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Clima, le Sezioni Unite della Cassazione danno ragione a Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini contro l’ENI
Con una fondamentale decisione pubblicata nel pomeriggio di ieri, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, riunitesi lo scorso 18 febbraio, hanno dato ragione a Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini, che nei mesi scorsi avevano fatto ricorso alla Suprema Corte, chiedendo se in Italia fosse possibile o meno avere giustizia climatica. «Questa sentenza storica dice chiaramente che anche in Italia si può avere giustizia climatica», commentano Greenpeace Italia e ReCommon. «Nessuno, nemmeno un colosso come ENI, può più sottrarsi alle proprie responsabilità. I giudici potranno finalmente esaminare il merito della nostra causa: chi inquina e contribuisce alla crisi climatica deve rispondere delle proprie azioni». L’importantissimo verdetto avrà infatti impatto su tutte le cause climatiche in corso o future in Italia, rafforzando la protezione dei diritti umani legati alla crisi climatica, già riconosciuti dalla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU). Non solo potrà essere decisa nel merito la causa contro ENI, Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (CDP) e Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), avviata da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini davanti al Tribunale di Roma perché sia imposto alla società di rispettare l’Accordo di Parigi, ma la decisione indica la strada per tutte le future azioni giudiziarie nel nostro Paese. Questa pronuncia si inserisce nel quadro delle più importanti decisioni giudiziarie europee ed internazionali di climate change litigation. Nel maggio 2023, Greenpeace Italia, ReCommon e i 12 cittadine e cittadini italiani avevano presentato una causa civile nei confronti di ENI, di Cassa Depositi e Prestiti e del Ministero dell’Economia e delle Finanze – questi ultimi due enti in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante su ENI – per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui il colosso italiano del gas e del petrolio ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone pienamente consapevole. ENI, CDP e MEF avevano eccepito “il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario adito”, ritenendo che nel nostro Paese una causa climatica non fosse procedibile. Greenpeace Italia, ReCommon e le cittadine e cittadini che hanno promosso la “Giusta Causa” hanno dunque fatto ricorso per regolamento di giurisdizione alla Suprema Corte, a cui hanno chiesto un pronunciamento in via definitiva. Il verdetto delle Sezioni Unite della Cassazione, pubblicato nel pomeriggio di ieri, ha infine dato ragione a cittadine, cittadini e organizzazioni. Il responso della Suprema Corte sancisce senza ombra di dubbio che i giudici italiani si possono pronunciare sui danni derivanti dal cambiamento climatico sulla scorta tanto della normativa nazionale, quanto delle normative sovranazionali e che, dunque, le cause climatiche nel nostro Paese sono lecite e ammissibili anche in termini di condanna delle aziende fossili a limitare i volumi delle emissioni climalteranti in atmosfera. La Cassazione ribadisce anche che un contenzioso climatico come quello intentato da Greenpeace Italia e ReCommon non è affatto un’invasione nelle competenze politiche del legislatore o delle aziende, quali Eni. La tutela dei diritti umani fondamentali di cittadine e cittadini minacciati dall’emergenza climatica è superiore a ogni altra prerogativa e da oggi sarà possibile avere giustizia climatica anche nei tribunali italiani. Inoltre le Sezioni Unite chiariscono che i giudici italiani sono competenti anche in relazione alle emissioni climalteranti emesse dalle società di ENI presenti in Stati esteri, sia perché i danni sono stati provocati in Italia, sia perché le decisioni strategiche sono state assunte dalla società capogruppo che ha sede in Italia. A questo punto il giudice a cui è stato assegnato il contenzioso climatico lanciato nel 2023 da Greenpeace Italia, ReCommon e 12 cittadine e cittadini italiani dovrà entrare nel merito dei danni che ENI ha contribuito ad arrecare agli attori ricorrenti, ma non c’è più alcun dubbio sul diritto ad agire per la tutela dei loro diritti di fronte a un giudice italiano quando gli effetti del cambiamento climatico si verifichino in Italia e quando le decisioni che hanno contribuito al cambiamento climatico siano state prese in Italia. Grazie alla presente azione e alla decisione della Suprema Corte a Sezioni Unite l’Italia si allinea agli altri Paesi più evoluti in cui il clima e i diritti umani trovano una tutela giurisdizionale. Greenpeace Italia e ReCommon attendono ora che il giudice ordinario a cui spetta tornare a decidere su “La Giusta Causa”  superi ogni altra eccezione preliminare ed entri finalmente nel merito, come già avvenuto nei tribunali dei più importanti Paesi europei. Le due organizzazioni e i 12 cittadine e cittadini chiedono che la giustizia faccia il suo corso, come già avviene nei più avanzati ordinamenti giuridici europei. Leggi la sentenza.   Re: Common
Documentario “Il prezzo che paghiamo” sulle vittime italiane della crisi climatica e ambientale
Quali sono le conseguenze su tutte e tutti noi dell’inazione climatica dei governi e dell’avidità delle compagnie fossili che, pur conoscendo da decenni la pericolosità delle loro attività per il clima del pianeta, continuano a ignorare le indicazioni della comunità scientifica? È la domanda che si pone “Il prezzo che paghiamo”, documentario prodotto da Greenpeace Italia e Recommon e realizzato da FADA Collective, che verrà presentato in diverse città italiane a partire dal 23 maggio. Guarda il trailer Attraverso interviste a Milena Gabanelli (autrice e giornalista del Corriere della Sera), Stella Levantesi (giornalista freelance e autrice del saggio “I bugiardi del clima”) e Davide Faranda (Direttore di ricerca in climatologia del Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica francese – CNRS), “Il prezzo che paghiamo” racconta quanto sia pervasivo il potere delle grandi aziende fossili nella nostra società – dai media all’università – attraverso le testimonianze di chi già oggi in Italia è costretto a subire gli impatti della crisi climatica e ambientale. In Emilia-Romagna, Maria Gordini, un’agricoltrice, ha perso la casa e la propria azienda a causa delle gravi alluvioni che hanno colpito la regione nel 2023 e 2024. In Basilicata, Camilla Nigro, Isabella Abate e Giorgio Santoriello vivono le pesanti conseguenze delle attività estrattiva di gas e petrolio, portata avanti nei loro territori dalla più importante multinazionale italiana, ENI. Nei territori in cui abitano, segnati da decenni di trivellazioni, si trova il più grande giacimento a terra di petrolio dell’Europa occidentale. Il racconto delle vicende personali di Maria, Camilla, Isabella e Giorgio, alternato alle testimonianze, alle analisi di ricercatori, giornalisti e attivisti e ai documenti storici e scientifici mette in luce le connessioni tra l’estrazione del petrolio e le devastanti ricadute sociali, ambientali ed economiche, dalla contaminazione delle terre e delle acque, fino alle alluvioni e ai fenomeni climatici estremi. Realizzato da Sara Manisera, con musiche di Gianni Maroccolo (Litfiba, CCCP, Marlene Kuntz) e Ala Bianca Group Edizioni Musicali, il documentario sarà presentato in anteprima a Roma il 23 maggio nell’ambito del Festival delle Terre organizzato dal Centro Internazionale Crocevia. “Il prezzo che paghiamo” inizierà poi il suo viaggio in diverse città italiane, con proiezioni il 27 maggio a Le Serre di Bologna, il 28 maggio nella fabbrica Ex-Gkn di Campi Bisenzio (Firenze) e il 29 maggio a Roma a Spin Time. Per informazioni e richieste di proiezione: info@ilprezzochepaghiamo.it Contatti: Luca Manes – 335 5721837 Re: Common