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Cerimonia di chiusura del X Simposio del Centro Mondiale di Studi Umanisti
Con la cerimonia di chiusura realizzata da  Roberta Consilvio si è concluso online il X Simposio del Centro Mondiale “Utopie in movimento” Domenica 11 Maggio. Riportiamo integralmente la cerimonia conclusa con l’Impegno Etico che ha caratterizzato la Terza Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza. Ecco il testo integrale della cerimonia.   Un caro saluto a tutte le persone collegate con noi in questo momento. Siamo al momento finale di questo decimo Simposio Internazionale che il Centro Mondiale di Studi Umanisti ha organizzato quest’anno, con il titolo “Utopie in movimento: cammini verso la Nazione Umana Universale”. Sicuramente questo è il momento giusto per ringraziare tutti i relatori che hanno dato vita e riempito di utopie queste giornate, e ringraziare le Università, le Istituzioni e le molte Organizzazioni che hanno ospitato le sessioni presenziali e messo a disposizione tecnologie e strumenti. Ringraziamo ovviamente gli organizzatori e soprattutto tutte le persone volontarie (tecnici, traduttori, presentatori) che hanno permesso lo svolgimento, organizzato  ma anche spontaneo, di questo evento.  Ringraziamo infine tutti i partecipanti che hanno seguito on line o in presenza le attività che si sono proposte. Da giovedì 8 maggio, per 4 giorni fino ad oggi, ci sono state più di 120 attività, tra conferenze, tavole rotonde, seminari, conversazioni, video e altre interessanti iniziative, proposte in una o più delle 5 lingue ufficiali.  Tantissime persone, provenienti da paesi e culture diverse, hanno condiviso con noi questo evento online, oppure si sono incontrate nei 12 punti presenziali in cui il Simposio ha avuto luogo.  Molti sono stati gli argomenti di studio, che hanno toccato i campi della scienza, dell’educazione, della politica, dell’economia, dei diritti umani, della nonviolenza, della lotta alle discriminazioni di genere, dell’ecologia, della psicologia, della spiritualità. Abbiamo cominciato con alcune domande, 4 giorni fa: * Quali immagini e quali esperienze ci possono guidare in questo cammino di riconciliazione e di resistenza alla violenza? * Quali proposte alimentare per rinnovare le nostre società, coinvolgendo le nuove generazioni? * Quali miti e quale spiritualità potranno dare forza, profondità e significato alle nostre azioni? Abbiamo la certezza che, nel formulare queste domande, questo SImposio è stato un luogo in cui sono nate nuove speranze, sono comparse nuove ispirazioni, si sono alimentate quelle utopie che hanno guidato e stanno guidando l’essere umano verso un nuovo salto evolutivo. Le domande che ci poniamo sono potenti richieste che facciamo alle nostre guide più sagge e profonde, affinché ci mostrino i cammini che ciascuno di noi può percorrere per arrivare all’utopia che è nel titolo di questo Simposio: la Nazione Umana Universale. È in questa immagine che riconosciamo la possibilità per l’essere umano di uscire dalla barbarie mentale, che ancora lo imprigiona a comportamenti di violenza e sopraffazione, ed elevare invece la sua coscienza verso l’amore e la compassione.  È in questa immagine che identifichiamo il mondo che vogliamo costruire, le persone che vogliamo incontrare, ma soprattutto le persone che vogliamo essere. È in questa immagine che vi chiedo adesso di concentrare le vostre menti e i vostri cuori, per dichiarare insieme il nostro impegno a lavorare ogni giorno per far germogliare dentro e fuori di noi, i semi della buona conoscenza. Vi invito ad unirvi in questa Cerimonia di Impegno Etico, che fu formulata per la prima volta durante il primo simposio del Centro Mondiale di Studi Umanisti che si intitolava “L’etica nella conoscenza”, e che si tenne nel 2008 nel Parco di Studio e Riflessione di Punta de Vacas in Argentina, alla presenza di Silo. Vi chiederò ad un certo momento di aprire i vostri microfoni e di partecipare con me leggendo il testo sullo schermo, nella lingua che preferite. CERIMONIA DI IMPEGNO ETICO Siamo in un mondo in cui molti sono ancora disposti a vendere la propria conoscenza e il proprio sapere per qualsiasi fine. Questo ha portato a coprire il nostro pianeta con macchine di morte. Altri hanno utilizzato il proprio ingegno per inventare mezzi al fine di manipolare, zittire e addormentare la coscienza della gente. Ma esistono anche, in diverse latitudini, gli uomini e donne che utilizzano la Scienza e la Conoscenza per superare la miseria, la fame, il dolore e la sofferenza, per dar voce e fiducia agli oppressi. Oggi, agli inizi