L’infatuazione delle Marche per le industrie belliche e il taglio della spesa pubblica“Ripudiare la guerra non significa essere vigliacchi”; “Noi abbiamo l’obbligo di
far vedere agli altri che possiamo difenderci con le unghie e coi denti”; “È
attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa
prodotti che la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto
intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e
di modellarlo”. Queste sono alcune delle frasi pronunciate dal palco della
manifestazione del 15 marzo su iniziativa di Michele Serra, oppure prese dal
programma del partito di governo, frasi che anche se di provenienza politica
diversa riflettono un clima culturale simile che serpeggia ormai da tempo nel
dibattito pubblico.
Il suprematismo europeo e la sensazione che il suo eccezionalismo sia sotto
attacco sia culturalmente sia fisicamente per mano di soggetti esterni, che
siano essi pericolosi migranti, o leader sanguinari, sono due elementi che
accomunano quasi tutte le forze politiche parlamentari presenti in questo Paese
in modo lievemente differente. Nel mondo gli equilibri stanno cambiando e quello
che emerge da destra a sinistra è che non è possibile non contare più nulla nel
gioco a perdere della geopolitica: è necessario armarsi e farlo in fretta, la
minaccia è esistenziale.
Il sentimento di impotenza, dilagante dallo scoppio della guerra in Ucraina e
reso ancora più potente dall’insediamento di Donald Trump, di fronte al
riassetto mondiale ha ricadute concrete immediate. Ursula Von der Leyen propone
il piano ReArm Europe/Preparati per il 2030, che mira a rafforzare le capacità
militari dei singoli Paesi europei utilizzando le risorse del fondo di coesione,
e il Libro bianco sulla difesa europea, che delinea un nuovo approccio alla
difesa e individua il fabbisogno di investimenti, mentre una parte (quella che
si autodefinisce più a sinistra) dei socialisti europei e in generale della
sinistra in Italia spinge per una difesa comune da realizzare per mezzo
dell’emissione di titoli di debito comune. Le configurazioni cambiano ma,
nonostante tutti si autodefiniscano pacifisti, la premessa è la stessa: siamo
sotto attacco e bisogna spendere in armi, decidiamo solamente come.
Le Marche nel Parlamento europeo non si sono fatte cogliere impreparate e i due
europarlamentari marchigiani Matteo Ricci del Partito Democratico, papabile
anche come candidato presidente di regione alle prossime elezioni, e Carlo
Ciccioli, di Fratelli d’Italia, hanno confermato una visione comune sulla realtà
che viviamo. Alla votazione consultiva sul piano di riarmo europeo del 12 marzo
il primo si è astenuto, dopo essersi debitamente assicurato che la metà dei suoi
compagni di partito votassero a favore, mentre il secondo non ha esitato e si è
espresso a favore.
È quindi necessario chiedersi in che modo il riarmo europeo votato dai nostri
parlamentari, che sia esso in forma di difesa comune o di potenziamento degli
eserciti nazionali, impatterà sul contesto specifico delle Marche: chi guadagna
dalla situazione presente? Che tipo di mondo si immaginano coloro che pensano
che l’Europa vada rafforzata militarmente?
Fincantieri è una delle più grandi aziende di cantieristica del mondo,
massicciamente attiva anche nel settore militare, e nelle Marche è sicuramente
una delle più grandi industrie private che operano nel territorio. Negli ultimi
anni, Fincantieri ha intensificato significativamente le sue attività di
lobbying presso le istituzioni europee, con l’obiettivo di scalare le
classifiche all’interno del crescente mercato della difesa dell’Unione Europea.
Secondo le indagini recenti1, il budget complessivo per le attività di lobbying
delle principali aziende europee della difesa, tra cui Fincantieri, è aumentato
del 40% tra il 2022 e il 2023, passando da una spesa cumulativa compresa tra
3,95 e 5,1 milioni di euro nel 2022 a una tra 5,5 e 6,7 milioni di euro nel
2023; Fincantieri nello specifico ha mantenuto una spesa dichiarata che va dai
300.000 ai 399.999 euro per le attività di lobbying a Bruxelles2, e di 905.000
dollari per quelle negli Stati Uniti3.
Fincantieri ha beneficiato dei fondi europei per la difesa, come il programma
SEA Defence finanziato dall’EDIDP4, rafforzando il proprio ruolo nell’industria
militare continentale. La crescente domanda di fregate, corvette e sottomarini —
stimata in 20 miliardi di euro tra il 2023 e il 20275 — riflette non solo
esigenze operative reali, ma anche una logica di finanziarizzazione della
guerra: aumentare la flotta serve a proiettare deterrenza e capacità militare
percepita, attirando investimenti e influenza nei nuovi equilibri geopolitici.
