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ANCI: 2,5 milioni € a giovani imprenditori per servizi agli anziani nelle aree interne
“L’avviso su imprenditorialità giovanile e silver economy che ANCI ha pubblicato nei giorni scorsi è un vero ponte tra le generazioni, un progetto che coniuga la creazione di nuova imprenditorialità giovanile con la risposta alle esigenze della popolazione più anziana. Protagonisti saranno i Comuni delle aree interne e dei territori fragili del Paese. È una sfida che guarda al futuro”, dichiara Roberto Pella, vice presidente nazionale ANCI e delegato ad Aree interne, Politiche giovanili, Salute e Sport, a proposito dell’avviso che impegna 2,5 milioni di euro del Fondo per le politiche giovanili, rivolto essenzialmente ai Comuni e alle Unioni delle aree interne. Le domande scadranno il 14 gennaio 2026. “Questo progetto rende concreta l’esortazione che nella 42° Assemblea Anci di Bologna è venuta ancora una volta dalla voce autorevole del presidente Mattarella – prosegue Pella – Il Capo dello Stato ha invitato tutti a tenere stretti e anzi rinsaldare i legami di solidarietà tra le generazioni, le comunità e i territori della Repubblica, soprattutto quelli più fragili, che stanno subendo la sfida dello spopolamento e della riduzione di opportunità e servizi. Una tendenza che può e deve essere invertita e che ANCI sta contrastando attivamente anche con la rinnovata Agenda controesodo per i piccoli Comuni e le aree interne. Ringrazio monsignor Vincenzo Paglia che sostiene l’Associazione in questo percorso con la sua grande esperienza e competenza”. “Esprimiamo piena soddisfazione per il bando Anci che promuove l’imprenditorialità giovanile attorno ai Comuni delle aree interne ed alla popolazione anziana – dichiara da parte sua monsignor Vincenzo Paglia, presidente dell’Osservatorio sulla salute bene comune dell’Università cattolica -Una formula che susciterà moltissime sinergie sui temi della silver economy, della connettività nei piccoli centri, del recupero del suolo, del cohousing  e del turismo lento. Il bando rappresenta un passo avanti ulteriore nella piena implementazione della Legge 33, dimostrando ancora una volta, speriamo, che misure di sostegno ai giovani, integrate con provvedimenti di telemedicina e mobilità dei servizi sociosanitari rappresentano la soluzione ideale in aree a bassa densità abitativa, isolate e con alta prevalenza di anziani. Questo progetto rappresenta la risposta alla complessità storica e geografica dell’Italia, a bisogni diversi ma convergenti, che ci aiuterà a recuperare un’ampia porzione del Paese”. L’iniziativa è finanziata con 2,5 milioni di euro dal Fondo per le politiche giovanili. La scadenza per la presentazione delle domande à il 14 gennaio 2026. INFORMAZIONI : Avviso ANCI su imprenditorialità giovanile e silver economy nei territori fragili   Redazione Italia
Incontro nazionale CISDA. Viareggio, 17-19 ottobre 2025
Si è svolto dal 17 al 19 ottobre a Viareggio l’Incontro Nazionale del CISDA. Un momento di confronto che ogni anno vede riunite le attiviste del CISDA per analizzare le attività svolte nell’anno passato e per delineare strategie e attività che dovranno caratterizzare l’Associazione nel 2026. Il sostegno diretto alle donne afghane Positiva la chiusura del 2025 con il finanziamento di progetti realizzati dalle associazioni di donne afghane che lavorano sul territorio e con le quali il CISDA collabora fin dalla sua nascita: educational center, scuole clandestine, Giallo fiducia, corsi di taglio/cucito e alfabetizzazione, piccolo shelter, Vite preziose, Mobile Healt Unit. Inoltre grazie ai propri carissimi donatori, il Cisda ha sostenuto la popolazione afghana colpita in questi ultimi anni da una serie di calamità: servizi sanitari essenziali a donne e bambini che vivono in una baraccopoli auto-costruita da rifugiati interni non lontano da Kabul, emarginati e abbandonati dalle autorità di fatto; aiuti nei villaggi della provincia di