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CPR IN ALBANIA: LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA SMONTA IL MODELLO DEL GOVERNO MELONI
La Corte di giustizia dell’Unione europea sconfessa la linea del governo Meloni sulla questione del protocollo Italia – Albania, e in particolare sulle modalità con cui vengono deportate le persone nei centri di detenzione creati fuori dall’Italia. Secondo il Tavolo Asilo immigrazione, si tratta di una sconfessione piena della maggioranza di governo:  la Corte “ha stabilito un principio chiaro: uno Stato membro non può designare un Paese di origine sicuro senza garantire un controllo giurisdizionale effettivo e trasparente, né può mantenere tale designazione se nel Paese non è assicurata protezione a tutta la popolazione, senza eccezioni”. Il cosiddetto modello Albania è stato costruito e mantenuto su basi giuridiche oggi dichiarate – sottolinea il Tavolo – incompatibili con il diritto dell’Unione. La sentenza colpisce al cuore uno degli assi portanti dell’intero impianto: la possibilità di processare richieste di asilo in procedura accelerata, basandosi sulla presunzione automatica di sicurezza del Paese d’origine. Non è più possibile, alla luce della pronuncia, utilizzare atti legislativi opachi e privi di fonti verificabili per giustificare il respingimento veloce delle domande di protezione. E non è ammissibile trattare come sicuro un Paese che non offre garanzie a tutte le persone. È esattamente quanto avvenuto nei trasferimenti verso l’Albania”. La Corte Ue si è espressa su richiesta del Tribunale di Roma, che finora non ha riconosciuto la legittimità dei fermi disposti nei confronti dei migranti soccorsi nel Mediterraneo e trasferiti nei Cpr in Albania perché provenienti da Paesi ritenuti sicuri dal governo italiano, in particolare Egitto e Bangladesh. Il nodo centrale riguarda la definizione e dell’applicazione del concetto di ‘Paese terzo sicuro’ nell’ambito delle procedure accelerate per l’esame delle richieste d’asilo.  “C’è un altro fronte giuridico ancora aperto, e riguarda i trasferimenti verso l’Albania direttamente dai centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr): la questione è oggetto di un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Ma si tratta di un iter che richiederà almeno due anni”. Nell’attesa, il Tavolo sollecita  il governo a non riattivare il Protocollo Italia-Albania: “una richiesta avanzata fin da prima dell’avvio delle operazioni, e che ora diventa più forte nella cornice di questa sentenza. Nell’ultimo anno l’esecutivo ha più volte cercato di piegare le sentenze al proprio racconto, presentando come legittimazione ciò che non lo era affatto. Ma questa volta la pronuncia della Corte è inequivocabile, ed è difficile immaginare che possa essere strumentalizzata. L’architettura giuridica del modello viene demolita”. Proprio nei giorni scorsi il Tavolo Asilo e Immigrazione aveva pubblicato il report Ferite di confine. La nuova fase del modello Albania, che aggiorna il report di marzo. Se la prima fase riguardava il trasferimento forzato in territorio albanese di persone richiedenti asilo intercettate in mare e provenienti da paesi classificati come sicuri dal governo italiano, il quadro operativo è radicalmente cambiato a partire da aprile, quando hanno cominciato a essere deportate persone non intercettate in mare, ma dai CPR italiani. “Il nuovo assetto prevede il trasferimento coatto nel centro di Gjadër di persone già trattenute nei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) in Italia, dando forma a un meccanismo di detenzione amministrativa transnazionale caratterizzato da scarsa trasparenza e da un elevato potenziale lesivo dei diritti fondamentali, come evidenziato dalle missioni di monitoraggio condotte dal Tavolo asilo e immigrazione”. Ai nostri microfoni Francesco Ferri, esperto di migrazione di Action Aid, una delle associazioni che fa parte del Tavolo Asilo e Immigrazione Ascolta o scarica
