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Striscia di Gaza allo stremo, le Ong denunciano: “La fame colpisce anche chi presta aiuto, mentre l’assedio israeliano ostacola ogni risposta umanitaria”
Mentre l’assedio imposto dal governo israeliano affama la popolazione della Striscia di Gaza, anche le operatrici e gli operatori umanitari si trovano costretti a mettersi in fila per il cibo, rischiando di essere colpiti pur di sfamare le loro stesse famiglie. Con le scorte ormai completamente esaurite, le organizzazioni umanitarie vedono le proprie squadre e collaboratori deperire giorno dopo giorno. Esattamente due mesi dopo l’inizio delle operazioni della Gaza Humanitarian Foundation, un meccanismo sotto il controllo del governo israeliano, 109 organizzazioni*, fra le quali Amnesty International, hanno lanciato l’allarme e chiesto ai governi di agire: aprire tutti i valichi di frontiera via terra; ripristinare il flusso completo di cibo, acqua potabile, forniture mediche, materiali per ripararsi e carburante attraverso un sistema fondato sui principi umanitari e guidato dalle Nazioni Unite; porre fine all’assedio e raggiungere subito un cessate il fuoco. “Ogni mattina, nella Striscia di Gaza, si ripete la stessa domanda: oggi mangerò?”, ha detto un rappresentante di un’organizzazione umanitaria. I massacri nei punti di distribuzione alimentare avvengono quasi quotidianamente. Al 13 luglio, le Nazioni Unite avevano confermato che 875 persone palestinesi erano state uccise mentre cercavano cibo: 201 persone lungo i percorsi degli aiuti e le restanti nei punti di distribuzione. Migliaia sono le persone ferite. Nel frattempo, le forze israeliane hanno costretto quasi due milioni di palestinesi esausti allo sfollamento, con l’ultima ordinanza di massa emessa il 20 luglio, che li confina in meno del 12 per cento del territorio della Striscia di Gaza. Il Programma alimentare mondiale (World Food Programme – Wfp) avverte che le attuali condizioni rendono impossibile operare. L’uso della fame nei confronti della popolazione civile come arma costituisce un crimine di guerra. Appena fuori dalla Striscia di Gaza, e persino all’interno, tonnellate di cibo, acqua potabile, forniture mediche, materiali per ripararsi e carburante restano inutilizzate, mentre alle organizzazioni umanitarie viene impedito l’accesso e la distribuzione. Le restrizioni, i ritardi e la frammentazione imposti dal governo israeliano attraverso l’assedio totale hanno prodotto caos, fame e morte. Un’operatrice che fornisce sostegno psicosociale ha descritto l’impatto devastante sui bambini: “I bambini dicono ai genitori che vogliono andare in paradiso, perché almeno lì c’è il cibo”. Il personale medico riferisce livelli senza precedenti di malnutrizione acuta, in particolare tra bambine, bambini e persone anziane. Si stanno diffondendo malattie come la diarrea acuta, i mercati sono vuoti, i rifiuti si accumulano e le persone adulte crollano in strada per la fame e la disidratazione. Le distribuzioni nella Striscia di Gaza si aggirano in media intorno ai 28 camion al giorno: una quantità del tutto insufficiente per oltre due milioni di persone, molte delle quali non ricevono assistenza da settimane. Il sistema umanitario guidato dalle Nazioni Unite non ha fallito: è stato messo nella condizione di non funzionare. Le organizzazioni umanitarie dispongono delle risorse e della capacità per intervenire su larga scala. Ma vedendoci negato l’accesso, non possiamo raggiungere le persone che necessitano di aiuto – comprese le nostre stesse squadre, stremate e affamate. Il 10 luglio, l’Unione europea e Israele hanno annunciato misure per incrementare gli aiuti. Ma queste promesse di “progressi” suonano vuote quando nessun cambiamento concreto si realizza sul terreno. Ogni giorno senza un