Tag - informazione

L’unica salvezza dell’umanità sta nel rendere la guerra un tabù
Le notizie da Gaza ci straziano il cuore. Dopo decenni dalla condanna dello sterminio nazista degli ebrei non avrei immaginato che un governo israeliano sarebbe diventato il più efficace seminatore di odio anti-semita della storia: talmente efficace da togliere dalle mani di noi difensori del popolo ebraico ogni strumento. Ho firmato decine di appelli, ho partecipato a decine di cortei, ma ormai non posso mettere a tacere una domanda insinuante che proviene dalla mia stessa coscienza: davvero sono convinto che con questi segni di protesta raggiunga altro obiettivo che addormentare – provvisoriamente – il mio senso d’impotenza? Come mi capita nei momenti più bui della vita, provo a farmi consulente filosofico di me stesso: a guardare il problema in sé, a cercarne eventuali soluzioni, senza lasciarmi coinvolgere del tutto dagli inevitabili blocchi emotivi. L’obiettivo principale, e più urgente, è la cessazione di questo genocidio in Medio Oriente. Chi ha il potere d’intervenire a tale scopo? In probabile ordine: il governo di Netanyahu; i dirigenti di Hamas; Trump; l’Unione Europea; il governo italiano (nella modesta misura in cui può condizionare le istituzioni elencate). Moltiplicare le iniziative di protesta, di condanna, di sdegno verso una o alcune o tutte queste istituzioni ci avvicina o ci allontana dall’obiettivo principale? Se scendiamo in piazza in 10 cittadini/e o in un milione di essi/e, con slogan o senza slogan, bruciando questa o quella bandiera, ci avviciniamo di un centimetro alla méta? La storia delle idee e delle pratiche nonviolente mi suggerisce altro. Se vedo due energumeni che se le danno di santa ragione, il mio primo compito è ricostruire le origini della lite (stabilendo chi ha più torto dell’altro) o interromperla? Se avessi la forza per farlo, bloccherei i due contendenti (e, in caso di pericolo esiziale del più debole dei due, ricorrendo a qualsiasi arma), ma se non ho questa forza, che posso fare? Per prima cosa – probabilmente – spegnere le tifoserie che, alle spalle dei due contendenti, si sgolano per incitare alla lotta e supportare con ogni mezzo il proprio combattente. Approfittando del privilegio (immeritato) di non essere un congiunto di israeliani assassinati il 7 ottobre del 2023, né di palestinesi sterminati da quella data a oggi, potrei proporre (personalmente o come associazione, rivista, centro studi, sindacato, partito, chiesa etc.)  un movimento planetario e trasversale di superamento del tradizionale paradigma bellicista. Penso a un movimento essenzialmente culturale, basato su alcuni pochi principi etici condivisibili da (quasi) tutte le ideologie religiose e politiche, imperniato sulla convinzione che ormai l’umanità sia a un bivio: o un mutamento antropologico o il suicidio. E’ un po’ come se, dopo millenni in cui l’umanità avesse parlato in latino, dovesse transitare in un universo mentale, valoriale, linguistico inedito: l’inglese o il cinese. Provo a spiegarmi meno rozzamente a partire dalla tragedia odierna di Gaza. Ci sono possibilità che i governanti attuali trovino un accordo, una tregua che non sia di poche ore ? Pare che lo farebbero solo se temessero di essere sommersi da un’ondata di rivolta popolare. Un movimento di opinione inedito, innovativo, che coinvolgesse (la maggioranza de): * gli elettori del governo di Netanyahu * gli elettori del governo di Hamas * gli elettori di Trump * gli elettori del Parlamento europeo e (indirettamente) della Commissione europea * gli elettori del governo italiano. A meno di soluzioni insurrezionali violente (talmente improbabili che non è il caso di esaminarne vantaggi e svantaggi) non vedo altre vie per disarmare i contendenti in Palestina, in Russia, nelle altre decine di fronti in guerre armate disseminate sul pianeta: uno schieramento così compatto delle opinioni pubbliche nazionali e internazionali da far temere a chi detiene oggi il potere di poterlo perdere nel caso di pervicacia. Ciò è possibile solo se, nel nome del rifiuto di ogni violenza armata, si scompongono gli attuali schieramenti (pro Questo, pro Quello…) e si ricompongono due nuovi schieramenti (formati da sostenitori dell’uno e dell’altro fronte): lo schieramento di chi ritiene che l’unica salvezza dell’umanità stia nel rendere la guerra un tabù (come per esempio dichiara l’articolo 11 della Costituzione repubblicana, l’articolo meno rispettato da tutti i vertici dello Stato italiano negli ultimi 80 anni) e lo schieramento di chi ritiene accettabile la guerra (sia pure come extrema ratio in considerazione di motivazioni ideologiche, religiose, politiche, economiche o d’altro genere). Sino a quando lo schieramento dei negazionisti della guerra non diventerà, culturalmente e poi anche elettoralmente, prevalente sullo schieramento possibilista, non credo ci sia speranza di interrompere i conflitti bellici in corso. Tale schieramento potrebbe diventare maggioritario solo se: * l’opinione pubblica venisse