Nangarhar, Dasht-e-Barchi; aiuti per l’alluvione nella provincia di Baghlan; visita nel Dar-e-Noor, dove le donne hanno un peso centrale per il sostentamento della famiglia e dall’alba al tramonto lavorano nei campi, si prendono cura del bestiame, preparano il foraggio e gestiscono le faccende domestiche, oltre a crescere i figli; aiuti ai deportati da Iran e Pakistan ad Herat – Islam Qala Border; aiuti alle vittime del terremoto nella parte est dell’Afghanistan. Le attività in Italia Intensa l’attività del CISDA in Italia per raccogliere contributi a sostegno delle donne afghane, per mantenere accesi i riflettori sulla situazione in Afghanistan e per contrastare ogni relazione con i Talebani e i tentativi, più o meno striscianti, del governo de facto. Uno dei pilastri delle attività del CISDA nel 2025 sono state la Campagna Stop Apartheid di genere Stop fondamentalismi e la raccolta firme per la petizione lanciata con la campagna. Questa attività ha consentito all’associazione di ampliare il proprio bacino di relazioni con partiti e personaggi politici, importante per la maggiore visibilità che si è riusciti a dare alla situazione delle donne in Afghanistan anche attraverso canali ai quali fino ad oggi il CISDA aveva un accesso limitato. Sfruttando anche la presentazione della campagna, da ottobre 2024 a oggi sono stati realizzati quasi 80 eventi distribuiti su tutto il territorio. Elevata anche l’attività del Gruppo Scuola, realizzando incontri con le scuole durante i quali è stata approfondita la condizione delle donne in Afghanistan con la proiezione, in alcune realtà, del film What we fight for con la partecipazione delle registe e di attiviste afghane e iraniane. Complessivamente sono stati coinvolti circa 400 studenti. Per quanto riguarda la Comunicazione, il continuo aggiornamento del sito Cisda e di Osservatorio Afghanistan, la diffusione di post su Facebook e Instagram e l’invio della Newsletter hanno consentito di mantenere attiva l’attenzione sull’Afghanistan nella comunità di amici e sostenitori del CISDA. È stato inoltre realizzato l’aggiornamento del Dossier I diritti negati delle donne afghane, che verrà diffuso a partire dal 1° novembre. Strategia e attività future L’impegno principale del CISDA rimane quello di raccogliere fondi per finanziare i progetti delle organizzazioni afghane che sosteniamo, che si affianca a quello di mantenere viva l’attenzione sulla condizione delle donne afghane e, più in generale, del popolo afghano. Per fare questo continuerà a essere attiva la Campagna Stop apartheid di genere Stop fondamentalismi, che rappresenterà la piattaforma sulla quale si innesteranno le diverse attività. Il CISDA continuerà a mantenere e sviluppare le relazioni con le associazioni della Coalizione euro-afghana per la democrazia e la laicità e nel contempo, conscio della necessità di ampliare il bacino cui presentare le proprie iniziative, cercherà di estendere il confronto anche ad altre realtà che si occupano di sostegno alla popolazione dell’Afghanistan. Si cercherà di consolidare la relazione instaurata con il Tribunale Permanente dei Popoli e si seguirà il processo di definizione del crimine di apartheid di genere presso l’ONU e la Corte Penale Internazionale. Pur nell’autonomia comunicativa che deve essere necessariamente il più adatta possibile all’utenza italiana, rimarrà prioritario il confronto con le associazioni afghane che rimangono il riferimento politico del CISDA. Tra gli strumenti che potranno essere utilizzati nei prossimi mesi si ricorda che a partire dalla fine di ottobre saranno disponibili il libro Attraversare la notte. Racconti di donne dall’Afghanistan dei Talebani di Cristiana Cella e il Dossier 2025 Diritti negati delle donne afghane. L’incontro con Belqis L’Incontro Nazionale del CISDA si è svolto nella sede della Casa delle donne di Viareggio che ci ha gentilmente ospitato e nel tardo pomeriggio di sabato le porte si sono aperte per il collegamento con Belqis Roshan, ex parlamentare