“La sfida climatica. Dalla scienza alla politica: le ragioni per il cambiamento”
Riceviamo e pubblichiamo dalla agenzia stampa Interris.it
Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato in Europa.
Lo dice l’osservatorio Copernicus, il programma europeo di osservazione della
Terra.
Il cambiamento climatico continua a mietere record negativi uno dopo l’altro,
mentre i nostri riflessi di reazione non sembrano abbastanza pronti.
La crisi ambientale ci interroga, ci spinge a cercare nuove soluzioni e
strategie su diversi fronti.
Quale sia la portata della sfida climatica e le sue molteplici sfaccettature,
tecnico-scientifiche, politiche, culturali, divulgative e filosofiche, è il
cuore dell’analisi del fisico del clima del Consiglio nazionale delle ricerche
(Cnr) e docente universitario Antonello Pasini, autore di “La sfida climatica.
Dalla scienza alla politica: le ragioni per il cambiamento”.
L’intervista
Professore, perché questo libro?
“Rispetto ai precedenti è più ad ampio spettro, a partire dalla considerazione
che il clima è un sistema complesso, con caratteristiche che ci espongono a
sfide ambiti diversi.
Quella filosofica, ovvero renderci conto che non siamo padroni del mondo ma una
parte della rete.
Quella comunicativa: è difficile far passare un messaggio scientifico senza che
questo subisca distorsioni.
E la sfida politica: serve un dialogo alla pari istituzionalizzato, perché la
politica ha bisogno di soluzioni scientificamente fondate”.
Dal fronte climatico e ambientale spesso arrivano cattive notizie, come l’anno
del caldo record in Europa o la perdita di biodiversità. Qual è il cuore della
sfida?
“I cambiamenti climatici recenti, a differenza delle epoche precedenti, sono
dovuti all’azione dell’uomo.
Il riscaldamento è ubiquitario e sincrono a causa delle emissioni per l’uso dei
combustibili fossili.
Il cambiamento climatico impatta qualsiasi visione del futuro del mondo, non è
problema ideologico ma reale.
La sfida è cambiare il nostro modello di sviluppo, se lo non facessimo potremmo
avere, a livello mondiale, disastrose perdite in termini di PIL e
un’accentuazione delle diseguaglianze tra ricchi e poveri.
Il nostro contributo come scienziati è fornire a chi governa gli strumenti per
soluzioni adeguate”.
Come farlo?
“Se non cambiamo paradigma, pur con le soluzioni tecnologiche, o come diceva
papa Francesco tecnocratiche, i problemi non finiranno.
Se pensiamo di voler mantenere il modello di crescita infinita passando da una
macchina a motore endotermico a due a motore elettrico, questo potrebbe non
essere sostenibile.
Dobbiamo cambiare gli stili di vita, dalla mobilità all’alimentazione.
In città non si dovrebbe aver bisogno del veicolo privato, dovrebbero bastare i
mezzi pubblici, la bici o il car sharing.
Se a tavola seguissimo la dieta mediterranea, potremmo rispettare gli scenari di
decarbonizzazione che ci indicano gli esperti.
Dobbiamo leggere gli indicatori di felicità delle persone, non quelli sul
benessere economico.
La felicità la fa la relazione, non il possesso”.
Nell’era della disinformazione e delle fake news, in cui le opinioni si
polarizzano, come “vincere” la sfida di comunicare la scienza ai non addetti ai
lavori?
“In generale, si guarda il risultato scientifico con le lenti della propria
visione del mondo e se non combaciano, si preferisce ignorare o manipolare quel
dato.
C’è anche il problema di una cultura che vede la scienza come una materia
puramente tecnica e che quindi non può affrontare ii massimi sistemi.
Inoltre, manca il confronto trasversale perché ognuno vive in una camera
dell’eco dove le proprie idee vengono rafforzate. Nel libro ci sono una serie di
proposte per ‘avvicinare’ gli scienziati alle persone”.
Come cittadini, cosa possiamo fare?
“Dobbiamo essere consapevoli che esiste il problema climatico: capire cosa
succede, con quali effetti, e perché.
E dobbiamo spingere sui politici, premiando chi ha a cuore il futuro
dell’umanità, perché sono loro che devono gestire la transizione ecologica.
E se nessuno lo fa, mettersi in gioco”.
Redazione Italia