flusso sostenuto di aiuti significa nuove morti per malattie prevenibili. Bambine e bambini muoiono di fame nell’attesa di promesse che non si concretizzano mai. Le persone palestinesi sono intrappolate in un ciclo di speranza e disperazione: attendono assistenza e il cessate il fuoco, solo per risvegliarsi in condizioni sempre peggiori. Non è solo una sofferenza fisica, ma anche psicologica. La sopravvivenza viene prospettata come un miraggio. Il sistema umanitario non può funzionare sulla base di false promesse. Il lavoro umanitario non può reggersi su scadenze indefinite o su impegni politici che non garantiscono un reale accesso. I governi devono smettere di attendere un permesso per agire. Non possiamo più sperare che gli attuali accordi siano sufficienti. È il momento di agire con decisione: chiedere un cessate il fuoco immediato e permanente; rimuovere ogni restrizione burocratica e amministrativa; aprire tutti i valichi via terra; garantire l’accesso a tutte le persone in ogni zona della Striscia di Gaza; respingere i modelli di distribuzione controllati dalle autorità militari; ripristinare un intervento umanitario fondato sui principi umanitari e guidato dalle Nazioni Unite; continuare a finanziare le organizzazioni umanitarie imparziali e fondate su principi umanitari. Gli stati devono adottare misure concrete per porre fine all’assedio, come ad esempio interrompere il trasferimento di armi e munizioni. Accordi frammentari e gesti simbolici, come i lanci aerei o accordi impraticabili sugli aiuti, servono solo a nascondere l’inazione. Non possono sostituire l’obbligo giuridico e morale degli stati di proteggere la popolazione civile palestinese e garantire un accesso significativo su larga scala agli aiuti. Gli stati possono e devono salvare vite umane, prima che non ne resti più alcuna da salvare. *Le Ong firmatarie: 1. American Friends Service Committee (AFSC) 2. A.M. Qattan Foundation 3. A New Policy 4. ACT Alliance 5. Action Against Hunger (ACF) 6. Action for Humanity 7. ActionAid International 8. American Baptist Churches Palestine Justice Network 9. Amnesty International 10. Asamblea de Cooperación por la Paz 11. Associazione Cooperazione e Solidarietà (ACS) 12. Bystanders No More 13. Campain 14. CARE 15. Caritas Germany 16. Caritas Internationalis 17. Caritas Jerusalem 18. Catholic Agency for Overseas Development (CAFOD) 19. Center for Mind-Body Medicine (CMBM) 20. CESVI Fondazione 21. Children Not Numbers 22. Christian Aid 23. Churches for Middle East Peace (CMEP) 24. CIDSE- International Family of Catholic Social Justice Organisations 25. Cooperazione Internazionale Sud Sud (CISS) 26. Council for Arab‑British Understanding (CAABU) 27. DanChurchAid (DCA) 28. Danish Refugee Council (DRC) 29. Doctors against Genocide 30. Episcopal Peace Fellowship 31. EuroMed Rights 32. Friends Committee on National Legislation (FCNL) 33. Forum Ziviler Friedensdienst e.V. 34. Gender Action for Peace and Security 35. Global Legal Action Network (GLAN) 36. Global Witness 37. Health Workers 4 Palestine 38. HelpAge International 39. Humanity & Inclusion (HI) 40. Humanity First UK 41. Indiana Center for Middle East Peace 42. Insight Insecurity 43. International Media Support 44. International NGO Safety Organisation 45. Islamic Relief 46. Jahalin Solidarity 47. Japan International Volunteer Center (JVC) 48. Kenya Association of Muslim Medical Professionals (KAMMP) 49. Kvinna till Kvinna Foundation 50. MedGlobal 51. Medico International 52. Medico International Switzerland (medico international schweiz) 53. Medical Aid for Palestinians (MAP) 54. Mennonite Central Committee (MCC) 55. Médecins Sans Frontières (MSF) 56. Médecins du Monde France 57. Médecins du Monde Spain 58. Médecins du Monde Switzerland 59. Mercy Corps 60. Middle East Children’s