Tag - marche

Militari israeliani in “libera uscita” in Italia
Stress da genocidio? Se vuoi rilassarti vieni nel Bel Paese! Non è uno slogan pubblicitario di un mondo distopico, ma potremmo rappresentarcela così l’offerta, comprensiva di relax,  tour turistici alle bellezze naturalistiche e culturali delle Marche, di cui ha usufruito a fine 2024 un gruppo di giovani militari israeliani in “libera uscita”, ma pur sempre scortati e protetti dalla DIGOS per garantirne la massima riservatezza. L’IDF, insomma, cerca varie strategie per mandare in decompressione i propri soldati alle prese con droni che valicano corridoi e scale e che per colpirne uno ne ammazzano altri dieci, venti o trenta, spesso bambini. In patria sono stimati in almeno 6.500 quelli sottoposti a percorsi di psicoterapia  ovvero in un breve periodo, tre volte tanto le terapie somministrate in tutto il 2022 (fonte: ministero israeliano ripresa in Italia dall’agenzia Nova). Il centro di riabilitazione psichiatrica del Ministero della Difesa di Israele assiste più di 64.000 soldati, tra cui 8.000 affetti da disturbi da stress post-traumatico. Per alcuni invece, l’anomalo pacchetto turistico è stato organizzato da un’agenzia marchigiana specializzata proprio in “itinerari ebraici marchigiani” che facendo tappa fissa tra Fermo e Porto S. Giorgio, ha poi raggiunto anche mete naturalistiche di grande pregio come la riviera del Conero o le grotte di Frasassi, entrambe a poca distanza una dall’altra. Dalla nostra inchiesta giornalistica emergono diverse testimonianze dirette che raccontano di gruppi di giovani israeliani, con la kippah indosso, che hanno girato di recente le Marche apprezzandone i numerosi siti naturalistici e culturali, bellissimi e rilassanti, ma soprattutto un po’ più “defilati” rispetto a città d’arte come Roma o Firenze. A parte le guide che hanno aperto le porte di sinagoghe semisconosciute e altri luoghi di interesse ebraico, le altre persone che non indossavano la kippah erano appunto gli agenti della DIGOS. Questi turisti con particolari esigenze di riservatezza, “vengono presentati agli albergatori – ci ha rivelato la fonte presso una di queste agenzie specializzate – con nomi di fantasia e solo all’ultimo con quello reale, al momento della loro registrazione. Nei siti naturalistici e culturali – ha aggiunto – si può accedere in via riservata con visite a loro dedicate, in via del tutto esclusiva”. Più di una guida, incuriosita dagli insoliti gruppi con scorta al seguito, ci ha confermato la loro presenza nel fermano e il fatto che non fossero dei semplici cittadini israeliani, ma appunto, dei militari in libera uscita “defatigante”. “Sono guida ambientale AIGAE” ci ha rivelato la nostra fonte “e lavoro da anni tra il Parco del Conero e quello dei Sibillini. A inizio dicembre 2025, mentre stavo a Sirolo sul Conero per lavoro, ho visto in paese un gruppo di giovani dai tratti mediorientali, alcuni dei quali indossavano la kippah. Con loro un uomo di età più matura. Erano accompagnati da un italiano mio conoscente. Incontrandolo ho chiesto chi fossero e mi ha risposto che erano dei militari israeliani che sotto la copertura di semplici turisti stranieri, trascorrevano un periodo di vacanza nelle Marche, dopo essere stati impiegati in servizi operativi a Gaza. Poi sarebbero tornati in servizio. Un periodo di decompressione dallo stress del combattimento. Durante la loro permanenza nelle Marche, venivano accompagnati in altre località naturalistiche e città d’arte della regione”. La Regione Marche, dove ad Ancona e in altri centri minori, sono attive alcune delle più antiche comunità ebraiche italiane, con una legge regionale ha istituito del 2021, proprio l'”Itinerario Ebraico Marchigiano” che mette a sistema il patrimonio ebraico di 25 Comuni tra i quali Fermo, dove sembrerebbe abbiano fatto tappa fissa i giovani dell’IDF. I militi ebrei insomma, per superare i traumi dei massacri perpetrati pochi giorni prima contro donne e bambini palestinesi, si ritemprano, lontani da occhi e orecchie indiscrete, con le bellezze italiche di una regione che ha dato i natali a musicisti, pittori, scrittori e architetti del calibro di Rossini, Raffaello, Leopardi e Vanvitelli, solo per citarne alcuni. D’altra parte, l’Itinerario Ebraico Marchigiano rappresenta uno dei tanti tasselli di iniziative sparse finalizzate a riscoprire le radici