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Sullo Stretto il ponte non lo vogliono. Cronaca di un corteo a Messina
(fotografia di nm) Il 9 agosto un fiume di gente ha attraversato le strade di Messina per dire no al ponte. Più di diecimila persone sono scese in strada lanciando una sfida al ministro Salvini che, qualche giorno prima, durante l’approvazione del progetto definitivo del ponte da parte del Cipess, si era precipitato in città – accolto da una decina di sostenitori tra cui il sindaco della città Basile – per presentare in pompa magna il progetto, con l’avvio dei  cantieri che avverrà entro la fine del 2025, e che prevede l’inizio dei lavori a fine 2025 e soprattutto a fine degli espropri. Al termine dell’incontro, con un fare provocatorio, Salvini aveva lanciato dei bacini ai manifestanti “No ponte” che lo aspettavano fuori dal luogo in cui si teneva l’evento. La manifestazione, partita alle diciotto da piazza Cairoli, ha attraversato le principale arterie del centro, giungendo due ore dopo a piazza Duomo. Sul camion con le bandiere della Palestina e dei No ponte, campeggiava la fotografia di Santino Bonfiglio, militante morto qualche mese fa, a cui è stato dedicato il corteo. Appena dietro il camion, uno striscione con la scritta No ponte, e un pugno chiuso che spezza in due il ponte che unisce le due sponde dello Stretto. Tra i manifestanti tanta gente comune e qualche volto noto, come Antonio Mazzeo, membro dell’equipaggio della Freedom Flotilla che ha provato a rompere l’assedio a Gaza. Il corteo, sebbene sia stato circondato da un numero enorme di agenti in tenuta antisommossa – evidente il clima di intimidazione, nella nuova cornice securitaria sublimatasi con l’approvazione del ddl sicurezza – è riuscito ad affrontare con maturità le diverse provocazioni ricevute, a cominciare dal volo basso dell’elicottero della polizia al momento della partenza del corteo, e alcuni spostamenti anomali di contingenti verso una parte di manifestanti in alcuni tratti della manifestazione. Un altro elemento da sottolineare è stata la decisione di eliminare qualsiasi caratterizzazione partitica, collocando a inizio corteo le bandiere No ponte, e spostando in coda tutti i militanti con le bandiere dei propri partiti e gruppi politici. Nei primi interventi i manifestanti denunciano il tentativo di colonizzazione del progetto ponte promosso dal governo Meloni, la Società Stretto di Messina e Webuild, che alimentano la macchina ponte. In particolare il ruolo di WeBuild (ex Salini-Impregilo), a cui vengono appaltati diversi cantieri in Italia, che ha visto schizzare verso l’alto le azioni in borsa dopo l’annuncio della costruzione del ponte del 2023. Il progetto di WeBuild si realizzerà attraverso un utilizzo di tecniche invasive, cantierizzazione diffusa e alimentando criticità legate allo smaltimento di materiali tossici, come quella già verificatasi per la costruzione del raddoppio ferroviario sulla Messina-Catania, che ha inquinato di arsenico l’area di Contesse, alla periferia sud della città. (fotografia di nm) Tutte criticità che preoccupano la popolazione, visto che le aree di cantiere, tra stoccaggio di materiali e costruzione dei cavi, interesseranno tutta la città, compresi i quartieri che si trovano a più di venti chilometri di distanza rispetto a dove sorgeranno i pilastri del ponte. Il tutto verrà facilitato dal decreto infrastrutture, che per accelerare la costruzione prevede la possibilità di cantierizzazione per fasi. Dopo circa trenta minuti dalla partenza del corteo, mentre una signora esce dal proprio balcone di casa sventolando una bandiera della Palestina, un altro intervento dal camion ricorda che i territori sono di chi li abita e se ne prende cura. Un riferimento è alla legge 2001, che come avvenuto con la Tav in Val di Susa, per la costruzione delle opere pubbliche non prevede alcuna consultazione con le popolazioni locali. Tra i quattordici miliardi che serviranno per la costruzione di questa grande opera, una buona parte delle risorse potrebbe essere utilizzata invece per intervenire sulla gestione idrica o sul dissesto idrogeologico. Messina registra perdite della rete idrica che costringono la popolazione ad avere l’acqua solo per alcune ore al giorno. O la sanità, con la sua crisi economica strutturale che impedisce l’incremento dei posti letto negli ospedali, e le  assunzioni di ausiliari, Oss, infermieri e medici specializzati. (fotografia di nm) Altrettanto menzognera resta la manovra del governo di far passare il ponte come un’infrastruttura militare che rafforza i sistemi di mobilità in una regione piena di basi Nato, come emergerebbe dalla recente delibera Iropi che giustificherebbe la costruzione del ponte per facilitare lo spostamento di truppe militari nel