Alliance (MECA) 61. Movement for Peace (MPDL) 62. Muslim Aid 63. National Justice and Peace Network in England and Wales 64. Nonviolence International 65. Norwegian Aid Committee (NORWAC) 66. Norwegian Church Aid (NCA) 67. Norwegian People’s Aid (NPA) 68. Norwegian Refugee Council (NRC) 69. Oxfam International 70. Pax Christi England and Wales 71. Pax Christi International 72. Pax Christi Merseyside 73. Pax Christi USA 74. Pal Law Commission 75. Palestinian American Medical Association 76. Palestinian Children’s Relief Fund (PCRF) 77. Palestinian Medical Relief Society (PMRS) 78. Peace Direct 79. Peace Winds 80. Pediatricians for Palestine 81. People in Need 82. Plan International 83. Première Urgence Internationale (PUI) 84. Progettomondo 85. Project HOPE 86. Quaker Palestine Israel Network 87. Rebuilding Alliance 88. Saferworld 89. Sabeel‑Kairos UK 90. Save the Children (SCI) 91. Scottish Catholic International Aid Fund 92. Solidarités International 93. Støtteforeningen Det Danske Hus i Palæstina 94. Swiss Church Aid (HEKS/EPER) 95. Terre des Hommes Italia 96. Terre des Hommes Lausanne 97. Terre des Hommes Nederland 98. The Borgen Project 99. The Center for Mind-Body Medicine (CMBM) 100. The Glia Project 101. The Global Centre for the Responsibility to Protect (GCR2P) 102. The Institute for the Understanding of Anti‑Palestinian Racism 103. Un Ponte Per (UPP) 104. United Against Inhumanity (UAI) 105. War Child Alliance 106. War Child UK 107. War on Want 108. Weltfriedensdienst e.V. 109. Welthungerhilfe (WHH) Amnesty International
Mostra “Non è Stato il mare – 10 anni di Sea-Watch”
Dal 4 al 28 settembre 2025, presso la Sala Messina della Fabbrica del Vapore a Milano, si terrà una mostra dedicata ai 10 anni di attività della ONG Sea-Watch nel Mediterraneo centrale. Attraverso un percorso che mette in relazione immagini, suoni, oggetti, ospiti e dibattiti faremo il punto su quello che è il Mediterraneo centrale, le politiche migratorie europee, la criminalizzazione della società civile, gli ostacoli posti all’azione umanitaria in mare. Racconteremo una storia di impegno, solidarietà e resilienza. Di vite salvate e di vite perdute sulla frontiera più letale del mondo. Non una celebrazione, ma un invito all’azione rivolto a tutti coloro che rifiutano l’idea di un’Europa fortificata, che ogni giorno viola i diritti umani nelle acque che la circondano. Non è Stato il mare – 10 anni di Sea-Watch è una mostra a cura di Elisa Medde, prodotta da OTM Company e Sea-Watch con il patrocinio del Comune di Milano. A breve maggiori informazioni!   Sea Watch
Striscia di Gaza: fame o proiettili. L’appello di oltre 160 Ong
 Oltre 160 organizzazioni umanitarie e della società civile*, fra le quali Amnesty International, hanno lanciato un appello urgente per porre fine al letale schema di distribuzione degli aiuti imposto da Israele – che comprende la cosiddetta Gaza Humanitarian Foundation – e hanno chiesto il ripristino del coordinamento da parte dalle Nazioni Unite, oltre alla revoca del blocco imposto dal governo israeliano che impedisce l’ingresso di aiuti e beni commerciali nella Striscia di Gaza. I 400 siti di distribuzione di aiuti attivi durante la tregua temporanea sono stati sostituiti da soli quattro siti, sotto controllo militare, costringendo due milioni di persone a spostarsi in zone sovraffollate e militarizzate, dove ogni giorno rischiano la vita sotto i continui bombardamenti mentre tentano di procurarsi cibo senza alcun accesso ad altri beni essenziali per la sopravvivenza. Oggi nella Striscia di Gaza le persone si trovano davanti a una scelta impossibile: morire di fame o rischiare di essere colpite mentre cercano disperatamente del cibo per sfamare le proprie famiglie. Le settimane successive all’introduzione dello schema israeliano di distribuzione