CPR: “COSTI ELEVATISSIMI E RIMPATRI AI MINIMI STORICI”, LA DENUNCIA DI ACTIONAID ED UNIBA
Il lavoro di ricerca di Action Aid e dell’Università di Bari, ha fatto emergere nuovi dati che riguardano i 14 centri di reclusione per persone considerate non in regola con i documenti, in Italia e in Albania. Dall’analisi dei dati dai quali parte la denuncia, emergono costi elevatissimi e rimpatri ai minimi storici. Nel frattempo sono 287 i migranti giunti a Lampedusa dopo che le motovedette di guardia costiera, Frontex e Guardia di Finanza hanno soccorso 5 barconi.  Due dei migranti, con intossicazione da idrocarburi, sono stati trasferiti in elisoccorso al Civico di Palermo. Sui barconi, salpati da Zuwara e Zawija in Libia, gruppi di egiziani, siriani, iraniani, bengalesi, eritrei, pakistani e somali. “Il più costoso, inumano e inutile strumento nella storia delle politiche migratorie italiane”. Con queste parole ActionAid e l’Università degli studi di Bari definiscono il CPR di Gjader che, nel 2024, è stato “effettivamente operativo” per appena 5 giorni per un costo giornaliero di 114 mila euro. Il dossier, pubblicato sul portale “Trattenuti”, esamina i costi e l’efficienza del centro albanese, nato in seguito alla stipula del discusso protocollo tra Roma e Tirana. A fine marzo 2025, spiegano ActionAid e Unibari – a Gjader erano stati realizzati 400 posti. “Per la sola costruzione (compresa la struttura non alloggiativa di Shengjin) sono stati sottoscritti contratti, con un uso generalizzato dell’affidamento diretto, per 74,2 milioni – si legge nella ricerca. L’allestimento di un posto effettivamente disponibile in Albania è costato oltre 153mila euro. Il confronto con i costi per realizzare analoghe strutture in Italia è impietoso: nel 2024 il Cpr di Porto Empedocle è costato 1 milione di euro per realizzare 50 posti effettivi (poco più di 21.000 euro a posto)”. Inoltre, secondo i dati pubblicati sul portale, per l’ospitalità e la ristorazione delle forze di polizia impiegate sul territorio albanese, l’Italia ha speso una cifra che si aggira attorno ai 528 mila euro.  Nell’aggiornamento dei dati su tutti i Cpr presenti in Italia, ActionAid e l’Ateneo pugliese evidenziano inoltre come nel 2024 si sia registrato il minimo storico dei rimpatri negli ultimi dieci anni. Ci espone i dati della ricerca di ActionAid ed UniBari, Fabrizio Coresi, esperto migrazione di Action Aid. Ascolta o scarica
CPR: A GRADISCA D’ISONZO SI DENUNCIA L’EPIDEMIA DI SCABBIA, TRA ABUSI E VIOLENZE
Da oltre un mese la Rete Mai più Lager – No ai CPR denuncia la presenza di una epidemia di scabbia nel CPR di Gradisca d’Isonzo, che sta colpendo i migranti detenuti. Nonostante le segnalazioni, le autorità competenti non hanno preso misure adeguate, rischiando di peggiorare la situazione sanitaria. Il contagio si diffonde rapidamente in un ambiente già degradato, dove le condizioni igieniche sono precarie e le persone sono trattate come numeri. La situazione non si limita alla scabbia: la sofferenza psicologica dei detenuti è altrettanto grave, con episodi di violenza da parte delle forze di polizia, come nel caso di un migrante che chiedeva assistenza psichiatrica. “Nel 2025 è inaccettabile avere luoghi dove le persone vengono deumanizzate e chiamate per numero, sono costrette a subire un’epidemia di scabbia a causa delle condizioni igienico-sanitarie precarie del luogo. Non vedono riconosciuto un tentativo di diagnosi individuale, ma vengono semplicemente trattate con “un po’ di crema”, non vengono applicate chiare misure di isolamento da contatto e non viene rispettato il criterio di inidoneità al trattenimento per patologie contagiose” Commenta ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Nicola Cocco, medico della Rete Mai più Lager – No ai CPR e della SIMM – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni. Ascolta o scarica.