comuni delle comunità giudaico-cristiane nel quadro di un dialogo interreligioso dove spicca, per iniziative di rilievo e organizzazione, il Cammino Internazionale Neocatecumenale, con sede proprio tra Porto S. Giorgio e Fermo. Ma è invece in Galilea dove, sul Monte delle Beatitudini, vicino al lago di Tiberiade, viene ospitata la cosiddetta Domus Galilaee. Il Cammino Internazionale Neocatecumenale, esattamente dieci anni fa, si è reso protagonista dell’incontro forse più significativo della storia delle due religioni, cristiana ed ebraica: 120 rabbini provenienti da ogni parte del mondo si sono incontrati con laici e religiosi cristiani, tra i quali 20 vescovi e 7 cardinali. Il tentativo, più che lodevole, di avvicinare le due religioni prosegue tuttora anche con visite svolte presso la Domus Galilaee addirittura dell’esercito israeliano. “A scaglioni vengono a visitare il nostro centro” ci spiega il direttore, don Rino Rossi “incuriositi dalla struttura, ma soprattutto per conoscere la fede cristiana”. Una curiosità che deve aver contagiato anche un alto ufficiale dell’IDF, che visitando la Domus “ne è rimasto impressionato”. Ciò che sorprende, però, vista la vicinanza tra questo centro di preghiera e i luoghi ad altissima intensità bellica, dove l’esercito insieme a coloni ebrei ultra-ortodossi sta spianando interi villaggi palestinesi in Cisgiordania, imprigionando decine di migliaia di persone attraverso l’abuso della cosiddetta detenzione amministrativa, è che la realtà del momento non traspare in nessun modo nelle parole dei responsabili del Cammino intervistati. Nemmeno le notizie di guerra in un periodo tragico come quello recentissimo, intorno ai giorni di Pasqua, hanno fatto sì che durante l’incontro che ha coinvolto nella Domus 250, tra vescovi e arcivescovi, provenienti dai cinque continenti, per un totale di 500 persone tra laici e religiosi da tutto il mondo, si facesse il minimo cenno a un dialogo interreligioso che comprendesse, in maniera sistematica e concreta, la terza più importante religione monoteista al mondo, quella mussulmana, ampiamente maggioritaria, proprio lì, in Medio Oriente: insomma un dialogo interreligioso a dir poco sbilanciato verso la sola riscoperta delle comuni radici culturali giudaico-cristiane, considerato che musulmani e i cristiani rappresentano, ognuna, una fetta di circa il 30% della popolazione mondiale, mentre l’ebraismo sfiora lo 0,2%. Leggendo il sito web ufficiale della location neocatecumenale di Porto S. Giorgio, l’unico scossone emotivo degno di essere riportato nella newsletter è stata la morte di Bergoglio. Il cammino neocatecumenale, per quanto riguarda il dialogo interreligioso tra ebrei e cristiani, secondo le testimonianze rilasciate al telefono dai responsabili, è molto attivo in numerosi Paesi del mondo, tra i quali gli USA, dove si cita anche un memorabile concerto a New York offerto dalla comunità ebraica locale.  Per quanto riguarda invece un’eventuale accoglienza in Italia di ebrei organizzati in gruppi, tutte le fonti laiche e religiose intervistate si sono trincerate dietro un generico “no-comment”; anzi, di eventuali presenze sul territorio marchigiano di gruppi provenienti da Israele non se ne vuole proprio parlare. Su un piano invece laico, accademico e strategico-militare, prosegue a gonfie vele l’impegno dell’Italia, in questo caso lontano dai riflettori mediatici, in sostegno attivo all’IDF. È di non molte settimane fa, infatti, la notizia riportata da “Il Manifesto”, dell’ennesimo carico di armi che il tribunale del riesame di Ravenna ha definitivamente bloccato in porto confermando la sentenza di sequestro di 14 tonnellate di componenti per un valore di 250 mila. La fornitura proveniva dalla Valforge di Lecco ed era destinata alla IMI System, principale produttore di armi e munizioni per l’esercito israeliano. Il tutto in violazione di quel che resta della legge 185 del 1990 e senza essere iscritta nell’infame registro nazionale degli esportatori di sistema d’armamento. Stefano Bertoldi
L’infatuazione delle Marche per le industrie belliche e il taglio della spesa pubblica