si sono rivelate tra le più letali e violente dall’ottobre 2023. In meno di un mese oltre 500 persone palestinesi sono state uccise e quasi 4.000 ferite mentre tentavano solamente di accedere al cibo o distribuirlo. Le forze israeliane e gruppi armati – secondo fonti, talvolta con il sostegno delle autorità israeliane – aprono ormai regolarmente il fuoco sui civili disperati che rischiano tutto per sopravvivere. Il sistema umanitario è stato smantellato in modo deliberato e sistematico dal blocco e dalle restrizioni imposte dal governo israeliano: un blocco che oggi viene strumentalizzato per giustificare la chiusura della quasi totalità delle operazioni umanitarie, a favore di un’alternativa mortale e controllata dai militari che non protegge la popolazione civile né garantisce i bisogni fondamentali. Queste misure alimentano un ciclo continuo di disperazione, pericolo e morte. Gli attori umanitari con esperienza alle spalle restano pronti a fornire assistenza salvavita su larga scala. Eppure, a oltre 100 giorni dalla reintroduzione da parte delle autorità israeliane di un blocco quasi totale agli aiuti e alle merci, la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza sta collassando più rapidamente che in qualsiasi altro momento degli ultimi 20 mesi. Nel nuovo sistema imposto dal governo israeliano persone indebolite dalla fame sono costrette a camminare per ore attraverso aree pericolose e zone dove il conflitto è attivo, per ritrovarsi poi in una corsa violenta e caotica verso punti di distribuzione recintati, militarizzati, con una sola via d’ingresso. Migliaia di persone vengono ammassate in spazi chiusi, costrette a lottare per ottenere razioni alimentari limitate. Questi luoghi sono ormai teatro di massacri ripetuti, in palese violazione del diritto internazionale umanitario. Tra le persone uccise vi sono bambine, bambini e persone che se ne prendevano cura. In oltre la metà degli attacchi alle persone civili in questi siti, sono stati coinvolti minori. Con un sistema sanitario al collasso, molte persone colpite restano a terra a morire dissanguate, non raggiungibili dalle ambulanze e senza cure salvavita. In un contesto di fame estrema e condizioni simili alla carestia molte famiglie raccontano di non avere più le forze per contendersi le razioni. Chi riesce a portare a casa del cibo spesso si ritrova con pochi alimenti di base, difficili da cucinare senza acqua potabile o combustibile. Il carburante è quasi esaurito, paralizzando i servizi essenziali – come panifici, sistemi idrici, ambulanze e ospedali. Le famiglie si riparano sotto teli di plastica, preparano pasti improvvisati tra le macerie, senza carburante, acqua potabile, servizi igienico-sanitari né elettricità. Questa non è una risposta umanitaria. Concentrare oltre due milioni di persone in aree ancora più ristrette nella speranza di trovare cibo non è un piano per salvare vite umane. Da 20 mesi, più di due milioni di persone sono incessantemente sottoposte a bombardamenti continui, all’utilizzo della fame e della sete come armi, agli sfollamenti forzati ripetuti e a una disumanizzazione sistematica: tutto questo sotto gli occhi della comunità internazionale. La Sphere Association, che stabilisce gli standard minimi per un’assistenza umanitaria di qualità, ha affermato che l’approccio della Gaza Humanitarian Foundation non rispetta gli standard e i principi fondamentali dell’azione umanitaria. La normalizzazione di questa sofferenza non può essere tollerata. Gli Stati devono opporsi alla logica per cui le uniche alternative sono la distribuzione militarizzata degli aiuti o la loro completa negazione; devono rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale e del diritto internazionale dei diritti umani, compresi i divieti di sfollamenti forzati, attacchi