Nessun CPR è innocente. Domande aperte su violenza e sistema detentivo per migranti
Nel paesaggio giuridico e politico italiano, i Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) sono una presenza strutturale. Eppure, nonostante la loro continuità, restano ai margini del dibattito pubblico. Acquisiscono visibilità solo in occasione di eventi estremi – una morte, un suicidio, una rivolta – mentre il loro funzionamento quotidiano resta avvolto da un’opacità sistemica. Come ci siamo abituatə a considerare “normale” un sistema che consente di privare della libertà persone in ragione dello status amministrativo, in assenza di reato e processo? Giovedì 4 luglio alle 19:00, al Circolo Arci Santa Libbirata (via Galeazzo Alessi 96), analizzeremo il sistema della detenzione amministrativa in Italia attraverso prospettive e strumenti diversi. Lo faremo con Marika Ikonomu (Domani), Sara Marilungo (Stop-CPR Roma) e Chiara Salvini (Infomigrante), nell’incontro “Nessun CPR è innocente. Raccontare, supportare, lottare contro il sistema del trattenimento”. L’obiettivo non è soltanto documentare ciò che accade all’interno dei CPR – già complesso, data l’assenza di trasparenza – ma anche interrogare le condizioni materiali e politiche che ne permettono l’esistenza. Quali logiche istituzionali, economiche e giuridiche lo tengono in piedi? Quali dispositivi lo rendono accettabile? E cosa possiamo fare per metterlo in discussione? Parleremo anche del modo in cui questo sistema viene raccontato. In che modo la narrazione pubblica contribuisce a renderlo invisibile? Come evitare che l’attenzione si attivi solo davanti all’evento tragico, lasciando in ombra la violenza ordinaria che si ripete ogni giorno? Che strumenti abbiamo per dare continuità e radicalità al discorso critico sui CPR, oltre l’emergenza e il fatto isolato? Affronteremo il tema della tutela legale: quali possibilità esistono per agire in un contesto dove le garanzie sono ridotte o sospese? Quali strategie legali si stanno costruendo dentro e fuori i centri? E quale funzione politica possono assumere gli sportelli legali, sia nel supportare le persone trattenute, sia nel produrre sapere giuridico e strumenti di lotta? Discuteremo poi delle reti di resistenza: chi si oppone oggi al sistema dei CPR lo fa spesso in condizioni difficili, costruendo relazioni con le persone detenute, promuovendo pratiche di solidarietà, rompendo il silenzio con inchieste, presidi, mobilitazioni. Come si costruiscono queste reti? Che ruolo possono avere le comunità locali e i movimenti nel produrre resistenza? Uno sguardo sarà rivolto anche al cosiddetto “modello Albania”, che con l’esternalizzazione delle procedure e dei luoghi di detenzione rappresenta un’estensione ulteriore della logica dei CPR. Trattenere persone fuori dal territorio italiano, solo formalmente sotto giurisdizione italiana, significa spingersi ancora oltre nella sottrazione di diritti e nella dislocazione della responsabilità. Ma in che modo questa violenza a distanza si connette a quella che continua a esercitarsi nei centri italiani? Possiamo parlare di un unico dispositivo, che agisce su scala differente ma secondo la stessa logica? Uno sguardo sarà rivolto anche al cosiddetto “modello Albania”, che con la delocalizzazione delle procedure e dei luoghi di detenzione rappresenta un’estensione ulteriore della logica dei CPR. Trattenere persone