Tag - Afghanistan

Afghanistan, il terremoto che colpisce due volte: macerie e diritti negati
Un boato nella notte. Le case di fango e pietra che tremano e si sbriciolano come sabbia. Le famiglie che scavano a mani nude, tra il silenzio rotto solo dai lamenti. È l’immagine che arriva dall’Afghanistan orientale, colpita il 31 agosto da un terremoto di magnitudo 6.0 che ha devastato la provincia di Kunar, vicino al confine con il Pakistan. Secondo i dati ufficiali forniti dalle autorità e confermati da fonti internazionali, il sisma ha provocato oltre 1.400 morti e circa 3.500 feriti. Migliaia di case sono crollate all’istante, inghiottendo interi villaggi. Le frane hanno isolato strade e comunità già fragili. In alcune aree, i corpi sono stati sepolti in fosse comuni improvvisate: troppo alto il numero delle vittime, troppo scarse le risorse per dare a ciascuno una sepoltura dignitosa. Il disastro ha colpito un paese già in ginocchio. I finanziamenti internazionali, in particolare quelli americani, sono stati ridotti dopo il ritorno al potere dei talebani. Cliniche e ospedali hanno chiuso per mancanza di fondi, elicotteri e mezzi di soccorso restano a terra, e la macchina dei soccorsi, in una situazione simile, parte già mutilata. Il governo talebano ha lanciato un appello per aiuti internazionali, e alcune agenzie hanno risposto, ma la diffidenza resta alta: la comunità internazionale si interroga su come portare soccorso senza legittimare un regime che nega i diritti fondamentali a metà della sua popolazione. Il terremoto ha mostrato con spietata chiarezza un altro volto della tragedia: quello delle donne. Non solo colpite dai crolli come tutti, ma vittime due volte, del sisma e delle leggi che le imprigionano. In Afghanistan oggi una donna non può essere curata da un medico uomo senza la presenza di un accompagnatore maschile. Nelle zone più remote non sempre un familiare è disponibile, e la carenza di medici donna, conseguenza del divieto imposto alle ragazze di studiare medicina, rende l’accesso alle cure quasi impossibile. Così molte ferite sono rimaste a casa, curate alla meglio con rimedi locali, mentre le ore scorrevano decisive. Una condizione che trasforma un evento naturale in una catastrofe sociale, dove le discriminazioni pesano come macerie invisibili. Questa tragedia non è solo afghana. È uno specchio crudele per il mondo intero: mostra cosa significa affrontare una catastrofe senza diritti, senza libertà, senza voce. Ricorda che in un contesto di oppressione, un terremoto non scuote solo le case, ma le fondamenta stesse della dignità umana. Secondo le Nazioni Unite, oltre 23 milioni di afghani, quasi la metà della popolazione, vivono oggi in condizioni di grave insicurezza alimentare. Dopo il sisma del 31 agosto, l’ONU e la Croce Rossa hanno denunciato la mancanza di risorse adeguate per portare soccorso: molte cliniche sono state chiuse, i tagli internazionali hanno bloccato le forniture mediche e intere comunità restano isolate. In questo scenario disperato, ogni aiuto diventa questione di vita o di morte. Ma come inviare aiuti senza diventare complici? È la domanda che attraversa le cancellerie ei movimenti civili di tutto il mondo. Perché se da un lato è urgente garantire acqua, cura e ripari a chi ha perso tutto, dall’altro c’è il rischio che gli aiuti diventino strumenti nelle mani di chi nega i diritti fondamentali. La risposta non può che passare dalla comunità internazionale, dalle Nazioni Unite e dalle grandi organizzazioni umanitarie, che devono pretendere trasparenza, accesso diretto e garanzie per le donne ei più vulnerabili. Ogni pacco di viveri, ogni farmaco, ogni tenda consegnata agli sfollati sarà allora non solo un gesto di solidarietà, ma anche un atto politico di resistenza alla disumanizzazione. In Afghanistan, il terremoto ha distrutto villaggi e vite, ma il sisma più profondo resta quello dei diritti negati. Ecco perché la vera ricostruzione non sarà solo fatta di mattoni: comincerà quando il mondo troverà il coraggio di aiutare senza chiudere gli occhi, di tendere la mano senza rafforzare le catene. Fonti Washington Post, 2 settembre 2025 – I talebani chiedono aiuti internazionali mentre il bilancio delle vittime del terremoto in Afghanistan supera le 1.400 WSJ, 31 agosto 2025 – L’Afghanistan è stato colpito da un mortale terremoto di magnitudo 6.0 RFE/RL, 1 settembre 2025 – Le donne afghane subiscono le conseguenze del terremoto a causa delle restrizioni imposte dai talebani   Lucia Montanaro
