nove fratelli che mi viziavano eccessivamente. Al termine di un’infanzia e un’adolescenza felici, influenzato dal fervente cattolicesimo di mia madre e nonostante la feroce opposizione di mio fratello Robi, ho deciso di intraprendere la carriera sacerdotale, che mi ha portato prima a Buenos Aires e poi in Spagna. Durante uno dei suoi viaggi di ritorno da Cuba, Robi venne a trovarmi in Galizia e, grazie a tutte le lettere e alle conversazioni che avevamo avuto fino ad allora, mi convinse definitivamente che era giunto il momento per me di unirmi al Partito Rivoluzionario dei Lavoratori e lottare per la trasformazione del Paese. All’inizio di questo nuovo percorso, conobbi Cristina. E poi, la passione politica e un amore travolgente mi portarono ad abbandonare l’ideale sacerdotale per un ideale più nobile: l’attivismo rivoluzionario. In ogni caso, conseguii la laurea triennale in filosofia e teologia, come mio padre si aspettava da tutti i suoi figli. Robi non era d’accordo perché mi disse che l’ideale sarebbe stato per me essere un prete rivoluzionario, perché avrebbe avuto un profondo impatto sociale. Il mio attivismo nei quartieri popolari della periferia sud e la nascita di due splendidi bambini diedero inizio a quello che fu forse il periodo più felice della mia vita. Facemmo attività legale nel Comitato di Base di Avellaneda fino al 1974, quando iniziò la repressione delle Tripla A. Non potevo più circolare con il mio documento d’identità a nome di Santucho. Poi, il Partito ci indirizzò a lavorare nelle Scuole Politiche, un’esperienza clandestina straordinaria che migliaia di compagni vissero, e la polizia non riuscì mai a scoprirci. In ogni caso, sentirci parte di un cambiamento storico ci riempì il cuore di gioia e minimizzò i rischi che correvamo. Nel 1976, la mia famiglia subì dei lutti gravissimi e ci fu il colpo di stato. Persi cinque fratelli e cinque donne, a cominciare dalla mia Cristina, due nuore e due nipoti. Non lo dico per suscitare pietà, ma perché sono orgoglioso che in quell’ondata di mobilitazione popolare la nostra famiglia abbia contribuito con la sua parte di combattenti e, di conseguenza, sia scomparsa. Poi arrivò l’esilio. Qualcosa di difficile da affrontare. I miei figli mi prendevano in giro perché passavo troppo tempo ad ascoltare il folklore, soprattutto Mercedes Sosa. Mi sistemai, mi risposai e questa meraviglia che è Florencia apparve nella mia vita. Ho ottenuto un lavoro all’università come professore durante il boom della letteratura latinoamericana. Era un lusso accompagnare i giovani nelle loro letture di Borges, Cortázar, García Márquez, Vargas Llosa, Asturias, Debenedetti, Galeano, ecc. Una musa ispiratrice mi ha ispirato a pensare che fosse appropriato introdurre i media audiovisivi nell’insegnamento, perché le opere di molti di questi autori erano state adattate per il cinema. Fu un enorme successo. Le mie classi erano piene di studenti di altri corsi di laurea. Questa era la conferma che i media audiovisivi stavano iniziando a essere il linguaggio preferito dai giovani. Il progetto di far tornare la famiglia in Argentina è stato interrotto perché la madre di Florencia è entrata in politica ed è diventata sindaco di un municipio di Roma, il che alla fine ha portato alla nostra separazione. Il mio figlio maggiore frequentava già l’università. Così, sono tornato in Argentina nel 1993, accompagnato solo da Miguel, che era già innamorato dell’Argentina. Quando sono arrivato a Buenos Aires, mi sono reso conto che, sebbene ci fosse già una significativa produzione cinematografica sui diritti umani, non c’erano canali per la sua distribuzione. Esisteva solo il Festival del Cinema di Mar del Plata; non esisteva ancora il Bafici, né i cinema indipendenti. Così iniziai a lavorare per organizzare un Festival del Cinema sui Diritti Umani. La società argentina era