afghana costretta a rifugiarsi in Germania dopo l’arrivo dei Talebani. La politica afghana ha raccontato a una platea attenta e in alcuni momenti commossa la condizione sempre più precaria nella quale sono costrette a vivere le donne in Afghanistan. Ha inoltre spiegato come adesso le attenzioni repressive dei Talebani si stiano rivolgendo anche agli uomini, con imposizioni sempre più stringenti sull’abbigliamento, la lunghezza della barba o la frequenza in moschea. Belqis ha poi portato l’attenzione su un altro aspetto che sta diventando sempre più inquietante e che riguarda l’aumento della repressione e della violenza all’interno delle famiglie: che sia per paura delle ritorsioni dei Talebani se il controllo sulle donne di casa non è abbastanza “efficiente”, che sia per l’impunità garantita negli atti di volenza nei confronti delle donne, la vita sta spesso diventando un inferno per le donne anche dentro casa. In questo quadro terrificante, Belqis ha voluto anche lanciare un messaggio di speranza ricordando la resilienza delle donne che, nonostante queste condizioni, cercano comunque di istruirsi, incontrarsi e mettere in atto piccole azioni di resistenza quotidiana. Ci ha infine esortato a continuare a sostenere le donne e la popolazione afghana mantenendo viva l’attenzione e mettendo in atto tutte le azioni possibili affinché non avvenga il riconoscimento del governo de facto dei Talebani.         CISDA - Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane
Messaggio di speranza e aiuto concreto: mostra Arte & Pace organizzata da Amurtel a Malnate
Domenica 19 ottobre, presso la sala consiliare e con il patrocinio del Comune di Malnate, è stata presentata la mostra di disegni Arte & Pace. Si tratta di una mostra di disegni dei bambini palestinese e delle loro mamme che vivono a Gaza e in Egitto, al Cairo e ad Al Areesh, raccolti da Didi Ananda Rasasudha, monaca yoga e insegnante di meditazione, dell’organizzazione filosofica Ananda Marga. Didi fa parte dell’associazione Amurtel – Ananda Marga Universal Relief Team Ladies (sito https://www.amurtel.eu/) I disegni originali di questa mostra, dei quali sono state presentate copie cartonate disponibili per la raccolta fondi, sono custoditi presso l’Ambasciata palestinese del Cairo e nascono nel contesto del recupero emotivo dei bambini di Gaza, che grazie all’arte terapia riescono a rielaborare traumi e a far vivere i bambini in ambienti adatti a loro: scuole, centri di accoglienza, luoghi di incontro per l’infanzia. Didi Rasasudha ha sottolineato come i bambini abbiano una grande resilienza, riuscendo a recuperare velocemente nonostante le immense difficoltà. Anche le donne palestinesi sono un esempio di forza e coraggio, di grande dignità e intelligenza emotiva e culturale. Persino al valico di Rafah, quando la gente era in attesa dei permessi per riuscire a passare in Egitto, in mezzo alle macerie, si cercava di far dipingere e disegnare questi bambini, spesso orfani e soli. L’associazione Amurtel ha una rete capillare in molti Paesi del mondo e si occupa di gestione delle emergenze e di intervento in eventi catastrofici a sostegno delle popolazioni, con la filosofia dell’aiuto e della promozione delle attività locali. Collabora con molte associazioni territoriali per rendere autonome le popolazioni soccorse e negli ultimi due anni si è occupata dell’emergenza palestinese. Il principale sostegno riguarda le donne e i bambini; infatti sono stati presentati i diversi progetti di collaborazione con varie associazioni locali all’interno della Striscia di Gaza e successivamente al Cairo, dove attraverso il valico di Rafah sono passati feriti e famiglie di profughi in fuga. Grazie all’aiuto di privati cittadini e di associazioni i progetti sono tanti e disparati: la creazione di scuole al Cairo e ad Al Areesh, una rete di aiuto tramite canali social-media, a cui si può accedere per chiedere sostegno, distribuzione di aiuti alimentari, di latte per l’infanzia, di medicinali, di