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CPR: IL VIAGGIO DI MARCO CAVALLO PER LA CHIUSURA DEI CENTRI PER RIMPATRIO. PROSSIMA TAPPA A MILANO
È partito ufficialmente il 6 settembre da Gradisca d’Isonzo il viaggio di Marco Cavallo, simbolo di lotta per la libertà e i diritti.  Il gigantesco cavallo azzurro accompagnerà associazioni, gruppi, operatori, comitati e attivisti che denunciano le condizioni dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio italiani, in cui vengono detenute persone migranti in attesa di deportazione. Da tempo vengono denunciate le violenze sistematiche, le condizioni degradanti, gli abusi quotidiani documentati più volte e si chiede la chiusura di questi luoghi di detenzione amministrativa, proprio come veniva chiesta da Franco Basaglia e il suo gruppo la chiusura dei manicomi. La storia di Marco Cavallo inizia infatti il 21 gennaio 1973 dai pazienti e operatori del manicomio di San Giovanni a Trieste durante l’esperienza di Basaglia. In quell’occasione il cavallo azzurro lasciò il ghetto manicomiale di Trieste e centinaia di ricoverati lo seguirono invadendo le strade della città. Il progetto è stato lanciato a febbraio dal Forum Salute Mentale. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Carla Ferrari Aggrada, del direttivo del Forum Salute Mentale. Ascolta o scarica.
CPR: TRA AUTOLESIONISMO, VIOLENZA E PROTESTE. NUOVA DENUNCIA DELLA RETE “MAI PIÙ LAGER – NO AI CPR”
Ancora violenze e violazioni nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, i Cpr, lager di Stato per migranti. L’ultimo caso denunciato dalla rete Mai più Lager – No CPR riguarda il CPR di Gradisca d’Isonzo, dove sabato 30 agosto, un giovane si è ferito in un gesto autolesivo ed è stato poi deriso e picchiato dagli agenti. “L’autolesionismo è sangue, è dolore, non semplice sofferenza psichica: è il linguaggio della disperazione” spiega ai microfoni di Radio Onda d’Urto Nicola Cocco, medico infettivologo della rete Mai più Lager – No CPR. Le proteste comunque non si fermano: dal CPR di Milano è in corso da oltre due settimane uno sciopero della fame, mentre in altre strutture si denunciano condizioni sanitarie e comunicative gravi, dalla scabbia nascosta a Bari fino alla privazione dei telefoni a Trapani. “I CPR sono stati definiti ambienti torturanti” ricorda Cocco, citando anche prese di posizione dell’OMS e della letteratura scientifica internazionale. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, l’intervento di Nicola Cocco, medico della rete Mai più Lager – No ai CPR. Ascolta o scarica
TREVISO: MUORE IN CARCERE TRE GIORNI DOPO IL FERMO, PRESIDIO PER CHIEDERE VERITÀ E GIUSTIZIA PER DANILO RIAHI
Danilo Riahi era arrivato in Italia attraverso il mar Mediterraneo da circa un anno. Il 9 agosto è stato arrestato dopo essere fuggito dalla polizia, in seguito a vari tentativi di furto a Vicenza. Immobilizzato col taser, viene portato nel carcere per i minorenni di Treviso. Il giovane tunisino è morto all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso il 13 agosto. Secondo le autorità avrebbe tentato il suicidio. L’ultimo suicidio in un carcere minorile risale al 2003. Mentre era ancora in fin di vita, il Questore di Vicenza, in conferenza stampa, aveva elogiato il “lavoro encomiabile” degli agenti. Alla versione ufficiale non credono però attiviste e attivisti del Collettivo Rotte Balcaniche, del centro sociale Django e del centro sociale Arcadia: “come mai è stato portato in un carcere minorile invece che in un ospedale? È stato visitato dopo essere stato colpito con il taser? Cosa (non) è stato fatto per accertarne le condizioni di salute psico-fisica prima di rinchiuderlo in un carcere? Per quanto tempo è stato privo di sorveglianza mentre tentava il suicidio?”. Per chiedere risposte, è stato indetto un presidio per la serata di giovedì 28 agosto, alle ore 19, fuori dal carcere di Treviso in via Santa Bona Nuova. La storia di Danilo è simile a quella di altre persone con un background migratorio che vivono nelle città italiane, dicono dal Collettivo Rotte Balcaniche. Ragazzi che vengono continuamente “stigmatizzati ed etichettati come pericolosi, delinquenti, maranza”, giustificando così la “militarizzazione della vita sociale” e delle città. Danilo come Ramy, Moussa, Wissem, “vittime del razzismo di stato, della violenza della polizia, delle carceri, dei CPR”. Ci raccontano la vicenda e invitano al presidio di domani, Giovanni e Aladin del Collettivo Rotte Balcaniche. Ascolta o scarica