traumatizzata dal terrore imposto dalla dittatura. Solo le Madri di Plaza de Mayo facevano il loro giro, nell’indifferenza generale. Ma nel 1996 quell’incantesimo si ruppe. Era nata l’organizzazione HIJOS (Figli). Il 24 marzo 1996 fu una giornata storica: in ogni città del Paese, la gente scese in piazza per gridare MAI PIÙ (Nunca mas). Era la prima volta che Plaza de Mayo si riempiva di proclami di Memoria, Verità e Giustizia. I giornali pubblicarono speciali sulla dittatura e sui campi da calcio fu osservato un minuto di silenzio per i 30.000 desaparecidos. Era il momento di fondare il Festival del Cinema sui Diritti Umani. Ci riuscimmo il 24 marzo 1997, e da allora questa è stata la nostra trincea. Nel dicembre 2001, Florencia venne in vacanza, come ogni anno. Quando si imbatté nella ribellione sociale che dilagava per le strade, mi disse: “Io resto qui, in Italia non succede niente”. E da allora, il volto del Festival è cambiato, diventando più giovane, più femminista, più indigeno, più ambientalista, più globale, come lo è oggi. Non credo di avere abbastanza meriti per ricevere l’enorme dono che la vita mi ha fatto quando siamo riusciti a recuperare mio figlio Daniel, che era stato rubato dalla dittatura. Abbiamo recuperato una parte di Cristina, la cui perdita ci ha addolorato, ma è anche una vittoria per la democrazia e una sconfitta per la dittatura genocida che ha messo in atto un piano sistematico per rubare i figli dei rivoluzionari e far loro il lavaggio del cervello, cosa che non è riuscita a fare con Daniel. Inoltre, Dani è arrivata con una meravigliosa sorpresa: due nipoti tenerissime che portano il totale a quattro figli amorevoli e sei nipoti esplosivi. Cosa si può chiedere di più! Infine, nel 1976, quando sterminarono gran parte della nostra famiglia, mio padre compì 80 anni. Lungi dal deprimersi e dal ritirarsi a leccarsi le ferite, andò a combattere contro la dittatura. Ho accompagnato i miei due genitori anziani in un tour in Europa, dove siamo stati ricevuti dai capi di stato di Italia, Francia, Germania e Svezia per testimoniare che in Argentina era in corso un genocidio. Hanno poi testimoniato davanti alla Commissione per gli Affari Esteri del Senato degli Stati Uniti. Paradossalmente, nello stesso Paese il cui potere esecutivo ha promosso i colpi di Stato in Cile, Argentina e altri Paesi, il potere legislativo ha emesso la prima condanna internazionale della dittatura di Videla con la risoluzione che interrompe gli aiuti militari all’Argentina per violazioni dei diritti umani. A 80 anni, finché ne avrò la forza, non abbandonerò questo splendido luogo di lotta che è il Festival del Cinema per l’Ambiente e i Diritti Umani, per contrastare la battaglia culturale reazionaria di questo governo e di tutti quelli che verranno. Sebbene mi sia dimesso dalla carica di presidente del Festival per lasciare il posto ai giovani formati negli ultimi anni che lo organizzano meglio di me, non potrei vivere senza il Festival. Grazie.   Maurizio Del Bufalo
Il Caffè Sospeso dà voce alle donne afghane oppresse dai Talebani
A maggio comincia il tour italiano di Zainab Entezar, giovane regista di Kabul, rifugiata in Europa per sfuggire alla cattura da parte dei Talebani. E’ la testimone che il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e la Rete del Caffè Sospeso hanno scelto per la sessione di lavoro del 2025, per rendere omaggio, anche per quest’anno, alla fermezza degli intellettuali e artisti che si oppongono ai regimi totalitari per difendere il diritto di espressione e di pensiero. Raccontare storie di resistenze alle violazioni dei diritti fondamentali è il compito del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, ma per noi è importante che a parlare siano i testimoni diretti degli avvenimenti perché il nostro pubblico possa ascoltare, capire e chiedere a essi come si vive nei