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La polarizzazione cubana a Miami come strumento di manipolazione elettorale
Miami, l’epicentro dell’esilio cubano, non è solo uno spazio geografico, ma un teatro di operazioni in cui nostalgia, trauma storico e ambizioni politiche vengono mascherati attraverso una rete ben oliata per perpetuare una colossale macchina di manipolazione a fini elettorali. Sotto il discorso della “libertà” e dell’“anticastrismo”, si nascondono strategie calcolate per sfruttare le divisioni ideologiche, riscrivere le biografie e capitalizzare il dolore di una comunità fratturata. Figure come Alexander Otaola, Eliécer Ávila o i “paparazzi cubani” incarnano un fenomeno cinicamente moderno: la riabilitazione selettiva di un passato ambiguo. I loro legami storici con il regime cubano – per sopravvivenza, collaborazione o calcolo – sono ora minimizzati o reinterpretati come “tattiche di resistenza”. Questa narrazione non è frutto del caso, ma di un’orchestrazione mediatica e politica che li trasforma in simboli utili a mobilitare la base anticastrista. Questi nuovi leader trasformati in influencer politici fungono da ponte emotivo tra i candidati e gli elettori. La loro “redenzione” pubblica – finanziata e amplificata da gruppi di interesse – legittima figure come Carlos Giménez che, allineandosi con loro, si presenta come il “salvatore pragmatico” di una comunità assetata di rivendicazione. La costante accusa di “traditori” o “infiltrati castristi” non è solo un dibattito ideologico, ma un meccanismo di controllo. Mantenendo viva la paranoia sugli “agenti del regime”, giustifica l’esclusione delle voci critiche e consolida un elettorato prigioniero, disposto a votare per chiunque prometta di “ripulire” la comunità. Le iniziative per l’espulsione dei presunti repressori cubani negli Stati Uniti, anche se avvolte nella retorica della giustizia, funzionano come armi elettorali (guadagnano attenzione e consenso). Esse politicizzano il dolore delle vittime per proiettare un’immagine di “durezza” di fronte al comunismo, ignorando che molti degli accusati sono capri espiatori in un gioco più ampio. Carlos Giménez e altri politici cubano-americani promettono “unità”, ma la loro ascesa dipende dallo sfruttamento della frammentazione; hanno bisogno della frammentazione come gli organismi viventi sulla terra hanno bisogno di acqua e ossigeno. Presentandosi come mediatori tra le generazioni – gli esuli storici e i giovani meno ancorati all’anticastrismo tradizionale – questi leader costruiscono le loro carriere su un paradosso: hanno bisogno che la divisione persista per vendersi come la soluzione. Più il discorso anti-Cuba diventa radicale (anche con proposte irrealizzabili, come l’intervento militare), più mobilita un settore elettorale chiave in Florida, uno swing state dove il voto cubano e l’intenzione dei salariati della “prospera borghesia industriale e dell’intrattenimento” possono influenzare le elezioni. Gli esuli cubani sono gravati da un dolore irrisolto: la perdita “volontaria” della patria, la famiglia divisa, l’identità in crisi. Questo trauma viene sistematicamente monetizzato: Incanalano la rabbia verso nemici astratti (“castrismo”, la “sinistra sveglia”), distogliendo l’attenzione da problemi locali come la disuguaglianza o l’accesso agli alloggi a Miami. Qualsiasi tentativo di dialogo con Cuba o di critica alle politiche anticubane estreme viene etichettato come “tradimento”, soffocando il dibattito democratico e assicurando che il voto rimanga allineato ai programmi ultraconservatori. La risposta è chiara: i mediatori di potere. Dai think tank ai membri del Congresso, una rete di attori trasforma la sofferenza della diaspora in capitale politico. Nel frattempo, Cuba rimane un utile capro espiatorio, un fantasma da incolpare per tutti i mali, dal fallimento delle politiche migratorie a qualsiasi altra squalifica e delegittimazione venga inventata. Questa industria della polarizzazione non mira alla libertà di Cuba, ma a perpetuare uno status quo in cui le élite politiche e mediatiche raccolgono profitti, mentre la comunità cubana – combattuta tra la fedeltà a un passato idealizzato e la sfiducia nel proprio presente – rimane intrappolata in un ciclo di rabbia e disperazione. Il vero tradimento non è all’Avana, ma a Miami, dove il dolore viene scambiato per ottenere elezioni e favori. Fonte: Razones de Cuba Traduzione: italiacuba.it Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba