I dati su sbarchi e rimpatri smentiscono i “successi” del governo1. I numeri degli sbarchi del 2025, secondo il cruscotto statistico del
Viminale, hanno ormai superato quelli dell’anno precedente, anche se il ministro
dell’interno Piantedosi alla fine di marzo vantava come un successo la riduzione
del numero degli arrivi, legata principalmente ad accordi con paesi terzi come
la Tunisia, che non rispettano i diritti umani e le garanzie dello Stato di
diritto, incoraggiati dai consistenti finanziamenti che incassano dall’Italia e
dall’Unione europea per bloccare le partenze di migranti, anche a costo di
lasciarli abbandonati nel deserto. Finanziamenti che sempre più spesso sono
diretti a foraggiare “rimpatri volontari” che di fatto non lasciano alcuna
facoltà di scelta.
Nei primi 4 mesi del 2025 si contavano 15.543 “arrivi irregolari”, a fronte di
16.137 nello stesso periodo del 2024 e di 42.201 nel 2023. Ma dal 25 aprile al
primo maggio sono sbarcate 2.659 persone, tanto da superare gli sbarchi
registrati nello stesso periodo dello scorso anno. Mentre è difficile fare
paragoni con il 2023 i cui dati risentivano della fine dell’emergenza Covid e di
un consistente numero di partenze dalla Tunisia, che adesso sono temporaneamente
diminuite.
Lo scorso 2 maggio nel centro “hotspot” di Lampedusa si registrava la presenza
di 1052 “ospiti”, malgrado i continui trasferimenti, dopo che il 28 aprile gli
“ospiti” erano stati 938, il 20 aprile 446, il 5 aprile 581 con undici “sbarchi”
in una sola giornata. Nella maggior parte dei casi però non si trattava di
sbarchi veri e propri, in autonomia, ma di soccorsi operati al limite delle
acque territoriali italiane, da unità della Guardia costiera e della Guardia di
finanza. Evidentemente l’estensione dei casi di trattenimento amministrativo per
i richiedenti asilo e le deportazioni in Albania, riprese ad aprile, non hanno
alcun effetto di deterrenza rispetto a persone costrette a tentare la traversata
del Mediterraneo per fuggire agli abusi dei quali sono vittime in Libia e in
Tunisia.
2. A differenza di quanto avviene per gli “sbarchi” non è facile reperire dati
aggregati sulle operazioni di rimpatrio con accompagnamento forzato
effettivamente eseguite, a parte sporadiche comunicazioni propagandistiche su
casi isolati di rimpatri seguiti a espulsioni ministeriali per motivi di
sicurezza.
Nei CPR (centri per i rimpatri) finiscono persone con le più disparate
provenienze, anche richiedenti asilo con procedure ancora in corso, e in assenza
di una tempestiva informazione e di una effettiva difesa, vengono rimpatriate
persone che avrebbero diritto alla protezione. Nel corso dell’intero 2024 sono
state espulse soltanto 5.414 persone, appena 800 in più rispetto all’anno
precedente. Dietro le percentuali fornite senza dati assoluti, lanciate dal
Viminale a scopo di propaganda (più 15-20 per cento), si nasconde come i
rimpatri effettivamente eseguiti rimangano sugli stessi numeri degli anni
precedenti. E si continua a morire di CPR, da ultimo nel centro di Restinco a
Brindisi, dove ‘un uomo di 35 anni è stato trovato morto nel letto all’interno
del centro per il rimpatrio nel Brindisino. L’accaduto poche ore prima della
visita dell’onorevole del Pd Claudio Stefanazzi, che nulla ha saputo dagli
addetti ai lavori.
Sembra ancora una volta caduta nel vuoto la denuncia del Comitato per la
prevenzione della tortura (CPT) del Consiglio d’Europa, che pochi giorni fa ha
denunciato sovraffollamento e violenze sistematiche anche all’interno dei CPR
italiani. Come se non fossero servite a nulla le condanne riportate dall’Italia
di fronte alla Corte europea dei diritti dell’Uomo per casi di maltrattamenti o
di ingiusta detenzione nei CPR, alle quali sono seguite condanne al risarcimento
danni da parte dei Tribunali italiani.
Con la sentenza Richmond Yaw e altri c. Italia, pubblicata il 6 ottobre 2016, la
Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione
dell’art. 5 par. 1, lett. f e par. 5 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, per il prolungamento arbitrario del trattenimento amministrativo
all’interno del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria
(Roma), e per il mancato riconoscimento del diritto alla riparazione del danno
derivante dalla ingiustificata privazione della libertà personale. Il 7
febbraio scorso la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha ordinato il
trasferimento, verso un’altra struttura, di una persona che era riuscita a
rivolgersi ai giudici di Strasburgo, che hanno espressamente intimato al governo
italiano “la modifica delle condizioni di accoglienza”. Una indicazione che
dovrebbe valere per tutti i centri di detenzione amministrativa in Italia.
3. Sembra attenuarsi la propaganda sui rimpatri da incrementare attraverso il
centro di Gjader in Albania, ma pur sempre con partenza dal territorio
italiano. I provvedimenti della magistratura e la mancata collaborazione della
quasi totalità dei paesi di origine, anche di quelli designati come “sicuri”,
sta azzerando di fatto questo ennesimo tentativo di riavvio del “modello
Albania”. Per dimostrare l’efficienza del sistema di rimpatri si sta puntando
molto sulla selezione di immigrati irregolari bengalesi, come il primo che
sarebbe stato rimpatriato dopo essere stato trasferito a Gjader, ma si nasconde
che su 13.779 bangladesi sbarcati nell’intero 2024 i rimpatri sono stati appena
73, di cui solo 11 transitati da un CPR.