Alta accessibilità: un dibattito sulla liberazione dei corpi
A margine del dibattito “Liberi tuttu” durante il Festival Alta Felicità 2025, abbiamo raccolto riflessioni e testimonianze da chi ogni giorno si batte per il diritto all’autodeterminazione e alla libertà reale. A guidare il confronto Alice Vigorito, che ha portato al centro del festival una prospettiva radicale e concreta sull’inclusione, insieme ad Andrey Chaykin e […]
CPR IN ALBANIA: LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA SMONTA IL MODELLO DEL GOVERNO MELONI
La Corte di giustizia dell’Unione europea sconfessa la linea del governo Meloni sulla questione del protocollo Italia – Albania, e in particolare sulle modalità con cui vengono deportate le persone nei centri di detenzione creati fuori dall’Italia. Secondo il Tavolo Asilo immigrazione, si tratta di una sconfessione piena della maggioranza di governo:  la Corte “ha stabilito un principio chiaro: uno Stato membro non può designare un Paese di origine sicuro senza garantire un controllo giurisdizionale effettivo e trasparente, né può mantenere tale designazione se nel Paese non è assicurata protezione a tutta la popolazione, senza eccezioni”. Il cosiddetto modello Albania è stato costruito e mantenuto su basi giuridiche oggi dichiarate – sottolinea il Tavolo – incompatibili con il diritto dell’Unione. La sentenza colpisce al cuore uno degli assi portanti dell’intero impianto: la possibilità di processare richieste di asilo in procedura accelerata, basandosi sulla presunzione automatica di sicurezza del Paese d’origine. Non è più possibile, alla luce della pronuncia, utilizzare atti legislativi opachi e privi di fonti verificabili per giustificare il respingimento veloce delle domande di protezione. E non è ammissibile trattare come sicuro un Paese che non offre garanzie a tutte le persone. È esattamente quanto avvenuto nei trasferimenti verso l’Albania”. La Corte Ue si è espressa su richiesta del Tribunale di Roma, che finora non ha riconosciuto la legittimità dei fermi disposti nei confronti dei migranti soccorsi nel Mediterraneo e trasferiti nei Cpr in Albania perché provenienti da Paesi ritenuti sicuri dal governo italiano, in particolare Egitto e Bangladesh. Il nodo centrale riguarda la definizione e dell’applicazione del concetto di ‘Paese terzo sicuro’ nell’ambito delle procedure accelerate per l’esame delle richieste d’asilo.  “C’è un altro fronte giuridico ancora aperto, e riguarda i trasferimenti verso l’Albania direttamente dai centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr): la questione è oggetto di un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Ma si tratta di un iter che richiederà almeno due anni”. Nell’attesa, il Tavolo sollecita  il governo a non riattivare il Protocollo Italia-Albania: “una richiesta avanzata fin da prima dell’avvio delle operazioni, e che ora diventa più forte nella cornice di questa sentenza. Nell’ultimo anno l’esecutivo ha più volte cercato di piegare le sentenze al proprio racconto, presentando come legittimazione ciò che non lo era affatto. Ma questa volta la pronuncia della Corte è inequivocabile, ed è difficile immaginare che possa essere strumentalizzata. L’architettura giuridica del modello viene demolita”. Proprio nei giorni scorsi il Tavolo Asilo e Immigrazione aveva pubblicato il report Ferite di confine. La nuova fase del modello Albania, che aggiorna il report di marzo. Se la prima fase riguardava il trasferimento forzato in territorio albanese di persone richiedenti asilo intercettate in mare e provenienti da paesi classificati come sicuri dal governo italiano, il quadro operativo è radicalmente cambiato a partire da aprile, quando hanno cominciato a essere deportate persone non intercettate in mare, ma dai CPR italiani. “Il nuovo assetto prevede il trasferimento coatto nel centro di Gjadër di persone già trattenute nei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) in Italia, dando forma a un meccanismo di detenzione amministrativa transnazionale caratterizzato da scarsa trasparenza e da un elevato potenziale lesivo dei diritti fondamentali, come evidenziato dalle missioni di monitoraggio condotte dal Tavolo asilo e immigrazione”. Ai nostri microfoni Francesco Ferri, esperto di migrazione di Action Aid, una delle associazioni che fa parte del Tavolo Asilo e Immigrazione Ascolta o scarica
CPR: “COSTI ELEVATISSIMI E RIMPATRI AI MINIMI STORICI”, LA DENUNCIA DI ACTIONAID ED UNIBA
Il lavoro di ricerca di Action Aid e dell’Università di Bari, ha fatto emergere nuovi dati che riguardano i 14 centri di reclusione per persone considerate non in regola con i documenti, in Italia e in Albania. Dall’analisi dei dati dai quali parte la denuncia, emergono costi elevatissimi e rimpatri ai minimi storici. Nel frattempo sono 287 i migranti giunti a Lampedusa dopo che le motovedette di guardia costiera, Frontex e Guardia di Finanza hanno soccorso 5 barconi.  Due dei migranti, con intossicazione da idrocarburi, sono stati trasferiti in elisoccorso al Civico di Palermo. Sui barconi, salpati da Zuwara e Zawija in Libia, gruppi di egiziani, siriani, iraniani, bengalesi, eritrei, pakistani e somali. “Il più costoso, inumano e inutile strumento nella storia delle politiche migratorie italiane”. Con queste parole ActionAid e l’Università degli studi di Bari definiscono il CPR di Gjader che, nel 2024, è stato “effettivamente operativo” per appena 5 giorni per un costo giornaliero di 114 mila euro. Il dossier, pubblicato sul portale “Trattenuti”, esamina i costi e l’efficienza del centro albanese, nato in seguito alla stipula del discusso protocollo tra Roma e Tirana. A fine marzo 2025, spiegano ActionAid e Unibari – a Gjader erano stati realizzati 400 posti. “Per la sola costruzione (compresa la struttura non alloggiativa di Shengjin) sono stati sottoscritti contratti, con un uso generalizzato dell’affidamento diretto, per 74,2 milioni – si legge nella ricerca. L’allestimento di un posto effettivamente disponibile in Albania è costato oltre 153mila euro. Il confronto con i costi per realizzare analoghe strutture in Italia è impietoso: nel 2024 il Cpr di Porto Empedocle è costato 1 milione di euro per realizzare 50 posti effettivi (poco più di 21.000 euro a posto)”. Inoltre, secondo i dati pubblicati sul portale, per l’ospitalità e la ristorazione delle forze di polizia impiegate sul territorio albanese, l’Italia ha speso una cifra che si aggira attorno ai 528 mila euro.  Nell’aggiornamento dei dati su tutti i Cpr presenti in Italia, ActionAid e l’Ateneo pugliese evidenziano inoltre come nel 2024 si sia registrato il minimo storico dei rimpatri negli ultimi dieci anni. Ci espone i dati della ricerca di ActionAid ed UniBari, Fabrizio Coresi, esperto migrazione di Action Aid. Ascolta o scarica
CPR: A GRADISCA D’ISONZO SI DENUNCIA L’EPIDEMIA DI SCABBIA, TRA ABUSI E VIOLENZE
Da oltre un mese la Rete Mai più Lager – No ai CPR denuncia la presenza di una epidemia di scabbia nel CPR di Gradisca d’Isonzo, che sta colpendo i migranti detenuti. Nonostante le segnalazioni, le autorità competenti non hanno preso misure adeguate, rischiando di peggiorare la situazione sanitaria. Il contagio si diffonde rapidamente in un ambiente già degradato, dove le condizioni igieniche sono precarie e le persone sono trattate come numeri. La situazione non si limita alla scabbia: la sofferenza psicologica dei detenuti è altrettanto grave, con episodi di violenza da parte delle forze di polizia, come nel caso di un migrante che chiedeva assistenza psichiatrica. “Nel 2025 è inaccettabile avere luoghi dove le persone vengono deumanizzate e chiamate per numero, sono costrette a subire un’epidemia di scabbia a causa delle condizioni igienico-sanitarie precarie del luogo. Non vedono riconosciuto un tentativo di diagnosi individuale, ma vengono semplicemente trattate con “un po’ di crema”, non vengono applicate chiare misure di isolamento da contatto e non viene rispettato il criterio di inidoneità al trattenimento per patologie contagiose” Commenta ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Nicola Cocco, medico della Rete Mai più Lager – No ai CPR e della SIMM – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni. Ascolta o scarica.
