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Sulla sentenza per il corteo dell’11 febbraio 2023 a Milano. Raccolta di scritti solidali
Riceviamo e diffondiamo questo opuscolo, che raccoglie gli scritti in solidarietà a imputati e imputate per il corteo dell’11 febbraio 2023 a Milano in solidarietà ad Alfredo Cospito e contro 41-bis ed ergastolo ostativo. Il primo grado di questo processo si è concluso con pesanti condanne contro 10 compagni e compagne, a cui mandiamo tutta la nostra solidarietà. Qui l’opuscolo: prova opuscolo 2
È disponibile la ristampa del libro “Fòc al fòc! Goliardo Fiaschi: una vita per l’anarchia”
Riceviamo e diffondiamo: Qui il pdf: ristampa di foc al foc goliardo fiaschi una vita per lanarchia È disponibile la ristampa del libro “Fòc al fòc! Goliardo Fiaschi: una vita per l’anarchia” Alberto [Josep Lluís Facerías] era un grande e valido organizzatore, nelle riunioni ci diceva che portare avanti un campeggio era come portare avanti un paese, quindi il buon funzionamento dello stesso poteva rappresentare una prova che noi anarchici, un giorno, saremmo stati in grado di gestire nel miglior modo possibile una città. Sicché dovevamo occuparci con attenzione del rifornimento e della distribuzione dei viveri, curare l’igiene in tutti i suoi aspetti, organizzare e programmare le varie conferenze di propaganda, le esposizioni di manifesti e le mostre fotografiche, gli spazi dedicati ai libri ed alle riviste, i concerti di musica. Tutti i compagni dovevano svolgere dei turni di lavoro in ogni settore del campeggio, in modo che ognuno potesse impratichirsi un po’ su tutto, così da non rimanere sempre impiegato in un solo tipo di attività. Fu una grandissima esperienza! Di soldi, per organizzare al meglio tutte queste attività, ne servivano molti, ma nel nostro movimento non ne giravano un granché. Sì, c’era sempre la cassetta per le sottoscrizioni, ma la maggior parte delle volte rimaneva vuota. E senza mezzi, i campeggi o i giornali e gli opuscoli di propaganda non si potevano fare. Quindi, Alberto doveva, assieme a compagni di volta in volta diversi, fare necessariamente dei prelievi nelle banche, nelle oreficerie o in altre attività commerciali. Erano azioni di esproprio e di autofinanziamento indispensabili al buon funzionamento delle varie attività e iniziative anarchiche. A Carrara, ma anche altrove, alcuni compagni, soprattutto quelli più anziani, avevano una mentalità un po’ particolare. Se venivi arrestato per aver rubato qualcosa, diventavi una vergogna per l’onorabilità del movimento. È un reato comune, dicevano, non ha niente a che vedere con la politica. E quindi ti veniva a mancare la loro solidarietà, e a poco a poco anche altri “compagni” cominciavano a mollarti: «Sono azioni da ladri comuni! L’anarchia non c’entra nulla con queste cose…». E invece c’entrava eccome! È finalmente disponibile la ristampa dell’unica edizione di Fòc al fòc! Goliardo Fiaschi: una vita per l’anarchia, di Gino Vatteroni, editata nel 2012 dal Circolo Culturale Anarchico di Carrara, intitolato proprio a Gogliardo Fiaschi dopo la sua morte avvenuta il 29 luglio 2000. La ristampa, limitata a 100 copie e identica all’edizione pubblicata 13 anni fa, è disponibile in distribuzione presso il circolo in via Ulivi 8/B a Carrara o è richiedibile in spedizione rivolgendosi all’indirizzo e-mail circolofiaschi@canaglie.org. Ne abbiamo deciso la ristampa, oltre che per rendere nuovamente disponibile un libro da tempo esaurito, anche perché quest’anno ricorrono i cinquant’anni dall’apertura del circolo, avvenuta nel 1975 grazie all’impegno di numerosi compagni anarchici, tra cui Gogliardo. Così come resta testardamente immutata la nostra esigenza di libertà integrale, così continua l’attività di distribuzione di testi e pubblicazioni che alla realizzazione possibile di questa libertà intendono contribuire. Carrara, luglio 2025 Circolo Culturale Anarchico “Gogliardo Fiaschi” * * * Gino Vatteroni Fòc al fòc! Goliardo Fiaschi: una vita per l’anarchia Edizione curata dal Circolo Culturale Anarchico “Gogliardo Fiaschi” e stampata presso la Cooperativa Tipolitografica, Carrara, 2012. 368 pp., nota introduttiva di G. Vatteroni, prefazione di M. Guastini. Edito in proprio senza contributi di Stato o di qualsiasi istituzione. Ristampa identica alla prima edizione, Carrara, 2025. Per richieste rivolgersi all’indirizzo e-mail: circolofiaschi@canaglie.org Prezzo di copertina: 20,00 euro. Per la distribuzione (ordini di almeno cinque copie): 40% di sconto sul prezzo di copertina (12,00 euro a copia). Tutte le entrate dal libro andranno a sostegno delle attività e delle iniziative del Circolo Culturale Anarchico “Gogliardo Fiaschi”. Indice: Nota introduttiva, p. 5 Prefazione, p. 7 Prologo – Ricordi d’infanzia, p. 11 1 – Adolescenza partigiana, p. 16 2 – Le stragi dei nazifascisti, p. 35 3 – Ricordi su Giovanni Mariga, p. 39 4 – Il passaggio del fronte, p. 44 5 – Partigiano nel modenese, p. 51 6 – Ritorno a Carrara, p. 65 7 – Il dopoguerra, p. 70 8 – Con la Spagna nel cuore, p. 100 9 – Villanova Monferrato, p. 129 10 – In Francia, p. 149 11 – In Spagna, p. 159 12 – In carcere a Barcellona, p. 178 13 – Guadalajara, p. 207 14 – Da Alcalà de Henares a Gijon, da Cuellar a Teruel, passando per Madrid, p. 228 15 – Alicante, p. 237 16 – Burgos, passando per Guijuelo, Carabanchel e Avila, p. 245 17 – Logroño, di nuovo Burgos e l’estradizione in Italia, p. 263 18 – Da Genova a Porto Azzurro, passando per Casale e Firenze, p. 270 19 – Da Fossombrone a Spoleto, da Viterbo a Parma, fino a giungere a Lucca, p. 287 20 – Da Pisa a Lecce, passando per Massa, p. 314 Epilogo – Di nuovo a Carrara, p. 333 Appendice, p. 337
È disponibile il numero 1 di “Senza”, pagine anarchiche (luglio 2025)
Riceviamo e diffondiamo: È disponibile il numero 1 di “Senza”, pagine anarchiche (luglio 2025) Segnaliamo l’uscita della nuova pubblicazione “Senza”, un foglio di quattro pagine di cui riportiamo di seguito il sommario e il testo di presentazione. In questo numero: — Radici — Contro la guerra dei padroni, per la guerra sociale — Il salto (indietro). Non la massima distruzione, ma il minimo danno — La nostra fiamma che non si spegne Per richieste di copie rivolgersi all’e-mail: senza@logorroici.org Stampato in proprio, fine luglio 2025. Il foglio naturalmente è senza prezzo, tuttavia per quanto riguarda l’invio di copie in distribuzione (almeno 10 copie) viene richiesto un minimo di contributo anzitutto a sostegno delle spese di spedizione. * * * Radici e niente è promessa tra il dicibile che equivale a mentire (tutto ciò che si può dire è menzogna) il resto è silenzio solo che il silenzio non esiste Alejandra Pizarnik Per sua natura un pezzo di carta come questo non può essere una spinta di coraggio. Nonostante ciò, può pur sempre avere l’ambizione di diventare uno strumento che rifletta, che dia spazio agli slanci rivoluzionari esistenti oggi: uno strumento che possa (contribuire ad) accendere, a ravvivare quella fiamma oggi sempre più flebile a causa di quella lebbra che chiamate civiltà. Con la fine dell’epoca delle mediazioni e dei riformismi, gli Stati e il capitalismo hanno dichiarato una guerra aperta – per il momento perlopiù a senso unico – contro gli sfruttati, gli esclusi; allo stesso tempo tanti segnali positivi e incoraggianti si manifestano sul terreno della rivolta. È ambizione di questo foglio riuscire ad amplificare (a suo modo e nei limiti esistenti) questi fatti, non tanto per un bisogno di “controinformazione” bensì per darci uno strumento di agitazione. Crediamo di trovarci in un momento di attenuazione della pace sociale: al netto dell’intensificarsi dell’attacco padronale, in questi anni stanno emergendo anche delle risposte da parte degli esclusi. Manifestazioni di insubordinazione e di resistenza spesse volte embrionali e contraddittorie secondo i canoni e le “convenzioni” cui siamo abituati, che però rendono appieno la cifra di quest’epoca dove, quantomeno a partire dagli anni del Covid-19, è evidente un cambio di passo nell’incalzare degli eventi. Rinchiusi nella tana della nostra eterna disillusione, amareggiati dallo scoramento generalizzato, incupiti per esserci arenati nelle sabbie mobili del disincanto, eccoci qui, apparentemente nella condizione di non poter fare altro che appellarci alla volontà. Come a dire: se le idee per sconvolgere questo mondo non ci sono mai mancate, ciò che oggi manca sono la volontà e il coraggio – quindi la necessaria coerenza – di essere questo sconvolgimento. Tuttavia di esortazioni come questa, di appelli alle buone intenzioni (o forse sarebbe meglio dire allo scatenamento delle cattive passioni) ne sono piene le fosse. Se le condizioni oggettive ci sono tutte, è la disponibilità soggettiva a mancare enormemente. Può un pezzo di carta come questo, nel contesto appena delineato a grandi linee, contribuire a maturare questa disponibilità? Certo, un foglio redatto da anarchici è pur sempre un insieme di pagine, imbrattato di inchiostro. Esaltarne un’inesistente funzione di grimaldello nel terreno dello scontro sociale e di classe sarebbe una ben misera operazione. Tuttavia l’anarchismo non può prescindere dalla critica sociale, e questo è sicuramente un primo scopo di pagine come queste. Non un luogo di sedimentazione della teoria, o di illustrazione di una deliziosa condizione ideale di un mondo senza padroni e poliziotti, bensì uno strumento di propaganda anarchica come occasione di riflessione, suggerimento di lotta, coinvolgimento nell’azione. Riteniamo occorra oggi più che mai scardinare ogni autocompiaciuto avvitamento su sé stessi. In quanto anarchici non ci riteniamo qualcosa di più, non siamo portatori di una radicale alterità rispetto agli altri proletari. È semmai il connubio teorico-pratico dell’anarchismo, quindi la capacità propulsiva dell’azione, a prefigurare con i fatti quest’alterità. Non ci riteniamo depositari del verbo della violenza così come altri sono depositari del verbo del pacifismo. Non ci è mai bastata – o non ci basta più – la strenua rivendicazione della giustezza della violenza rivoluzionaria contro lo Stato e il capitale. Sottolineare l’importanza dell’azione, ribadirne la capacità discriminante, non basta a tirarci fuori dalle secche della mancanza di prospettive. Ecco allora che, più che affermare il valore di determinati mezzi e strumenti, è essenziale per noi oggi suggerire l’importanza del metodo, perché non crediamo che darsi degli atteggiamenti o dei vestiti nuovi ci possa consentire di raggiungere ciò che invece ci può dare l’impiego dei metodi di sempre. Cauti nei riguardi delle novità teoriche e scettici nei confronti dei fabbricanti di queste novità, restiamo fautori di un metodo, quello anarchico e rivoluzionario, con cui intervenire nella realtà sociale e nello scontro di classe. Perché le classi – così come i padroni – esistono ancora e la concezione anarchica della lotta di classe non può essere messa sotto il tappeto. Lo diciamo chiaramente: diffidiamo di quanti tentano di presentare il concetto di classe come una sorta di manipolazione teorica di estrazione marxista. Negli ultimi decenni, ovunque in tutto il mondo, le più recenti generazioni approcciatesi alla lotta fanno propria una concezione libertaria della lotta stessa e della vita, anche se con un moto dell’animo per certi versi comprensibile – ma non condivisibile – non fanno propri i caratteri e i concetti dell’anarchismo. Non riteniamo sia nostro compito “capitalizzare” in termini quantitativi questa tensione, bensì coglierne i caratteri qualitativi nella direzione di uno sviluppo dello scontro sociale in senso antiautoritario. Parole altisonanti? Forse. In ogni caso, proprio nella direzione di uno sviluppo in questo senso, e in critica alle sempreverdi sirene della resa e della desistenza, riteniamo non sia affatto anacronistico perseverare nel considerare discriminanti l’attacco, la conflittualità permanente, l’autorganizzazione della lotta. Non abbiamo scordato che l’anarchismo è per sua natura rivoluzionario, ossia tendente a porre in essere e a consolidare le condizioni per cui – senza fasi transitorie, attaccando il possibile sviluppo di qualsiasi centro di potere – si possa avere un processo rivoluzionario, o affinché a partire da lotte specifiche o da determinate circostanze storiche si possano dare degli sbocchi insurrezionali, per loro natura preparatori della rivoluzione sociale. Queste sono le nostre radici di anarchici, che affondano nella necessità e nella volontà di arrischiarsi su strade non ancora battute, di azzerare il nemico di sempre in favore di un vita radicalmente libera, senza Stato e capitale. Queste pagine nascono quindi con la presunzione di dire qualcosa su questa necessità e su questa volontà di sconvolgimento, e nel segno di un’assenza, di un’urgenza che avvertiamo, ossia nel solco di una continuità con alcune precedenti pubblicazioni anarchiche rivoluzionarie. Non si tratta però della riesumazione di un cadavere – considerata anzitutto la diversità nel formato e nel “taglio” di queste pagine –, ma dell’avvio di un nuovo strumento di cui pensiamo ci sia bisogno. Con questa pubblicazione (per il momento) irregolare vorremmo raccogliere sia degli “elementi” che consentano di cogliere cosa significano pensiero e azione per l’anarchismo, sia delle occasioni di riflessione su fatti “grandi e piccoli” a partire dai quali delineare la nostra visione del mondo, risalendo quindi alle motivazioni della nostra lotta, alle ragioni dell’anarchismo. Allora, come rendere comprensibili queste ragioni, e la fame di libertà integrale – spesse volte intuita, altre volte mal compresa – che portano con sé, a fronte di una realtà sociale dove si punta unicamente a rendere spendibili delle opinioni usa e getta? Questa pubblicazione non sarà un contenitore, incapace di dire di no, disponibile a tutti i vezzi retorici o velleità letterarie (oggigiorno perlopiù improbabili). Saranno delle pagine talvolta a loro modo polemiche, corrosive, ma non inutilmente polemiche, adagiate nel livore. Occorrerà quindi una scelta nel taglio degli argomenti, nella consapevolezza che questo resta uno strumento, non una palestra per esercitazioni retoriche. Quanti di noi si sono avvicinati alle idee anarchiche perché, un giorno tra i tanti, si sono trovati tra le mani un giornale, una rivista, un libro? Siamo ancora disposti a scommettere sulla scoperta e sull’approfondimento delle potenzialità proprie della nostra individualità. Desideriamo che queste poche pagine mantengano una tensione costante nell’essere uno strumento (ancorché minimale) per attrezzarci a fronte dei tentativi dello Stato di metterci all’angolo, di liquidare la prospettiva rivoluzionaria dell’anarchismo. Una scommessa che nel suo complesso si pone decisamente al di fuori della portata delle nostre attuali capacità. Tuttavia, inguaribilmente ottimisti, niente e nessuno potrà impedirci di perseverare nell’illimitatezza dei nostri sogni.