informata adeguatamente degli orrori di ogni guerra passata e presente (compito degli storici e dei giornalisti) * l’opinione pubblica si educasse all’ascolto delle “ragioni” dell’una e dell’altra parte, al di là di qualsiasi schieramento partigiano unilaterale (compito dei politici e degli opinion leaders) * l’opinione pubblica si convincesse di una verità lapalissiana: quale che sia l’esito di un conflitto all’ultimo sangue in corso, alla fine risulterebbero danneggiati sia gli eventuali ‘sconfitti’ sia gli eventuali ‘vincitori’. Capisco benissimo le mille motivazioni etiche ed emotive, che spingono a cortei, sit in, manifestazioni di protesta i fautori dell’uno o dell’altro schieramento in guerra (ovviamente avvertendo più condivisione con certi schieramenti e meno – o nessuna – con altri), ma, nel sincero rispetto di ogni altra opzione, intendo dedicare tutte le poche energie disponibili a lavorare perché (nel micro, nel meso e nel macro) si diffonda – sino a diventare “senso comune” – il principio gandhiano: “Occhio per occhio rende il mondo cieco”.   Redazione Italia
Debito pubblico e colesterolo
Anche la matematica è un’opinione. Si può giungere a questa conclusione dopo aver letto la notizia che il debito pubblico italiano a maggio 2025 è diminuito di 10 miliardi di euro rispetto al mese precedente. Lo comunica la Banca d’Italia nel periodico bollettino “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”. Quindi si potrebbe tirare un sospiro di sollievo: almeno per questa volta il debito è sceso. Oltre a stappare una bottiglia per festeggiare, ci si potrebbe domandare che cosa può essere accaduto di così significativo per invertire la persistente tendenza all’aumento del debito nazionale. Dando un’occhiata ai dati forniti dalla Banca d’Italia si può verificare che il debito ad aprile ammontava a 3.063 miliardi di euro, mentre a maggio è sceso a 3.053 miliardi. Quindi 10 miliardi in meno. Ma se contemporaneamente si guarda il dato della liquidità del Tesoro, emerge che ad aprile la cassa consisteva in 69 miliardi di euro, mentre a maggio è scesa a 46 miliardi. Pertanto, nella colonna che riporta il dato del debito netto (cioè il debito lordo meno la liquidità disponibile) il risultato è che ad aprile il debito è stato di 2.994 miliardi e a maggio di 3.007 miliardi di euro. Insomma, il debito effettivo nell’ultimo mese non è diminuito di 10 miliardi di euro, ma è aumentato di 13 miliardi. E’ facile comprendere che se si utilizzano i fondi presenti in cassa non c’è bisogno di indebitarsi, ma in questo modo si è diventati più poveri di risorse a disposizione. Il risultato di bilancio è comunque negativo. A questo punto non ha senso stappare bottiglie. Invece ci si potrebbe chiedere come sia possibile che (quasi) tutti i media abbiano riportato una notizia formalmente vera (il debito pubblico lordo è diminuito), ma sostanzialmente falsa (perché il debito effettivo è aumentato). Anche facendo il confronto con il mese di maggio dell’anno precedente, si può verificare che sono notevolmente cresciuti sia il debito netto (+115 miliardi di euro) sia il debito lordo (+129 miliardi). In sostanza la media dell’aumento del debito è di una decina di miliardi ogni mese. Stando così le cose, sarebbe opportuno che gli organi di informazione evitassero di fornire notizie fuorvianti. Non si tratta di censurare il dato della diminuzione mensile del debito di 10 miliardi di euro, ma di accompagnarlo con qualche riga di analisi e di commento, che fornisca gli strumenti per comprendere la reale situazione del debito pubblico italiano. L’osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università cattolica di Milano in un recente report ha scritto: “gli economisti in generale suggeriscono di avere un debito non troppo alto per lo stesso motivo per cui i cardiologi suggeriscono ai loro pazienti di ridurre il colesterolo: è un fattore di rischio”. Purtroppo l’Italia è un paziente che non ascolta il cardiologo. Così ciclicamente succede che il malato viene messo a dieta o addirittura viene ricoverato per eccesso di debito. Anche in questo settore manca un’adeguata prevenzione. E talvolta anche un’adeguata informazione. Rocco Artifoni
Informazione: vince ancora la TV e si fa sempre più strada la prossimità
Nonostante il drastico calo dell’interesse per le notizie, sceso da oltre il 70% a meno del 40% in un decennio, gli italiani e le italiane restano sorprendentemente legati al flusso informativo, interrogando costantemente i propri dispositivi e consultando le notizie con grande frequenza. Anche se il modo in cui fruiamo le news risulta  frammentario, rapido e spesso guidato dall’algoritmo più che dalla sostanza. E’ quanto si legge nel Digital News Report Italia, realizzato da Alessio Cornia (assitant professor a Dublin City University e già responsabile della parte italiana del Reuters Institute Digital News Report) e Marco Ferrando, Paolo Piacenza e Celeste Satta del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino, che mette a disposizione degli addetti