Ovunque domina una totale opacità, al punto che non si sa con certezza se gli
ultimi rimpatri attraverso il centro per i rimpatri (CPR) di Gjader (e poi dal
territorio italiano!) siano stati volontari o forzati. Il Ministero dell’interno
è arrivato al punto di negare alle delegazioni parlamentari arrivate per
svolgere attività ispettive in Albania l’esibizione dei provvedimenti di
espulsione e di trattenimento amministrativo delle persone detenute a Gjader.
4. I media vicini al governo hanno intanto messo la sordina al caso
Almasri, ancora oggetto di indagine dal Tribunale dei ministri, sul quale
l’Italia continua a chiedere proroghe sull’informativa che sarebbe tenuta ad
inviare alla Corte Penale internazionale, oggetto di una continua
delegittimazione. Mentre non si racconta più nulla sull’attuazione degli accordi
stipulati con il governo di Tripoli, adesso sotto l’influenza dominante della
Turchia di Erdogan. E Giorgia Meloni vanta “l’azzeramento” delle partenze dalle
coste turche.
5. Oltre alle menzogne di governo, nessuno scrive dei naufragi, sulle rotte del
Mediterraneo centrale, le più pericolose del mondo, che sono diventati eventi ai
quali l’opinione pubblica sembra ormai assuefatta. Domenica 27 aprile cinque
persone hanno perso la vita a causa dell’affondamento di un’imbarcazione davanti
all’isola di Lampedusa, mentre altri otto corpi sono stati recuperati dopo il
ribaltamento di una barca al largo della Tunisia. E in precedenza, il 17 aprile,
altre decine di persone erano finite disperse sulla rotta libica, nel silenzio
complice delle autorità e dei principali media italiani.
La finzione della “zona Sar libica”, e la mancata cooperazione delle autorità
maltesi, fanno ancora vittime in questi giorni, anche per ipotermia, dopo ore di
inutile attesa dei soccorsi, arrivati in acque internazionali, solo con
l’intervento di motovedette della Guardia costiera. Le navi umanitarie delle Ong
vengono intanto spedite sempre più lontano, in porti “vessatori” imposti dal
Viminale per impedire soccorsi troppo frequenti. A breve però il Decreto
Piantedosi (legge n.15/2023,) che permette queste prassi, sarà oggetto di
scrutinio davanti la Corte Costituzionale.
Purtroppo non sembra che importanti riconoscimenti delle menzogne scaricate sui
soccorsi civili riescano a bloccare il degrado del senso comune indotto dalla
martellante propaganda delle destre. Nel Mediterraneo ormai i migranti si
respingono con i droni e gli aerei, in modo da tagliare fuori le navi umanitarie
e favorire anche in acque internazionali le intercettazioni, attività di
contrasto dell’immigrazione (law enforcement) che non rientrano tra le
operazioni di ricerca e salvataggio (SAR), affidate alle motovedette libiche e
tunisine.
6. Il governo ha respinto al mittente le preoccupazioni espresse lo scorso 28
marzo, dal Comitato per i diritti umani sull’implementazione del Patto
internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite,
sulla “gestione extraterritoriale delle procedure di migrazione e asilo, come
quelle riguardanti la detenzione automatica dei migranti e il rischio di una
detenzione prolungata”. Ma la proposta di un nuovo Regolamento europeo sui cd.
hub di rimpatrio in paesi terzi sicuri è ancora ferma a Bruxelles e la sua
approvazione, al termine della procedura di co-legislazione, non appare tanto
vicina come annunciato da Meloni e da Piantedosi.
Il governo Meloni intanto insiste nella delegittimazione della Corte Penale
internazionale, mentre sembra attendere con fiducia la prossima decisione della
Corte di giustizia dell’Unione europea sui rinvii per questioni pregiudiziali
sollevate dai tribunali italiani in merito (non solo) alla designazione dei
paesi di origine “sicuri”, ma più in generale sulle procedure in frontiera.
Questioni che non possono essere rimesse ad una maggioranza che controlla
l’attività legislativa attraverso l’esecutivo, con una raffica di decreti legge,
da convertire a colpi di fiducia, in modo da comportare un completo
esautoramento del Parlamento e degli organi di controllo.
7. Con la sentenza n. 81 del 2012, la Corte costituzionale ha stabilito che gli
spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di
natura giuridica posti dall’ordinamento tanto a livello costituzionale quanto a
livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad
essi la politica deve attenersi in ossequio ai fondamentali principi dello Stato
di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale,
anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da
vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano
l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità
e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate.
Le politiche migratorie, sui fronti cruciali della detenzione amministrativa e
delle operazioni di rimpatrio forzato, devono basarsi su solide basi legali, e
su dati reali, mentre i risultati conseguiti vanno comunicati con la più
assoluta trasparenza. Quando questo non si verifica, come in questi ultimi anni,
non viene soltanto tradita la fiducia dei cittadini elettori, ma si allontana la
possibilità di fornire soluzioni ai problemi reali, mentre l’azione di governo
si nasconde dietro la propaganda dell’insicurezza.
Fulvio Vassallo Paleologo