Mentre quindi Fincantieri si prepara a incassare profitti record grazie al nuovo
piano di riarmo europeo, nei cantieri come quello di Ancona la realtà per i
lavoratori è ben diversa. Pur non essendo direttamente coinvolto nella
costruzione di navi da guerra, il sito di Ancona fa parte di un sistema
industriale integrato che beneficia pienamente dei nuovi investimenti militari,
eppure i dipendenti diretti sono solamente quasi 200, mentre una costellazione
di società in appalto che garantiscono forza-lavoro a costi bassissimi e con
paghe orarie spesso al limite della dignità garantisce quasi 4.000 lavoratori.
Gli utili salgono, ma a pagarne il prezzo sono coloro che verranno colpiti dai
cannoni montati su una nave militare, o chi le produce.
Fincantieri, tuttavia, non è l’unica azienda presente nelle Marche che trarrebbe
profitto dal riarmo europeo: GEM Elettronica, ad esempio, recentemente acquisita
da Leonardo, è presente con tre stabilimenti ad Ascoli Piceno e produce
tecnologie radar e software dedicati alla navigazione nel settore militare e
sicuramente si trova in una posizione favorevole a livello economico.
Un soggetto importante in questo contesto è anche l’Università Politecnica delle
Marche (UNIVPM), coinvolta in varie forme con aziende che producono sistemi
dual-use (sistemi che possono essere utilizzati sia in ambito civile che
militare). La SAB Aerospace, ad esempio, con sede a Benevento, ha avviato
attività di ricerca e sviluppo che mirano a ottimizzare e far progredire la
produzione di sistemi e sottosistemi spaziali e aeronautici con l’appoggio
dell’UNIVPM6, mentre è presente un vero e proprio spin-off universitario, Janux,
che si occupa di aerodinamica, termo-fluidodinamica computazionale e
progettazione di droni che, come si legge dalla loro pagina7, realizzano per il
mercato sempre più in crescita della sicurezza.
Il crescente militarismo e la spinta al riarmo europeo, sostenuti da potenti
gruppi industriali come Fincantieri, si inseriscono in un contesto più ampio di
politiche neoliberiste che anche nelle Marche hanno accelerato la scomparsa
dello Stato da settori fondamentali come la sanità e l’istruzione. Mentre le
risorse pubbliche vengono destinate al potenziamento dell’apparato militare,
l’accesso ai servizi essenziali per i cittadini, come la sanità e l’istruzione,
subisce tagli impressionanti. Le politiche di privatizzazione e di
razionalizzazione, che hanno impoverito i servizi pubblici e accresciuto le
disuguaglianze sociali, restituiscono un modello in cui le priorità statali sono
indirizzate verso gli interessi delle industrie belliche a scapito dei diritti
primari dei cittadini. Così, mentre il comparto militare-industriale prospera
con l’aiuto di fondi pubblici, le fasce popolari sono costrette a fare i conti
con una sanità che non funziona e con un sistema educativo sempre più
inadeguato, creando una realtà in cui la militarizzazione e il profitto privato
sembrano prevalere sul diritto alla salute e all’istruzione.
Negli ultimi quindici anni la sanità pubblica nelle Marche è stata smantellata,
seguendo una precisa traiettoria: tagli, declassamento e, infine, cessione al
privato. Dal 2012, complici la legge Balduzzi e il decreto Lorenzin, il sistema
sanitario nazionale è stato strangolato da vincoli di bilancio che hanno imposto
drastiche riduzioni di personale, posti letto e servizi. Nelle Marche, la giunta
Ceriscioli del Partito Democratico ha accelerato questa deriva, chiudendo in
soli tre anni e mezzo ben 13 ospedali di rete, come quelli di Recanati,
Tolentino, Matelica, Cingoli, Treia e Loreto, trasformati in “case della salute”
svuotate di funzione, preludio alla svendita ai privati. Emblematico è il caso
dell’ospedale Lanciarini di Sassocorvaro: una volta declassato, è stato poi
riqualificato e affidato alla gestione privata della KOS Care (gruppo CIR di De
Benedetti), con il ripristino proprio di quei servizi cancellati quando la
struttura era pubblica8. Il paradosso è lampante: ciò che non era considerato
sicuro per i cittadini sotto gestione pubblica, improvvisamente diventa
accettabile se gestito dal privato. Nel frattempo, la Regione si è impegnata per
5,5 miliardi di euro in 30 anni per costruire sei nuovi ospedali unici
provinciali tramite project financing, ancora una volta sotto la regia di grandi
gruppi privati. La logica è chiara: si demolisce il pubblico per creare spazi di
mercato garantiti ai privati, ipotecando per sempre il diritto alla salute.
Nelle Marche il neoliberismo sanitario ha avuto complici da fronti diversi e il
prezzo lo stanno pagando i cittadini più deboli. La recente amministrazione
Acquaroli, di Fratelli d’Italia, ha aggravato la situazione, seguendo tuttavia
la stessa agenda politica: nel 2024 sono stati tagliati 148 milioni di euro alle
aziende sanitarie locali, congelando fondi vitali nel Fondo di Gestione
Sanitaria Accentrata (GSA), aumentando le liste d’attesa e spingendo
ulteriormente verso la sanità privata. Sarà così che ad esempio l’ospedale di
Torrette subirà un taglio di 19 milioni, il 13% del suo bilancio di gestione9.
I tagli alla sanità pubblica nelle Marche, sia a livello nazionale che
regionale, hanno avuto inoltre un impatto significativo sul diritto all’aborto:
le politiche di razionalizzazione e i tagli ai servizi sanitari hanno ridotto la
disponibilità di reparti di ginecologia, con conseguenti lunghe liste d’attesa e
difficoltà di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG); l’aumento
degli obiettori di coscienza tra i medici ha poi limitato ulteriormente le
opzioni disponibili per le donne. L’amministrazione regionale di Fratelli
d’Italia ha adottato politiche che hanno reso ancora più difficile l’accesso
all’IVG, con riduzioni di risorse per i servizi e il sostegno a iniziative
pro-vita, ostacolando così l’esercizio del diritto all’aborto nella regione e
costringendo le donne a cambiare regione per esercitare un diritto fondamentale.
La situazione non cambia se si osserva il mondo della scuola nella regione
Marche. A partire dal 2009, durante il governo di Gian Mario Spacca, di
centrosinistra, la regione ha visto riduzioni sostanziali nel numero di
insegnanti e dipendenti amministrativi, con oltre 900 posti eliminati,
principalmente nelle scuole primarie e secondarie. I tagli si sono intensificati
negli anni successivi e le politiche di dimensionamento scolastico hanno
accelerato il processo di accorpamento delle scuole, in particolare nelle
province di Pesaro e Urbino, portando a un impoverimento dei servizi educativi
nelle zone interne e spopolate. L’introduzione di nuove misure, come
l’innalzamento della soglia minima di alunni per l’autonomia scolastica da 600 a
900, ha causato la chiusura di numerosi istituti, mentre le università delle
Marche hanno visto, nel 2024 con al governo il centrodestra, un taglio del
finanziamento ordinario del 3%, aggravando ulteriormente la situazione. L’intero
sistema educativo regionale ne risente, con la continua marginalizzazione di
alcune aree e la compromissione del diritto allo studio.
Il dibattito sul riarmo e sulla militarizzazione non può e non deve prescindere
dalla riflessione più ampia sul tipo di società che si vuole costruire. È
indispensabile in questo contesto tornare a mettere al centro gli interessi
popolari, ponendo la giustizia sociale e la cooperazione internazionale come
obiettivi primari, piuttosto che accettare il gioco della guerra come unico
modello di protezione. La vera sicurezza non si può costruire sui cannoni e
sugli armamenti, ma sulla solidarietà, sulla difesa dei beni comuni e
sull’investimento nelle risorse per le fasce popolari.
1https://www.politico.eu/article/eu-defense-industry-goes-big-on-lobbying-in-brussels/;
https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/03/07/lassalto-allunione-europea-dei-lobbisti-della-difesa-18-incontri-con-i-commissari-in-tre-mesi-e-budget-aumentato-del-40-in-un-anno/7902726/.
2https://transparency-register.europa.eu/searchregister-or-update/organisation-detail_it?id=095079912436-63.
3Nel 2021 le spese erano pari a 540.000 dollari.
https://www.opensecrets.org/federal-lobbying/clients/summary?cycle=2024&id=D000045968.
4https://www.fincantieri.com/it/media/comunicati-stampa-e-news/2021/fincantieri-prende-parte-ufficialmente-al-progetto-sea-defence/.
5https://www.defensenews.com/global/europe/2022/12/16/fincantieri-expects-huge-shipbuilding-kick-from-fatter-defense-budgets/#:~:text=ROME%20—%20Fincantieri%20is%20set%20to,recently%20appointed%20CEO%20said%20Friday.
6https://www.sabaerospace.com/it/ricerca-e-sviluppo/.
7https://www.janux.it/monitoraggio-con-droni/.
8https://www.larucola.org/2019/06/17/il-giochetto-della-chiusura-degli-ospedali-pubblici-nelle-marche/.
9https://www.ilrestodelcarlino.it/ancona/cronaca/marche-mannaia-sulla-sanita-scattano-tagli-per-148-milioni-0a3be4c0
Emiliano Palpacelli