Nuove edizioni dell’Arkiviu-Bibrioteka “Tomaso Serra”: “L’altra storia del banditismo” e “Brigate negre”
Riceviamo e diffondiamo. Per più dettagli si veda il sito dell’Arkiviu: https://anarkiviu.wordpress.com/ C. Cavalleri / L’altra storia del banditismo : Potere costituito, autodeterminazione, “criminalità” in Sardegna. Il carcere e il carcerario; 256 p., EUR. 14,00 Un’esperienza contro il carcere, quella del Comitato di Solidarietà con il proletariato Prigioniero Sardo Deportato, ancorata al territorio in cui operava. Durata quasi un decennio, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quindi in piena epoca di “riflusso” del movimento rivoluzionario, la lotta portata avanti dal Comitato non si può negare presenti ancora oggi aspetti positivi che potranno essere punto di riferimento per una progettualità che sappia articolarsi dentro e fuori della galera contro il sistema nella sua totalità. Una panoramica storica sul carcere in Europa e in Sardegna in particolare, concernente la nascita dello Stato moderno e la contestuale evoluzione del capitalismo, nel loro imporsi a discapito delle popolazioni colonizzando i territori, rapinandone le risorse e determinando genocidio ed etnocidio là ove la refrattarietà si dimostra irriducibile. Ma storia anche delle masse isolane in perenne lotta contro gli oppressori interni ed esterni adusi alle stragi genocide. Il banditismo – essere messo fuori della legge, o mettersene fuori volontariamente – nel caso specifico della Sardegna è risposta sociale generalizzata all’ordine imposto, è fenomeno sociale contro lo Stato colonialista e genocida che si manifesta fino a ieri l’altro secondo i canoni dell’autodeterminazione comunitaria che la deculturazione pur costante è riuscita forse a vincere, ma certo non convincere. È la controstoria dei marginalizzati e criminalizzati del sistema di potere accentrato che nell’isola ha preteso scrivere la Storia da vincitore, ma che i vinti tardano ad accettare, riscrivendo la loro storia. [Dalla IV di copertina] M. Gabbas / Brigate negre, 80 p., EUR. 6,00 – Tranquilla Katia, questa roba è abbastanza sicura. Se non attivi il contatto come ti spiego e non inneschi il timer, è praticamente impossibile che ti esploda in mano. – Sei sicuro? – Tranquilla Katia, sono il dottore, no? Allora, ti ho spiegato tutto. Hai capito come devi sistemare i fili e come innescare il timer? – S-sì… mi sembra di sì. – Tutto a posto allora. Hai domande? – Non lo so, ho paura che qualcosa non fili liscio, che io sia nervosa. – Stai tranquilla Katia, contiamo su di te. […] 3:59… 4:00. Il boato è assordante. L’esplosione sventra l’edificio della questura. Pezzi di vetro e di ferro, calci­nacci volano nei dintorni. Il polverone è enorme. Sirene, allarmi suonano da tutte le parti. Quando la polve­re cala un po’, si vede un braccio del piantone sbucare dai calcinacci. Un po’ più in là un poster pieno di pol­vere e strappato è finito per terra. Si può anche leggere cosa c’è scritto: “__Il poliziotto, un amico in più“. Cosa succede quando la rabbia esplode e i dannati della terra prendono il destino nelle proprie mani? [Dalla IV di copertina] Per richieste: «anarkiviu@autistici.org». Per richieste dalle 5 copie in su, sconto del 40%. Spese di spedizione, in tutti i casi, a carico dell’ordinante. Ricaricare la seguente Poste Pay: n.ro 5333 1712 1672 0645 intestata a: Cavalleri Costantino.
È uscito il secondo numero di “disfare – per la lotta contro il mondo-guerra”
Riceviamo e diffondiamo: È uscito il secondo numero di “disfare – per la lotta contro il mondo guerra”, dell’estate 2025. Per richiedere copie / To request copies / pour demander des exemplaires: disfare@autistici.org * 52 pagine, 4 euro a copia, 3 euro per i distributori (dalle 3 copie in su) * 52 pages, 4 euros per copy, 3 euros for distributors (from 3 copies upwards) * 52 pages, 4 euros par exemplaire, 3 euros pour les distributeurs (à partir de 3 exemplaires) Scarica il pdf dell’editoriale: disfare_2_editoriale Scarica il pdf dell’articolo “Processo alla resistenza palestinese” del Collettivo Hurriya! Pisa sul caso di Anan Yaeesh: disfare_2_Anan
Solidarietà ad Anan, Alì, Mansour
Riceviamo e diffondiamo, in pdf scaricabile, la prima versione di questo opuscoletto “da battaglia”, realizzato in occasione delle udienze dello scorso giugno del processo ad Anan, Alì e Mansour e che sarà via via aggiornato (anche in vista di un’edizione a stampa): opuscolo anan
Luci da dietro la scena XXVIII – Vous travaillez pour l’armée, madame?
Qui il pdf: Luci da dietro la scena (XXVIII) Luci da dietro la scena XXVIII – Vous travaillez pour l’armée, madame? La corrente principale della storia (e le storie negate) […] ho cercato di distinguere i due significati di maternità, di solito sovrapposti: il rapporto potenziale della donna con le sue capacità riproduttive e con i figli; e l’istituto della maternità, che mira a garantire che tale potenziale – e di conseguenza le donne – rimanga sotto il controllo maschile. Tale istituto è stato la trama dei più disparati sistemi sociali e politici. E ha impedito a più di metà del genere umano di prendere decisioni che riguardavano la sua stessa vita; ha esonerato gli uomini dalla paternità, svuotando di ogni autentico significato questo concetto; ha creato un pericoloso scisma tra vita «pubblica» e «privata»; ha sclerotizzato scelte e potenzialità umane. In quella che è la contraddizione più fondamentale e incredibile, ha alienato la donna dal suo corpo incarcerandola in esso. In alcuni momenti storici, e in alcune culture, l’idea della donna–come–madre ha fatto sì che la donna venisse considerata con rispetto e persino con timore, e che avesse voce in capitolo nella vita di una popolazione o di un clan. Ma alla luce di quanto noi conosciamo come «corrente principale» della storia documentata, la maternità come istituto ha limitato e degradato il potenziale femminile. […] La maternità – mai nominata nelle storie di conquiste e di servitù, di guerre e di trattati, di esplorazioni e di imperialismo – ha una sua storia, una sua ideologia, ed è più fondamentale del tribalismo e del nazionalismo. […] Mi sono convinta che la biologia femminile – la sensualità diffusa interna, di clitoride, seno, utero, vagina; i cicli lunari delle mestruazioni; la gestazione e la creazione di vita che può aver luogo nel corpo femminile – abbia implicazioni molto più radicali di quanto ci si rende conto. Il pensiero patriarcale ha limitato la biologia femminile alle sue qualità più ristrette. La visione femminista, per questi motivi, si è sottratta alla biologia femminile; potrà, ritengo, giungere a considerare il nostro corpo come una risorsa piuttosto che come un destino. Per vivere una vita pienamente umana dobbiamo avere non solo il controllo sul nostro corpo (anche se tale controllo è fondamentale), ma dobbiamo toccare l’unità e la risonanza del nostro fisico, il nostro legame con l’ordine naturale, il territorio corporeo della nostra intelligenza. […] Il corpo è stato reso così problematico per le donne che spesso è sembrato più facile scrollarselo di dosso per pensarsi come spirito disincarnato. Il corpo, un ribollire di ambivalenze Il corpo della donna, con il suo potenziale per la gestazione, la procreazione e il nutrimento della nuova vita, è stato nei secoli un campo di contraddizioni: uno spazio investito di potere, e una profonda vulnerabilità; una figura sacra e l’incarnazione del male; un ribollire di ambivalenze che per lo più hanno contribuito a escludere le donne dall’atto collettivo di dare forma alla cultura. […] «Senza dubbio nelle prime età della storia umana la forza magica e il miracolo della donna erano fonte di meraviglia quanto l’universo stesso, e questo dava alla donna un potere prodigioso che la parte maschile della popolazione ha cercato con tutti i mezzi di piegare, controllare e sfruttare ai suoi fini» (Joseph Campbell, Le maschere di Dio). Questa sua capacità riproduttiva ha avuto un’importanza fondamentale nella prima divisione del lavoro; ma d’altra parte, come ha notato Bruno Bettelheim, in ogni cultura i maschi hanno cercato di imitare, investirsi e condividere magicamente i poteri fisici della femmina. Le tecniche altamente sviluppate (e altamente sospette) della moderna ostetricia sono semplicemente un recente sviluppo di ciò che Suzanne Arms ha definito «il graduale tentativo da parte dell’uomo di sottrarre alla donna il processo della nascita e di appropriarselo». […] La forza qui operante non è semplicemente il capitalismo occidentale, ma l’esigenza di controllare i poteri riproduttivi femminili. […] Gli organi di riproduzione femminili, la matrice della vita umana, sono diventati uno dei bersagli della tecnologia patriarcale. […] Come hanno partorito le donne, chi le ha aiutate, come e perché? Non sono semplicemente interrogativi che riguardano la storia dell’ostetricia: sono questioni politiche. Dalla presenza femminile in tutto il cosmo… La religione prepatriarcale riconosce la presenza femminile in tutto il cosmo. La luna, che generalmente si ritiene sia stato il primo oggetto di adorazione, e le cui fasi corrispondono ai cicli mestruali, è sempre stata associata alle donne. […] Il pensiero prepatriarcale ginecomorfizzava ogni cosa. Dall’utero-terra usciva vegetazione e nutrimento, così come il bambino esce dal corpo della donna. Le parole per madre e materia (la matrice di cui è composto il pianeta) sono molto simili in diverse lingue: mater, mutter, mother, matter, moeder, modder. Il termine «Madre Terra» viene tutt’ora usato anche se, fatto significativo, ai nostri tempi ha acquistato un sapore antiquato, arcaico, sentimentale. In inverno la vegetazione si ritira nell’utero-terra e con la morte anche il corpo umano ritorna in quel grembo, in attesa della resurrezione. […] L’oceano le cui maree, come le mestruazioni della donna, sono regolate dalla luna, l’oceano che corrisponde al liquido amniotico in cui ha inizio la vita umana, l’oceano che le navi possono solcare ma nelle cui profondità i marinai trovano la morte e si nascondono mostri, questo oceano è a metà tra la terra e la luna nella ginecomorfizzazione della natura. […] La Grande Madre, il principio femminile, era originariamente personificato sia nelle tenebre sia nella luce, nella profondità delle acque e nella volta celeste. Solo con l’evoluzione di una cosmogonia patriarcale la vediamo limitata a una presenza puramente «ctonia» o tellurica, rappresentata dalle tenebre, l’inconscio, il sonno. …alla donna murata in casa Dai primi insediamenti umani fino allo svilupparsi delle fabbriche come centri di produzione, la casa non è stata un rifugio, un luogo di riposo e di protezione dalla crudeltà del «mondo esterno»; è stata una parte del mondo, un centro di attività, un’unità produttiva. In essa donne e uomini, e anche i bambini, non appena ne erano in grado, svolgevano tutta una serie di attività: allevamento e coltivazione, preparazione e conservazione del cibo, lavorazione di pelli, canne, argilla, tinture, grassi, erbe, produzione di tessuti e indumenti, di bevande, sapone e candele, cure mediche, l’insegnamento di tutte queste arti ai giovani. Di rado una donna era sola in casa a doversi occupare unicamente del figlio o dei figli. Donne e bambini facevano parte di un nucleo sociale molto attivo. Il lavoro era duro, complesso, spesso fisicamente gravoso, ma era diversificato e di solito svolto in comune. La mortalità da parto e gravidanza, e quella infantile, erano altissime, la vita media delle donne era breve e sarebbe ingenuo romanticizzare un’esistenza continuamente minacciata da malnutrizione, carestia e malattie. Ma la maternità e le cure della casa come rifugio privato non erano, non potevano essere, l’occupazione fondamentale delle donne, né madre e figlio erano isolati in un rapporto a due. L’ideale della madre murata in casa con i figli, la specializzazione della maternità per le donne, la separazione tra la casa e il «mondo degli uomini» fu una creazione della rivoluzione industriale, un ideale rivestito di un potere quasi divino, potere che da un punto di vista concettuale è tutt’oggi intoccato. […] L’immagine della madre in casa, per quanto poco realistica, ha perseguitato e colpevolizzato l’esistenza delle madri lavoratrici. Ma, per gli uomini come per le donne, è diventata anche un pericoloso archetipo: la Madre, fonte di amore angelico e di perdono in un mondo sempre più spietato e impersonale; l’elemento femminile lievitante, emotivo in una società dominata dalla logica maschile e dalla pretesa maschile di giudizio “obiettivo”, “razionale”; simbolo e residuo di valori morali e di tenerezza in un mondo di guerre, di competizioni brutali e di disprezzo per la debolezza umana. Vous travaillez pour l’armée, madame? Per generazioni abbiamo mandato i nostri figli in una qualche battaglia: non sempre così aperta e sanguinosa come quelle di Sparta o la guerra di secessione. Mettere al mondo figli maschi è stato il modo in cui la donna poteva lasciare la “sua” impronta nel mondo. […] Messi al mondo tre figli, mi sono ritrovata a vivere, a tutti i più profondi livelli di passione e confusione, con tre piccoli corpi, e ben presto con tre persone, la cui cura spesso pareva divorare la mia stessa vita, ma la cui bellezza, humour, ed espressioni fisiche d’affetto non cessavano di stupirmi. Li vedevo non come «figli maschi» e potenziali eredi del patriarcato, ma come tenere creature, corpi che esploravano con delicata insistenza, purezza di concentrazione, dolore e gioie che nei bambini esistono in forme assolute, tutte cose che mi riportavano a parti da tempo dimenticate di me stessa. Ero una madre irrequieta, impaziente, stanca, discontinua, lo shock della maternità mi aveva lasciata stordita; ma sapevo di amare appassionatamente quei tre giovani esseri. Ricordo di aver trascorso un’estate in casa di un’amica nel Vermont. Mio marito era all’estero, e io e i miei tre figli, rispettivamente di nove, sette e cinque anni, vivevamo praticamente da soli. Senza un maschio adulto in casa, senza alcuna necessità di rispettare programmi, sonnellini, pasti a ore fisse, o di mandare i bambini a letto presto per lasciare liberi i genitori, vivevamo secondo un ritmo che mi appariva molto piacevole e vagamente colpevole. Faceva molto caldo, il cielo era limpido, e mangiavamo quasi sempre all’aperto, senza tante cerimonie, eravamo sempre mezzi nudi, stavamo alzati a guardare