fuori dal territorio italiano, solo formalmente sotto giurisdizione italiana, significa spingersi ancora oltre nella sottrazione di diritti e nella dislocazione della responsabilità. Dall’Albania, dove sono attualmente trattenute circa trenta persone, è stato attuato un primo rimpatrio diretto in Egitto via Tirana. Un fatto gravissimo, che mostra come il nuovo dispositivo agisca non solo come prolungamento del trattenimento, ma anche come acceleratore delle espulsioni, al di fuori di ogni controllo pubblico e in condizioni di isolamento strutturale. Ma in che modo questa violenza a distanza si connette a quella che continua a esercitarsi nei centri italiani? Possiamo parlare di un unico dispositivo, che agisce su scala differente ma secondo la stessa logica? Infine, ci interrogheremo sulle responsabilità politiche e istituzionali. Chi alimenta questo sistema, oltre le dichiarazioni ufficiali? Chi lo rende possibile? E cosa significa oggi costruire pratiche efficaci per contrastarne la normalizzazione, anche sul piano del diritto, della comunicazione, del conflitto sociale? L’iniziativa del 4 luglio vuole essere uno spazio di confronto aperto e plurale Un’occasione per pensare insieme cosa significa immaginare – e praticare – il superamento di un sistema che è non solo ingiusto, ma strutturalmente violento. Immagine di copertina di Shamballah da Openverse SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Nessun CPR è innocente. Domande aperte su violenza e sistema detentivo per migranti proviene da DINAMOpress.
CPR: TRA VIOLENZA, ABUSI E CRIMINALIZZAZIONE DELLE PROTESTE. DA GRADISCA D’ISONZO L’ENNESIMO VIDEO REPRESSIVO CONTRO UN MIGRANTE RECLUSO
I Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) in Italia continuano a essere teatri di violenza, sofferenza, abbandono e degrado. Le strutture, destinate alla detenzione di migranti in attesa di rimpatrio, sono ormai da tempo oggetto di segnalazioni che denunciano l’assenza di condizioni igieniche adeguate, la scarsa qualità del cibo e la mancanza di assistenza sanitaria. Il centro di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) è stato protagonista in particolare di numerose rivolte negli ultimi tempi. La risposta è stata una repressione dura e sistematica come testimonia un video filtrato dall’interno e diffuso dalle Rete Mai più Lager – No ai CPR che mostra un uomo in biancheria intima che corre tra le celle, inseguito da agenti in tenuta antisommossa: una volta raggiunto, viene circondato e portato di peso in una stanza separata. Quando torna davanti al cellular che sta riprendendo, il migrante è a terra, con il volto insanguinato. Questi episodi non sono isolati e si verificano in molte altre strutture del Paese, come il CPR di Palazzo San Gervasio e quello di Macomer in Sardegna, dove le difficoltà per i detenuti sono simili. Le proteste all’interno dei CPR, solitamente nate per denunciare le loro condizioni di vita, sono ora criminalizzate dal Decreto Sicurezza, che ha introdotto il reato di “rivolta” in questi contesti. La legge ha amplificato la paura di chi si trova già in una situazione di vulnerabilità, impedendo molte volte la possibilità di manifestare disappunto. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto l’intervento di Nicola Cocco, medico della Rete Mai più Lager – No ai CPR e della SIMM – Società Italiana di Medicina delle Migrazioni. Ascolta o scarica.