Richiesta di aiuto per il terremoto in Afghanistan
Il cuore si spezza nel raccontarvi la tragedia che si sta consumando nelle province afgane di Kunar e Nangarhar. Dopo il terribile terremoto che ha raso al suolo interi villaggi, si contano oltre 1500 vite spezzate e più di 2500 feriti, tra cui innocenti bambini e donne. Le immagini di dolore sono strazianti: lacrime che si mescolano alla polvere, famiglie distrutte dal lutto, sopravvissuti intrappolati sotto le macerie, ancora in attesa di un aiuto che potrebbe arrivare troppo tardi. L’associazione FAWN, insieme alle altre organizzazioni locali, è sul campo, cercando disperatamente di salvare chi si può, di asciugare quelle lacrime e di scavare tra le macerie per trovare ancora qualche anima da salvare. Ma il bisogno è immenso, e il tempo è contro di noi. Tanti sono ancora intrappolati, tanti altri hanno perso tutto, e le ferite, visibili e invisibili, sono profonde. In questo momento di immensa sofferenza, abbiamo urgente bisogno del vostro aiuto. Una piccola donazione può fare la differenza tra la vita e la morte, tra la speranza e la disperazione. Vi chiediamo di unirvi a noi, di tendere una mano a chi non ha più niente, di diventare parte di questa lotta per la vita. Aiutateci a salvare vite, a portare conforto e speranza in un momento di dolore inimmaginabile. Perché anche nel buio più profondo, la luce della solidarietà può fare la differenza. Vi ringraziamo con tutto il cuore. https://www.gofundme.com/f/aiutaci-ora-la-speranza-ha-bisogno-di-te?utm_campaign=man_sharesheet_dash&utm_medium=customer&utm_source=copy_link&lang=it_IT&attribution_id=sl%3Abbd33f15-2835-4b84-8088-bd10ae10d10a Walimohammad Atai
Afghanistan, quattro anni di ingiustizia e impunità
 “Le autorità talebane devono ripristinare un quadro giuridico formale e lo stato di diritto” In occasione del quarto anniversario della presa del potere da parte dei talebani in Afghanistan, Amnesty International ha sollecitato le autorità di fatto talebane a porre immediatamente fine all’amministrazione arbitraria e iniqua della giustizia, ripristinando un quadro costituzionale e giuridico formale e lo stato di diritto, in conformità agli obblighi dello stato ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani. Da quando nell’agosto 2021 i talebani hanno assunto il potere, l’intero sistema giuridico afgano è stato smantellato e sostituito da un assetto normativo basato sulla religione, plasmato secondo un’interpretazione estremamente rigida della legge islamica (shari’a): un sistema segnato da profonde incoerenze, impunità dilagante e mancanza di assunzione di responsabilità, processi arbitrari, iniqui e non pubblici nonché punizioni inflitte sulla base di pregiudizi personali, comprese frustate pubbliche, maltrattamenti e torture. “Dopo quattro anni dalla presa del potere dei talebani ciò che rimane è un ordine giuridico profondamente nebuloso e coercitivo, che dà priorità all’obbedienza invece che ai diritti umani, al silenzio anziché alla verità”, ha dichiarato Samira Hamidi dell’ufficio campagne per l’Asia meridionale di Amnesty International. “Il sistema giudiziario dei talebani sta causando evidenti errori giudiziari. Non solo si è allontanato dagli standard internazionali sui diritti umani, ma ha anche annullato quasi due decenni di progressi”, ha aggiunto Hamidi. “Non c’è una legge alla quale appellarsi” Prima dell’agosto 2021 la legislazione afgana si basava su una Costituzione scritta e veniva adottata da organi parlamentari elettivi, grazie ad alcune riforme avviate nel 2001 che avevano portato a diversi miglioramenti. I tribunali operavano su più livelli (tribunali di primo grado, d’appello e corte suprema) e si avvalevano