“Ripudiare la guerra non significa essere vigliacchi”; “Noi abbiamo l’obbligo di far vedere agli altri che possiamo difenderci con le unghie e coi denti”; “È attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa prodotti che la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo”. Queste sono alcune delle frasi  pronunciate dal palco della manifestazione del 15 marzo su iniziativa di Michele Serra, oppure prese dal programma del partito di governo, frasi che anche se di provenienza politica diversa riflettono un clima culturale simile che serpeggia ormai da tempo nel dibattito pubblico. Il suprematismo europeo e la sensazione che il suo eccezionalismo sia sotto attacco sia culturalmente sia fisicamente per mano di soggetti esterni, che siano essi pericolosi migranti, o leader sanguinari, sono due elementi che accomunano quasi tutte le forze politiche parlamentari presenti in questo Paese in modo lievemente differente. Nel mondo gli equilibri stanno cambiando e quello che emerge da destra a sinistra è che non è possibile non contare più nulla nel gioco a perdere della geopolitica: è necessario armarsi e farlo in fretta, la minaccia è esistenziale. Il sentimento di impotenza, dilagante dallo scoppio della guerra in Ucraina e reso ancora più potente dall’insediamento di Donald Trump, di fronte al riassetto mondiale ha ricadute concrete immediate. Ursula Von der Leyen propone il piano ReArm Europe/Preparati per il 2030, che mira a rafforzare le capacità militari dei singoli Paesi europei utilizzando le risorse del fondo di coesione, e il Libro bianco sulla difesa europea, che delinea un nuovo approccio alla difesa e individua il fabbisogno di investimenti, mentre una parte (quella che si autodefinisce più a sinistra) dei socialisti europei e in generale della sinistra in Italia spinge per una difesa comune da realizzare per mezzo dell’emissione di titoli di debito comune. Le configurazioni cambiano ma, nonostante tutti si autodefiniscano pacifisti, la premessa è la stessa: siamo sotto attacco e bisogna spendere in armi, decidiamo solamente come. Le Marche nel Parlamento europeo non si sono fatte cogliere impreparate e i due europarlamentari marchigiani Matteo Ricci del Partito Democratico, papabile anche come candidato presidente di regione alle prossime elezioni, e Carlo Ciccioli, di Fratelli d’Italia, hanno confermato una visione comune sulla realtà che viviamo. Alla votazione consultiva sul piano di riarmo europeo del 12 marzo il primo si è astenuto, dopo essersi debitamente assicurato che la metà dei suoi compagni di partito votassero a favore, mentre il secondo non ha esitato e si è espresso a favore. È quindi necessario chiedersi in che modo il riarmo europeo votato dai nostri parlamentari, che sia esso in forma di difesa comune o di potenziamento degli eserciti nazionali, impatterà sul contesto specifico delle Marche: chi guadagna dalla situazione presente? Che tipo di mondo si immaginano coloro che pensano che l’Europa vada rafforzata militarmente? Fincantieri è una delle più grandi aziende di cantieristica del mondo, massicciamente attiva anche nel settore militare, e nelle Marche è sicuramente una delle più grandi industrie private che operano nel territorio. Negli ultimi anni, Fincantieri ha intensificato significativamente le sue attività di lobbying presso le istituzioni europee, con l’obiettivo di scalare le classifiche all’interno del crescente mercato della difesa dell’Unione Europea. Secondo le indagini recenti1, il budget complessivo per le attività di lobbying delle principali aziende europee della difesa, tra cui Fincantieri, è aumentato del 40% tra il 2022 e il 2023, passando da una spesa cumulativa compresa tra 3,95 e 5,1 milioni di euro nel 2022 a una tra 5,5 e 6,7 milioni di euro nel 2023; Fincantieri nello specifico ha mantenuto una spesa dichiarata che va dai 300.000 ai 399.999 euro per le attività di lobbying a Bruxelles2, e di 905.000 dollari per quelle negli Stati Uniti3. Fincantieri ha beneficiato dei fondi europei per la difesa, come il programma SEA Defence finanziato dall’EDIDP4, rafforzando il proprio ruolo nell’industria militare continentale. La crescente domanda di fregate, corvette e sottomarini — stimata in 20 miliardi di euro tra il 2023 e il 20275 — riflette non solo esigenze operative reali, ma anche una logica di finanziarizzazione della guerra: aumentare la flotta serve a proiettare deterrenza e capacità militare percepita, attirando investimenti e influenza nei nuovi equilibri geopolitici. Mentre quindi Fincantieri si prepara a incassare profitti record grazie al nuovo piano di riarmo europeo, nei cantieri