del terzo millennio, la sopravvivenza dell’Umanità è minacciata e sulla nostra Terra incombe un incubo di violenza, guerra ed ecatombe nucleare. Per questo, esprimiamo oggi il nostro impegno di utilizzare le conoscenze solo per il benessere e lo sviluppo dell’essere umano. Potete aprire i microfoni e leggere con me. Scelgo e mi impegno a dare impulso allo sviluppo della conoscenza al di sopra di quanto viene accettato come verità assoluta. Mi impegno ad applicare tale conoscenza solo al benessere dell’essere umano, per il superamento del dolore e della sofferenza. (Roberta) La buona conoscenza porta alla giustizia. La buona conoscenza porta alla riconciliazione. La buona conoscenza porta, inoltre, a svelare il sacro nella profondità della coscienza. Lanciamo un appello da questo luogo a tutte le università, scuole, istituti di ricerca, organizzazioni sociale e culturali, affinché si istituisca questo impegno etico, in modo da ottenere che la conoscenza venga utilizzata solo per vincere il dolore e la sofferenza, per umanizzare la Terra. Per tutti Pace, Forza e Allegria!   E con questa potente cerimonia, terminiamo il Simposio. L’augurio è di rivederci tra due anni per una nuova edizione, qui on line ma anche in presenza, nei numerosi Parchi di Studio e Riflessione sparsi per il mondo, nelle tante Università e nelle sale delle organizzazioni che hanno collaborato con noi, per rilanciare e dare forza all’immagine che ci unisce: la Nazione Umana Universale.   Centro Mundial de Estudios Humanistas
Oltre la vendetta e verso la riconciliazione: un’utopia possibile
Cosa significa oggi superare la vendetta e il risentimento?   Come si traduce questa speranza nei diversi campi dell’esperienza sociale, dalla giustizia all’educazione, dal diritto internazionale alla quotidianità dei rapporti sociali?   È questa forse un’utopia in movimento?   Oggi come non mai nella storia, è divenuto urgente un passo consapevole in direzione di una riconciliazione sincera. Occorre un coraggioso atto di trasformazione personale e sociale.   Nell’ambito del Simposio Internazionale del Centro Mondiale di Studi Umanista dal titolo Utopie in movimento si svolgerà il 10 maggio 2025 al Parco di Studi e Riflessione di Attigliano (Terni) una giornata interamente dedicata al tema Oltre la vendetta, con la partecipazione di Gherardo Colombo, Luciano Eusebi, Stefano Tomelleri, Marcello Bortolato, Annabella Coiro, Loredana Cici e Vito Correddu. Per partecipare in presenza iscriversi su: https://www.csusalvatorepuledda.org/iscrizionesimposio Per seguire on line su piattaforma Zoom e ricevere le password di collegamento: https://2025.worldsymposium.org/it/registration La partecipazione è gratuita La vendetta oggi Quanto è lecito oggi chiedersi sulla vendetta, quando essa risulta per molte persone superata e archiviata dalla moderna giustizia? Ha senso approfondire questo meccanismo così antico, se esso sembra quasi essere “innato” nella specie umana e quindi parte della stessa “natura” umana? È la riconciliazione profonda, personale e sociale, il cammino da percorrere oggi per uscire dalla trappola del risentimento e della violenza? Senza volerci addentrare in uno studio esteso sulle origini e sullo sviluppo storico del meccanismo psicologico e sociale della vendetta, intendiamo soffermarci in questo breve articolo soprattutto su alcuni aspetti. Per poter comprendere quanto ancora oggi la vendetta sia presente nei rapporti interpersonali, sociali e istituzionali è necessario partire dal radicato meccanismo culturale “colpevole-punizione”. Secondo la definizione di Silo del 2008, la vendetta va intesa come “la credenza profonda di vedere una soluzione nel far patire all’altro quello […] che l’altro ha fatto patire a noi stessi o ad altre persone”, ma anche “la credenza per la quale far soffrire l’altro compensa quello squilibrio cosmico che si è prodotto per l’ingiustizia che l’altro ha commesso”. Ossia, nella punizione inclusa nella vendetta, si stabilisce un’equivalenza speculare in cui la violenza subita deve essere compensata e riequilibrata da altrettanta (se non maggiore) violenza, che possa “far patire all’altro” la stessa sofferenza provocata. Paradossalmente si crede che al male sia necessario contrapporre altro male. Si crede che per porre termine alla violenza sia necessario operare altra violenza. Posto in questi termini risulta evidente che tale meccanismo punitivo più che offrire una soluzione e rendere quindi possibile il superamento della sofferenza e della violenza, non faccia altro, nella pratica, che perpetuare la catena di violenza di cui osserviamo quotidianamente