indiscriminati e ostacoli all’assistenza umanitaria; devono inoltre garantire l’accertamento delle responsabilità per le gravi violazioni del diritto internazionale. Noi, organizzazioni firmatarie, rinnoviamo l’appello a tutti gli Stati terzi affinché: * adottino misure concrete per porre fine all’assedio e garantiscano il diritto delle persone nella Striscia di Gaza ad accedere in sicurezza agli aiuti e ricevere protezione; * esortino i donatori a non finanziare schemi di distribuzione militarizzati che violano il diritto internazionale, non rispettano i principi umanitari, aggravano i danni e rischiano di rendersi complici di atrocità; * sostengano il ripristino di un meccanismo di coordinamento unificato e guidato dalle Nazioni Unite – fondato sul diritto internazionale umanitario e che includa l’Unrwa, la società civile palestinese e l’intera comunità dell’aiuto umanitario – per soddisfare i bisogni della popolazione. Ribadiamo il nostro urgente appello per un cessate il fuoco immediato e duraturo, la scarcerazione di tutte le persone in ostaggio e detenute arbitrariamente, un pieno accesso umanitario su larga scala e la fine dell’impunità sistematica che alimenta queste atrocità e nega al popolo palestinese la propria dignità. Nota Il 15 giugno, l’ospedale da campo della Croce Rossa di al-Mawasi ha ricevuto almeno 170 persone ferite mentre cercavano di raggiungere un punto di distribuzione alimentare. Il giorno successivo ne sono arrivate più di 200 – il numero più alto registrato in un singolo episodio con vittime di massa nella Striscia di Gaza. Di queste, 28 persone sono state dichiarate morte. Un funzionario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato la gravità del fenomeno: “Ogni volta che vengono organizzate distribuzioni alimentari da attori non appartenenti alle Nazioni Unite, si verificano incidenti con un numero elevato di vittime”. Queste morti si sommano al bilancio complessivo: da ottobre 2023, oltre 56.000 persone palestinesi sono state uccise a Gaza, tra cui almeno 17.000 minori. *Elenco ong firmatarie: ABCD Bethlehem, ACT Alliance, Act Church of Sweden,  Action Against Hunger (ACF), Action Corps, ActionAid, Age International, Agricultural Development Association – PARC, Al Ard for Agricultural Development, Al-Najd Developmental Forum, American Friends Service Committee, Amnesty International, Amos Trust,  Anera, Anti-Slavery International, Arab Educational Institute – Pax Christi Bethlehem, Asamblea de Cooperación por la Paz, Asociación de Solidaridad Internacional UNADIKUM,  Association for Civil Rights Israel (ACRI), Association Switzerland Palestine, B’Tselem – The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories, BADIL Resource Center for Palestinian Residency and Refugee Rights, Beesan Charitable Association, Bimkom – Planning and Human Rights, Bisan Center for Research and Development, Botswana Watch Organisation, Breaking the Silence, Broederlijk Delen, CADUS e.V., Caritas Germany, Caritas International Belgium, Caritas Internationalis, Caritas Jerusalem, Caritas Middle East and North Africa, Center of Jewish Nonviolence, CESIDA – Spanish Coordinator of HIV and AIDS, Children Not Numbers, Choose Love, Christian Aid, Churches for Middle East Peace (CMEP), CIDSE – International Family of Catholic Social Justice Organisations, CNCD-11.11.11, Codepink, Combatants for Peace, Comité de Solidaridad con la Causa Árabe, Congregations of St Joseph, COOPERATIVE AGRICULUTAL ASSOCIATION, Cordaid, Council for Arab-British Understanding (Caabu), Coventry Friends of Palestine, Cultures of Resistance, DanChurchAid, Danish Refugee Council, DAWN, Diakonia, Ekō, Embrace the Middle East, Emmaüs International, Entraide et Fraternité, Episcopal Peace Fellowship Palestine Justice Network, EuroMed Rights, FÓRUM DE