Nessun CPR è innocente. Domande aperte su violenza e sistema detentivo per migranti
Nel paesaggio giuridico e politico italiano, i Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) sono una presenza strutturale. Eppure, nonostante la loro continuità, restano ai margini del dibattito pubblico. Acquisiscono visibilità solo in occasione di eventi estremi – una morte, un suicidio, una rivolta – mentre il loro funzionamento quotidiano resta avvolto da un’opacità sistemica. Come ci siamo abituatə a considerare “normale” un sistema che consente di privare della libertà persone in ragione dello status amministrativo, in assenza di reato e processo? Giovedì 4 luglio alle 19:00, al Circolo Arci Santa Libbirata (via Galeazzo Alessi 96), analizzeremo il sistema della detenzione amministrativa in Italia attraverso prospettive e strumenti diversi. Lo faremo con Marika Ikonomu (Domani), Sara Marilungo (Stop-CPR Roma) e Chiara Salvini (Infomigrante), nell’incontro “Nessun CPR è innocente. Raccontare, supportare, lottare contro il sistema del trattenimento”. L’obiettivo non è soltanto documentare ciò che accade all’interno dei CPR – già complesso, data l’assenza di trasparenza – ma anche interrogare le condizioni materiali e politiche che ne permettono l’esistenza. Quali logiche istituzionali, economiche e giuridiche lo tengono in piedi? Quali dispositivi lo rendono accettabile? E cosa possiamo fare per metterlo in discussione? Parleremo anche del modo in cui questo sistema viene raccontato. In che modo la narrazione pubblica contribuisce a renderlo invisibile? Come evitare che l’attenzione si attivi solo davanti all’evento tragico, lasciando in ombra la violenza ordinaria che si ripete ogni giorno? Che strumenti abbiamo per dare continuità e radicalità al discorso critico sui CPR, oltre l’emergenza e il fatto isolato? Affronteremo il tema della tutela legale: quali possibilità esistono per agire in un contesto dove le garanzie sono ridotte o sospese? Quali strategie legali si stanno costruendo dentro e fuori i centri? E quale funzione politica possono assumere gli sportelli legali, sia nel supportare le persone trattenute, sia nel produrre sapere giuridico e strumenti di lotta? Discuteremo poi delle reti di resistenza: chi si oppone oggi al sistema dei CPR lo fa spesso in condizioni difficili, costruendo relazioni con le persone detenute, promuovendo pratiche di solidarietà, rompendo il silenzio con inchieste, presidi, mobilitazioni. Come si costruiscono queste reti? Che ruolo possono avere le comunità locali e i movimenti nel produrre resistenza? Uno sguardo sarà rivolto anche al cosiddetto “modello Albania”, che con l’esternalizzazione delle procedure e dei luoghi di detenzione rappresenta un’estensione ulteriore della logica dei CPR. Trattenere persone fuori dal territorio italiano, solo formalmente sotto giurisdizione italiana, significa spingersi ancora oltre nella sottrazione di diritti e nella dislocazione della responsabilità. Ma in che modo questa violenza a distanza si connette a quella che continua a esercitarsi nei centri italiani? Possiamo parlare di un unico dispositivo, che agisce su scala differente ma secondo la stessa logica? Uno sguardo sarà rivolto anche al cosiddetto “modello Albania”, che con la delocalizzazione delle procedure e dei luoghi di detenzione rappresenta un’estensione ulteriore della logica dei CPR. Trattenere persone fuori dal territorio italiano, solo formalmente sotto giurisdizione italiana, significa spingersi ancora oltre nella sottrazione di diritti e nella dislocazione della responsabilità. Dall’Albania, dove sono attualmente trattenute circa trenta persone, è stato attuato un primo rimpatrio diretto in Egitto via Tirana. Un fatto gravissimo, che mostra come il nuovo dispositivo agisca non solo come prolungamento del trattenimento, ma anche come acceleratore delle espulsioni, al di fuori di ogni controllo pubblico e in condizioni di isolamento strutturale. Ma in che modo questa violenza a distanza si connette a quella che continua a esercitarsi nei centri italiani? Possiamo parlare di un unico dispositivo, che agisce su scala differente ma secondo la stessa logica? Infine, ci interrogheremo sulle responsabilità politiche e istituzionali. Chi alimenta questo sistema, oltre le dichiarazioni ufficiali? Chi lo rende possibile? E cosa significa oggi costruire pratiche efficaci per contrastarne la normalizzazione, anche sul piano del diritto, della comunicazione, del conflitto sociale? L’iniziativa del 4 luglio vuole essere uno spazio di confronto aperto e plurale Un’occasione per pensare insieme cosa significa immaginare – e praticare – il superamento di un sistema che è non solo ingiusto, ma strutturalmente violento. Immagine di copertina di Shamballah da Openverse SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Nessun CPR è innocente. Domande aperte su violenza e sistema detentivo per migranti proviene da DINAMOpress.