acqua potabile tramite camion cisterne, di pasti caldi, di appoggio alle culture agricole palestinesi organizzando la distribuzione di ortaggi coltivati da contadini di Gaza. Le associazioni con cui collabora Amurtel sono diverse: Egyptian Red Crescent Society, un’organizzazione molto attiva nella distribuzione di aiuti attraverso il valico di Rafah; la Project Humanity, fondata da un influencer americano molto attivo che ha organizzato canali social a supporto delle persone in difficoltà; la LFRP Lifeblood Foundation Relief for Palestine, che insieme ad Amurtel ha distribuito prodotti igienici negli affollati ospedali egiziani e molte altre. I progetti che Didi Ananda Rasasudha ha documentato, presentando foto e video, sono stati molto toccanti e hanno mostrato la grande forza della resistenza del popolo palestinese. Sono state create scuole per i bambini di Gaza al Cairo e ad Al Areesh, che ospitano fino a 120 allievi per scuola. E oltre alle scuole, con i fondi raccolti dalle campagne di sensibilizzazione e al supporto di ingegneri palestinesi, sono stati messi in funzione due desalinizzatori a Gaza, uno a giugno 2024 e uno la scorsa settimana. Per costruire un desalinizzatore ci vogliono circa 12.000 dollari e ora si sta cercando di ripararne uno colpito dai bombardamenti e per il quale si deve ripristinare l’impianto dei pannelli solari con almeno 6.000 dollari. Inoltre se ne sta progettando uno nuovo. Il messaggio portato a Malnate è stato molto concreto e colmo di speranza. Nonostante le bombe, nonostante le difficoltà immense della popolazione palestinese, l’unione delle persone che vogliono agire e fare qualcosa, seppur poco che sia, può creare sinergie che aiutano e portano sollievo a chi ne ha bisogno. La serata si è conclusa con un momento molto commovente grazie a Chiara Rigamonti, che ha letto alcune poesie tratte dalla raccolta “Il loro grido è la mia voce” e a un bellissimo momento musicale con Eleonora Manfredi (voce) Sebastiano Morgavi e Dino Scandale (Kora e percussioni) e Caterina dell’Agnello (violoncello). La mostra e la presentazione dei progetti hanno permesso di raccogliere 500 euro. Altri 500 sono stati raccolti nei mesi scorsi da Matteo Parentini, che ha curato la serata e che solitamente organizza incontri di yoga e meditazione e serate di intrattenimento allo scopo di sostenere Amurtel. Didi Rasasudha sarà presente qui in nord Italia fino alla fine di novembre ed è disponibile a presentare i progetti seguiti da Amurtel. Mail: AnandaRasasudha@proton.me   Foto di Michele Testoni Monica Perri
Nepal Festival Solidale a Ternate (Varese)
Nella giornata di ieri, sabato 27 settembre, nel Parco di Ternate, in riva al lago di Comabbio, si è tenuta la seconda edizione del Nepal Festival Solidale organizzata dall’associazione Nepal nel Cuore. Si è trattato di una giornata ricca di eventi terminata con una cena di beneficenza, a cui hanno partecipato ben 250 persone e che ha permesso di raccogliere fondi per il progetto in corso da un paio di anni: la realizzazione di uno studentato per 50 bambini delle scuole medie nel villaggio di Chhermading, nell’ambito del progetto “Istruzione nei villaggi remoti del Nepal”. Chharmading ospita l’unica scuola media del distretto e per poterla raggiungere dai loro villaggi di origine i bambini impiegano fino a due ore di cammino. Per questo motivo Nepal nel cuore sta cercando di costruire uno studentato proprio di fronte alla scuola media, che permetterà ai piccoli alunni di frequentarla evitando lunghi tragitti, di stare al sicuro e poter accedere almeno ad un pasto caldo giornaliero. L’associazione è molto attiva in provincia di Varese e il suo presidente, Ngima Sherpa, nepalese di origine e varesino di adozione, è una persona di gran cuore. Da circa 20 anni organizza eventi per raccogliere fondi con lo scopo di aiutare le popolazioni del suo Paese di origine. Con i fondi raccolti sono stati già costruiti un orfanotrofio, quattro scuole, due cliniche e un forno