di pubblici ministeri indipendenti e di strutture autonome per la difesa legale. Le sentenze erano in genere documentate, soggette ad appello e sottoposte a controllo pubblico. Sotto il controllo dei talebani, i procedimenti giudiziari si svolgono generalmente davanti a un singolo giudice (qazi), affiancato da un esperto di diritto religioso (mufti), il quale esprime pareri sull’emissione di verdetti religiosi (fatwa) sulla base dell’interpretazione personale dei testi sacri. Un ex giudice ha spiegato ad Amnesty International le forti discrepanze nelle sentenze, dovute al ricorso a diverse scuole di pensiero islamico (fiqh) e orientamenti giuridici: “In alcune zone le decisioni si basano sul manuale Bada’i al-Sana’i, mentre in altre si fa riferimento al Fatawa-i Qazi Khan. Lo stesso reato può portare a verdetti completamente differenti”. Per un’accusa come il furto le sanzioni possono variare dalle frustate pubbliche alla detenzione di breve durata, a seconda delle interpretazioni individuali. Questa mancata uniformità ha reso il sistema giudiziario instabile, imprevedibile e arbitrario. Un ex pubblico ministero ha riferito che in alcuni tribunali rurali i giudici venivano visti consultare testi religiosi durante i processi alla ricerca di riferimenti ritenuti adeguati, con conseguenti lunghi ritardi e risultati incoerenti. L’assenza di leggi nazionali codificate ha privato le persone, tanto quelle comuni quanto quelle che praticano la professione legale, di qualsiasi certezza e chiarezza riguardo ai propri diritti e responsabilità. L’eliminazione delle donne dal sistema giuridico Prima della presa del potere da parte dei talebani, le donne ricoprivano attivamente il ruolo di giudice, magistrata e avvocata. Rappresentavano tra l’otto e il dieci per cento della magistratura e quasi 1500 erano registrate come avvocate e consulenti legali presso l’Ordine indipendente degli avvocati dell’Afghanistan, circa un quarto della sua intera composizione. Oggi la maggior parte di loro è costretta a nascondersi o a fuggire, dopo essere stata allontanata dal proprio incarico in seguito all’ascesa al potere dei talebani. Le istituzioni che un tempo offrivano tutela ai diritti delle donne, come i tribunali per la famiglia o i dipartimenti di giustizia minorile e contro la violenza sulle donne, sono state smantellati, lasciando le donne prive di un reale accesso alla giustizia e a rimedi effettivi. Come ha affermato un ex giudice: “Nei tribunali dei talebani la voce di una donna non viene ascoltata, non perché non abbia nulla da dire ma perché non è rimasto nessuno disposto ad ascoltarla”. “Viviamo tutti nella paura” Una ex giudice, che aveva prestato servizio presso un tribunale per la famiglia a Kabul e oggi vive in esilio, ha dichiarato: “Non esistono indipendenza del potere giudiziario né processi equi e non c’è accesso alla difesa legale. Avevamo costruito un sistema giuridico con delle regole e da un giorno all’altro [i talebani] lo hanno trasformato in qualcosa di spaventoso e imprevedibile”. Sotto il controllo dei talebani i processi si svolgono spesso in segreto. Non esiste un sistema di controllo pubblico e le sentenze non sono documentate né motivate. Le persone vengono arrestate senza mandato di cattura, detenute senza processo e, in alcuni casi, sottoposte a sparizione forzata. Un ex pubblico ministero ha raccontato: “Prima dell’agosto 2021 dovevamo giustificare ogni arresto con prove documentate e indagini. Ora qualunque persona può essere fermata per come si veste o per aver espresso un’opinione e nessuno chiederà il motivo”. Le condanne pronunciate in assenza di un processo equo o di un adeguato riesame legale consistono spesso in pene corporali come le frustate o in esecuzioni capitali, che hanno luogo nelle piazze cittadine o negli stadi. Tali atti violano il diritto alla dignità e alla protezione contro la tortura e le esecuzioni extragiudiziali. Diverse testimonianze hanno riferito di frustate in pubblico ai danni di giovani uomini per aver ascoltato musica o di donne per non essersi completamente coperte. Queste azioni pubbliche