Paesi che negano la democrazia, l’uguaglianza delle persone e dei generi e perseguitano tutti coloro che vogliono vivere nella pienezza dei propri diritti. E’ il caso degli intellettuali che chiedono di esprimersi liberamente con la loro arte, di poter partecipare a pieno titolo al confronto delle idee, alla scelta dei propri rappresentanti, a costruire il futuro del loro popolo, a difendere la memoria collettiva e l’identità di persone e comunità. Se proviamo a far parlare le donne del mondo arabo, potremmo trovarci davanti a diseguaglianze ancora maggiori di quelle che ci riservano i Paesi occidentali che pure si professano “avanzati” e di fatto discriminano le donne nelle attività politiche o professionali. Il caso dell’Afghanistan è davvero singolare ed emblematico, anche per colpa del disastro provocato dalla guerra dei primi anni del XXI secolo, fortemente voluta dagli USA per punire i presunti responsabili dell’attentato alle Torri Gemelle, che ha stravolto i già fragili equilibri in cui convivono alcune differenti etnie, già duramente provate dall’invasione russa degli anni 70. Il fallimento della ventennale Operazione militare occidentale (Iraqi Freedom) , che ha visto anche l’Italia in prima fila a combattere i regimi di Saddam Hussein, di Daesh ed Al Qaeda, ha riconsegnato alle milizie degli integralisti islamici il governo dell’Afghanistan con il risultato che nel Paese, dopo la partenza dei contingenti militari occupanti, è scattata una feroce rappresaglia contro i collaborazionisti dell’esercito occupante, con stragi incontrollate e una diaspora continua a cui i governi occidentali hanno voltato le spalle. Oltre alle vittime della nuova persecuzione, a registrare la peggiore repressione di stampo religioso sono state le donne, a cui è stata impedita una vita sociale dignitosa e addirittura il diritto all’istruzione oltre i 12 anni, ma anche molte altre libertà, come quella di muoversi da sole oltre una distanza limite dalla propria abitazione ed altri diritti fondamentali, anche nel modo di vestirsi. Questo ha provocato la creazione di nuclei femminili di resistenza che stanno pagando un prezzo altissimo alla repressione che non ha esitato a imprigionare, torturare ed eliminare le figure di spicco della resistenza. Zainab Entezar è una scrittrice e regista afghana di 31 anni, rifugiata attualmente in Germania. Ha una laurea triennale in giornalismo e un master in pubblica amministrazione. Zainab ha pubblicato il suo primo libro, “A Man of the Gentle Kind of Father”, nel 2017, e il suo secondo libro, “Yusra”, nel 2020. Il terzo libro è stato pubblicato in Danimarca nel 2023. Nel 2025 è uscito in Italia “Fuorché il silenzio”, con 36 interviste ad altrettante donne afghane. Ha realizzato diversi cortometraggi e i suoi film sono stati proiettati in vari Paesi, tra cui Italia, Francia, Stati Uniti, Canada, India, Bulgaria e altri e ha anche vinto premi internazionali. Zainab Entezar ha realizzato il suo primo lungometraggio documentario, Against the Taleban, di fronte agli occhi dei talebani. Il suo documentario è stato proiettato per la prima volta all’IDFA Festival ad Amsterdam e ha attirato l’attenzione del pubblico. Il documentario è stato anche presentato in diversi altri Paesi e festival internazionali. Nel 2025 è in corso la presentazione del suo nuovo lungometraggio “Shot the voice of freedom” girato nel 2021 in Afghanistan. “I miei lavori hanno ottenuto riconoscimenti e sono stati selezionati ufficialmente in oltre 170 festival cinematografici internazionali, che includono Paesi come Germania, Spagna, Messico, Irlanda, Stati Uniti, Italia, India e altri. Sono onorata di aver ricevuto il premio Best Emerging Storyteller all’Imagine This Women’s Film Festival. Inoltre, sono stata riconosciuta con premi dal Best Short Film Golden Femi Film Festival, dall’UNDP Film Festival in Afghanistan