pipistrelli, stelle e lucciole, leggevamo e ci raccontavamo storie, dormivamo sino a tardi la mattina. Vedevo i loro snelli corpi di ragazzini che si abbronzavano, ci lavavamo all’aperto, con l’acqua della pompa, vivevamo come naufraghi su un’isola di madri e figli. La sera ci addormentavamo esausti e io restavo alzata a leggere e a scrivere fino alle ore piccole, come quand’ero all’università. Ricordo che pensavo: ecco come potrebbe essere la vita con i bambini, senza orari di scuola, routine fisse, sonnellini obbligati, e il conflitto di essere madre e moglie senza uno spazio per essere semplicemente me stessa. Una sera tornando a casa dopo la mezzanotte, da un drive-in, con tre bambini addormentati sul sedile posteriore, mi sentii perfettamente sveglia, euforica: avevamo infranto insieme ogni regola, regole che io stessa avevo ritenuto di dover osservare in città se non volevo essere una «cattiva madre». Eravamo complici di una congiura, fuorilegge rispetto all’istituzione della maternità; mi sentivo meravigliosamente padrona della mia vita. Naturalmente l’istituzione ci ripiombò addosso, e mi tornarono i dubbi su me stessa come «buona madre» insieme al risentimento per l’archetipo. Ma anche allora sapevo che non volevo che i miei figli agissero per me nel mondo, così come non volevo che uccidessero e morissero per il loro paese. Volevo agire, vivere per me stessa e amarli come esseri a sé stanti. […] Se dovessi esprimere un desiderio per i miei figli, augurerei loro di avere il coraggio delle donne. Mi riferisco a qualcosa di molto concreto e preciso: il coraggio che ho visto in donne che, nella vita privata e pubblica, nel mondo interiore del sogno, del pensiero e della creatività, e in quello esterno del patriarcato, corrono rischi sempre maggiori, psicologici e fisici, nell’evolvere una nuova visione. A volte ciò comporta piccoli atti di immenso coraggio; altre volte azioni pubbliche che possono costare a una donna il posto di lavoro o la vita; spesso comporta momenti, o lunghi periodi, in cui si è costrette a pensare l’impensabile, ci si sente chiamate pazze, o ci si sente tali; e sempre una perdita delle sicurezze tradizionali. Ogni donna che decide di assumere il controllo della sua vita lo fa sapendo che dovrà affrontare enormi lacerazioni, inflitte sia dall’interno sia dall’esterno. Vorrei che i miei figli non si ritraessero di fronte a questo genere di lacerazioni, che non si accontentassero delle vecchie difese maschili, inclusa quella di un fantastico odio per se stessi. E vorrei che lo facessero non per me, o per altre donne, ma per loro stessi e per la vita sul pianeta Terra. […] Vous travaillez pour l’armée, madame? Nulla garantisce, né col socialismo né col capitalismo «liberale», col protestantesimo, con l’«umanesimo», né con alcune delle etiche esistenti, che una politica progressista non si trasformerà in oppressione sino a che le donne non avranno assoluto controllo sull’uso dei loro corpi. Abbiamo visto programmi per la conservazione dei territori cedere al disboscamento, agli oleodotti, alla violazione della natura. Abbiamo anche visto leggi e opinioni circa il controllo delle nascite e l’aborto modificarsi nel corso della storia, secondo le esigenze militari, di mercato, o climi culturali di puritanesimo o di «liberazioni sessuali» controllati dal patriarcato. […] Quale donna, nella cella d’isolamento di una vita in casa, con bambini piccoli, o nella lotta per far loro da madre pur dovendo provvedere da sola al loro mantenimento, o nel conflitto tra la sua personalità e il dogma per il quale è per prima, per ultima cosa, e sempre madre, quale donna non ha sognato di lasciarsi andare, di rinunciare a ciò che viene definito il suo equilibrio, perché ci sia qualcuno che si occupi di lei, una volta tanto, o semplicemente per trovare il modo di occuparsi di se stessa? Le madri: vanno a prendere i bambini a scuola; siedono alle assemblee dei genitori; tranquillizzano bambini irritati piazzati nei carrelli dei supermercati; si trascinano a casa per per preparare la cena, fare il bucato, e occuparsi dei bambini dopo una giornata di lavoro; si battono per ottenere un’assistenza e una scuola accettabili per i loro figli; aspettano gli assegni dell’ex marito per il mantenimento dei figli mentre il padrone di casa minaccia lo sfratto; restano nuovamente incinte perché la loro evasione nel piacere e nell’abbandono è il rapporto sessuale; si straziano con ferri da calza; si svegliano al pianto di un bambino dai loro sogni eternamente incompiuti… le madri, se potessimo leggere nelle loro fantasie, nei loro sogni ad occhi aperti, nelle esperienze immaginarie, potremmo scorgere le raffigurazioni della rabbia, della tragedia, del sovraccarico di energia d’amore, di disperazione creativa, vedremmo tutto l’apparato della violenza istituzionalizzata distorcere l’esperienza della maternità. Ciò che lascia stupiti, ciò che può darci grande speranza, fiducia per un futuro in cui le vite di donne e bambini verranno risanate da mani femminili, è tutto ciò che siamo riuscite a salvare, di noi, per i nostri figli, persino nel clima distruttivo dell’istituzione: la tenerezza, la passione, la fiducia nei nostri istinti, l’emergere di un coraggio che non sapevamo di possedere, la cura costante di un’altra vita umana, la piena consapevolezza del costo e della precarietà della vita. La battaglia della madre per il figlio, contro la malattia, la povertà, la guerra, deve diventare una battaglia comune dell’umanità, condotta nell’amore e nella passione per la sopravvivenza. Ma perché ciò avvenga l’istituto della maternità deve essere annullato. I mutamenti necessari per arrivare a questo echeggiano in ogni recesso del sistema patriarcale. Distruggere l’istituto non significa abolire la maternità. Significa portare la creazione e il mantenimento della vita sullo stesso piano di decisione, lotta, sorpresa, immaginazione e razionalità di qualsiasi altro compito arduo ma liberamente scelto. (brani tratti da Adrienne Rich, Nato di donna [1976], Garzanti, Milano, 1977)
[it, en, es] FUORILEGGE Contributi dalle giornate pisane di discussioni tra fuori e dentro il carcere
Riceviamo e diffondiamo (con un po’ di ritardo…) questi materiali dalla “due giorni” Fuorilegge, svoltasi a Pisa il 23 e 24 maggio scorsi: [it] FUORILEGGE: Contributi dalle carceri, materiali vari e un racconto su una due giorni di discussione tra fuori e dentro il carcere (Da questa iniziativa è nato il sito http://presospolitico.noblogs.org dove sono raccolte le lettere, quelle con permesso di pubblicazione, arrivate dalle carceri e le trascrizioni degli interventi, in aggiornamento) Lo scorso 23 e 24 maggio, presso alcuni spazi occupati per l’occasione all’interno dell’Università di Pisa, si è tenuta “fuorilegge”: un’iniziativa di racconto e confronto sulle lotte all’interno delle carceri in varie parti del mondo, con alcune delle esperienze di lotta contro il carcere tra le più importanti tra quelle portate avanti all’interno del mondo anarchico per il ritorno in strada di quelle identità irriducibili, rivoluzionarie, insurrezionali e fuorilegge. L’iniziativa ha visto nella prima giornata una discussione a partire dalla traduzione italiana di Kamina Libre1 – giunta alla sua seconda ristampa aggiornata con alcuni contributi sull’importanza della memoria viva – come contributo alla campagna di solidarietà per la libertà di Marcelo Villarroel e l’annullamento delle condanne della giustizia militare di Pinochet a suo carico. La presenza di un compagno cileno e alcuni video arrivati dal Cile, ci hanno dato modo di analizzare la storia e il lascito, nel movimento anarchico cileno e non solo, delle esperienze di Kamina Libre. Questo collettivo era caratterizzato da un agire intransigente nel CAS (carcere di alta sicurezza), dalla necessità di uscire dalle regole e rompere l’annichilimento a qualsiasi costo tramite uno scontro permanente sia all’interno che all’esterno del carcere. Questa connessione, tra il dentro e fuori, è imprescindibile per poter rendere una lotta dentro, non una mera discussione giuridica o tanto meno un esercizio di radicalismo, ma una lotta con l’obiettivo del ritorno in strada dei compagni, non per un ideale astratto di libertà, ma per poter continuare a lottare in una prospettiva insurrezionale e distruggere la società di cui il carcere è lo specchio. Con questo compagno abbiamo anche potuto dibattere su ciò che è stato il movimento dei prigionieri politici della rivolta del 2019 in Cile, e di come la “memoria negra”, se mantenuta viva, tenga i compagni e le compagne che non sono più al nostro fianco, perché in prigione o morti in azioni, vivi e quotidianamente presenti nelle lotte e nelle strade, cercando di non rendere queste figure martiri o eroi. A questa discussione hanno contribuito anche delle lettere inviateci dalle carceri. Alcune lette all’interno dell’iniziativa, come quelle di Marcelo Villarroel2, Francisco Solar3 e Juan Sorroche4, ed altre non arrivate in tempo, che si possono trovare nella sezione della pagina5. Questi prigionieri anarchici, dalla conoscenza e lettura di Kamina Libre, hanno condiviso le loro riflessioni e domande su come oggi si possa lottare da dentro e da fuori e non relegare la lotta anticarceraria all’ambito tecnico, giuridico, assistenzialista o vittimistico, nonostante le condizioni interne siano oggi differenti, anche per la popolazione carceraria. A questo dibattito è intervenuto – per quanto tramite malevoli mezzi tecnologici – il compagno anarchico Gabriel Pombo da Silva6 che da poco è nuovamente in libertà, dopo aver passato oltre 20 anni tra le carceri di Spagna e Germania, sempre combattendo dentro al carcere con dignità e senza vendersi al nemico, e che decise, insieme alla compagna anarchica Elisa, di annunciare il loro passaggio alla clandestinità così: «Siamo un clan nomade che va di paese in paese alla ricerca di complici che praticano l’anarchismo… che disturba i servitori dello Stato… abbiamo deciso di vivere nell’ombra.» Non è stata una ricostruzione di una realtà a sé stante, perché «il ricordo è sventura se visto come coerenza senza pietà». È stata una discussione senza un punto di arrivo predeterminato, un confronto che prendeva spunto dalle esperienze, dalle sollecitazioni e dai racconti. Domandarci oggi come lottare tra dentro e fuori le mura delle prigioni nasce dalla convinzione che il carcere è parte integrante e fondamentale dei meccanismi di oppressione e sfruttamento. L’esperienza della carcerazione in questa società può diventare un’esperienza comune per ogni individuo, una dimensione altamente probabile all’interno di una vita dalla cui miseria non vi è alcuna via di uscita se non tentando la via dell’illegalità, rischiando quindi di passare per ««l’imprevisto della prigione»: questa sofferenza senza assoluzioni può portare tanto all’autodistruzione quanto alla strada della rivolta per chi non ha da perdere altro che le proprie catene. Per questo affilare le armi è nostro compito! Durante questa due giorni è stato anche letto e distribuito un contributo arrivato da un compagno, Paolo7, rinchiuso ad Uta e in sciopero della fame contro le condizioni detentive a cui sono sottoposti quotidianamente tutti i prigionieri di quel carcere, che raccontava la sua storia di fuorilegge, come negli anni ha visto cambiare la popolazione carceraria e dei tentativi di costruire una lotta da dentro. Il giorno successivo, attraverso lo spunto che veniva dai racconti delle fughe più spettacolari raccolte e riedite in “Adiós prisión”è stato invece un momento per poter ascoltare le parole della compagna Pola Roupa, appartenente all’organizzazione Lotta Rivoluzionaria (Επαναστατικός Αγώνας ) attiva in Grecia dal 2003 al 2017, che ha avuto la pazienza e la disponibilità nel narrare la sua esperienza. Partendo dal periodo di attività di questo gruppo, ha raccontato qual è per lei il significato e il motivo della latitanza e le problematiche che ha incontrato durante il tentativo di far evadere, sequestrando un elicottero, il compagno Nikos Maziotis e altri prigionieri. Il racconto, emotivamente coinvolgente, ha anche evidenziato come alcune azioni, anche quelle per la liberazione totale, si scontrano con dei grandissimi limiti se non vi è una concreta solidarietà esterna. Un contributo scritto è arrivato anche dal carcere di massima sicurezza di Domokos da Nikos Maziotis8, che ha evidenziato il rapporto tra solidarietà, guerriglia e lotta insurrezionale tra i rivoluzionari e il movimento anarchico/antiautoritario dal 2010 ad oggi. Questa discussione ha avuto anche la partecipazione (sempre tramite gli odiosi mezzi tecnologici) di un compagno anarchico9, che da oltre un ventennio è parte di quelle lotte contro il carcere e la società che ne ha bisogno, proveniente dal territorio occupato dallo Stato del Messico. Con lui si è potuto avere un racconto diretto e approfondito di come, dopo tanti anni, i compagni si sono organizzati in un’assemblea che sostenesse apertamente i prigionieri che hanno scelto la via della fuga e della clandestinità, parlando del caso di Miguel Peralta10, un anarchico indigeno latitante, e di come hanno riflettuto e scelto – per la prima volta dopo aver avuto per anni situazioni in cui l’appoggio al compagno o compagna in fuga si limitava a un quadro di silenzio complice e di aiuto fattuale – di sostenere e lanciare delle iniziative per parlare e diffondere apertamente le idee, le parole di questo compagno e le ragioni della sua lotta e della sua fuga. Ha posto poi l’attenzione su come superare il rimosso, il tabù del non parlare per non essere inseriti in quelle famose liste e inchieste di sospetti solidali che diventano immediatamente complici dei fuggitivi, ma comunque ponendo attenzione alla sicurezza del compagno/a latitante. Ha infine fatto un breve racconto delle esperienze di lotte vissute dentro le carceri nell’ultimo decennio a Città del Messico, dell’utilizzo da parte dello Stato di accuse di connivenza tra il mondo anarchico e quello dei narcos come nel caso di Jorge Ezquivel, prigioniero anarchico detenuto del carcere di Città del Messico. Questo caso si intreccia con le esperienze di lotta contro il carcere della scorsa decade, quando azioni, sabotaggi contro i simboli del dominio, e contro l’aumento del biglietto dei trasporti, durante il “decembre negro” che in Messico è stato una chiara espressione di solidarietà insurrezionale internazionalista