Per la libertà di Ocalan e per una soluzione politica in Kurdistan
L’appello del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan del 27 febbraio per “la
pace e una società democratica” rappresenta il nono tentativo di cessate il
fuoco unilaterale da parte curda, in questo modo il PKK ha dato un ulteriore
tangibile segno dell’impegno da parte curda per la pace e la democrazia.
Già nel 2015 la trattativa per la pace sembrava fosse arrivata ad un punto
significativo e che la liberazione di Öcalan potesse essere imminente. Ciò che
accadde dopo le elezioni del giugno 2015, quando il partito HDP ottenne 13,12% e
conquistò 80 seggi al Parlamento di Ankara, è sotto gli occhi di tutti: una
violenta e sanguinosa ondata bellica scatenata dal regime di Erdogan contro le
popolazioni curde in Turchia, Siria e Iraq del nord.
Interi villaggi distrutti, quartieri storici delle città curde rasi al suolo,
migliaia di arresti fra curdi sospettati di essere membri del PKK e fra i
militanti del partito HDP, fra cui il segretario nazionale Demirtas, centinaia
di morti.
L’offensiva turca contro il movimento democratico curdo fu estesa oltre i
confini della Turchia, con una feroce campagna che ha investito il Rojava
rivoluzionario, iniziata con l’attacco ad Afrin e a tutta la Siria del Nord e
dell’Est. Le formazioni jihadiste eterodirette da Ankara operarono una crudele
pulizia etnica nei territori occidentali del Rojava espellendone le popolazioni
stanziali.
Sebbene i colloqui con il regime di Ankara continuino, la condizione minima per
la deposizione delle armi da parte delle milizie popolari curde ha come
presupposto irrinunciabile la possibilità di indire il Congresso straordinario
del PKK con la presenza fisica del suo leader storico Abdullah Öcalan e la
liberazione di tutti i detenuti politici, compreso il leader dell’HDP Selahattin
Demirtaş.
Attualmente non si registra una reale risposta del governo turco all’appello di
Öcalan e al cessate il fuoco unilaterale del PKK. Di contro assistiamo alla
deriva autoritaria del governo turco che si evidenzia con un’ondata di arresti
di sindaci, giornalisti, avvocati e attivisti per la pace in tutta la Turchia.
L’arresto il 19 marzo 2025 del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu – volto di
spicco del Partito Popolare Repubblicano e candidato in pectore del CHP alle
elezioni presidenziali turche del 2028 dopo la vittoria alle primarie del
partito kemalista – con l’accusa di corruzione, estorsione, riciclaggio di
denaro, turbativa d’asta e collaborazione con il PKK, ha reso ancora più
evidente la svolta sicuritaria del governo di Ankara. Questo sviluppo alimenta
una profonda sfiducia nei confronti delle dichiarazioni politiche che parlano
dell’inizio di un periodo di pace.
Inoltre, l’esercito turco continua ad attaccare le posizioni delle forze
guerrigliere del PKK, e sono riemerse accuse sull’uso di armi chimiche.
Mentre il PKK propone il cessate il fuoco su tutti i fronti, il governo di
Erdogan, dopo la dissoluzione del regime siriano degli Assad, spinge le milizie
jihadiste del cosiddetto Esercito Nazionale Siriano (SNA) contro i territori
controllati dall’Autorità Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell’Est
(DAANES).
L’SNA, foraggiato e diretto dalla Turchia, partendo dal distretto di Idlib,
distretto da anni nelle mani dei jihadisti, già dal dicembre scorso ha
intrapreso un massiccio attacco contro i territori autonomi della Siria del Nord
e dell’Est spingendosi dal Nord Ovest siriano fino alle sponde dell’Eufrate.
Le Forze Democratiche Siriane (SDF), guidate dalle Unità di Protezione Popolare
(YPG), hanno fermato lungo le sponde dell’Eufrate l’offensiva delle SNA, diretta
alla conquista di Kobane, città simbolo della resistenza ai tagliagole jihadisti
dell’ISIS.
Per difendere le conquiste rivoluzionarie del Confederalismo Democratico la
popolazione della Siria del Nord e dell’Est si è sollevata dando pieno appoggio
alle milizie popolari rivoluzionarie. A difendere la diga di Teshrin sono giunte
migliaia di persone, famiglie intere che hanno offerto i propri corpi per
respingere l’orda reazionaria del SNA. Tantissimi i morti sotto i bombardamenti,
ma l’avanzata delle milizie jihadiste filoturche è stata fermata. La diga di
Teshrin sull’Eufrate è divenuta il nuovo simbolo della resistenza in Rojava.
L’alleanza fra le varie componenti della società siriana (curdi, arabi, armeni,
assiri, turkmeni e circassi, sunniti, sciiti, alawiti, cristiani, drusi, ezidi e
altri siriani) realizzata in Siria del Nord e dell’Est si sta consolidando.
L’iniziale simpatia di alcuni combattenti arabi delle SDF a Raqqa e a Deir
ez-Zor (località a maggioranza araba) verso l’attuale governo a guida HTS si è
presto esaurita dopo le dichiarazioni jihadiste di Ahmed al-Sharah in vista
della riscrittura della carta costituzionale e dopo i massacri contro le
popolazioni alawite nella Siria dell’ovest.
Poco dopo aver rovesciato il regime di Assad, il governo apertamente sunnita di
al-Sharaa aveva pubblicamente garantito la libertà di culto alle minoranze
religiose del Paese, ma nonostante questa dichiarazione dagli apparenti contorni
pacifisti, gli scontri tra le forze di sicurezza di Damasco e gli alawiti (di
osservanza sciita) hanno portato a massacri indiscriminati anche di civili. Più
di 1.400 i civili sono stati uccisi, inclusi centinaia di giustiziati dalle
forze di sicurezza siriane concentrate soprattutto nelle provincie di Latakia e
Tartus, nell’ovest della Siria.
Sfruttando le debolezze del l’attuale regime di Damasco il DAANES ha stretto
contatti con la comunità drusa, con la comunità alawita e con varie comunità
arabe in tutta la Siria.
In questo quadro è stato deciso di istituire accademie al di fuori della Siria
del nord e dell’Est per diffondere i principi del Confederalismo Democratico e
per costruire una nuova Siria democratica, confederale e rispettosa di tutte le
etnie presenti. Su richiesta delle donne delle varie zone del Paese si stanno
costruendo corpi delle YPJ (Unità di Protezione delle Donne) per l’autodifesa,
specialmente dopo l’impostazione islamista e autoritaria della nuova Siria a
guida HTS.
Mentre si accoglie in modo positivo l’appello di Öcalan del 27 febbraio per la
pace, si sottolinea che fino a quando non ci saranno garanzie valide per il
rispetto delle conquiste del Confederalismo Democratico, per il rispetto delle
minoranze religiose ed etniche, per il rispetto delle donne in Siria le milizie
popolari SDF e YPG non deporranno le armi e che le YPJ non disarmeranno in
nessun caso, essendo essenziali per la difesa delle donne.
Renato Franzitta