ai lavori e del pubblico dati e analisi di assoluta rilevanza per comprendere i principali cambiamenti in corso nel mondo dell’informazione, sia dal punto di vista della domanda che dell’offerta. Il Report conferma che la televisione mantiene una solida leadership – oltre la metà del pubblico la considera fonte primaria, nonostante un lento declino – mentre l’online fatica a trovare slancio. “Non si tratta di rifiuto tecnologico, si sottolinea, ma di abitudini radicate nella centralità storica del mezzo televisivo. Eppure emergono eccezioni virtuose: alcune testate native digitali hanno conquistato un pubblico significativo grazie a formati agili, community profilate e strategie mirate sulle piattaforme, dimostrando che l’innovazione può ancora prosperare in un mercato maturo. Ci sono inoltre esempi di testate storiche che, rinnovandosi, continuano a soddisfare i loro lettori tradizionali e a conquistarne di nuovi”. La fiducia nell’informazione risale lievemente al 36%, ma cresce l’allarme verso influencer e figure politiche come vettori di disinformazione, un segnale che evidenzia come la sfiducia non sia diretta solo contro il giornalismo tradizionale, ma investa l’intero ecosistema informativo. Uomini, anziani e persone con livelli di reddito e istruzione elevati mostrano maggiore interesse per le notizie. Anche chi si colloca a sinistra registra un interesse particolarmente marcato. In generale, gli italiani consultano spesso le notizie: il 59% lo fa più volte al giorno, delineando un “paradosso ”: siamo ultimi per interesse ma secondi per frequenza di fruizione, dietro la Finlandia. L’81% degli italiani sono poi interessati all’informazione di prossimità con la cronaca nera in testa con il 58%. Come si diceva, la TV rimane un importante punto di riferimento per gli italiani: il 66% la usa settimanalmente e il 51% la considera la propria fonte principale. Tra i media online, i social guidano al 17%, seguiti da testate native digitali e giornalisti indipendenti al 9%, mentre i siti di quotidiani e di testate radiotelevisive si fermano all’8% e al 5%. La carta stampata è fonte principale solo per il 2%. L’Italia è l’unico tra i sei paesi in cui la TV è la fonte principale. Ultimo nell’uso dei media cartacei, il nostro Paese si distingue per il ricorso a testate native digitali e giornalisti alternativi. L’uso di fonti online, tuttavia, è inferiore a tutti gli altri mercati tranne la Francia. Podcast e chatbot di intelligenza artificiale si affermano poi come fonti aggiuntive (usati settimanalmente dal 6% e dal 4%), ma restano fonte principale per una quota trascurabile di italiani (1%). L’uso settimanale delle fonti informative mostra un calo in tutti i media: la TV scende al 65% (era all’85% nel 2017) e le fonti online al 66% (dall’81%), mentre radio e stampa cartacea registrano riduzioni ancora più marcate. Tra le fonti online, l’impiego di social media diminuisce, l’accesso tramite siti e app di emittenti radiotelevisive si riduce di un terzo rispetto al 2017 e quello dei quotidiani web quasi si dimezza, mentre le testate native digitali e giornalisti indipendenti resistono con solo un lieve calo. Facebook resta la piattaforma più usata per le notizie, ma il suo ruolo informativo è in netta flessione: se nel 2020 il 56% degli utenti lo impiegava per le news, oggi è il 36%, con un calo ancora più marcato tra gli under 35 (da 62% a 21%). Guadagnano invece terreno le piattaforme “visual”, usate ora dal 40% degli italiani per informarsi: Instagram (22%) e YouTube (20%) mantengono il primato, mentre TikTok cresce rapidamente (dal 2% al 10% in cinque anni), spinto soprattutto dagli under 35.  Solo il 5% degli italiani usa X (Twitter) per informarsi (era il 10% fino al 2018) e, a differenza degli Stati Uniti, non è particolarmente popolare tra il pubblico di destra.  Pur essendo usate dall’85% degli italiani, le app di messaggistica servono per informarsi solo al 26%. Il loro impiego per le news è in calo, con WhatsApp che scende dal 27% al 21% e Telegram dal 9% al 6% tra 2023 e 2025. Anche sui social il 52% degli utenti presta principalmente attenzione alle fonti professionali (testate e giornalisti tradizionali e nativi digitali), il 37% si affida a creator e personalità online e il 28% a contributi di persone comuni.  X, Facebook e, in parte, YouTube restano spazi dominati da fonti professionali, mentre Istagram e TikTok puntano maggiormente su creatori di contenuti e giornalisti nativi digitali. Solo il 9% degli italiani ha però pagato per accedere alle notizie online (−1 punto rispetto al 2024), il livello più basso di sempre e fanalino di coda tra i paesi di riferimento. Chi paga per le notizie online è soprattutto un giovane uomo con reddito e istruzione elevati, politicamente centrista o di centrosinistra, con alto interesse per la politica e abituato a informarsi tramite testate tradizionali online. Qui per scaricare il Digital News Report Italia 2025: https://mastergiornalismotorino.it/progetti/digital-news-report-italia/.   Giovanni Caprio