crematorio. Sono state portate nelle case stufe, camini e un serbatoio di acqua potabile. Attualmente si sta cercando di terminare lo studentato e il prossimo progetto sarà quello di realizzare un appartamento sopra una delle due cliniche perché vi possano alloggiare le infermiere che di prendono cura dell’aspetto sanitario della zona. Ieri, sin dal mattino, la giornata ha ospitato 5 monaci del monastero buddista di Albagnano (VB) che hanno creato un bellissimo Mandala con la tecnica delle polveri colorate. Si tratta di un rito antico e di una pratica molto delicata che permette di creare opere d’arte molto sofisticate, che simboleggiano la creazione del cosmo. Al termine della giornata viene distrutto dai monaci stessi, a significare l’impermanenza e il distacco dalle cose materiali. I monaci hanno partecipato al festival anche con momenti di preghiera aperti ai partecipanti e benedizioni per chi fosse interessato. Anche i bambini hanno realizzato piccoli mandala con petali di fiori e foglie con l’aiuto delle volontarie dell’associazione. Per tutto il giorno bancarelle e stand espositivi hanno venduto abbigliamento e oggetti nepalesi a sostegno della causa. Nel pomeriggio è stato presentato il momento del Bagno sonoro di campane e gong tibetani e in serata gli ospiti hanno potuto gustare una buonissima cena nepalese, realizzata dalla famiglia e dagli amici di Ngima, tutti ottimi cuochi, con piatti tipici: samosa, momo, dal bat turkary, pollo al curry, chapati e yogurt. Durante la cena, Carlo, braccio destro di Ngima, ha presentato l’associazione e tutti i progetti realizzati e le nuove sfide da affrontare. Sono state portate testimonianze di persone che hanno visitato i villaggi e che hanno partecipato come volontari alle varie attività di Nepal nel cuore. Ogni anno ad aprile l’associazione organizza un viaggio per fare visita ai villaggi di Bakhare, Nalidanda, Chhermading, Dikhure e Damar, paese di origine di Ngima. Un secondo viaggio viene organizzato ad ottobre per gli amanti del trekking che desiderano affrontare le scalate di montagne come l’Everest e il Makalu. Per chi fosse interessato a sostenere la causa di Nepal nel cuore i riferimenti di contatto sono: www.unlimitedninehills.com oppure la pagina Instagram di Nepal nel cuore ODV. Foto di Federica Guglielmi Redazione Varese
Un raggio di sole a Kiev
Martedì 19 agosto ho incontrato a Kiev, nella sede della Ong Arca, Sofia Torlontano, venticinquenne di Pescara, responsabile di un progetto della cooperazione italiana. Sofia si è laureata in Cooperazione internazionale e ha fatto un master sul tema della Risposta umanitaria in emergenza. Ha lavorato nel marketing/fundraising per Save the children, poi ha fatto un tirocinio in Comunicazione alle Nazioni Unite a Copenaghen e la sua prima esperienza sul campo è stata in Kenya con ActionAid Kenya. Ora il suo ruolo è davvero importante: è Project Manager in Ucraina con un progetto dell’Ong Arca, che ha vinto un bando della Cooperazione Italiana. Il progetto su cui ha lavorato Sofia e che ha diretto nell’ultima fase si è concluso in questi giorni e riguardava la situazione di emergenza delle persone più fragili. E’ un progetto multisettoriale con interventi a Kiev e focus geografico su Sumy, Kharkiv e Mykolaïv, a ridosso della linea del fronte e con diverse aree di attività: * Costruzione di rifugi per le scuole e per gli istituti di formazione professionale. Attività con i bambini. * Acquisto di materiali e attrezzature mediche per gli ospedali delle città interessate dal progetto. * Distribuzione di cibo, prodotti per l’igiene e stufe elettriche ai civili delle cittadine e dei villaggi a ridosso del fronte e vicini a tal punto che l’insieme dei villaggi della Comunità di Yunakivka, una hromada, nell’oblast (si tratta di nomi di entità territoriali e amministrative) di Sumy, dove Arca stava portando aiuti, è stata da poco occupata dalle armate russe. * Installazione di filtri per la purificazione delle acque per renderle