e dal Political Film Festival per la migliore regia. Il mio film, “Maryam”, ha ricevuto una menzione d’onore all’InClucine Festival, mentre il mio film, “Bicycle”, è stato riconosciuto al Copper Flower Youth Film Festival. Inoltre, il mio film, “When God Takes Your Hand” ha ricevuto una menzione d’onore allo Student World Impact Film Festival. In particolare, “Bicycle” è stato premiato come miglior film sperimentale dal Political Film Festival. Il mio film, “Maryam”, ha vinto un premio dal SamhainBaucogna International Film Festival. Il mio film “House” ha ricevuto una menzione d’onore dal Beyond Border International Film Festival” racconta Zainab. Zeinab è stata invitata dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e dalla Rete del Caffè Sospeso a partecipare a un tour italiano che partendo da Salerno e Napoli (19 e 20 maggio), toccherà Firenze, Roma, Ragusa, Comiso, Trieste, Ravenna e Forlì. L’obiettivo delle iniziative della Rete del Caffè Sospeso resta quello di sostenere a distanza il lavoro e l’opera di intellettuali e dissidenti che nel proprio Paese o nel Paese che li ha accolti rischiano il carcere, la tortura o la persecuzione per avere espresso idee diverse da quelle del governo. Sarà pertanto utile stabilire, in ogni città che ospiterà Zainab, un collegamento con la regista e continuare a comunicare con lei per dimostrarle solidarietà e apprezzamento per il suo coraggio, sostenerla nella distribuzione delle sue opere o invitarla nuovamente nel nostro Paese. La presenza di Zainab in Italia offrirà anche la possibilità di conoscere il lavoro del CISDA (Coordinamento Italiano per il Sostegno alle Donne Afghane) e le attività della numerosa comunità afghana in Italia. Di seguito l’agenda del mese di maggio del viaggio in Italia di Zainab Entezar.   DATA CITTA’ ATTIVITA’ LUOGO DOMENICA 18 SALERNO Arrivo all’aeroporto di Napoli e trasf. a Salerno LUNEDI 19 SALERNO Ore 10.30 – Incontro con studenti e docenti dell’Univ. di Salerno. Proiez. corti e presentazione libro Ore 18.00 Ist. Alfano I – Incontro con la Citta’ di Salerno – Proiez. “Shot the voice of freedom” e presentazione libro Università di Fisciano (SA) Via dei Mille, 41 – Salerno MARTEDI 20 NAPOLI/FIRENZE Ore 16.00 Incontro con studenti e docenti dell’Universita’ L’Orientale di Napoli Ore 18.40 trasf. in treno Napoli-Firenze Palazzo Corigliano –Piazza san Domenico Maggiore – Napoli MERCOLEDI 21 FIRENZE In serata – Casa Internazionale Delle Donne Via delle Vecchie Carceri, 8 – Firenze GIOVEDI 22 ROMA Mattina – trasf. in treno Firenze – Roma Ore 11.00 Museo Arti e Tradizioni Piazza G. Marconi, 8 – Roma EUR VENERDI 23 ROMA Ore 17.30 – Casa Internazionale Delle Donne via della Lungara, 19-Roma SABATO 24 ROMA Ore 10.30 –  Consulta Intercultura XV Municipio – Aula Polifunzionale, Area Mercato Ore 17.30 –– Galleria Delle Arti Via Riano – Roma Via dei Sabelli, 2 – Roma DOMENICA 25 COMISO Mattina – trasf. aereo da Roma a Catania Comiso (Ragusa) LUNEDI 26 MODICA 19.00 – Ente Liceo Convitto – proiez. 2 corti e presentazione libro Via Liceo Convitto – Modica (Ragusa) MARTEDI 27 TRIESTE Trasf. aereo da Catania a Trieste Ore 18.00 – Incontro con stampa locale Ore 21.00 – Teatro Miela Bonaventura Proiez. “Shot the voice of Freedom” Piazza Luigi Amedeo, 3 -Trieste MERCOLEDI 28 TRIESTE Ore 18.30 – Spazio Anarchico Germinal – presentazione libro Via del Bosco 52/A – Trieste GIOVEDI 29 FORLI Trasf. in treno da Trieste a Forli Ore 20.45 – EXATR – Proiez. “Shot the voice of Freedom” Via Ugo Bassi, 16 – Forli VENERDI 30 FORLI/RAVENNA Ore 10.30 – Ex Asilo Santarelli – Forli Festa provinciale dell’Arci – Ravenna Ore 18.30 – Presentazione libro Ore 20.00 – Proiez. “Shot the voice of freedom” Via Caterina Sforza,45 – Forli Villanova di Bagnacavallo (RA) Sala Azzurra Redazione Italia
XII edizione de “I Giovedì di Salerno. La Pace, nonostante la guerra”