come quello di Ancona la realtà per i lavoratori è ben diversa. Pur non essendo direttamente coinvolto nella costruzione di navi da guerra, il sito di Ancona fa parte di un sistema industriale integrato che beneficia pienamente dei nuovi investimenti militari, eppure i dipendenti diretti sono solamente quasi 200, mentre una costellazione di società in appalto che garantiscono forza-lavoro a costi bassissimi e con paghe orarie spesso al limite della dignità garantisce quasi 4.000 lavoratori. Gli utili salgono, ma a pagarne il prezzo sono coloro che verranno colpiti dai cannoni montati su una nave militare, o chi le produce. Fincantieri, tuttavia, non è l’unica azienda presente nelle Marche che trarrebbe profitto dal riarmo europeo: GEM Elettronica, ad esempio, recentemente acquisita da Leonardo, è presente con tre stabilimenti ad Ascoli Piceno e produce tecnologie radar e software dedicati alla navigazione nel settore militare e sicuramente si trova in una posizione favorevole a livello economico. Un soggetto importante in questo contesto è anche l’Università Politecnica delle Marche (UNIVPM), coinvolta in varie forme con aziende che producono sistemi dual-use (sistemi che possono essere utilizzati sia in ambito civile che militare). La SAB Aerospace, ad esempio, con sede a Benevento, ha avviato attività di ricerca e sviluppo che mirano a ottimizzare e far progredire la produzione di sistemi e sottosistemi spaziali e aeronautici con l’appoggio dell’UNIVPM6, mentre è presente un vero e proprio spin-off universitario, Janux, che si occupa di aerodinamica, termo-fluidodinamica computazionale e progettazione di droni che, come si legge dalla loro pagina7, realizzano per il mercato sempre più in crescita della sicurezza. Il crescente militarismo e la spinta al riarmo europeo, sostenuti da potenti gruppi industriali come Fincantieri, si inseriscono in un contesto più ampio di politiche neoliberiste che anche nelle Marche hanno accelerato la scomparsa dello Stato da settori fondamentali come la sanità e l’istruzione. Mentre le risorse pubbliche vengono destinate al potenziamento dell’apparato militare, l’accesso ai servizi essenziali per i cittadini, come la sanità e l’istruzione, subisce tagli impressionanti. Le politiche di privatizzazione e di razionalizzazione, che hanno impoverito i servizi pubblici e accresciuto le disuguaglianze sociali, restituiscono un modello in cui le priorità statali sono indirizzate verso gli interessi delle industrie belliche a scapito dei diritti primari dei cittadini. Così, mentre il comparto militare-industriale prospera con l’aiuto di fondi pubblici, le fasce popolari sono costrette a fare i conti con una sanità che non funziona e con un sistema educativo sempre più inadeguato, creando una realtà in cui la militarizzazione e il profitto privato sembrano prevalere sul diritto alla salute e all’istruzione. Negli ultimi quindici anni la sanità pubblica nelle Marche è stata smantellata, seguendo una precisa traiettoria: tagli, declassamento e, infine, cessione al privato. Dal 2012, complici la legge Balduzzi e il decreto Lorenzin, il sistema sanitario nazionale è stato strangolato da vincoli di bilancio che hanno imposto drastiche riduzioni di personale, posti letto e servizi. Nelle Marche, la giunta Ceriscioli del Partito Democratico ha accelerato questa deriva, chiudendo in soli tre anni e mezzo ben 13 ospedali di rete, come quelli di Recanati, Tolentino, Matelica, Cingoli, Treia e Loreto, trasformati in “case della salute” svuotate di funzione, preludio alla svendita ai privati. Emblematico è il caso dell’ospedale Lanciarini di Sassocorvaro: una volta declassato, è stato poi riqualificato e affidato alla gestione privata della KOS Care (gruppo CIR di De Benedetti), con il ripristino proprio di quei servizi cancellati quando la struttura era pubblica8. Il paradosso è lampante: ciò che non era considerato sicuro per i cittadini sotto gestione pubblica, improvvisamente diventa accettabile se gestito dal privato. Nel frattempo, la Regione si è impegnata per 5,5 miliardi di euro in 30 anni per costruire sei nuovi ospedali unici provinciali tramite project financing, ancora una volta sotto la regia di grandi gruppi privati. La logica è chiara: si demolisce il pubblico per creare spazi di mercato garantiti ai privati, ipotecando per sempre il diritto alla salute. Nelle Marche