anche con i prigionieri rivoluzionari greci Nikos Romanos e Yannis Michailidis in sciopero della fame nelle carceri greche in quel periodo. Alberi di Natale, metro e stazioni dei bus sono andate a fuoco: queste sono solo alcune tra le molte iniziative che hanno avuto luogo in quegli anni di fermento insurrezionale, che ha visto anche lo svolgersi, dentro al più grande auditorium occupato, del primo congresso internazionale anarchico insurrezionale con la partecipazione tra gli altri (via Skype perché non gli venne concesso l’ingresso nel paese) anche del compagno Alfredo M. Bonanno. Questo decennio di lotte all’interno delle carceri, dati i numerosi arresti tra compagne e compagni anarchici e non solo, come Fernando Barcenas, Fernando Sotelo, Abram Cortez, Amelie e Fallon ha avuto il tratto distintivo del rifiuto di aderire alle buone condotte e alla servitù volontaria imposta dall’amministrazione carceraria. Ci sono state varie esperienze di autorganizzazione: da laboratori di scrittura anarchica fino alla realizzazione di un periodico, “Cañero”11. Questo giornale, che veniva prodotto e distribuito sia all’interno dei vari istituti penitenziari che fuori, e raccontava le condizioni e le lotte carcerarie, oltre ad essere uno strumento di unione tra i prigionieri per rompere la dispersione che li vedeva divisi in vari penitenziari, fu anche utile per sviluppare ed esprimere la loro posizione contro l’amnistia. In quegli anni sono state portate avanti anche numerose lotte, come ad esempio uno sciopero della fame per la liberazione totale e contro il carcere, lanciato con le seguenti parole: «nella nostra concezione, [il carcere] è costituito dalla società nel suo complesso, mentre le prigioni fisiche sono solo un’espressione concreta dell’isolamento sociale che sostiene e legittima il potere ed è per questo che non ci rivolgiamo ai media, né alle classi dirigenti, ma ci rivolgiamo e parliamo ai nostri compagni dell’immensa prigione chiamata terra che, come noi, sono anch’essi figli della guerra per il solo fatto di essere nati diseredati.» Da questo progetto di traduzione12 di Kamina Libre, abbiamo preso la decisione di realizzare questa due giorni di incontri anche per poter contribuire a discutere, trovare spunti e domandarsi come poter portare avanti, da fuori, un supporto e una solidarietà attiva alle lotte dei prigionieri, un riconoscersi nelle lotte, nelle insurrezioni, nella rivolta, e nella solidarietà internazionalista. L’ascolto e il confronto con compagni e compagne che hanno negli anni lottato, e che lottano, contro il carcere, è fondamentale, nonostante il tempo mai sufficiente, per riflettere su alcune possibilità ed esperienze. Questa due giorni di discussione nasce per oltrepassare i limiti riscontrati nel sostenere le rivolte che avvengono all’interno, come ad esempio abbiamo visto nel 2020 durante l’emergenza Covid, così come in questi ultimi anni, durante i quali ci sono state altre rivolte nelle carceri in varie parti d’Italia, che però non sono riuscite a dilagare e dialogare con il fuori, e dalla necessità di rispondere all’ attacco degli Stati contro le lotte portate avanti sia dentro che fuori le carceri, dall’Italia con l’ex DDL 1660, al Cile, alla Grecia e alla Francia. Questo tipo di attacco, che passa dalle riforme del sistema penitenziario tra le altre cose, a nostro modo di vedere, ha un carattere preventivo in un orizzonte di guerra e conflitto sociale che ribolle sempre più sotto la superficie, in continuità diretta con l’applicazione del 41bis ad Alfredo. Pensiamo infatti che l’attacco ad Alfredo Cospito sia stato un monito da parte dello Stato nei confronti di chi persevera nel sostenere le idee e le pratiche rivoluzionarie, quello Stato che deve cancellare tanto la possibilità quanto la memoria della lotta armata in questo paese, di cui l’azione contro Adinolfi di Ansaldo Nucleare, rivendicata da Alfredo in tribunale a Genova, è una delle più recenti testimonianze. Ma soprattutto, ci siamo domandati cosa vuol dire continuare a sostenere una battaglia del primo compagno anarchico seppellito nel sottosuolo del carcere di Bancali in 41 bis e contro l’espansione del modello di questo regime in varie parti del mondo, dal Cile alla Francia, con lo Stato italiano sempre più esportatore di regimi di isolamento. Nella seconda giornata sono state ripercorse le motivazioni della lotta e la mobilitazione in solidarietà ad Alfredo Cospito. La discussione è stata introdotta su dei punti critici e di domanda contenuti nel testo13 Dal centro alla periferia, che hanno permesso di riflettere anche sugli elementi di riuscita della mobilitazione che, seppur sotto mille difficoltà e in una situazione “ai minimi termini del movimento anarchico”, è riuscita a portare fuori le ragioni, le parole e l’identità di Alfredo Cospito, che ha sostenuto uno sciopero della fame durato per ben 181 giorni. Una mobilitazione che ha avuto carattere internazionale di solidarietà e di azione diretta, durata oltre dieci mesi e iniziata molti mesi prima dello sciopero di Alfredo, per cercare di infrangere la coltre di silenzio dove avrebbero voluto relegarlo. Questa mobilitazione vede ora la vendetta dello Stato contro chi si è mobilitato in quei mesi, come con la richiesta di condanne per oltre 6 anni per resistenza aggravata, travisamento, lancio di oggetti e concorso morale in danneggiamento per un corteo a Milano, l’11 febbraio del 202314 contestualmente a quando Alfredo era stato trasportato in ospedale. Il concorso morale, elemento che sarebbe da approfondire, è anche uno degli elementi centrali dell’operazione City con 19 richieste di condanne per devastazione e saccheggio in riferimento al corteo del 4 marzo 2023 a Torino. A questa discussione ha portato il suo contributo e saluto Lello Valitutti, che da oltre un anno si trova agli arresti domiciliari per questo corteo e per il processo del Brennero. Lello ha oggi una situazione medica complessa, e questo, ci ha detto, gli rende impossibile poter presenziare e poter esercitare pienamente il suo diritto di difesa al processo dell’operazione City del prossimo luglio che lo vede imputato insieme agli altri compagni e compagne accusati appunto di concorso morale in devastazione e saccheggio. Si trova quindi a dover chiedere la sospensione del processo per motivi di salute. Concludiamo con alcune considerazioni uscite da questa discussione: Siamo ad un anno da quando lo Stato e la DNAA con quasi certa probabilità proporranno di mantenere Alfredo Cospito in 41bis, e magari mandarci anche degli altri prigionieri anarchici. Questo nonostante siano cadute le accuse del processo dove lo Stato ha provato a colpire l’agitazione e la propaganda anarchica verso i compagni e le compagne del quindicinale Bezmotivny, nel quale l’accusa ha provato a delineare la figura di Alfredo, nel procedimento Scripta Scelera, come figura apicale nell’ambito di un certo segmento del movimento anarchico. Dipingendo una istigazione a delinquere con lui come “orientatore”, anche dopo l’assoluzione piena per il processo Sibilla, dove lo si accusava direttamente di essere un “istigatore” in un ambito, quello del movimento anarchico, che ha nell’autonomia di pensiero e azione il suo fulcro. Assieme al processo Scripta Manent l’operazione Sibilla è stata determinante nel trasferimento in 41bis di Alfredo Cospito. Con la mobilitazione partita dalla lotta di Alfredo si è aperto un dibattito, si sono create delle crepe sul 41 bis, sull’ergastolo ostativo e sul carcere duro, apice del sistema repressivo, che è talmente risuonato, che a volte, di fronte ad alcune carceri dove esistono le sezioni di 41bis, i detenuti dall’interno erano i primi a lanciare il coro “fuori Alfredo dal 41bis”. La lotta non ha avuto una dinamica essenzialmente antirepressiva, néintrapresa unicamente dagli avvocati, ma ha rilanciato l’iniziativa del movimento anarchico e rivoluzionario più in generale per contrastare l’offensiva del capitale e dello Stato, questo nonostante viviamo in tempi di elogio del disimpegno, di smobilitazione permanente, di rassegnazione imperante. La lotta di Alfredo ha permesso di portare avanti un dibattito sul 41bis e sulla repressione in Italia, ha soprattutto messo in contraddizione tanto lo Stato con le sue emanazioni (si veda il cambio del parere della DNAA sul mantenerlo in 41bis che si è scontrato con Nordio), così come anche la mobilitazione esterna ha creato problemi all’apparato repressivo, con la forza di portare le parole e la lotta di Alfredo in ogni angolo possibile e con le più differenti iniziative, riprendendo in modo conflittuale la presenza nelle strade, nelle piazze, fuori dalle carceri. Dire “fuori Alfredo dal 41 bis” ha imposto nel dibattito la figura di Alfredo, della sua storia, in un’ottica di incompatibilità con ogni compromesso o soluzione politica di sorta nonostante delle componenti para istituzionali della sinistra abbiano tentato di insinuarsi all’ interno della mobilitazione. Oggi l’importante è poter discutere di come, oltre alla vita di Alfredo, siano stati messi in gioco anche il senso e la prospettiva della solidarietà, un principio da anni sotto costante attacco da parte delle procure antiterrorismo di tutta Italia e non solo. Dalla fine dello sciopero della fame, e ora che la mobilitazione si è praticamente fermata, lo Stato cerca di prendersi una rivincita su questo compagno, come dimostrano anche i recenti aggiornamenti sulla sua prigionia, ovvero il ritorno del graduato del GOM, precedentemente allontanato per il suo coinvolgimento nello “scandalo intercettazioni”, alla direzione della sezione 41bis del carcere di Bancali, che ha portato con sé un ulteriore inasprimento delle condizioni già dure in questo regime per Alfredo. Oggi è necessario riflettere su un dato di realtà: questa mobilitazione per quanto insufficiente a tirare fuori Alfredo dal 41bis, alla chiusura di questo regime detentivo e anche alla liberazione di Alfredo e di tutti i prigionieri e le prigioniere, ha certamente alimentato delle scintille non proprio ordinarie, da cui sarebbe auspicabile trarre insegnamento e stimolo per la realizzazione di una progettualità che vada oltre l’emergenzialità del momento. A questo proposito, riflettendo su come non fossilizzarsi su una lotta anticarceraria, l’applicazione del 41bis ad Alfredo sarebbe da mettere in una relazione più esplicita con le politiche di guerra dello Stato italiano. Sempre su come proseguire la lotta in solidarietà ad Alfredo e al sostegno alle pratiche da lui portate avanti è stata anche rimarcata l’importanza di portare il caso di Alfredo nelle lotte contro il nucleare. Come proseguire adesso data la realtà della situazione di oggi è una delle domande per cui abbiamo pensato valesse la pena incontrarsi e riflettere. Mentre gli Stati si attrezzano per la guerra e i profitti sugli armamenti crescono a dismisura, mentre prosegue il genocidio in Palestina, e con l’approvazione di una nuova legge sulla sicurezza che attacca gli oppressi, questi signori si affrettano nuovamente a processare gli anarchici, un nemico interno da debellare perché da sempre in opposizione al capitalismo, allo Stato e alle sue politiche di guerra. Sabotare il fronte interno significa quindi anche rilanciare la solidarietà ad Alfredo, a tutte e tutti i prigionieri e le prigioniere. 1 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/05/e-uscito-la-prima-edizione-italiana-di-alcuni-scritto-su-kamina-libre-identita-irriducibili-di-una-lotta-anticarceraria/ 2 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/03/marcelo-villarroel-su-iniziativa-fuorilegge-due-giorni-di-discussione-contro-la-galera-tra-dentro-e-fuori/ 3 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/fransisco-solar-prigioniero-sovversivo-anarchico-detenuto-nelle-prigioni-del-territorio-occupato-cileno-carcere-azienda-la-gozalina-rongagua/ 4 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/juan-sorroche-prigioniero-anarchico-italia-as2-terni/ 5 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/contributi-dal-carcere-senza-frontiere-alledizione-italiana-di-kamina-libre/ 6 https://www.rivoluzioneanarchica.it/notizie-prigionieri-anarchici-elisa-di-bernardo-stiamo-vincendo-delle-battaglie-per-la-liberta-di-gabriel-pombo-da-silva/ 7 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/paolo-todde-compagno-prigioniero-ad-utaca-contributo-percorsi-di-lotta/ 8 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/nikos-maziotis-prigioniero-anarchico-condannato-per-le-azione-di-lotta-rivoluzionaria/ 9 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/messico-da-citta-del-messico-un-contributo-sulle-lotte-esperienze-di-complicita-tra-fuori-e-dentro/ 10 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/da-qualche-luogo-sulla-terra-aggiornamenti-e-scritti-dalla-latitanza/ 11 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/el-canero-1-stampa-carceraria-dal-messico/ 12 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/presentazione-progetto-di-traduzione/ 13 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/dal-centro-alla-periferia/ 14 Il testo è stato composto e inviato prima della sentenza di primo grado, in cui sono state inflitte condanne di pesantezza quasi inaudita. Si veda qua: https://ilrovescio.info/2025/06/24/milano-solidarieta-ai-condannati-in-primo-grado-per-il-corteo-dell11-febbraio-2023-a-fianco-di-alfredo/ [nota redazionale del sito ilrovescio.info] PDF: fuorilegge -------------------------------------------------------------------------------- [en] FUORILEGGE: Contributions from prisons, various materials and a story about two days of discussion between those inside and outside prison (This initiative led to the website http://presospolitico.noblogs.org where letters, with permission for publication, received from prisons and transcripts of speeches are collected, and are being updated) Last May 23 and 24, an initiative “out of law” of storytelling and discussion on struggles within prisons in various parts of the world was held in spaces occupied for the occasion at the University of Pisa, featuring some of the most important anti-prison struggle experiences carried out within the anarchist world for the return to the streets of those irreducible, revolutionary, insurrectionary, and outlaw identities. The first day of the initiative saw a discussion based on the Italian translation of Kamina Libre1– now in its second updated