L’associazione “Cinema e Diritti” e il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, in collaborazione con il Liceo Statale Alfano I di Salerno presentano “I giovedì del cinema dei diritti umani”. XII edizione – Salerno, 15 – 28 maggio 2025. Premessa La nuova edizione della rassegna cinematografica salernitana promossa dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli si apre in un momento di grande instabilità della politica internazionale, in cui la presenza di due conflitti straordinariamente cruenti (Ucraina e Palestina) e di numerose altre crisi internazionali indusse Papa Francesco a definire “guerra mondiale a pezzi” quella che si sta consumando sotto i nostri occhi. La redistribuzione dei ruoli geopolitici e le nuove aggregazioni dei blocchi che fanno capo alle maggiori potenze economiche e militari del pianeta stanno subendo cambiamenti drastici e rapidi, tanto da sconvolgere le previsioni degli osservatori, ma anche delle imprese multinazionali e delle lobby che governano gli equilibri e i sistemi di sviluppo mondiali. La globalizzazione non è più un processo a senso unico e sembra evolvere in forme contraddittorie, il multilateralismo è in crisi irreversibile, il progetto della Pace mondiale e la missione dell’Onu sembrano eclissati, ma nuove ambizioni stanno nascendo e questa mutazione non sarà certo indolore. Occorre tempo perché le nuove linee guida possano delinearsi con maggiore chiarezza, con l’auspicio che, nel frattempo, le società civili possano trovare il modo di far valere il proprio ruolo, senza essere soggetti passivi delle scelte di governi che sono ormai espressioni di oligarchie e potentati. A questa analisi drammatica non sfuggono neppure il nostro Paese e l’Europa che, ormai orfana del legame storico con gli Alleati d’Oltreoceano, non riesce a seguire la strada tracciata dai suoi fondatori, che avrebbero voluto superare i nazionalismi per creare uno spazio privo di frontiere e di piccoli interessi. In questo disordine, i fenomeni migratori si stanno esasperando e l’ostinato respingimento degli esseri umani in fuga si sta rivelando un lucido crimine di Stato. Le stragi in mare, le persecuzioni e i centri di detenzione prendono il posto della solidarietà e dell’accoglienza, legittimando nuovi egoismi e dittature; il mondo ha imboccato una china pericolosa, sospinto anche da modelli di sviluppo che divorano le risorse ambientali e non hanno attenzione per le conseguenze che subirà la stragrande maggioranza della specie umana. Il tempo della forza è tornato e, con esso, riaffiorano gli istinti primordiali che rendono difficile se non impossibile, la convivenza tra le comunità umane. La Democrazia è la vittima designata di queste scelte e le prime istituzioni a farne le spese sono la Pace, i Diritti Umani e i Diritto Internazionale. Qual è il senso del pacifismo in questo contesto martoriato? Su questo proverà a riflettere, con lucidità, la XII edizione dei Giovedì. Gli appuntamenti e i temi trattati La scelta degli argomenti da trattare quest’anno è caduta su quattro casi di studio che possono agire da apripista per discussioni più ampie. “Palestina, tra genocidio e pacifismo” Il primo tema che sarà affrontato giovedì 15 maggio è la crisi israelo-palestinese. A guidarci nella riflessione sul futuro di questo lembo di Medio Oriente, piagato da 80 anni di guerra e disordini, sarà il film “SARURA” di Nicola Zambelli, film vincitore della XV edizione del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli. E’ una storia vera di speranza e di pace nata anni fa nella Palestina devastata dal conflitto tra i due popoli che, recentemente, ha fatto registrare quasi 70.000 morti, un “genocidio” come lo hanno definito le Nazioni Unite. Il film testimonia una cooperazione tra pacifisti delle due sponde che operano da anni in un antico villaggio palestinese, Sarura