gli effetti. Nella vendetta e nella punizione risiede dunque una sostanziale forma di violenza, giacché queste non sono possibili senza che si cerchi e si punisca un colpevole. È proprio nella ricerca del colpevole che risiede la possibilità di vendicarsi o di punire. Si può affermare quindi che la stessa ricerca di un colpevole, in ottica punitiva o vendicativa, sia un atto violento, seppur considerato legittimo nella mentalità comune o perfino nei sistemi giudiziari. Quando si invoca “giustizia”, quindi, cosa si sta chiedendo veramente? Si sta chiedendo proprio che il colpevole paghi il suo debito con il gruppo sociale o con l’individuo danneggiato. Il colpevole, avendo rotto le regole, gli equilibri, non ha più diritto di essere parte di quel gruppo, di quella società. Il male viene inflitto al colpevole per riequilibrare il danno che ha arrecato. Ossia una vendetta mascherata, sofisticata, ma pur sempre una vendetta. Solo dopo aver pagato, il colpevole ha diritto a essere riammesso all’interno della società, senza mai sentirsi riabilitato del tutto. Certamente il meccanismo vendicativo non attraversa solo i codici e le leggi, ma si estende ai rapporti sociali, ai rapporti personali e in sintesi all’intera cultura. È sufficiente osservare quanto tale “sentimento” sia presente in modo massiccio nella produzione cinematografica. Moltissimi film e serie TV hanno come motore principale una vendetta, privata o pubblica, dal famosissimo Kill Bill di Tarantino, a Old Boy (parte di una trilogia sulla vendetta), a Revenant, ecc. Oltre alla produzione dedicata alla vendetta individuale, nella produzione cinematografica e televisiva c’è anche quella che si svolge all’interno delle aule di tribunale. Simbolo tra tutti è il film Il momento di uccidere di Schumacher del 1996, in cui addirittura il pregiudizio razziale (l’imputato è un nero) viene superato e integrato attraverso il riconoscimento dell’atto di vendetta che l’uomo compie. Il potere, inoltre, nel corso dei secoli, ha storicamente rafforzato questa dinamica, facendo della vendetta, come gestione delle modalità punitive, una forma di controllo sociale. Le gerarchie — religiose, politiche, familiari — hanno spesso istituzionalizzato la punizione come unica via per garantire l’ordine. La giustizia si è così trasformata in un meccanismo di restituzione violenta, perpetuando un ciclo che non risolve mai veramente il dolore originario, ma lo moltiplica, lo tramanda, lo tramuta in rancore e paura. Il meccanismo vendicativo-punitivo è così pervasivo nella cultura e nelle relazioni sociali da apparire oggi quasi come “innato”, qualcosa da cui non si è possibile assolutamente prescindere e dal quale sembra, a volte, dipendere la stessa esistenza di una civiltà. Al contrario la compensazione del danno subito con altro danno non è la sola risposta possibile di fronte a un evento violento che offende o arreca un danno. Esistono molti altri modi per tentare di riequilibrare la situazione, di lenire la sofferenza o di riconciliare le parti e sono numerosi quelli che darebbero la possibilità di uscire dalla logica colpevole-punizione, in cui invece le società sembrano ancora imprigionate. Se la vendetta è una costruzione culturale, allora questa può essere smontata e sostituita.  Avere come proposito di una società umana quello di conoscere la verità è auspicabile ed entusiasmante, ma se tale processo termina nello stabilire chi sono i colpevoli e quali i nemici da combattere, allora stiamo chiudendo l’orizzonte della stessa verità che volevamo trovare. La riconciliazione non è rassegnazione. Riconciliazione, al contrario, è ribellione contro l’ingiustizia e il risentimento. Riconciliazione significa vedere coraggiosamente la verità di ciò che è accaduto e spingere lo sguardo oltre la sofferenza e la violenza. Vediamo come oggi si moltiplicano le esperienze di giustizia riparativa o trasformativa, di educazione alla nonviolenza, di pratiche sociali e politiche che scelgono il dialogo e la riconciliazione al posto della logica del colpevole. Dalla Commissione per la Verità e la Riconciliazione in Sudafrica, al lavoro delle Comunità di Pace in America Latina, dai programmi scolastici basati sull’empatia fino ai movimenti che promuovono un’etica della compassione e della cura. L’utopia di un mondo senza vendetta non solo è desiderabile, ma è già in atto. In che modo l’essere umano vincerà la sua ombra? Forse fuggendola? Forse lottando incoerentemente contro di essa? Se il motore della storia è la ribellione contro la morte, ribellati, ora, contro la frustrazione e la vendetta.» (Silo, 1981) Fulvio De Vita