reprint with contributions on the importance of living memory – as a contribution to the solidarity campaign for Marcelo Villarroel’s freedom and the annulment of Pinochet’s military justice convictions against him. The presence of a chilean comrade and some videos from Chile allowed us to analyze the history and legacy of Kamina Libre’s experiences within the chilean anarchist movement and beyond. This collective was characterized by intransigent action in the CAS (high-security prison), by the need to break free from rules and overcome annihilation at all costs through permanent confrontation both inside and outside the prison. This connection, between inside and outside, is inseparable to make a struggle inside not merely a legal discussion or an exercise in radicalism, but a struggle with the goal of comrades returning to the streets, not for an abstract ideal of freedom, but to continue fighting in an insurrectionary perspective and destroy the society of which the prison is a mirror. With this comrade, we were also able to discuss what the political prisoner movement of the 2019 revolt in Chile has been, and how “black memory,” if kept alive, keeps comrades who are no longer with us – because they are in prison or died in actions – alive and daily present in struggles and on the streets, trying not to turn these figures into martyrs or heroes. Letters sent to us from prisons also contributed to this discussion. Some were read during the initiative, such as those from Marcelo Villarroel2, Francisco Solar3and Juan Sorroche4, and others that did not arrive in time can be found in the section of the page . These anarchist prisoners, through their knowledge and reading of Kamina Libre, shared their reflections and questions on how to fight from inside and outside today and not relegate the anti-prison struggle to the technical, legal, assistance-oriented, or victimistic spheres, despite the current different internal conditions, also for the prison population. The anarchist comrade Gabriel Pombo da Silva5also participated in this debate – although forced by malicious technological means – who has recently regained his freedom after spending over 20 years in prisons in Spain and Germany, always fighting inside prison with dignity and without selling out to the enemy, and who decided, along with his anarchist companion Elisa, to announce their going underground as follows: “We are a nomadic clan that goes from country to country looking for accomplices who practice anarchism… that disturbs the servants of the State… we have decided to live in the shadows.” It was not a reconstruction of a self-contained reality, because “memory is misfortune if seen as coherence without pity.” It was a discussion without a predetermined endpoint, a confrontation that drew inspiration from experiences, provocations, and stories. Asking ourselves today how to fight inside and outside prison walls stems from the conviction that prison is an integral and fundamental part of the mechanisms of oppression and exploitation. The experience of incarceration in this society can become a common experience for every individual, a highly probable dimension within a life from whose misery there is no way out except by attempting the path of illegality, thus risking to go through “the unforeseen of prison”: this suffering without absolution can lead both to self-destruction and to the path of revolt for those who have nothing to lose but their chains. This is why sharpening our weapons is our task! During these two days, a contribution from a comrade, Paolo6, imprisoned in Uta and on hunger strike against the detention conditions to which all prisoners in that prison are subjected daily, was also read and distributed, recounting his story as an outlaw, how he has seen the prison population change over the years and attempts to build a struggle from within. The following day, drawing inspiration from the stories of the most spectacular escapes collected and re-edited in Adiós prisión, was a moment to hear the words of comrade Pola Roupa, belonging to the Revolutionary Struggle organization active in Greece, who patiently and willingly narrated her experience. Starting from the period of activity of this group, she recounted what for her is the meaning and reason for being a fugitive and the problems she encountered during the attempt to help comrade Nikos Maziotis and other prisoners escape by hijacking a helicopter. The emotionally engaging account also highlighted how some actions, even those for total liberation, encounter great limitations if there is no concrete external solidarity. A written contribution also arrived from the maximum-security prison of Domokos from Nikos Maziotis7, who highlighted the relationship between solidarity, guerrilla warfare, and insurrectionary struggle among revolutionaries and the anarchist/anti-authoritarian movement from 2010 to today. This discussion also saw the participation (again through hateful technological means) of an anarchist comrade8, who for over twenty years has been part of those struggles against prison and the society that needs it, coming from the territory occupied by the State of Mexico. With him, we were able to have a direct and in-depth account of how, after many years, comrades organized themselves into an assembly that openly supported prisoners who chose the path of escape and clandestinity, talking about the case of Miguel Peralta9, an indigenous anarchist fugitive, and how they reflected and chose – for the first time after years of situations where support for a comrade on the run was limited to maintaining a framework of complicit silence and factual help – to openly support and launch initiatives to talk about and disseminate the ideas, the words of this comrade and the reasons for his struggle and his escape. He then focused on how to overcome the suppressed, the taboo of not speaking to avoid being included in those famous lists and investigations of suspected sympathizers who immediately become accomplices of fugitives, while still paying attention to the safety of the fugitive comrade. Finally, he briefly recounted the experiences of struggles lived inside prisons in the last decade in Mexico City, and the State’s use of accusations of connivance between the anarchist world and narcos, as in the case of Jorge Ezquivel, an anarchist prisoner detained in Mexico City prison. This case intertwines with the anti-prison struggle experiences of the last decade, when actions and sabotages against symbols of domination and against the increase in transport fares, during “black December” in Mexico, were a clear expression of internationalist insurrectionary solidarity also with the Greek revolutionary prisoners Nikos Romanos and Yannis Michalaidis on hunger strike in Greek prisons at that time. Christmas trees, metro and bus stations went up in flames: these are just some of the many initiatives that took place in those years of insurrectionary ferment, which also saw the first international anarchist insurrectionary congress held in the largest occupied auditorium, with the participation, among others (via Skype because he was not granted entry into the country), of comrade Alfredo Maria Bonanno. This decade of struggles within prisons, given the numerous arrested comrades, such as Fernando Barcenas, Fernando Sotelo, Abram Cortez, Amelie, Fallon, Mario and others has been characterized by the refusal to adhere to good conduct and voluntary servitude imposed by the prison administration. There have been various experiences of self-organization: from anarchist writing workshops to the creation of a periodical Canero (https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/el-canero-1-stampa-carceraria-dal-messico/). This newspaper was produced and distributed both inside and outside various penitentiary institutions, recounting prison conditions and struggles, and serving as a tool for unity among prisoners to break the dispersion that saw them divided into various penitentiaries; it was also useful for developing and expressing their position against amnesty. In those years, numerous struggles were also carried out, such as a hunger strike for total liberation and against prison, launched with the following words: “in our conception, it is constituted by society as a whole, while physical prisons are only a concrete expression of the social isolation that supports and legitimizes power, and that is why we do not address the media, nor the ruling classes, but we address and speak to our comrades in the immense prison called earth who, like us, are also children of war for the sole fact of being born disinherited.” From this translation project of Kamina Libre10, we made the decision to hold these two days of meetings and discussions also to contribute to discussing, finding ideas, and asking how to carry out, from outside, active support and solidarity for prisoners’ struggles, a recognition in struggles, insurrections, revolt, and internationalist solidarity. Listening and confronting with comrades who have fought, and are fighting, against prison over the years is fundamental, despite the never-sufficient time, to reflect on some possibilities and experiences. These two days of discussion arose to overcome the limits encountered in supporting the revolts that occur inside, as we saw in 2020 during the COVID emergency, as well as in recent years during which there have been other revolts in prisons in various parts of Italy, which, however, failed to spread and communicate with the outside, and from the need to respond to the attack by States against struggles carried out both inside and outside prisons, from Italy with the former ex DDL 1660, to Chile, Greece, and France. This type of attack, which includes reforms of the penitentiary system, in our view, has a preventive character in a horizon of war and social conflict that is increasingly simmering beneath the surface, in direct continuity with the application of 41bis to Alfredo. Indeed, we believe that the attack on Alfredo was a warning from the State against those who persevere in supporting revolutionary ideas and practices, that State that must erase both the possibility and the memory of armed struggle in this country, of which the action against Adinolfi of Ansaldo Nucleare, claimed by Alfredo in court in Genoa, is one of the most recent testimonies. But above all, we asked ourselves what it means to continue supporting a battle of the first anarchist comrade buried in the underground of Bancali prison under 41 bis and the expansion of this regime’s model in various parts of the world, from Chile to France, with the Italian State increasingly exporting isolation regimes. On the second day, the reasons for the struggle and the mobilization in solidarity with Alfredo Cospito were re-examined. The discussion was introduced with critical points and questions contained in this text11 “dal centro alla periferia” which allowed for reflection on the successful elements of the mobilization which, despite a thousand difficulties and in a situation “at the bare minimum of the anarchist movement,” managed to bring out the reasons, words, and identity of Alfredo Cospito, who sustained a hunger strike lasting a full 181 days. A mobilization that had an international character of solidarity and direct action, lasting over ten months and starting many months before Alfredo’s strike, to try to break the veil of silence where they wanted to relegate him. This mobilization is now seeing the State’s revenge against those who mobilized in those months, as with the request for sentences of over 6 years for aggravated resistance, disguise, throwing objects, and moral complicity in damage for a procession in Milan on February 11, 2023, concurrently with Alfredo’s hospitalization. Moral complicity, an element that should be further explored, is also one of the central elements of Operation City with 19 convictions for devastation and looting in reference to the March 4 2023 procession in Turin. Lello Valitutti, who has been under house arrest for over a year for this march and for the Brenner trial, contributed to this discussion and sent his regards. Lello is currently in a complex medical situation, which, he told us, makes it impossible for him to attend and fully exercise his right to defence at the City trial next July, where he is accused, along with his comrades, of moral complicity in devastation and looting. He is therefore forced to request the suspension of the trial for health reasons. We conclude with some considerations that emerged from this discussion: We are one year away from when the State and the DNAA will almost certainly propose to keep Alfredo Cospito in 41 bis, and perhaps send other anarchist prisoners there. Charges in the trial, in which the state try to attack anarchist agitation and propaganda towards the comrades of the fortnightly magazine, Bezmotivny, in which the prosecution attempted to portray Alfredo as a leading figure within a certain segment of the anarchist movement in the Scripta Scelera trial. They depicted him as an instigator of crime, acting with him ‘guide’, and also after the full acquittal in the Sibilla trial, where the prosecution tried to portray Alfredo as an “instigator” in a sphere, that of the anarchist movement, which has autonomy of thought and action as its core. Along with the Scripta Manent trial, Operation Sibilla was decisive in Alfredo Cospito’s transfer to 41 bis. With the mobilization stemming from Alfredo’s struggle, a debate opened, cracks were created in 41 bis, in life imprisonment without parole and in the harsh prison regime, the apex of the repressive system, which resonated so much that, at times, in front of some prisons where 41 bis sections exist, the inmates from inside were the first to chant “Alfredo out of 41 bis.” The struggle did not have a merely anti-repressive dynamic, nor was it managed solely by lawyers, but it relaunched the initiative of the anarchist and revolutionary movement more generally to counter the offensive of capital and the State, despite living in times of praise for disengagement, permanent demobilization, and rampant resignation. Alfredo’s struggle allowed a debate on 41 bis and repression in Italy to be carried forward, it especially put the State and its emanations into contradiction (see the change in the DNAA’s