non sono solo punizioni: sono strumenti di paura e controllo. L’ex pubblico ministero ha aggiunto: “Viviamo tutti con il timore di essere il prossimo esempio”. “Il sistema giudiziario dei talebani mina i principi fondamentali di equità, trasparenza, assunzione di responsabilità e dignità. Non è costruito sulla tutela dei diritti umani ma sulla paura e sul controllo. Per molte persone in Afghanistan, soprattutto per le donne, la giustizia non è più qualcosa a cui aspirare, ma qualcosa senza la quale bisogna imparare a sopravvivere”, ha concluso Samira Hamidi. I talebani devono revocare immediatamente le loro leggi repressive, porre fine alle pene corporali e rispettare i diritti umani di tutte le persone. Devono inoltre rispettare, proteggere e garantire in modo attivo ed efficace l’indipendenza del potere giudiziario e lo stato di diritto, anche attraverso una riforma del sistema giudiziario e assicurando che giudici, avvocate e avvocati, magistrate e magistrati e altre figure giuridiche possano fornire servizi alla popolazione afgana in conformità agli obblighi assunti dal paese ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani. Amnesty International ha esortato la comunità internazionale ad agire senza indugio, esercitando pressioni diplomatiche e avviando un confronto fermo e basato su princìpi con le autorità di fatto talebane, per esigere il ripristino di un sistema legale formale, la protezione dei diritti umani e lo stato di diritto in Afghanistan. Amnesty International
Afghanistan, che cosa c’è dietro l’immagine ripulita dei Talebani. Seconda parte
Negli ultimi quattro anni, le organizzazioni, tra cui Rawa, che cercavano di organizzare proteste e di far sentire la voce delle donne afghane come resistenza contro i Talebani hanno subìto arresti, minacce, uccisioni delle loro aderenti e questo è il motivo per cui la protesta ha cambiato forma. Ora, come organizzazione, e credo che questo valga anche per la maggioranza delle donne afghane, ci stiamo concentrando su metodi clandestini di resistenza e crediamo che una di queste forme di resistenza sia aumentare la consapevolezza delle donne e il loro livello di istruzione. Ed è per questo che negli ultimi quattro anni abbiamo cercato di organizzare corsi segreti a domicilio di inglese, informatica o scienze, per le ragazze che non possono andare a scuola e per le donne più grandi. Abbiamo cercato di mobilitare un grande numero di donne per poter dare più consapevolezza e coraggio alle giovani generazioni affinché resistano ai Talebani. Anche la resistenza delle donne in Iran ci ha incoraggiato e ispirato molto, facendoci capire che il fascismo religioso e il fondamentalismo religioso, sebbene siano al governo da decenni, non possono mettere a tacere le donne. Le donne più istruite e consapevoli dei propri diritti saranno sicuramente in grado di affrontare le minacce e di trovare il modo di resistere. E lo vediamo ancora di più attraverso l’uso dei social media, dei corsi online, attraverso corsi segreti e opportunità educative. Le donne stanno cercando di mobilitarsi di più contro i Talebani e soprattutto contro la polizia religiosa. Posso sicuramente dire che il nostro lavoro sta migliorando rispetto a quanto si faceva prima. E la semplice ragione è che prima del 2021 c’erano molte opportunità per le donne, università private, college, scuole, tutto. Ora solo organizzazioni come Rawa e alcune ONG offrono opportunità di istruzione o corsi di alfabetizzazione per le donne. Il problema che abbiamo è la sicurezza. Purtroppo, non possiamo costruire classi numerose o centri per le donne. Non possiamo portare più donne in alcune regioni, soprattutto non possiamo portare avanti alcun progetto dove i Talebani sono molto forti e nelle piccole città. Nelle grandi città è più facile prenderci cura delle misure di sicurezza. La maggior parte sono lezioni clandestine o segrete a domicilio. Si svolgono all’interno delle case degli insegnanti. Non paghiamo l’affitto per l’edificio o per la lezione. Una normale stanza per la vita quotidiana è usata anche come una classe. La rete degli insegnanti