Mediterraneo. Secondo Antonio Mazzeo a oggi non esiste alcun documento ufficiale che consideri il ponte funzionale allo spostamento di truppe, mezzi e armamenti. Eppure il dispositivo ponte continua ad essere alimentato non solo dal governo ma anche dalla magistratura, come dimostrato dalla sentenza del tribunale di Roma che ha condannato i militanti No ponte – che avevano presentato un ricorso contro la costruzione da parte della Società Stretto di Messina – al pagamento di 340 mila euro di spese legali. Ed è per questo che appena il corteo arriva a piazza Duomo, un ultimo intervento dal camion ricorda come il movimento No ponte non può fare affidamento su nessun soggetto istituzionale, consigliere o partito, ma solo sulle forze degli stessi militanti che con passione e energia continuano a sostenere la mobilitazione, da più di venti anni. Gli stessi manifestanti ricordano ai reparti mobili schierati davanti e in coda al corteo che i militanti continueranno la battaglia, sia nei cantieri dove partiranno i lavori, che davanti a ogni casa dove verrà eseguito lo sfratto per l’esproprio. Prima di entrare in piazza un ultimo coro arriva dalla folla: “Lo stretto di Messina non si tocca, lo difenderemo con la lotta!” (giuseppe mammana)
Proteste e ricorsi. La battaglia per l’assistenza scolastica ai disabili in provincia di Caserta
(archivio disegni napolimonitor) Ho conosciuto S. in un pomeriggio di novembre a un evento in un centro sportivo della provincia casertana in occasione della presentazione di un progetto per l’autonomia di persone disabili. S. è una bambina, con fattezze già di adolescente, con disturbi dello spettro autistico. In quel pomeriggio, circondata da tanti ragazzi e ragazze, era in compagnia della mamma, che scoprii successivamente di una determinazione ed energia ineguagliabili, e di un’altra mamma, con il proprio figliolo disabile, che si rivelò molto legata alla famiglia di S. per le comuni battaglie che le avevano viste impegnate per il futuro dei piccoli. A quell’evento era intervenuta anche il ministro della disabilità Alessandra Locatelli, spegnendo con un nulla di fatto le speranze riposte dalla mamma di S. per un impegno concreto nel risolvere la situazione di tanti ragazzi disabili privati dell’assistenza scolastica con personale specializzato. Salutai S. e la mamma, che la portava verso l’uscita della manifestazione dove le aspettava il padre e conservai a lungo la sensazione di una fatica quotidiana sperimentata dai genitori di un soggetto autistico che non ha pause e chiama a una responsabilità poderosa, senza sconti. L’organizzazione carente delle politiche sociali nella città di Caserta ha garantito un’assistenza scolastica a S. e agli studenti come lei ad anno scolastico inoltrato, nel mese di febbraio. Le motivazioni addotte sono state il ritardo dei bandi per il conferimento del servizio a cooperative di operatori qualificati. Come ha stabilito una recente sentenza del Tar, le esigenze di bilancio non possono però considerarsi prevalenti rispetto al diritto all’istruzione e all’integrazione scolastica degli studenti con disabilità: l’eventuale diminuzione delle ore di assistenza determina il risarcimento del danno. La figura dell’assistente alla comunicazione è importante per agevolare la frequenza e la permanenza dello studente, facilitarne la partecipazione alle attività didattiche in collaborazione con i servizi socio-sanitari territoriali. Nel 2024 i genitori di S., come quelli di tanti altri alunni disabili dell’Ambito Sociale C01 di cui Caserta è l’ente capofila (gli altri comuni sono San Nicola La Strada, Casagiove e Castel Morrone), non hanno potuto che aspettare il ripristino del servizio, senza ricevere riscontri dall’amministrazione. Nel 2025 si assiste a una replica. Gli operatori delle cooperative non vengono pagati. Di proroga in proroga il servizio, iniziato a dicembre 2024, subisce due interruzioni per più di quindici giorni, una a gennaio e una a fine febbraio. Dal 14 marzo riprende con una proroga di venti giorni. Vincenzo Mataluna, direttore dell’Azienda speciale consortile, la cui creazione fu a suo tempo annunciata con grande clamore mediatico, dichiara che si sta provvedendo alla transizione delle risorse economiche dal Comune alla nuova azienda, che gestisce i servizi alla persona nell’ambito delle politiche sociali. “In realtà, l’Azienda non è operativa sul piano finanziario – dice Mataluna – e fino al 30 giugno è il Comune a svolgere la gestione dei servizi”. Il bando per assegnare il servizio non viene espletato e lunedì 7 aprile si registra un’altra interruzione. L’11 aprile, al termine di un presidio, la segreteria provinciale della Confederazione sindacati autonomi federati italiani incontra i funzionari competenti sulla questione, in presenza di una delegazione