appunto, che, nonostante la disperata situazione venutasi a creare, resistono nella convinzione di poter tenere aperto il dialogo tra i due popoli. Sono tante le domande che dobbiamo porci sul futuro di questa regione e dell’idea di coesistenza pacifica tra i due popoli che diventa sempre più difficile. In particolare analizzeremo il fenomeno dell’aggressività e dell’invadenza dei coloni israeliani, ma anche il lavoro incessante dei gruppi bilaterali di pacifisti. A parlarcene saranno due testimoni appena rientrati dalla Cisgiordania, l’on. Franco Mari, componente della delegazione parlamentare, e Umberto Garini, volontario di Operazione Colomba, una delle Ong più attive in Palestina, che ci parlerà di Sarura oggi. Chiuderemo ricordando la strage dei giornalisti palestinesi avvenuta negli ultimi due anni (oltre 200 casi) e racconteremo la storia di Abdallah Motan, giovanissimo filmmaker palestinese attualmente in detenzione amministrativa in Cisgiordania e vedremo un suo breve, drammatico filmato (“Deferred Reclaim”) sui desaparecidos palestinesi, che sarà commentato da alcuni amici di Motan. Nota: La serata sarà introdotta da un ricordo dell’intellettuale salernitano on. prof. Francesco Calvanese, esperto di migrazioni e docente dell’Università di Salerno, recentemente scomparso. “Il coraggio delle donne afghane” La seconda serata, lunedì 19 maggio, a partire dalle ore 18.00, proporrà una riflessione sulla condizione delle donne afghane, vittime prime di un regime religioso radicale, quello dei Talebani, che si è nuovamente insediato a Kabul a partire dall’agosto del 2021, dopo il fallimento della missione militare dell’Alleanza Occidentale guidata dagli USA, riportando un Paese già duramente provato dall’invasione russa del 1979 a livelli di oscurantismo medioevale. L’ospite, la regista Zainab Entezar, è un testimone di straordinaria importanza, una donna scampata alle rappresaglie dei Talebani che ha documentato, con il suo lungometraggio “Shot the voice of Freedom” (che vedremo in anteprima italiana), le condizioni impossibili in cui è maturata la protesta sua e delle sue compagne, fino alla fuga in Europa. Zainab ha inoltre recentemente pubblicato in Italia un volume, “Fuorché il silenzio” (ed. Mimesis/Jouvena) che raccoglie le interviste da lei condotte a 36 donne del suo Paese. Ad intervistare Zainab ci saranno due attiviste salernitane, Titti Santulli e Chiara Fiore. L’incontro è patrocinato dalla Rete del Caffè Sospeso, un’iniziativa coordinata dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli che prevede l’ospitalità di intellettuali dissidenti, perseguitati e profughi provenienti da tutti i Paesi del mondo a cui viene offerta ospitalità in Italia per far conoscere le loro opere e stabilire contatti col mondo della solidarietà italiano. “Mario Paciolla, una vita per la Pace” La mattinata di mercoledì 23 maggio, a partire dalle 10.15, tratterà del lavoro degli operatori di Pace, cioè di coloro che attivamente operano in zone di guerra o di post conflitto. Sono giovani cooperanti dislocati in territori che sono stati oggetto di scontri civili o militari, e che provano a ristabilire le condizioni di pacifica convivenza nelle comunità coinvolte. Il racconto emblematico che illustreremo è quello della vita di Mario Paciolla, tragicamente scomparso nel luglio del 2020 in Colombia, mentre serviva la locale missione dell’ONU. Mario costruiva la Pace e ha pagato con la vita il suo ruolo di osservatore e analista del programma di pacificazione tra il Governo Colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (FARC). La sua fine violenta è stata dissimulata da un suicidio, la sera prima del suo programmato rientro in Italia. Il film proposto, “Mario che costruiva la Pace”, realizzato dal giornalista Rai Valerio Cataldi subito dopo la morte del giovane, racconta con esemplare precisione