è composta da persone che già conosciamo e di cui ci fidiamo, che sono molto creative nel trovare studenti affidabili e nell’ampliare le loro reti senza trasformare la loro casa in una scuola ufficiale. In ogni classe, il numero medio di studentesse è di 15-20. In alcune zone vediamo che 50-60 donne vorrebbero partecipare e purtroppo, per motivi di sicurezza, non possiamo permetterlo. Non possiamo nemmeno scegliere due o tre case molto vicine, perché se succedesse qualcosa a una delle nostre classi segrete potrebbe venire coinvolta anche l’altra. Quindi, dobbiamo stare attente a mantenere la distanza tra le nostre classi. L’insegnante e le studentesse sono molto creative nel trovare soluzioni ai loro problemi di sicurezza. È comune in Afghanistan che le donne si riuniscano per confezionare abiti  e per insegnare/imparare il Corano, che è considerato un atto religioso. In ognuna di queste lezioni abbiamo il Corano e l’insegnante, qualora i Talebani entrassero in casa, direbbe che si tratta di studi coranici e che la lavagna e tutto il resto servono per insegnare il Corano. E ai Talebani va bene. Nelle nostre classi nel tempo si sviluppa una grande solidarietà tra le ragazze, le donne e le insegnanti. Di recente, una delle ragazze a causa delle pressioni della famiglia aveva abbandonato la classe; è accaduto a Kabul, che è la zona più sicura rispetto ad altre. Le sue compagne di classe indagano e quando scoprono che è il fratello a non permetterlo, un folto gruppo di 10-12 compagne di classe si è unito per convincerlo. Sfortunatamente, non ci sono riuscite, pur avendo ottenuto il consenso dei membri maschi della sua famiglia e sebbene si fossero offerte di alternarsi nell’accompagnarla. La politica di Rawa non è solo quella di fornire l’alfabetizzazione, ma anche di dare alle donne ferite l’opportunità di parlare tra di loro di cosa soffrono, che tipo di discriminazione subiscono all’interno della famiglia, cosa possiamo fare. In moltissimi casi l’insegnante va a trovare la famiglia quando sorgono problemi di qualsiasi tipo. E’ successo recentemente a Jila, una giovane studentessa; la famiglia voleva darla in matrimonio, mentre lei voleva continuare le sue lezioni. L’insegnante è andata a parlare con i membri maschi della famiglia per dire loro che la figlia non era ancora pronta per questa proposta di matrimonio e fortunatamente loro hanno acconsentito a rimandarlo. Abbiamo molti esempi di questi piccoli successi nel migliorare la vita delle donne, delle bambine e delle ragazze afghane, il che ci dà molto coraggio. Come organizzazione nutriamo grande speranza nel futuro; ora viviamo un momento buio della nostra storia, ma non è destinato a durare per sempre. Prima o poi la luce tornerà a risplendere sull’Afghanistan. Link alla prima parte dell’articolo, Fiorella Carollo
Afghanistan, dal riconoscimento del governo talebano all’affossamento dell’ONU
Nella corsa di tutte le potenze mondiali al miglior posizionamento in Asia centrale attraverso gli accordi con i Talebani, la Russia è arrivata per prima. Ha infatti ufficialmente riconosciuto l’Emirato islamico dell’Afghanistan, rompendo il fronte dei Paesi che ancora mantengono la difesa dei diritti umani e dei principi democratici come preliminari al riconoscimento. Posizione che peraltro l’ONU stesso è andato via via abbandonando in nome del realismo: di fronte alla resistenza dei Talebani alle sue richieste e alle sanzioni, ha ben presto cercato una formula che permettesse di normalizzare il governo talebano senza perdere la faccia. Così, in continuità con gli accordi di Doha del 2020, che avevano abbandonato l’Afghanistan in mano ai fondamentalisti in nome della sicurezza contro il terrorismo, l’ONU ha proceduto nella politica decisa con la Risoluzione  2721 del 2023  concretizzandola con gli accordi di Doha 2 e 3 del 2023-2024 che hanno riconosciuto ai Talebani il diritto a partecipare a tutti gli effetti alle conferenze internazionali come unici rappresentanti dell’Afghanistan, escludendo invece le donne, i loro diritti e i diritti del popolo tutto. Questa strategia di avvicinamento e