POLÍTICA FEMINISTA, Friends Committee on National Legislation, Friends of Sabeel North America (FOSNA), Fund for Global Human Rights, Fundación Mundubat, Gaza Culture and Development Group (GCDG), Gaza Society for Sustainable Agriculture and Friendly Environment (SAFE), German Platform of Development and Humanitarian Aid NGOs (VENRO), Gisha – Legal Center for Freedom of Movement, Glia, Global Centre for the Responsibility to Protect (GCR2P), Greenpeace, HaMoked: Center for the Defence of the Individual, Hands for Charity, HEKS/EPER(Swiss Church Aid), HelpAge International, Human Security Collective, Humanité Solidarité Médecine (HuSoMe ONG), Humanity & Inclusion – Handicap International, Humanity Above All, INARA, Independent Catholic News, Indiana Center for Middle East Peace, International Federation for Human Rights  (FIDH), International NGO Safety Organisation (INSO), INTERSOS, Islamic Relief Worldwide, Jewish Network for Palestine, Jüdische Stimme für Demokratie und Gerechtigkeit in Israel/Palästina, JVJP, Just Foreign Policy, Just Treatment, Kairos Ireland, Kenya Human Rights Commission, Kvinna till Kvinna Foundation, Martin Etxea Elkartea, Maryknoll Office for Global Concerns, Médecins du Monde International Network, Médecins Sans Frontières, MedGlobal, Medical Aid for Palestinians, Medico International, Medico international Schweiz, Medicos sin fronteras (MSF – Spain), Mennonite Central Committee, Middle East Children’s Alliance, Mothers Manifesto, MPower Change Action Fund, Muslim Aid, Mwatana for Human Rights, Nonviolent Peaceforce, Norwegian Church Aid, Norwegian People’s Aid, Norwegian Refugee Council, Oxfam International, Palestine Children’s Relief Fund (PCRF), Palestine Justice Network of the Presbyterian Church (U.S.A.), Palestinian American Medical Association (PAMA), Parents Against Child Detentions, Partners for Palestine, Partners for Progressive Israel, PAX, Pax Christi Australia, Pax Christi England and Wales, Pax Christi International, Pax Christi Italy, Pax Christi Munich, Pax Christi Scotland, Pax Christi USA, Peace Direct, Peace Watch Switzerland, Penny Appeal Canada, Physicians for Human Rights Israel, Plan International, Plataforma de Solidaridad con Palestina de Sevilla, Plateforme des ONG françaises pour la Palestine, Polish-Palestinian Justice Initiative KAKTUS, Première Urgence Internationale, Presbyterian Church (USA), Quixote Center, Religious of the Sacred Heart of Mary – NGO, ReThinking Foreign Policy, Right to Movement, Rumbo a Gaza-Freedom Flotilla, Saferworld, Saskatoon Chapter of Canadians for Justice and Peace in the Middle East, Save the Children, Scottish Catholic International Aid Fund, Sisters of Mercy of the Americas – Justice Team, Solsoc Stichting Heimat, International Foundation, STOPAIDS, Støtteforeningen Det Danske Hus i Palæstina, Terre Des Hommes International Federation, Terre des hommes Lausanne, Terres des Hommes Italia, The Eastern Mediterranean Public Health Network (EMPHNET), The Israeli Committee Against House Demolitions (ICAHD UK), The Palestine Justice Network of the Presbyterian Church USA Bay Area, The Rights Forum, Union of Agricultural Work Committees-UAWC, United Against Inhumanity (UAI), Universities Allied for Essential Medicines UK, US-Lutheran Palestine Israel Justice Network, Vento di Terra, War Child Alliance, War on Want, Welthungerhilfe, Yesh Din Il nome e il numero completo delle organizzazioni firmatarie viene aggiornato ogni 24 ore ed è consultabile al seguente link: elenco ong. Amnesty International
Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, in dieci anni 28.000 vittime nel Mediterraneo