MIGRANTI: RINVIO ALLA CORTE UE SUL PROTOCOLLO ITALIA-ALBANIA. LA CASSAZIONE SOLLEVA DUBBI SULLA LEGITTIMITÀ
La Corte di Cassazione ha trasmesso due questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per chiarire la compatibilità del Protocollo Italia-Albania con il diritto comunitario. Un passaggio che mette in discussione la legittimità del trasferimento di richiedenti asilo nei Centri di permanenza e rimpatrio (CPR) previsti sul territorio albanese. In particolare, la Cassazione ha sollevato dubbi circa la coerenza del protocollo con la Direttiva Rimpatri e la Direttiva Accoglienza, due capisaldi del sistema europeo in materia di gestione delle migrazioni e protezione internazionale. Una risposta potrebbe arrivare in pochi mesi. Le questioni riguardano due casi: quello di un migrante in situazione di irregolarità amministrativa e quello di un richiedente asilo che ha fatto domanda di protezione internazionale da dietro le sbarre di quel Cpr. Per il primo il dubbio è che il trasferimento dall’Italia all’Albania contrasti con la direttiva rimpatri. Per il secondo un analogo sospetto riguarda la direttiva accoglienza. Il tema è quello della territorialità: la prima sezione penale, afferma il Manifesta che ha anticipato la notizia, è tornata sui propri passi capovolgendo una precedente decisione in cui aveva equiparato il Cpr di Gjader a quelli che si trovano in Italia. Il rinvio alla Corte europea arriva dopo una serie di pronunce contrarie da parte delle sezioni immigrazione e delle Corti d’appello italiane, che hanno più volte sottolineato profili di incostituzionalità o contrarietà ai trattati internazionali. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, l’intervista all’avvocato Nicola Canestrini. Ascolta o scarica.
FREEDOM حرية LIBERTÀ – di rivolte, presidi e raccolte solidali con le persone recluse nei CPR
Le rivolte di fine aprile nel CPR di Torino hanno portato alla chiusura dell’area viola del CPR. I presidi intanto continuano, come le rivolte. Nella giornata del 10 maggio c’è stato l’ennesimo presidio sotto le mura del CPR di corso Brunelleschi, con un centinaio di compagn3 provenienti da altre città d’Italia, per portare solidarietà alle […]
CPR: LA MORTE DI ABEL OKUBOR E LE TRAGEDIE INVISIBILI NEI CENTRI PER IL RIMPATRIO
Ennesima morte nei Centri di Permanenza per il rimpatrio (CPR). Abel Okubor, un uomo di 37 anni originario della Nigeria, è deceduto per un presunto “malore” sabato 3 maggio nel lager per migranti di Brindisi. “Quando una persona di 37 anni muore in un CPR, non si può parlare semplicemente di un malore. È fondamentale capire cosa è successo prima che quel malore portasse alla morte. L’autopsia è fondamentale per comprendere la catena di eventi che ha determinato questa tragedia”, ha spiegato ai microfoni di Radio Onda d’Urto Nicola Cocco, medico della Rete Mai più Lager – No ai CPR. Nicola Cocco ha inoltre sottolineato la responsabilità dello Stato nell’assicurare la sicurezza e la salute di chi si trova in custodia. La morte di Abel Okubor non è un caso isolato: i CPR italiani, da anni, sono al centro di numerosi episodi di violenze contro i migranti e per le condizioni disumane a cui sono costrette le persone detenute. La situazione nei CPR, secondo Cocco, è sempre più simile a quella dei vecchi manicomi: “molte persone che si trovano nei CPR soffrono di problemi di salute mentale, ma non vengono adeguatamente trattate. I farmaci vengono somministrati senza un’adeguata supervisione, spesso solo per sedare e non per curare. Questo porta a una deriva manicomiale, dove le persone sono lasciate senza alcuna attenzione psicologica”, ha dichiarato il medico, facendo riferimento al caso del CPR di Gradisca d’Isonzo, dove recentemente si è registrata una situazione di abbandono psichiatrico. Le pessime condizioni di vita nei CPR italiani vengono ciclicamente denunciate. Un esempio delle difficoltà quotidiane è la situazione nel CPR di Torino, recentemente riaperto. Qui, il 1 maggio, si è verificata una protesta che è sfociata in scontri con le forze dell’ordine, con tre feriti tra le persone detenute. L’intervista di Radio Onda d’Urto a Nicola Cocco, medico della Rete Mai più Lager – No ai CPR. Ascolta o scarica