dialogo è diventata più stringente nel 2025 con l’affidamento all’UNAMA delle trattative del Piano Mosaico, che ha permesso di spostare sul piano “tecnico” i colloqui diplomatici con i Talebani, per arrivare nei giorni 31-6/1-7, nell’ambito e a compimento di Doha3, a due gruppi di lavoro segreti per discutere le richieste che fin da subito i Talebani avevano posto sul tavolo come condizione per la partecipazione: nessuna intrusione nella politica interna dettata dalla Sharia, quindi nessun diritto riconosciuto a nessuno; rimozione della condanna dei Talebani e del loro governo, quindi riconoscimento giuridico; sostegno economico, quindi restituzione dei fondi bloccati nella banca svizzera dagli Usa. Il tutto in cambio di niente. Due strategie parallele Ma mentre queste trattative venivano portate avanti in nome dell’ONU, gli Stati membri erano tutti d’accordo con questa strategia? No, non tutti. Gli Stati e le potenze asiatiche che vogliono tener fuori gli Usa dall’influenza regionale hanno nel frattempo messo in atto una loro diplomazia, basata su accordi commerciali e aiuti economici e infrastrutturali, esplicitamente disinteressandosi ai problemi politici e democratici dell’Afghanistan. Infatti, proprio mentre i maggiori Paesi occidentali discutevano il Piano mosaico, questi altri si davano da fare con incontri economici e politici a vari livelli regionali invitando ufficialmente l’Afghanistan. Hanno cioè messo in atto una diplomazia parallela, che riconosce di fatto il governo talebano, in attesa di riconoscerlo anche giuridicamente. La Russia, riconoscendo ufficialmente l’Emirato per prima, ha accelerato questo processo notevolmente e in modo imprevisto, sebbene fosse stato preannunciato da diverse azioni politiche e diplomatiche. Ma questa mossa che ha scavalcato tutti gli altri Paesi avrà davvero delle ricadute pratiche, segnando una svolta nei privilegi economici e politici che l’Afghanistan riserverà alla Russia in questa fase, portando a progressi significativi nei loro rapporti? Probabilmente no, per due motivi: 1) Innanzitutto, i rapporti tra i due Paesi erano già buonissimi, avendo la Russia, come si è detto, curato di inserire già da tempo il governo talebano come rappresentante legittimo e unico dell’Afghanistan in tutti i vertici internazionali dell’area asiatica, quindi riconoscendolo già di fatto; 2) Perché i Talebani sembrano interessati a mantenere i rapporti aperti con il maggior numero possibile di Paesi – come loro stessi hanno affermato – senza legarsi a qualcuno in particolare. Quindi useranno questo riconoscimento giuridico più per fare pressione sugli altri Paesi, soprattutto occidentali, che per fare concessioni speciali alla Russia. Contro l’ONU in quanto istituzione multilaterale La Russia lo sa. Quindi, cosa l’ha spinta a questo passo precipitoso? Quella di Putin, più che una dichiarazione di amicizia verso l’Afghanistan dei Talebani, sembra essere una provocazione nei confronti degli Usa e dell’Occidente, la dimostrazione che non ha scrupoli, come non ne ha Trump, nella guerra per affermare il proprio predominio in Asia centrale – oltre a essere una dichiarazione di disponibilità verso i Paesi grandi e piccoli dell’area a porsi senza esitazioni come capofila della fronda dell’ONU espressa da quei paesi, asiatici, che si oppongono al predominio Usa nell’ONU e alla sua presenza in Asia. Ma soprattutto è una dichiarazione di guerra all’ONU in quanto istituzione, un boicottaggio della sua autorevolezza, un sabotaggio della sua capacità di gestire i conflitti nella difesa dei diritti umani, perché ha reso superato e inutile la sua strategia arrendevole e dilatoria nei confronti dell’Afghanistan. L’ONU non ha perseguito con forza e coerenza la politica dei talebani di apartheid di genere e antidemocratica perché fin dall’inizio, dagli accordi di Doha del 2020, ha sostenuto e approvato la scelta degli Usa di accettare e mantenere al governo i Talebani, perché questi, sebbene fondamentalisti e dittatori, sono visti come l’unica possibilità di governo in Afghanistan, male minore di fronte alle alternative terroriste. Ma aveva cercato di mimetizzare questo suo reale obiettivo con un approccio graduale nell’accettare le loro richieste, mantenendo formalmente i principi della restituzione della libertà alle donne e della formazione di un governo inclusivo. In questa strategia che vuole essere democratica e multilaterale, l’ONU in realtà vuole tenere tutti gli Stati sotto la direzione degli Usa e dell’Occidente, o almeno viene percepita come tale. La Russia, con il riconoscimento del governo talebano in barba e al di fuori degli accordi che l’ONU sta perseguendo, ha reso ridicola la tattica di mediazione internazionale. Ha affossato l’ONU non tanto per la gravità e i pericoli dell’atto in sé – perché il riconoscimento è comunque lo scopo finale anche dell’ONU stesso – ma perché l’ha fatto unilateralmente. In questo Putin fa il pari con Trump e gli Usa. Infatti gli Usa sono stati tra i pochissimi Stati che non hanno votato la dichiarazione finale dell’Assemblea delle Nazioni Unite sull’Afghanistan volta a salvaguardare i principi su cui è basata la convivenza umana del mondo. Che cosa accomuna queste due decisioni apparentemente lontane e dissimili? Il disprezzo per le istituzioni internazionali conciliative e di garanzia, per l’ONU come organismo sovranazionale di governo e risoluzione dei conflitti fra gli stati. L’obiettivo di Usa e Russia non è più quello di darsi battaglia all’interno dell’ONU per avere l’egemonia così da orientarlo e manovrarlo a loro favore: vogliono svuotare questa istituzione di significato e potere, perché puntano ormai a competere direttamente per l’egemonia e spartizione del mondo, senza intermediari e impedimenti.   CISDA - Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane
Afghanistan, che cosa c’è dietro l’immagine ripulita dei Talebani. Prima parte
Il 15 agosto 2021 Kabul fu presa dai Talebani mentre gli Stati Uniti con i loro alleati abbandonavano in tutta fretta il Paese. Questo evento ha segnato un punto di non ritorno per le donne afghane, che da quel giorno sono progressivamente cadute in un incubo senza fine. Per questo  il CISDA (Coordinamento italiano di sostegno alle donne afghane ) ha organizzato un incontro con una esponente di RAWA (Revolutionary Association of Women in Afghanistan), che afferma: ”Ci consideriamo la più antica organizzazione politica femminile in Afghanistan. Pensiamo che qualsiasi cambiamento, qualsiasi miglioramento della situazione delle donne, in qualsiasi società, non possa realizzarsi senza cambiamenti politici.” Pubblichiamo di seguito le sue considerazioni. La situazione attuale in Afghanistan non è quella dipinta dai media occidentali. Di solito si legge che la vita è tornata alla normalità, c’è la pace e che la situazione è in qualche modo migliorata, ma questa non è assolutamente la realtà. C’è un livello di pressione sulla nostra società che fa sì che tutto sembri tranquillo. Ma quando vivi qui come afghano, vedi che ogni singolo uomo e donna ha i suoi problemi, le sue preoccupazioni, che sono infinite. L’attuale regime talebano è principalmente, come abbiamo sempre detto, sostenuto dagli Stati Uniti. I Talebani non sono mai stati una forza unita. Ci sono state e continuano a esserci delle divergenze tra loro, tra filo-cinesi, filo-iraniani e filo-sovietici, ma continuano a rimanere collegati e dipendere dal sostegno finanziario degli Stati Uniti. Si affidano alla leadership della CIA e all’ISI pakistano e il regime pakistano continua la sua funzione di guardiano, una sorta di padre per i Talebani afghani (anche se la prima ad organizzarli in realtà fu una donna,  Benazir Bhutto). Le divergenze più accese e crescenti tra i Talebani sono dovute alla situazione interna; le varie regioni in Afghanistan sono divise tra le diverse fazioni e ognuna di loro, come Mula Habibullah, Mula Yakub o Mula Hakani, cerca di avere più potere controllando le miniere, le zone di produzione dei minerali, la produzione di droga, lo smercio di droga verso gli altri Paesi e anche il contrabbando che è estremamente redditizio. Nel giro di quattro anni, da quando sono tornati al potere, molti funzionari