Il Mediterraneo centrale si conferma la rotta migratoria più letale al mondo, con migliaia di persone che ogni anno rischiano la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), come si legge nel nuovo report interattivo “Missing Migrants and Countries in Crisis”, dal 2014 ad oggi sono morte o scomparse oltre 28mila persone nel “mare nostrum”, di cui la maggior parte proprio nel tratto che separa la Libia dall’Italia, ovvero il Mediterraneo centrale. La risposta? Uno sforzo coordinato e umanitario, secondo gli esperti dell’agenzia delle Nazioni Unite. Cause di morte delle persone in movimento in tutto il mondo: più della metà annegano I numeri della tragedia: oltre 28mila vittime del Mediterraneo centrale Il report IOM evidenzia che dal 2014 ad oggi sono state registrati oltre 28mila tra morti e dispersi lungo le principali rotte migratorie verso l’Europa. Di questi, oltre 20mila decessi sono avvenuti nel Mediterraneo centrale, la rotta più letale al mondo. Solo nel 2023, oltre 2.500 persone sono morte nel tentativo di attraversare il mare, un dato che sottolinea come la situazione stia peggiorando anno dopo anno. Questi numeri, purtroppo, sono destinati a essere sottostimati, in quanto non tutti i naufragi vengono registrati, a causa dell’impossibilità del monitoraggio delle acque e della mancanza di un sistema di soccorso efficiente. La tragica realtà è che molte persone muoiono non a causa delle difficoltà del viaggio, ma a causa dell’assenza di soccorsi in tempo utile. Centinaia, anche migliaia potrebbero essere i “naufragi invisibili”, di cui non si ha alcuna notizia. I numeri, dice l’OIM, sono “immensamente sottostimati”. Luoghi dove muoiono le persone in movimento: al primo posto c’è la Libia Le cause principali della migrazione: guerre, povertà e disastri climatici Oltre ai numeri, il report esplora anche le cause profonde che spingono le persone a intraprendere viaggi così pericolosi. Conflitti armati, instabilità politica e disastri climatici sono tra i fattori principali. Paesi come la Libia, il Sudan, lo Yemen e l’Afghanistan sono i principali Paesi di origine per i migranti diretti verso l’Europa, ma anche le difficoltà economiche e le carestie in Africa sub-sahariana stanno accelerando l’emigrazione. L’IOM sottolinea che i migranti sono sempre più vulnerabili, con migliaia di persone costrette a fuggire da conflitti e violazioni dei diritti umani, senza alcuna garanzia di protezione lungo il loro cammino. Conclusioni: la necessità di un soccorso in mare coordinato e di vie legali per i migranti Il report dell’IOM si conclude con un appello agli Stati per garantire la sicurezza delle persone in transito, nel rispetto degli obblighi internazionali. L’assenza di vie legali sicure per l’ingresso in Europa è – secondo l’OIM – un fattore che costringe i migranti a rischiare la vita attraversando rotte pericolose e affidandosi ai trafficanti. L’IOM richiede anche una risposta più umanitaria e coordinata da parte degli Stati, con l’obiettivo di proteggere i migranti e salvare vite umane. Taurino: “Nel Mediterraneo le Ong sono l’unica risposta umanitaria a una crisi senza fine” “Sono le Ong come SOS MEDITERRANEE a colmare il vuoto colpevolmente lasciato dagli Stati, e il report dell’Oim implicitamente lo conferma” – dichiara Valeria Taurino, direttrice generale di SOS MEDITERRANEE Italia. “Da anni denunciamo la mancanza di coordinamento e il vuoto di soccorsi con cui gli Stati europei e l’Italia, volutamente, creano una barriera e una cortina di silenzio, venendo meno agli obblighi dettati dal diritto marittimo internazionale ma, prima ancora, dai doveri di umanità”. “Purtroppo – continua Taurino – sappiamo già che questo report sarà ignorato da una classe dirigente europea che ha deciso di farsi sorda al grido che proviene dal nostro mare, ma ci auguriamo che questo dolore sia invece ascoltato da sempre più persone nella società civile che rifiutano di perdere la propria umanità”. Redazione Italia