i dettagli di questa storia ed è ancora oggi un grido di giustizia di cui il nostro Festival si è fatto interprete solidale. I genitori di Mario da allora, cercano di convincere il Governo Italiano a restituire la verità e la giustizia alla memoria del loro figlio, impedendo che il caso venga archiviato, chiedendo indagini approfondite che chiariscano il ruolo ambiguo svolto da alcuni funzionari delle Nazioni Unite. La storia fungerà da occasione per comprendere la necessità di garantire condizioni di sicurezza a chi opera per la Pace e quali sono le strade da intraprendere per i giovani che volessero diventare cooperanti o professionisti della Pace. Saranno presenti i genitori di Mario, Pino Paciolla e Anna Motta, e il compositore Valerio Bruner, che proporrà alcuni suoi brani dedicati all’amico Mario. E’ previsto un collegamento con Maria Rita Vittori dell’Istituto Sereno Regis di Torino per un contributo sulla campagna di smilitarizzazione delle scuole italiane. “L’Europa in guerra” L’ultima serata della rassegna, quella di mercoledì 28 maggio a partire dalle ore 18.00, vedrà un confronto tra due importanti storici, Piero Bevilacqua, saggista e professore emerito degli Atenei di Roma, Bari e Salerno, e Alfonso Conte, docente di storia moderna dell’ateneo salernitano. Parleremo della “guerra a pezzi” con cui abbiamo aperto la nostra riflessione. Il professor Bevilacqua ha recentemente pubblicato un volume su questo tema e sul fallimento dell’Europa, di cui si discuterà a partire dalla proiezione di “Photophobia”, un film sloveno/ucraino presentato all’ultimo Festival di Venezia, che racconta la storia di due bambini che vivono nel sotterraneo della stazione della metropolitana di Kharkyv, una delle città ucraine più colpite dal conflitto. Sarà questa l’occasione per parlare, in generale, del ritorno della guerra come strumento di superamento delle controversie internazionali, una minaccia concreta alla Pace mondiale, e del ruolo dell’informazione durante i conflitti. Focalizzeremo la nostra analisi sul valore discusso delle politiche europee, sul senso del nuovo pacifismo e delle istituzioni internazionali che vivono una crisi profonda sotto la spinta di nuovi nazionalismi e della politica dei blocchi economici e militari che controllano il pianeta. Una grave ipoteca sul futuro dei nostri giovani e della Pace. Conclusioni La XII edizione della rassegna salernitana si presenta come momento di confronto, a più livelli, sul senso dei conflitti e delle guerre che sono tornati a essere protagonisti della storia moderna, sulla loro crescente pericolosità come innesco di conflitti maggiori per la loro capacità di creare divisioni insanabili tra popoli e Paesi. E’ questo che ci spinge a interrogarci sul bisogno di una nuova Cultura di Pace, un tema che il Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli ha messo al centro della sua azione con iniziative concrete come la Scuola di Orientamento verso le Professioni della Pace di cui il Festival è promotore con l’Università L’Orientale di Napoli e la Università della Pace delle Nazioni Unite (Costa Rica). La Scuola vedrà la luce nel mese di ottobre 2025 in Campania e sarà rivolta a 30/40 studenti universitari. La Scuola sarà intitolata alla memoria di Mario Paciolla, costruttore di Pace, e sarà presentata in anteprima ai giovani del Liceo Alfano I di Salerno, l’istituto che ospiterà le tre serate de “I Giovedi” 2025. Sarà questo lo spirito di azione e di speranza che animerà questa rassegna. N.B. Un ringraziamento speciale del nostro Festival va alla Dirigente Scolastica del Liceo Statale Alfano I di Salerno, prof.ssa Elisabetta Barone, che con particolare sensibilità ha accettato di ospitare queste serate nell’Istituto da lei diretto. E un grazie a quanti, docenti, studenti e cittadini, contribuiranno al successo di queste serate. Redazione Italia