dei genitori. I funzionari mostrano una nuova determina con una proroga di dieci giorni del servizio. Questa proroga, però, non sarà accolta dalla cooperativa a causa di un numero già esorbitante di contratti temporanei che andrebbero convertiti a tempo indeterminato. Allo stesso tempo l’incontro fortuito dei familiari dei disabili, fuori al Comune, con l’assessore alle politiche sociali e vicesindaco rivela l’inerzia e l’inefficienza della macchina amministrativa. I genitori di S. ricorrono così a Osservatorio 182, un’associazione nata su iniziativa di diverse associazioni di familiari attive a livello nazionale con l’obiettivo di fornire assistenza legale a costo zero sui temi dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Con l’assistenza degli avvocati di Osservatorio 182 i genitori di S. ottengono un’ultima ordinanza del Tribunale amministrativo regionale che ordina al comune di Caserta “di provvedere al ripristino del servizio di assistenza specialistica, in favore della minore nel più breve tempo possibile”. Il 18 aprile, alla fine, il colpo di scena: il consiglio dei ministri “in considerazione degli accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata che compromettono il buon andamento dell’azione amministrativa” delibera “lo scioglimento del consiglio comunale di Caserta e l’affidamento della gestione, per diciotto mesi, a una commissione straordinaria”. La decisione segue a un’indagine sui rapporti tra esponenti della giunta e dirigenti del Comune accusati di aver concorso ad affidare appalti comunali in cambio di favori, soldi e voti a imprenditori ritenuti vicini al clan Belforte di Marcianise. La commissione straordinaria che dovrà gestire il Comune nei prossimi mesi non sarà decisiva nel risolvere i problemi nell’ambito delle politiche sociali, che si sommano a tanti altri che hanno decretato la prematura fine del governo cittadino. Se è vero che il corrente anno scolastico volge alla fine, si è rivelato fondamentale allora chiedere il risarcimento del danno all’ente e così provare a scoraggiare il ripetersi di una insufficiente gestione del servizio anche nel prossimo anno. Di recente, infatti, il Tar della Campania ha condannato il comune di Caserta al risarcimento di un danno subito da D., un bambino con disabilità, per la mancata assistenza prevista dal Piano educativo individualizzato. Il ricorso era stato presentato dagli avvocati di Osservatorio 182 in collaborazione con l’associazione Vorrei prendere il treno, entrambe attive in tutta Italia per la tutela dei diritti degli studenti con disabilità. Il Comune è stato quindi condannato a risarcire l’alunno con mille euro per ogni mese in cui l’assistenza è stata assente e con quattrocento euro per ogni mese in cui è stata erogata solo parzialmente. Una sentenza che riafferma un principio essenziale: il diritto all’inclusione scolastica non può essere ignorato, ritardato o ridotto. Ora la mamma di S. aspetta con fiducia la sentenza del Tar anche per il suo analogo ricorso. (mena moretta)
Come nei manicomi. Nuova udienza del processo per i maltrattamenti alla Stella Maris di Pisa
(disegno di cyop&kaf) Soltanto nel 2022, donne e uomini sono stati contenuti immobilizzati a letto 7534 volte, in dodici regioni italiane. Il numero è certamente molto più alto, visto che le altre otto non hanno inviato dati utilizzabili o affermano di non averli. Tra queste la Regione Toscana: “I dati richiesti non sono detenuti dalla scrivente amministrazione”, è la sorprendente risposta ricevuta dall’amministrazione, i cui funzionari – forse ignari dell’impegno preso dall’intesa Stato-Regioni dell’aprile 2022 sul monitoraggio delle contenzioni entro luglio 2024 – hanno invitato a rivolgersi direttamente a ciascuna delle aziende sanitarie locali, oppure ai singoli reparti psichiatrici ospedalieri. Tra le varie strutture, anche in quella di Montalto di Fauglia, gestita dalla fondazione Stella Maris, veniva praticata la contenzione meccanica. Per i maltrattamenti avvenuti in questo luogo è attualmente in corso un processo presso il tribunale di Pisa e domani, martedì 6 maggio, in piazza della Repubblica, in occasione della ripresa del processo – durante la quale verrà ascoltato il nuovo consulente tecnico della difesa – si terrà un presidio in solidarietà alle vittime degli abusi.   Pubblichiamo a seguire alcuni estratti del comunicato scritto dal Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud al termine dell’ultima udienza (febbraio 2025).  *     *     * Cinque testimoni della difesa sono stati ascoltati: il medico di base, due assistenti, un infermiere e uno psichiatra. Il canovaccio usato dalla difesa è stato lo stesso delle altre volte: i testimoni chiamati in aula hanno sostenuto che i violenti erano in realtà i ragazzi con autismo; nessuno di loro, hanno dichiarato, ha mai visto i colleghi maltrattare gli ospiti. Non c’è stato alcun riscontro alle riprese delle telecamere installate in sala mensa, che hanno immortalato più di duecentottanta episodi di violenza in meno di tre mesi. Una violenza non episodica ma strutturale. Eppure sia le due assistenti che l’infermiere hanno dovuto ammettere di aver ricevuto delle sanzioni disciplinari dalla direzione della Stella Maris per essere stati ripresi dalla telecamere mentre assistevano, senza intervenire, ad atti violenti contro i ragazzi (una conferma indiretta della conoscenza dei maltrattamenti da parte dei vertici della struttura). È emersa inoltre, come era già stato messo in evidenza anche durante le udienze precedenti, la mancata formazione del personale da parte della Stella Maris. Una delle due assistenti ha infatti riferito di avere conseguito l’attestato di Oss (Operatrice Socio Sanitaria) solamente nel 2018, quindi dopo gli abusi che risalgono al 2016. Molto importanti in quest’ottica sono stati gli interrogatori del dottor Marinari e dell’infermiere Biagini. Lo psichiatra ha ammesso di avere svolto un doppio ruolo, cosa abbastanza inquietante già di per sé. Come primario della psichiatria territoriale partecipava alle riunioni semestrali con la Stella Maris per la stesura dei piani individualizzati dei ragazzi, mansione per la quale seguiva soprattutto i ragazzi con autismo (il settantacinque per cento dei ragazzi di Montalto). Dopo la pensione è stato poi assoldato dalla società come consulente a contratto e poi ancora come responsabile sanitario della struttura di Montalto fino a oggi. Marinari ha affermato che da primario territoriale della psichiatria proponeva i ricoveri per i ragazzi quando i costi, in caso di assistenza domiciliare oppure di ricovero in struttura al momento della crisi, erano considerati troppo alti dalla Società della salute (consorzio di diversi comuni e delle relative unità sanitarie locali per l’erogazione di servizi sociosanitari, ndr) Ha detto testualmente: «Inserire ragazzi a Montalto era spesso un risparmio economico per la Società della salute». L’infermiere Biagini ha raccontato in maniera molto asettica il funzionamento dell’infermeria, dove la contenzione era una pratica costante e quotidiana. Ha usato queste parole: «C’era un letto con le contenzioni di tipo meccanico, con cinghie ancorate ai quattro lati del letto, più altre cinghie che venivano usate sopra queste». Come nei manicomi. L’infermiere ha detto anche che questi contenimenti provocavano spesso lesioni e lividi e a volte fratture, citando il caso di un ragazzo con una gamba rotta. Ha poi continuato dicendo che a Montalto di Fauglia non c’erano corsi di formazione su come usare questo tipo di contenzione, ma molta improvvisazione. Testualmente: «Non c’è stato nessun corso sulla contenzione, veniva detto tutto a voce». Lo stesso infermiere ha confermato l’uso dei tappeti contenitivi, pratica che era già emersa durante le scorse udienze. L’utilizzo dei tappeti contenitivi non è stato mai autorizzato né dalla Regione Toscana, né dall’Asl, né dalla Società della salute. I tappeti contenitivi non risultano essere dei dispositivi approvati da utilizzare in caso di contenzione. L’infermiere, a precisa domanda da parte di un avvocato, ha risposto che a oggi nella struttura di Marina di Pisa non usano più questo dispositivo, che è stato sostituito da una non meglio qualificata “coperta di sabbia”. Su questo ulteriore dispositivo di contenzione non è stato possibile avere altre informazioni, dal momento che nessun avvocato si è sentito di chiederne. Ma in cosa consiste questa “coperta di sabbia”? Che tipo di dispositivo è? Chi l’ha autorizzato? Qualcuno prima o poi dovrà dare una spiegazione, soprattutto per i familiari delle persone ospitate nella struttura che meritano risposte chiare e trasparenti. In generale, la Stella Maris dovrebbe avere il coraggio di prendere una posizione chiara e definitiva contro ogni metodo coercitivo e degradante. Sarebbe importante che la fondazione abbandonasse per sempre qualsiasi pratica di contenzione o di trattamento inumano. Indipendentemente dall’esito del processo, le sofferenze vissute rimarranno impresse nelle coscienze di chi li ha subite e delle loro famiglie. Esprimiamo loro tutta la nostra solidarietà. La presunta eccellenza della Stella Maris è un grande bluff. A Fauglia non venivano fornite cure o trattamenti terapeutici, ma si perpetravano atti di violenza e trattamenti degradanti e umilianti. Tutte le pratiche di contenzione, tra cui anche i tappeti contenitivi o le “coperte di sabbia” rappresentano, oltre che inaccettabili forme di abuso, uno dei tanti simboli del fallimento dell’utopia psichiatrica. (collettivo antipsichiatrico antonin artaud)