potabili, problema serissimo a seguito dei bombardamenti sulle infrastrutture (centrali elettriche, impianti idrici…) * Distribuzione di cibo a Kiev a persone senza fissa dimora. Queste esistono in Ucraina, come in Italia e in qualsiasi città del mondo, ma tra loro vi sono tanti sfollati interni che hanno perso tutto e non sono ancora riusciti a integrarsi, trovando un lavoro e una abitazione decente, come invece molti altri sono riusciti a fare avendo maggiori possibilità economiche  professionali. Molti di loro sono scappati prima dell’arrivo dell’Armata Russa dalle regione del Donbass e dalla Crimea, altri dalle città fantasma semidistrutte ed evacuate a ridosso del fronte, oppure dalle città spesso colpite dai droni e anche da missili di vario tipo e potenza. Gran parte degli sfollati interni, che provengono ovviamente dalle regioni orientali, se non la quasi totalità, sono di madrelingua russa o di famiglie linguisticamente russo-ucraine. Il progetto non è terminato, ma esaurito il supporto italiano proseguirà grazie ai partner locali di Arca, e cioè Remar e Hope Ukraine, a cui resterà ad esempio la tensostruttura dove vengono serviti i pasti, montata accanto alla stazione centrale di Kiev. Il secondo progetto che Sofia dirigerà e che partirà a breve, con focus geografico su Rivne e Kiev, si ripromette di creare opportunità di lavoro a lungo termine, attraverso corsi di formazione professionale e microcredito, ad alcune donne e in particolare a quelle che, dopo anni di guerra al fronte, necessitano di un reinserimento sociale. Durante la nostra lunga conversazione Sofia mi spiega che sono stato molto fortunato, perché l’ultimo attacco è stato il missile della strage del 31 luglio; dal mio arrivo a Kiev in poi non ci sono stati attacchi di nessun tipo. In effetti alla mia partenza più d’uno mi aveva fatto capire che la situazione di Kiev era molto più pericolosa di quella di Leopoli. Mi dice che in effetti la situazione è stata per giorni e giorni veramente drammatica, con continue esplosioni che hanno colpito anche zone centrali della città, che mi indica sulla mappa e che proverò a raggiungere perché non sono troppo distanti da dove alloggio. Per lei, come per tutti gli abitanti di Kiev, ci sono state notti di vera paura, passate insieme ad amici con i sacchi a pelo nei rifugi. Poi, tra un attacco e l’altro, mazzi di splendidi fiori ricevuti per festeggiare di essere ancora vivi, il lavoro che deve riprendere con il massimo della concentrazione possibile e serate a ballare in luoghi frequentati da tanti giovani e a offerta libera, perché divertirsi è un modo di distrarsi, riprendere energia e resistere. Mi chiedo e le chiedo se non vi sia ancora il rischio di un’escalation disastrosa, che potrebbe essere addirittura causata dall’incertezza sul fatto che un missile in arrivo sia dotato di un ordigno nucleare. Sofia mi dice che il problema permane, che del resto lei da anni (mi dice “fin da giovane” e a me viene da ridere perché ha, come ho già detto, venticinque anni e quindi mi vien da pensare “fin da bambina”) è attiva e impegnata a favore del trattato per la messa al bando delle armi nucleari (TPAN), di cui abbiamo parlato tante volte su Pressenza. Sofia, come tutti del resto quelli con cui ho parlato, è molto scettica sui colloqui di questi giorni in Alaska e a Washington: troppe volte si era ad un passo dalla pace e poi tutto è saltato. Sono stato fortunato a incontrarla perché l’indomani era in partenza per rientrare, per un paio di settimane di vacanza, nella sua Pescara. “Vai al mare?” le chiedo. “A dire il vero vado in montagna in un campo organizzato dalla Croce Rossa… Mi “diverto” così, lì ci saranno i miei amici più cari… Altrimenti restavo qui” mi risponde. Sofia tornerà dopo le ferie per coordinare il nuovo progetto di sostegno all’imprenditoria femminile. Questa ragazza, nata nel 2000(!), attiva sui social, a cui piace andare a ballare e divertirsi con gli amici, non è diversa dai ragazzi della sua generazione, ma come molti di loro vive quotidianamente, come attività professionale, come volontariato o come nel suo caso entrambi le cose, l’impegno a favore di un mondo migliore, diverso, altro. La mia generazione ha fallito e abbiamo poco da insegnare; possiamo soltanto metterci con grande umiltà al loro servizio, perché se non altro evitino di ripetere i nostri errori. Loro ci insegnano la concretezza sociale e umana indissolubilmente legata all’impegno politico. Il sorriso con cui mi congeda mi sembra un piccolo raggio di sole che illumina questo mondo “vasto e terribile”.   Mauro Carlo Zanella