opinion on keeping him in 41 bis, which clashed with Nordio), just as the external mobilization also created problems for the repressive apparatus, with the strength to bring Alfredo’s words and struggle to every possible corner and with the most diverse initiatives, conflictually resuming presence in the streets, in the squares, outside prisons. Saying ‘Alfredo out of 41 bis’ brought Alfredo and his story to the forefront of the debate, presenting him as incompatible with any compromise or political solution whatsoever, despite some para-institutional components of the left attempting to insinuate themselves into the mobilization. Today, it is important to be able to discuss how, in addition to Alfredo’s life, the meaning and perspective of solidarity have also been put at stake, a principle that has been under constant attack for years by anti-terrorism prosecutors throughout Italy and beyond. Since the end of the hunger strike, and now that the mobilization has practically stopped, the State is trying to take revenge on this comrade, as also demonstrated by recent updates on his imprisonment, namely the return of the GOM officer, previously removed for his involvement in the “interception scandal,” to the direction of the 41bis section of Bancali prison, which has brought with it a further tightening of the already harsh conditions in this regime for Alfredo. Today it is necessary to reflect on a fact of reality: this mobilization, however insufficient to get Alfredo out of 41 bis, to close this detention regime, and also to free Alfredo and all prisoners, has certainly ignited not-so-ordinary sparks, from which it would be desirable to draw lessons and stimulus for the realization of a project that goes beyond the urgency of the moment. In this regard, reflecting on how not to become fossilized in an anti-prison struggle, the application of 41bis to Alfredo should have been placed in a more explicit relationship with the Italian State’s war policies. Also on how to continue the struggle in solidarity with Alfredo and the support for the practices he carried out, the importance of bringing Alfredo’s case into the anti-nuclear struggles was also emphasized. How to proceed now given the reality of today’s situation is one of the questions for which we thought it was worthwhile to meet and reflect. While States are preparing for war and arms profits are growing immeasurably, while the genocide in Palestine continues, and with the approval of a security decree that attacks the oppressed, these gentlemen are once again rushing to prosecute anarchists, an internal enemy to be eradicated because they have always been in opposition to capitalism, the State, and its war policies. Sabotaging the internal front therefore also means relaunching solidarity with Alfredo and all prisoners. 1 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/05/e-uscito-la-prima-edizione-italiana-di-alcuni-scritto-su-kamina-libre-identita-irriducibili-di-una-lotta-anticarceraria/ 2 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/03/marcelo-villarroel-su-iniziativa-fuorilegge-due-giorni-di-discussione-contro-la-galera-tra-dentro-e-fuori/ 3 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/fransisco-solar-prigioniero-sovversivo-anarchico-detenuto-nelle-prigioni-del-territorio-occupato-cileno-carcere-azienda-la-gozalina-rongagua/ 4 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/juan-sorroche-prigioniero-anarchico-italia-as2-terni/ 5 https://www.rivoluzioneanarchica.it/notizie-prigionieri-anarchici-elisa-di-bernardo-stiamo-vincendo-delle-battaglie-per-la-liberta-di-gabriel-pombo-da-silva/ 6 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/paolo-todde-compagno-prigioniero-ad-utaca-contributo-percorsi-di-lotta/ 7 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/nikos-maziotis-prigioniero-anarchico-condannato-per-le-azione-di-lotta-rivoluzionaria/ 8 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/messico-da-citta-del-messico-un-contributo-sulle-lotte-esperienze-di-complicita-tra-fuori-e-dentro/ 9 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/da-qualche-luogo-sulla-terra-aggiornamenti-e-scritti-dalla-latitanza/ 10 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/presentazione-progetto-di-traduzione/ 11 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/dal-centro-alla-periferia/ PDF: fuorilegge eng -------------------------------------------------------------------------------- [es] FUORILEGGE: Contribuciones desde las cárceles, materiales diversos y un relato sobre dos días de debate entre el exterior y el interior de la cárcel (De esta iniciativa nació el sitio http://presospolitico.noblogs.org donde se recogen las cartas, las que tienen permiso para su publicación, las que llegan de las cárceles y las transcripciones de las intervenciones, que se van actualizando) Los pasados 23 y 24 de mayo, en unos espacios ocupados para la ocasión dentro de la Universidad de Pisa, se realizó una iniciativa “fuera de la ley” para contar y comparar las luchas al interior de las cárceles en varias partes del mundo, con algunas de las experiencias de lucha contra la cárcel entre las más importantes entre las llevadas a cabo dentro del mundo anarquista por el retorno a las calles de esas identidades irreductibles, revolucionarias, insurreccionales y “fuera de la ley”. La iniciativa tuvo como punto de partida el primer día una discusión sobre la traducción al italiano de Kamina Libre.1—ahora en su segunda reimpresión actualizada con algunas contribuciones sobre la importancia de la memoria viva— como contribución a la campaña de solidaridad por la libertad de Marcelo Villarroel y la anulación de las condenas de la justicia militar de Pinochet en su contra. La presencia de un compañero chileno y algunos videos de Chile nos brindaron la oportunidad de analizar la historia y el legado, en el movimiento anarquista chileno y más allá, de las experiencias de Kamina Libre. Este colectivo se caracterizó por una acción intransigente en el CAS (cárcel de alta seguridad), por la necesidad de ir más allá de las reglas y romper la aniquilación a cualquier precio mediante un enfrentamiento permanente tanto dentro como fuera de la prisión. Esta conexión, entre el interior y el exterior, es inseparable para construir una lucha interna, no una mera discusión legal, ni mucho menos un ejercicio de radicalismo, sino una lucha con el objetivo de que los compañeros regresen a las calles, no por un ideal abstracto de libertad, sino para poder seguir luchando desde una perspectiva insurreccional y destruir la sociedad de la que la prisión es espejo. Con este compañero también pudimos conversar sobre el movimiento de presxs políticxs del levantamiento de 2019 en Chile y cómo la “memoria negra”, si se mantiene viva, mantiene vivos y presentes a diario en las luchas y en las calles a los compañeros que ya no están con nosotros, por estar en prisión o haber muerto en combate. procurando no convertirlos en mártires ni héroes, sino tenerlo vivo con el fuego. Las cartas que nos enviaron desde las cárceles también contribuyeron a este debate. Algunas se leyeron en el marco de la iniciativa, como las de Marcelo Villarroel.2, Francisco Solar3y Juan Sorroche4, y otros que no llegaron a tiempo, se pueden encontrar en la sección de la página5 Estos presos anarquistas, a partir de su conocimiento y lectura de Kamina Libre, compartieron sus reflexiones y preguntas sobre cómo podemos hoy luchar desde dentro y desde fuera, sin relegar la lucha anticarcelaria al ámbito técnico, legal, asistencial o victimista, a pesar de que las condiciones internas sean diferentes hoy, incluso para la población carcelaria. El compañero anarquista Gabriel Pombo da Silva intervino en este debate, aunque forzado por los malditos medios tecnológicos.6 el ha sido recientemente liberado, tras haber pasado más de 20 años en cárceles de España y Alemania, luchando siempre dentro de la prisión con dignidad y sin venderse al enemigo, y que decidió hace un tiempo, junto a la compañera anarquista Elisa, anunciar sus paso a la clandestinidad de la siguiente manera: “Somos un clan nómada que va de pueblo en pueblo en busca de cómplices que practiquen el anarquismo… que incomoda a los servidores del Estado… hemos decidido vivir en la sombra”. ——————————————————————————————————————————- 1 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/05/sale-la-primera-edicion-italiana-de-algunos-escritos-sobre-kaminalibre identidades-irreducibles-de-una-lucha-anti-carcelaria/ 2 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/03/marcelo-villarroel-su-iniziativa-fuorilegge-due-giorni didiscussione-contro-la-galera-tra-dentro-e-fuori/ 3 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/fransisco-solar-preso-subversivo-anarquista-detenido-en carceles-del-territorio-ocupado-chile-compania-carcelaria-la-gozalina-rongagua/ 4 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/juan-sorroche-preso-anarquista-italia-as2-terni/ 5 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/aportaciones-de-la-prision-sin-fronteras-a-la-edicion-italiana-de-dikamina libre/ 6 https://www.rivoluzioneanarchica.it/noticias-prisioneras-anarquistas-elisa-di-bernardo-nos-sentimos-vinculadas-de-las-batallas-por la-libertad-de-gabriel-pombo-da-silva/ No se trató de una reconstrucción de una realidad en sí misma, porque «la memoria es una desgracia si se la ve como coherencia sin piedad». Fue una discusión sin un punto de llegada predeterminado, una comparación que se inspiró en experiencias, cuentos y historias. Preguntarnos hoy cómo luchar dentro y fuera de la prisión parte de la convicción de que la prisión es parte integral y fundamental de los mecanismos de opresión y explotación. La experiencia del encarcelamiento en esta sociedad puede convertirse en una experiencia común para cada individuo, una dimensión altamente probable dentro de una vida de cuya miseria no hay salida excepto intentando el camino de la ilegalidad, arriesgándose así a pasar por «lo inesperado de la prisión»: este sufrimiento sin absolución puede conducir tanto a la autodestrucción como al camino de la rebelión para quienes no tienen nada que perder salvo sus cadenas. Por eso, ¡afilar nuestras armas es nuestra tarea! Durante estos dos días, también se leyó y distribuyó una contribución de un compañero, Paolo.7, encerrado en Uta y en huelga de hambre contra las condiciones carcelarias a las que se ven sometidos diariamente todos los presos de esa cárcel, quien contó su historia como companero y “fuorilegge”, de cómo ha visto cambiar la población carcelaria a lo largo de los años y sus intentos de construir una lucha desde dentro. Al día siguiente, a través de la inspiración que surgieron de las historias de las escapadas más espectaculares recopiladas y republicadas en Adiós prisión fue un momento para escuchar las palabras de la compañera Poula Roupa, miembro de la organización Lucha Revlucionaria, activa en Grecia, quien tuvo la paciencia y la disposición de narrar su experiencia. Partiendo del período de actividad de este grupo, relató el significado y la razón de su fuga y los problemas que encontró durante el intento de fuga del compañero Nikos Maziotis y otros presos, secuestrando un helicóptero. Su conmovedora historia también destacó cómo algunas acciones, incluso las que buscan la liberación total, enfrentan enormes limitaciones si no existe una solidaridad externa concreta. También llegó una contribución escrita de Nikos Maziotis desde la prisión de máxima seguridad de Domokos 8, que destacó la relación entre la solidaridad, la guerra de guerrillas y la lucha insurreccional entre los revolucionarios y el movimiento anarquista/antiautoritario desde 2010 hasta hoy. Esta discusión también contó con la participación (siempre a través de los malditos medios tecnológicos) de un compañero anarquista.9, que desde hace más de veinte años forma parte de esas luchas contra la prisión y la sociedad que la necesita, provenientes del territorio que ocupa el Estado de México. Con él pudimos tener un relato directo y profundo de cómo después de muchos años los compañeros se organizaron en una asamblea que apoyó abiertamente a los presos que eligieron el camino de la fuga y la clandestinidad, hablando del caso de Miguel Peralta.10 Un companero anarquista indígena latitante, y cómo reflexionaron y decidieron —por primera vez después de años de situaciones en las que el apoyo al compañero en fuga se limitaba a mantener un marco de silencio cómplice y apoyo fáctico— apoyar y lanzar iniciativas para hablar y difundir abiertamente las ideas, la palabra de este compañero y las razones de su lucha y su huida. Luego se centró en cómo superar la represión, el tabú de no hablar para no ser incluido en esas famosas listas e investigaciones de sospechosos solidarios que inmediatamente se convierten en cómplices de los fugitivos, pero sin dejar de prestar atención a la seguridad del compañero en fuga. Finalmente, hizo un breve recuento de las experiencias de luchas vividas al interior de las cárceles en la última década en la Ciudad de México, del uso por parte del Estado de las acusaciones de colusión entre el mundo anarquista y el narcotráfico como en el caso de Jorge Ezquivel, preso anarquista detenido en Prisión de la Ciudad de México. Este caso se entrelaza con las experiencias de lucha contra la prisión en la última década, cuando se llevaron a cabo acciones de sabotaje contra los símbolos de dominación y contra el aumento de las tarifas del transporte durante el “Diciembre Negro”, que en México fue una clara expresión de solidaridad insurreccional internacionalista, también con los presos revolucionarios griegos Nikos Romanos y Yannis Michalaidis, quienes se encontraban en huelga de hambre en las cárceles griegas durante ese período. Árboles de Navidad, estaciones de metro y autobús fueron incendiadas: estas son solo algunas de las muchas iniciativas que tuvieron lugar en esos años de efervescencia insurreccional, que también vieron el primer congreso anarquista insurreccional internacional, celebrado dentro del auditorio ocupado más grande, con la participación, entre otros (vía Skype, ya que no se le permitió entrar al país), del camarada Alfredo Maria Bonanno. —————————————————————————————————————————– 7 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/paolo-todde-compagno-prigioniero-ad-utaca-contributo-percorsidi lotta/ 8 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/nikos-maziotis-preso-anarquista-condenado-por-la-accion-de lucha-revolucionaria/ 9 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/06/04/messico-da-citta-del-messico-un-contributo-sulle-lotte-esperienze-di complicita-tra-fuori-e-dentro/ 10 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/desde-algun-lugar-en-la-tierra-actualizaciones-y-escritos-del fugitivo/ Esta década de luchas dentro de las cárceles, dada la cantidad de compañeros detenidos, como Fernando Bárcenas, Fernando Sotelo y Abram Cortés entre otros y otras, se ha caracterizado por negarse a adherirse a la buena conducta y la servidumbre voluntaria impuestas por la administración penitenciaria. Se han dado diversas experiencias de autoorganización: desde talleres de escritura anarquista hasta la creación de una revista. Canero11 Este periódico fue producido y distribuido tanto dentro como fuera de las distintos penitenciarios, el cual relataba las condiciones y las luchas carcelarias, además de ser una herramienta de unión entre los presos para romper la dispersión que los dividía en las distintas penitenciarías, también sirvió para desarrollar y expresar su postura contra la amnistía. En aquellos años también se llevaron a cabo numerosas luchas, como una huelga de hambre por la liberación total y contra la prisión, iniciada con las siguientes palabras: “en nuestra concepción, está constituida por la sociedad en su conjunto, mientras que las cárceles físicas son solo una expresión concreta del aislamiento social que sustenta y legitima el poder y por eso no recurrimos a los medios de comunicación, ni a las clases dominantes, sino que nos dirigimos y hablamos a nuestros compañeros de la inmensa prisión llamada tierra que, como nosotros, también son hijos de la guerra por el solo hecho de haber nacido desheredados”. De este proyecto de traducción12 de Kamina Libre, hemos tomado la decisión de organizar estos dos días de encuentros y discusiones también para poder contribuir a discutir, encontrar ideas y preguntarnos cómo podemos llevar adelante, desde afuera, un apoyo activo y solidario a las luchas de los presos, un reconocimiento en las luchas., en las insurrecciones, en las revueltas y en la solidaridad internacionalista. Escuchar y discutir con compañeros que han luchado y siguen luchando contra la cárcel a lo largo de los años es fundamental, a pesar del tiempo nunca suficiente, para reflexionar sobre algunas posibilidades y experiencias. Este debate de dos días nació para superar las limitaciones que existen para apoyar las revueltas internas, como vimos, por ejemplo, en 2020 durante la emergencia de la COVID-19, así como en los últimos años, cuando se han producido otras revueltas en cárceles de diversas partes de Italia. Sin embargo, estas revueltas no han logrado extenderse ni dialogar con el exterior, y surge de la necesidad de responder a los ataques de los Estados contra las luchas que se libran tanto dentro como fuera de las cárceles, desde Italia con la nueva ley de seguridad (ex DDL 1660), hasta Chile, Grecia y Francia. Este tipo de ataque, que pasa, entre otras cosas, por las reformas del sistema penitenciario, en nuestra opinión, tiene un carácter preventivo en un horizonte de guerra y conflicto social cada vez más latente, en directa continuidad con la aplicación del artículo 41bis a Alfredo. Creemos que el ataque a Alfredo fue una advertencia del Estado a quienes persisten en apoyar las ideas y prácticas revolucionarias, un Estado que debe borrar tanto la posibilidad como la memoria de la lucha armada en este país, de la cual la acción contra Adinolfi de Ansaldo Nucleare, reclamada por Alfredo ante el tribunal de Génova, es uno de los testimonios más recientes. Pero, sobre todo, nos preguntamos qué significa seguir apoyando la lucha del primer compañero anarquista enterrado en la prisión de Bancali en 41 bis y la expansión del modelo de este régimen en diversas partes del mundo, desde Chile hasta Francia, con el Estado italiano exportando cada vez más regímenes de aislamiento. —————————————————————————————————————————– 11 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/29/el-canero-1-stampa-carcelaria-dal-messico/ 12 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/presentazione-progetto-di-traduzione/ El segundo día, se repasaron las razones de la lucha y la movilización en solidaridad con Alfredo Cospito. El debate se centró en algunos puntos críticos y preguntas contenidas en este texto “dal centro a la perifieria”.13 Lo que nos permitió reflexionar sobre los factores de éxito de la movilización que, a pesar de las mil dificultades y en una situación en los niveles más bajos del movimiento anarquista, logró sacar a la luz las razones, las palabras y la identidad de Alfredo Cospito, quien apoyó una huelga de hambre que duró 181 días. Una movilización de carácter internacional, de solidaridad y acción directa, que duró más de diez meses y comenzó muchos meses antes de la huelga de Alfredo, para intentar romper el manto de silencio donde querían relegarlo. Esta movilización ahora ve la venganza del Estado contra quienes se movilizaron durante esos meses, como con la solicitud de condenas hasts seis años por resistencia agravada, disfraz, lanzamiento de objetos y complicidad moral en daños, por una marcha en Milán el 11 de febrero de 2023, coincidiendo con el traslado de Alfredo al hospital. La complicidad moral, un elemento que debe explorarse más a fondo, es también uno de los elementos centrales de la Operación City, con 19 condenas por devastación y saqueo en relación con la marcha del 4 de marzo en Turín 2023. Lello Valitutti, acusado por esta marcha, y que se encuentra bajo arresto domiciliario durante más de un año por el juicio de Brennero, además de la obligación de residir en su localidad de residencia, aportó su contribución y saludo a este debate. Lello se encuentra actualmente en una situación médica compleja, lo que, según nos comentó, le impide estar presente y ejercer plenamente su derecho a la defensa en el juicio por la operación de la City el próximo julio, donde se le acusa, junto con otros compañeros, de complicidad moral en la devastación y el saqueo. Por lo tanto, y solicitarà la suspensión del juicio por motivos de salud. Concluimos con algunas consideraciones surgidas de esta discusión: Estamos a un año de que el Estado y la DNAA propongan, con casi total certeza, mantener a Alfredo Cospito en 41 bis, y tal vez enviarnos también a otros presos anarquistas. Esto a pesar de que han caído los cargos del juicio en el que el Estado intentó golpear la agitación y la propaganda anarquista hacia los compañeros y compañeras del quincenal Bezmotivny, en el que la acusación intentó perfilar la figura de Alfredo, en el proceso Scripta Scelera, como la figura más destacada dentro de un determinado segmento del movimiento anarquista. Pintando una instigación al delito con él como «orientador», incluso después de la absolución total en el juicio Sibilla, donde se le acusaba directamente de ser un «instigador» en un ámbito, el del movimiento anarquista, que tiene en la autonomía de pensamiento y acción su eje central. Junto con el juicio Scripta Manent, la operación Sibilla fue decisiva en el traslado de Alfredo Cospito al 41 bis. Con la movilización que surgió de la lucha de Alfredo, se abrió un debate y se crearon grietas en el 41 bis, la cadena perpetua sin libertad condicional y la prisión de aislamiento, la cúspide del sistema represivo. Esta repercusión fue tal que, a veces, frente a algunas cárceles con secciones del 41 bis, los presos de adentro fueron los primeros en lanzar el coro “¡Alfredo fuera del 41 bis!”. La lucha no tuvo una dinámica meramente antirepresiva, ni fue gestionada únicamente por abogados, sino que se relanzó la iniciativa del movimiento anarquista y revolucionario en general para contrarrestar la ofensiva del capital y del Estado, esto a pesar de que vivimos tiempos de elogio del desapego, de desmovilización permanente, de resignación reinante. La lucha de Alfredo nos ha permitido impulsar un debate sobre el 41 bis y la represión en Italia. Sobre todo, ha puesto al Estado en contradicción con sus emanaciones (véase el cambio de opinión de la DNAA sobre su permanencia en el 41 bis, en contra del ministro de la justicia Nordio). Asimismo, la movilización externa ha generado problemas para el aparato represivo, con la fuerza para llevar la palabra y la lucha de Alfredo a todos los rincones posibles y con las más diversas iniciativas, retomando de forma conflictiva la presencia en las calles, en las plazas y fuera de las cárceles. Decir «fuera Alfredo del 41 bis» ha impuesto en el debate la figura de Alfredo, su historia, desde una perspectiva de incompatibilidad con cualquier tipo de compromiso o solución política, a pesar de que algunos sectores parainstitucionales de la izquierda hayan intentado infiltrarse en la movilización. Hoy lo importante es poder hablar de cómo, además de la vida de Alfredo, se pusieron también está en juego el significado y la perspectiva de la solidaridad, un principio que ha sido objeto de constantes ataques durante años por parte de las procuradoria antiterroristas en toda Italia y más allá. Desde el fin de la huelga de hambre, y ahora que la movilización prácticamente ha cesado, el Estado intenta vengarse de este compañero, como lo demuestran las recientes noticias sobre su encarcelamiento, en particular el regreso del graduado del GOM, previamente destituido por su implicación en el escándalo de las escuchas telefónicas, a la dirección de la sección 41 bis de la prisión de Bancali, lo que ha agravado aún más las ya duras condiciones de Alfredo en este régimen. Hoy es necesario reflexionar sobre un hecho real: esta movilización, si bien insuficiente para liberar a Alfredo de la 41 bis, para el cierre de este régimen de detención y también para la liberación de Alfredo y de todos los presos, Sin duda, ha alimentado chispas nada comunes, de las que sería deseable extraer enseñanzas y estímulos para la realización de un proyecto que vaya más allá de la emergencia del momento. A este respecto, reflexionando sobre cómo no quedarse estancados en una lucha contra las cárceles, la aplicación del 41bis a Alfredo debería ponerse en relación más explícita con las políticas bélicas del Estado italiano. Siempre en relación con cómo continuar la lucha en solidaridad con Alfredo y el apoyo a las prácticas que él lleva a cabo, también se destacó la importancia de llevar el caso de Alfredo a las luchas contra la energía nuclear. Cómo continuar ahora, dada la realidad de la situación actual, es una de las preguntas por las que pensamos que valía la pena reunirnos y reflexionar. Mientras los Estados se preparan para la guerra y los beneficios de las armas crecen desmesuradamente, mientras continúa el genocidio en Palestina y con la aprobación de un decreto de seguridad que ataca a los oprimidos, estos señores se apresuran de nuevo a juzgar a los anarquistas, un enemigo interno al que hay que erradicar porque siempre se ha opuesto al capitalismo, al Estado y a sus políticas bélicas. Sabotear el frente interno significa, por lo tanto, también relanzar la solidaridad con Alfredo, con todos y todas las personas encarceladas. —————————————————————————————————————————– 13 https://presospolitico.noblogs.org/post/2025/05/24/del-centro-a-la-periferia PDF: fuorilegge esp
Luci da dietro la scena (XXVII) – Torri d’avorio e d’acciaio (sul ruolo delle università israeliane e non solo)
Qui il pdf: Luci da dietro la scena (XXVII) «Iniziare dalla terra su cui sono state erette» Gli istituti di istruzione superiore hanno effettivamente svolto un ruolo fondamentale nello spossessamento delle terre indigene e nell’espansione degli insediamenti coloniali, in particolare nelle società a dominazione inglese istituite sotto l’egida dell’Impero britannico. Dagli Stati Uniti al Canada, dall’Australia e la Nuova Zelanda al Sudafrica, le università degli Stati coloniali anglosassoni sono nate dall’appropriazione di territori indigeni non ceduti. Con la benedizione dell’Impero britannico, oltre sei milioni di ettari di terre indigene in tre diversi continenti sono stati trasferiti alle università coloniali. Gli Stati coloniali usavano questi terreni per costruire o finanziare istituzioni divenute in seguito note come land-grant university (università concessionarie di terre) e ribattezzate land-grab university (università accaparratrici di terre) dai popoli indigeni. Negli Stati Uniti, il provvedimento “Morrill Land-Grant College Act” del 1862 facilitò l’esproprio violento delle terre indigene a beneficio delle università e dei college. Gli Stati dell’est, del sud e alcuni del Midwest si finanziarono vendendo terre concesse loro dal governo; gli Stati dell’ovest, nel frattempo, costituivano università direttamente sulle terre di varie tribù acquisite mediante accordi estorti con la violenza e talvolta conquistati con veri e propri massacri. 