il neoliberismo sanitario ha avuto complici da fronti diversi e il prezzo lo stanno pagando i cittadini più deboli. La recente amministrazione Acquaroli, di Fratelli d’Italia, ha aggravato la situazione, seguendo tuttavia la stessa agenda politica: nel 2024 sono stati tagliati 148 milioni di euro alle aziende sanitarie locali, congelando fondi vitali nel Fondo di Gestione Sanitaria Accentrata (GSA), aumentando le liste d’attesa e spingendo ulteriormente verso la sanità privata. Sarà così che ad esempio l’ospedale di Torrette subirà un taglio di 19 milioni, il 13% del suo bilancio di gestione9. I tagli alla sanità pubblica nelle Marche, sia a livello nazionale che regionale, hanno avuto inoltre un impatto significativo sul diritto all’aborto: le politiche di razionalizzazione e i tagli ai servizi sanitari hanno ridotto la disponibilità di reparti di ginecologia, con conseguenti lunghe liste d’attesa e difficoltà di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG); l’aumento degli obiettori di coscienza tra i medici ha poi limitato ulteriormente le opzioni disponibili per le donne. L’amministrazione regionale di Fratelli d’Italia ha adottato politiche che hanno reso ancora più difficile l’accesso all’IVG, con riduzioni di risorse per i servizi e il sostegno a iniziative pro-vita, ostacolando così l’esercizio del diritto all’aborto nella regione e costringendo le donne a cambiare regione per esercitare un diritto fondamentale. La situazione non cambia se si osserva il mondo della scuola nella regione Marche. A partire dal 2009, durante il governo di Gian Mario Spacca, di centrosinistra, la regione ha visto riduzioni sostanziali nel numero di insegnanti e dipendenti amministrativi, con oltre 900 posti eliminati, principalmente nelle scuole primarie e secondarie. I tagli si sono intensificati negli anni successivi e le politiche di dimensionamento scolastico hanno accelerato il processo di accorpamento delle scuole, in particolare nelle province di Pesaro e Urbino, portando a un impoverimento dei servizi educativi nelle zone interne e spopolate. L’introduzione di nuove misure, come l’innalzamento della soglia minima di alunni per l’autonomia scolastica da 600 a 900, ha causato la chiusura di numerosi istituti, mentre le università delle Marche hanno visto, nel 2024 con al governo il centrodestra, un taglio del finanziamento ordinario del 3%, aggravando ulteriormente la situazione. L’intero sistema educativo regionale ne risente, con la continua marginalizzazione di alcune aree e la compromissione del diritto allo studio. Il dibattito sul riarmo e sulla militarizzazione non può e non deve prescindere dalla riflessione più ampia sul tipo di società che si vuole costruire. È indispensabile in questo contesto tornare a mettere al centro gli interessi popolari, ponendo la giustizia sociale e la cooperazione internazionale come obiettivi primari, piuttosto che accettare il gioco della guerra come unico modello di protezione. La vera sicurezza non si può costruire sui cannoni e sugli armamenti, ma sulla solidarietà, sulla difesa dei beni comuni e sull’investimento nelle risorse per le fasce popolari. 1https://www.politico.eu/article/eu-defense-industry-goes-big-on-lobbying-in-brussels/; https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/03/07/lassalto-allunione-europea-dei-lobbisti-della-difesa-18-incontri-con-i-commissari-in-tre-mesi-e-budget-aumentato-del-40-in-un-anno/7902726/. 2https://transparency-register.europa.eu/searchregister-or-update/organisation-detail_it?id=095079912436-63. 3Nel 2021 le spese erano pari a 540.000 dollari. https://www.opensecrets.org/federal-lobbying/clients/summary?cycle=2024&id=D000045968. 4https://www.fincantieri.com/it/media/comunicati-stampa-e-news/2021/fincantieri-prende-parte-ufficialmente-al-progetto-sea-defence/. 5https://www.defensenews.com/global/europe/2022/12/16/fincantieri-expects-huge-shipbuilding-kick-from-fatter-defense-budgets/#:~:text=ROME%20—%20Fincantieri%20is%20set%20to,recently%20appointed%20CEO%20said%20Friday. 6https://www.sabaerospace.com/it/ricerca-e-sviluppo/. 7https://www.janux.it/monitoraggio-con-droni/. 8https://www.larucola.org/2019/06/17/il-giochetto-della-chiusura-degli-ospedali-pubblici-nelle-marche/. 9https://www.ilrestodelcarlino.it/ancona/cronaca/marche-mannaia-sulla-sanita-scattano-tagli-per-148-milioni-0a3be4c0 Emiliano Palpacelli