Luci a Kibera: un ritratto della più grande baraccopoli dell’Africa orientale
Tra enormi sfide e difficoltà, la vita a Kibera, malfamata baraccopoli di Nairobi, testimonia la straordinaria tenacia dei suoi abitanti. Capaci di vincere le avversità con creatività e resilienza, scrivono ogni giorno un racconto che esalta l’indomito spirito umano. Il testo e le immagini di questo articolo sono tratti dal calendario 2025 dell’associazione non profit Amani, che da trent’anni si dedica a garantire a bambini, bambine e giovani in Africa il diritto a un’identità, una casa sicura, cibo, istruzione, cure mediche e il calore di una famiglia. Amani gestisce case di accoglienza, centri educativi e scuole professionali in Kenya e Zambia, offrendo ogni giorno opportunità concrete a chi altrimenti vivrebbe in strada, negli slum e nelle periferie di Nairobi e Lusaka. Il calendario (disponibile nell’e-shop di Amani al prezzo di € 10,00 per la versione da parete e € 5,00 per quella da scrivania) è dedicato a Kibera, una delle più grandi e note baraccopoli dell’Africa orientale, periferia di Nairobi. Le splendide immagini sono opera del fotogiornalista Brian Otieno, cresciuto proprio a Kibera e quotidianamente impegnato a sfatare i cliché sulla sua terra d’origine attraverso il progetto Kibera Stories (v. servizio di copertina di Africa 6/2020 a lui dedicato). A introdurre questo viaggio fotografico nella quotidianità di Kibera è il racconto di una giornalista keniana pluripremiata, Judie Kaberia, esperta di media e attivista dei diritti umani, delle politiche pubbliche e della parità di genere. Basta dire Kibera perché chi conosce la realtà della vita in uno slum senta un brivido freddo correre lungo la schiena. Per gli altri, quella realtà sarà qualcosa di vago che scaturisce da racconti che trasformano la cruda realtà in favola. Per capire cosa significhi vivere in uno slum, bisogna guardare Kibera, una delle baraccopoli più estese dell’Africa orientale. Situata nella capitale del Kenya, Nairobi, in soli 2,5 chilometri quadrati Kibera ospita circa un milione di persone, che per lo più sopravvivono con meno di un dollaro al giorno, affrontando alti livelli di disoccupazione e criminalità dilagante. Per molti dei residenti, dati gli scarsi guadagni, Kibera rappresenta un rifugio sicuro. Le sue viuzze si snodano tra baracche costruite con ogni tipo di materiale: plastica, lamiera arrugginita, legno e fango. Minuscole catapecchie così fitte che i sussurri dei vicini filtrano attraverso le pareti. Sopra le loro teste si snoda una precaria ragnatela di cavi elettrici, una costante minaccia di rimanere folgorati. La mancanza di fognature adeguate fa sì che anche i servizi igienici siano un lusso e che i liquami scorrano tra le case, diffondendo malattie e un fetore intenso. La criminalità è una costante e la brutalità della polizia la conseguenza. Spesso i residenti cadono vittime di arresti illegali, estorsioni o, tragicamente, anche di esecuzioni. Durante le stagioni politiche o le proteste, Kibera diventa l’epicentro dei disordini, dove i giovani disoccupati sfogano la propria frustrazione affrontando la dura repressione della polizia. Dove fiorisce la speranza Eppure, nonostante una realtà così difficile, lo spirito umano fiorisce. La vita continua con vigore e tenacia. Le storie dei residenti riflettono una grande resilienza e ci dicono che c’è speranza anche