245 tribù indigene persero oltre 4 milioni di ettari di terra, destinati all’espansione delle università statunitensi, per un valore di quasi 500 milioni di dollari. Lo sfruttamento degli africani ridotti in schiavitù nelle Americhe consentì un ulteriore accumulo di ricchezze da parte delle università, spesso costruite con il sudore degli schiavi o finanziate dalla loro tratta. Anche le università canadesi furono costruite in seguito all’appropriazione di terre indigene. Dall’Ontario alla Columbia Britannica, passando per la provincia del Manitoba, la Corona britannica e successivamente i governi provinciali canadesi destinarono 200 mila ettari di terre sottratte agli indigeni alla fondazione delle principali università del paese. In Nuova Zelanda, la confisca delle terre maori e la loro concessione da parte del governo costituiscono la base per l’edificazione di quasi tutte le università statali, mentre la terre aborigene d’Australia furono direttamente espropriate per costruire le università coloniali. In Sudafrica, le leggi sulla terra del 1913 e del 1936 sancirono l’alienazione dei terreni e la cacciata dei sudafricani neri che li abitavano. Questi atti sono all’origine di università storicamente bianche in posizioni strategiche. Queste, a loro volta, promossero l’insediamento di bianchi facilitando la segregazione dell’istruzione superiore, con la creazione di istituzioni riservate alla popolazione nera. Nell’ottica della repressione delle mobilitazioni per la liberazione dei neri, lo Stato sudafricano istituì università rivolte ai neri concependole come strutture di controllo amministrativo e come strumento all’interno del sistema del bantustan. La segregazione universitaria, dalle infrastrutture dei campus ai programmi accademici, fu concepita come dispositivo funzionale all’apartheid. […] le università sudafricane vennero deliberatamente «impiantate “nel territorio” come infrastrutture fisiche concrete e inamovibili»: la loro collocazione e il loro posizionamento rendono una loro trasformazione nell’èra post-apartheid impresa oltremodo ardua. In quei paesi coloniali, il progetto di esproprio delle terre indigene e l’insediamento dei coloni alimentano l’espansione dell’istruzione superiore. Fondate su terreni confiscati ai popoli indigeni, le università, a loro volta, si sono fatte roccaforte degli insediamenti nelle terre delle comunità indigene che lo Stato mirava a contenere ed eliminare. Per fare i conti con le proprie responsabilità nel progetto coloniale, sostengono studiosi e attivisti indigeni, le università devono iniziare dalla terra su cui sono state erette, analizzando i modi in cui esse stesse fungono da infrastrutture di spossessamento e oppressione violenta. Edificati su terreni sottratti ai palestinesi indigeni e progettati come veicoli dell’espansione degli insediamenti ebraici, gli stessi atenei israeliani si inseriscono nel solco della tradizione delle «università accaparratrici di terre». Al pari di altre istituzioni di insediamento, le università sono pensate per sostenere l’infrastruttura coloniale dello Stato israeliano. Ciò che le distingue, tuttavia, è il ruolo – a cui a tutt’oggi non si sottraggono – di esplicito sostegno a un regime che la comunità internazionale definisce di apartheid. Queste università, infatti, non solo continuano a partecipare attivamente alla violenza di Stato contro i palestinesi, ma contribuiscono, con le proprie risorse e ricerche, a preservare, difendere e giustificare l’oppressione. L’università come avamposto È il 28 marzo 2022: due studenti palestinesi dell’Università Ebraica sono seduti sul prato del campus sul monte Scopus e cantano in arabo. Vengono avvicinati da studenti israeliani, che chiedono di sapere cosa stiano cantando. Questi, che sono anche agenti di polizia fuori servizio, accusano i palestinesi di cantare canzoni «nazionaliste», li scortano a forza all’ingresso del campus e chiamano agenti in servizio per farli arrestare. Gli studenti palestinesi vengono interrogati in quanto sospettati di «comportamento che potrebbe violare la pace sociale» e interpellati in merito alle loro opinioni politiche e pratiche religiose. Alla fine vengono rilasciati, ma viene loro comminata una sospensione di sei giorni. […] Situata in cima al quartiere palestinese occupato di Issawiya, a Gerusalemme Est, l’Università Ebraica sul monte Scopus è sorvegliata con particolare scrupolo dall’amministrazione e dal corpo di polizia del campus. […] Le università israeliane sono state progettate come apparati al servizio del programma di «giudaizzazione» dei territori palestinesi. I loro campus, strategicamente edificati su terre palestinesi, sono concepiti come enclave isolate, abbarbicate in cima a monti o colline che si affacciano sulle città sottostanti. A dimostrazione del loro ruolo nella militarizzazione, le università israeliane sono chiaramente delimitate e recintate. Malgrado siano istituzioni pubbliche, per accedervi è necessaria un’identificazione o un permesso, oltre a dover superare i metal detector e un controllo di sicurezza da parte di veterani armati. Gli studiosi israeliani di architettura hanno dimostrato che non è un caso: progettati a beneficio della politica territoriale dello Stato, i campus rimangono spazialmente segregati dall’ambiente circostante. L’architettura delle università israeliane costituisce una pratica di rivendicazione nazionale di matrice razziale, che demarca i campus come spazio ebraico. […] I campus stessi delle università israeliane sono progettati a beneficio dei membri della comunità ebraica: gli edifici e le strade al loro interno sono intitolati a personalità militari e politiche israeliane, tra cui gli artefici della Nakba e dell’occupazione militare illegale di Gaza e della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, del 1967. Nei corridoi, traboccanti di simbologia e narrazioni sioniste, campeggiano fotografie e testi che celebrano l’espansione militare e territoriale israeliana. Una mostra permanente all’Università di Haifa, ad esempio, onora tutt’oggi uno dei suoi fondatori, Abba Hushi, che equiparò l’istruzione dei palestinesi ad «allevare serpenti». Il complesso universitario-militare-industriale Tutte le università israeliane lavorano a stretto contatto con il governo per sviluppare le industrie militari di Stato e le tecnologie per l’esercito. L’ente per lo sviluppo delle armi e delle infrastrutture tecnologiche (Mafat), ovvero l’unità preposta a ricerca e sviluppo all’interno del Ministero della difesa, intrattiene stretti rapporti con gli atenei. L’obiettivo dichiarato del Mafat è quello di «garantire la capacità di Israele di sviluppare armi che rendono il paese forte e gli permettano di preservare il suo vantaggio qualitativo». Il Mafat è quindi responsabile delle infrastrutture per le armi e le tecnologie, ma anche di coltivare il personale che si occupa della ricerca tecnologica, di stimolare e finanziare la ricerca nelle università e di collaborare con le istituzioni accademiche e le aziende del settore militare per lo sviluppo delle forze armate. La stretta collaborazione tra il Mafat e le università è spesso agevolata dal fatto che condividono parte del personale. Isaac Ben-Israel, ora Maggiore generale in pensione, ha ricoperto diversi ruoli di alto livello nell’esercito, l’ultimo dei quali a capo del Mafat. Congedato dall’esercito nel 2002, Ben-Israel è diventato docente dell’Univesrità di Tel Aviv. Qui ha fondato e continua a dirigere il Yuval Ne’eman Workshpo for Science, Technology and Security, dove si conducono ricerche che hanno applicazioni concrete per gli apparati di sicurezza, tra cui la sicurezza informatica, la robotica, i missili e le armi teleguidate. Vi si tiene anche un ciclo di conferenze ospitate dall’Università di Tel Aviv a cui prendono parte anche membri dell’esercito e delle agenzie di sicurezza, nonché produttori di armi nazionali e internazionali. La conferenza annuale sulla sicurezza informatica che si tiene nel campus è organizzata assieme al governo e agli espositori fieristici di armi israeliane e ha lo scopo di mettere in mostra le innovazioni tecnologiche sviluppate dall’Università di Tel Aviv e dalle aziende militari del paese. Il Yuval Ne’eman Workshop non è l’unico a esibire apertamente il valore della ricerca militare accademica promossa dalle università a beneficio delle industrie statali e militari. Molte delle collaborazioni del Mafat con dipartimenti e docenti sono pubblicizzate apertamente. Tra queste ci sono i corsi, le conferenze e le fiere che vedono protagonisti i centri di nanotecnologie gestiti da sei atenei in collaborazione con le agenzie governative e l’industria militare israeliana. Il Centro per le nanoscienze e le nanotecnologie dell’Università di Tel Aviv, ad esempio, collabora nel settore ricerca e sviluppo con le aziende israeliane produttrici di armi, tra cui Iai ed Elbit. […] Oltre ai campus, gli atenei dispongono spesso di “parchi tecnologici” in cui l’applicazione delle loro ricerche può essere tradotta in innovazioni per l’industria della sicurezza israeliana. All’Istituto Weizmann è legato Kiryat Weizmann, un parco scientifico hi-tech adiacente al campus che favorisce la ricerca e lo sviluppo in sinergia con aziende private. Qui, tra le altre, sono ospitate strutture dei produttori di armi Rafael, Elbit e della controllata di quest’ultima, El-Op. Il laboratorio nazionale per lo sviluppo di telecamere spaziali, inaugurato dal Ministero della difesa presso la sede di El-Op nel parco, lavora a tecnologie per il rilevamento di obiettivi fotografati in maniera illecita dai droni, un’innovazione sviluppata dall’Istituto Weizmann e dall’Università Ben-Gurion. […] Tutte e sette le principali università pubbliche in Israele hanno inoltre creato società di commercializzazione partecipate per agevolare l’esportazione. Queste aziende brevettano la proprietà intellettuale a scopo di lucro e commercializzano le innovazioni prodotte da studenti e docenti in collaborazione con aziende nazionali e internazionali. Com’è prevedibile, la maggior parte delle società di commercializzazione universitarie ha stretto partnership di lungo periodo con aziende produttrici di armi israeliane e straniere. La società di commercializzazione dell’Università Ebraica, Yssum (“applicazione” in ebraico), rivendica attualmente lo status di leader mondiale nelle tecnologie utilizzate per la «sicurezza nazionale». Il governo degli Stati Uniti investe ogni anno milioni di dollari a sostegno della ricerca “antiterrorismo” portata avanti dall’Università Ebraica e dell’acquisizione di tecnologie da parte di Yssum. Quest’ultima ha anche stretto un accordo con Lockeed-Martin che garantisce all’azienda statunitense la possibilità di ottenere licenze esclusive su ogni invenzione o prodotto derivato dalla ricerca applicata congiunta. La società di commercializzazione dell’Università Ben-Gurion, Bgn Technologies, svolge attività di ricerca e cooperazione congiunta con Rafael, Elbit, Iai e Loockeed-Martin. La società di commercializzazione dell’Università Bar-Ilan, Birad, ha avviato una partnership di lungo periodo con Rafael e ha promosso una collaborazione di ricerca con l’incubatore tecnologico della Elbit. Gli incontri tra il team tecnologico della Elbit e i ricercatori universitari hanno lo scopo di far conoscere agli sviluppatori di armi le ricerche scientifiche «pronte per essere messe a frutto». Questa collaborazione è fondamentale per l’industria militare israeliana, come ha dichiarato lo scienziato capo della Elbit: «Questi incontri sono uno degli strumenti che la Elbit utilizza per preservare la propria leadership tecnologica, monitorare le tecnologie emergenti e d’avanguardia e fornire un feedback al mondo accademico sulle esigenze dell’industria». Le università israeliane sono snodi cruciali del complesso militare-industriale dello Stato: con il loro operato sostengono il regime di apartheid e l’occupazione dei Territori palestinesi che fungono da laboratorio. […] L’industria militare e le università israeliane si alimentano reciprocamente fin dalla loro istituzione. Gli atenei hanno dato vita, finanziato e fatto progredire la ricerca scientifica in sinergia con gli apparati di sicurezza e le aziende israeliane produttrici di armi. Le università formano soldati e personale degli apparati di sicurezza in modo che possano affinare le loro capacità per preservare il governo militare sui Territori palestinesi occupati, producendo al contempo raccomandazioni politiche per contrastare la mobilitazione palestinese e la crescente opposizione internazionale. Mettono a disposizione i loro campus, le loro risorse, i loro studenti e i loro docenti per contribuire allo sviluppo delle tecnologie e degli armamenti impiegati contro i palestinesi e poi venduti in tutto il mondo come «testati sul campo». Una forma di complicità che non si può più ignorare L’Intifada dell’Unità, scoppiata nel 2021, ha rivelato in tutta la sua forza la doppia repressione degli studenti palestinesi, nelle università palestinesi e in quelle israeliane. In tutti i territori che controlla, Israele prende di mira l’istruzione superiore palestinese in quanto focolaio di politicizzazione e resistenza al suo dominio coloniale. Agli occhi israeliani, i palestinesi armati di istruzione che sfidano senza timore il regime di apartheid costituiscono una minaccia. Gli studenti palestinesi sono sottomessi mediante udienze disciplinari e mediante sequestri, torture, detenzioni in strutture militari e persino uccisioni nei campus palestinesi. Le università israeliane sono pilastri fondamentali di questo regime: non solo perché producono ricerche a beneficio delle forze di sicurezza dello Stato occupante, le addestrano e collaborano con loro, ma anche perché lavorano a stretto contatto con il governo per soffocare le mobilitazioni studentesche palestinesi nei campus. In definitiva, da oltre settantacinque anni le università israeliane svolgono un ruolo diretto nella repressione di Stato dei movimenti studenteschi palestinesi per la liberazione e nella negazione della libertà accademica dei palestinesi. È una forma di complicità che non si può più ignorare. (da Maya Wind. Torri d’avorio e d’acciaio. Come le università israeliane sostengono l’apartheid del popolo palestinese, Alegre, Roma, 2024)
In solidarietà con Paolo Todde e i detenuti di Uta. Un manifesto
Riceviamo e diffondiamo. La dimensione consigliata per la stampa è l’A3, ma è possibile riprodurlo anche come volantino in formato A4. Qui il pdf: paolo todde sciopero della fame uta manif a SOLIDARIETÀ CON PAOLO TODDE IN SCIOPERO DELLA FAME E CON I DETENUTI NEL CARCERE DI UTA Il 25 aprile alcuni detenuti hanno iniziato uno sciopero della fame a staffetta contro le gravi condizioni detentive del carcere di Uta, in Sardegna. Paolo Todde, recluso da ottobre 2024 con l’accusa di rapina, dall’8 maggio ha ripreso quest’iniziativa, avviando da solo uno sciopero della fame nello stesso carcere. Sovraffollamento, acqua imbevibile nei rubinetti, celle chiuse ventidue ore al giorno, assistenza sanitaria inesistente, assenza di spazi di socialità, limitazioni nell’accesso alla biblioteca interna. Gli aguzzini, i torturatori, i passacarte sono sempre al lavoro. A noi il compito di organizzarci per lottare contro il carcere e il suo mondo: perché il carcere è un perno fondamentale dell’attuale realtà sociale. Un monito agitato contro tutti coloro che a un certo punto potrebbero decidere di farla finita con quest’ordine cui lo Stato e il capitalismo intendono tenerci prigionieri. Lottare contro il carcere significa dunque battersi contro le artificiose “libertà” democraticamente concesse, per una dignità e una libertà integrali, per una vita radicalmente diversa da quella attuale. DALLE CARCERI ALLE STRADE: GUERRA AI PADRONI DELLA GUERRA