negli ambienti più inospitali. Una speranza simile a una rosa stupenda che sboccia da un cespuglio di spine, così come la gente di Kibera trova forza dentro di sé, sfruttando qualsiasi opportunità, convinta che ogni giorno possa portare a un futuro migliore. Circa 30 anni fa, questa speranza ha richiamato l’attenzione di Amani — che significa “pace” — e di Koinonia Community, che hanno attivato un progetto alimentato dalla capacità di affrontare e superare le difficoltà di una comunità desiderosa di creare una vita migliore per le generazioni future. Grazie ad Amani e a Koinonia, bambini che vivevano in strada hanno potuto andare a scuola e affrancarsi da povertà e crimine. Guidati da padre Kizito Sesana, migliaia di loro sono stati allontanati dalla strada, trovando una casa e un centro dove l’istruzione è un diritto. Vengono sostenuti bambini che affrontano sfide quali violenza di genere, tossicodipendenza, matrimoni precoci, sfruttamento sul lavoro e traffico di esseri umani. A Kibera fiorisce anche la creatività. La comunità ha capito che il successo non andrebbe misurato con i soliti esami scolastici e ha cercato di identificare e coltivare il talento, consentendo ai bambini e ai giovani di partecipare a eventi sportivi e culturali. Nonostante i preconcetti che circondano la vita in uno slum, i giovani di Kibera sono coinvolti in attività creative e spesso eccellono negli sport, fino a entrare in squadre nazionali che offrono loro l’opportunità di un futuro migliore. Lo sport e il gioco sono parte della vita. Dopo scuola o nei fine settimana, bambini e giovani si ritrovano per giocare. Celebrazione della vita La loro idea di divertimento non coincide certo con quella di chi vive fuori dallo slum. Quello che per molti è un fiume melmoso, per loro è un allegro parco giochi. Con o senza costume, si tuffano creando ricordi preziosi che rimarranno per tutta la vita. Anche la moda trova un suo posto nel cuore dello slum. Tra le baracche, un ragazzo e una ragazza posano orgogliosi mostrando stili locali, bellezza incontaminata e creatività. Questa vibrante celebrazione della vita dimostra che i residenti non sono semplici spettatori, ma partecipano attivamente alla definizione delle tendenze globali, esprimendo la propria unicità. Un ring di pugilato, coperto da un tappeto cremisi, si erge a simbolo di resistenza. Eventi come questo dimostrano la collaborazione tra società, Ong e agenzie governative per coltivare i talenti locali e offrire occasioni di divertimento a tutta la comunità. Negli angoli di Kibera, i bambini trasformano ciò che li circonda in fonte di gioia. In assenza di veri campi da gioco, si arrampicano e inventano giochi che scatenano tante risate. Lo spirito della comunità cresce con giovani che si impegnano a ripulire la baraccopoli: uno sforzo collettivo che promuove il senso di appartenenza e li rende orgogliosi di migliorare l’ambiente in cui vivono. In questo arazzo di resilienza, brillano le donne di Kibera. Le madri, esempio di amore incondizionato e forza, affrontano sfide immense come la violenza di genere e la povertà estrema. Organizzazioni come Amani forniscono un sostegno vitale, offrendo l’opportunità di sviluppare nuove competenze e mezzi di sostentamento sostenibili. I murales colorati che adornano le strade di Kibera raccontano storie di grande intensità: comunicano le lotte quotidiane, le paure e le speranze che consentono di immaginare un futuro migliore. Ogni pennellata cattura le lezioni apprese e alcuni degli artisti sviluppano carriere degne di nota. Questa speranza radicata nella comunità è la luce in fondo al tunnel. Pur presentando sfide formidabili, la vita a Kibera è anche testimonianza della tenacia dei suoi residenti, che abbracciano il proprio destino con orgoglio e affrontano le avversità con creatività e resilienza, scrivendo un racconto che esalta l’indomito spirito umano. Per la gente di Kibera domani sarà sicuramente un giorno migliore. Foto di Brian Otieno Africa Rivista