nel governo, leader e  comandanti si sono trasformati in potenti figure politiche, sostenuti da una forza finanziaria e da diversificate fonti economiche. Il denaro settimanale che arriva dagli Stati Uniti viene diviso tra i loro comandanti e leader. Non si può dire che i Talebani siano deboli finanziariamente. Stanno cercando di sfruttare sia le opportunità che hanno a livello locale, sia quelle internazionali, attraverso i finanziamenti degli Stati Uniti, da cui ricavano un reddito considerevole. In alcune regioni dell’Afghanistan, come ad esempio Tahar, una provincia settentrionale del Badakhshan, e Panjsher, che si trova anch’essa per la maggior parte nella zona settentrionale, nel Nuristan, si trovano le principali grandi miniere del Paese e ogni fazione talebana sta cercando di metterci le mani. Apparentemente è un progetto governativo, ma per lo più si tratta di un progetto privato in cui stanno cercando di scavare più miniere possibili e prenderne il controllo prima che la gente possa accaparrarsi oro e pietre preziose. I Talebani non permettono ai contadini e alla gente del posto di avvicinarsi; per questo  mandano i loro soldati a controllare e a difendere le miniere. I media internazionali affermano che la produzione e la coltivazione di droga sono diminuite in Afghanistan, ma questa non è la realtà: a livello locale, ogni comandante talebano ha le proprie regioni, le proprie aree in cui è ancora consentita la produzione di droga e le proprie aree di confine in cui la contrabbanda. A volte leggiamo che ci sono stati scontri armati tra Talebani, come ad esempio nelle zone in cui si scava una miniera. Di recente dei soldati talebani hanno preso le armi contro il loro comandante perché sapevano che non avrebbero ricevuto lo stipendio, mentre il comandante si stava costruendo una grande casa. Il governo non prende alcuna decisione perché le stesse persone che ricoprono posizioni chiave sono coinvolte in questa corruzione. Non si preoccupano della gente, non si preoccupano del miglioramento dei loro soldati, ma di ciò che serve per riempirsi le tasche. I Talebani stanno attenti a fornire al mondo un’immagine di sé “ripulita”, ma noi vediamo quotidianamente le prove dei loro crimini morali sui social media locali. Parliamo ad esempio del rapimento di ragazze e donne, i matrimoni forzati, le minacce e così via. Abbiamo un sacco di prove in forma di videoclip o clip vocali, pubblicate per denuncia dalle persone o dalle stesse vittime. Sfortunatamente nessuno di loro viene rilanciato sui media internazionali. I Talebani hanno successo nel propagandare un’immagine di se stessi come persone pulite, molto religiose, oneste, ma questa non è la realtà. Fanno schifo, tanti di loro minacciano, usano la forza delle armi per il loro tornaconto economico; è un comportamento diffuso e molto comune. Oggi molte famiglie stanno affrontando una grave pressione a causa della crisi economica e non trovano altra soluzione se non quella di dare in sposa le figlie in età molto giovane. È più comune, come lo era in passato, nei villaggi delle zone rurali, ma dalla chiusura delle scuole e dai cambiamenti avvenuti nella vita degli afghani negli ultimi quattro anni è un fenomeno che possiamo riscontrare anche nelle grandi città come Kabul. Nelle nostre società le donne in genere non sono protette, soprattutto quando sono giovani e adolescenti vengono considerate un peso per la famiglia; hanno solo la responsabilità di contrarre un matrimonio il prima possibile, di avere figli e di gestire una famiglia. Questo è l’unico dovere che la società attuale attribuisce alle donne. Ed è per questo che molte famiglie credono che sia una sorta di protezione per le bambine darle in sposa il prima possibile. Quando subiscono pressioni da parte dei Talebani o dei comandanti, le danno in sposa a chiunque. Negli ultimi quattro anni, esattamente come sta accadendo con i signori della guerra jihadisti, i Talebani, usando la forza delle armi, cercano ragazze non sposate, poi le danno come seconde, terze e persino quarte mogli ai loro leader religiosi e comandanti militari. Oggi quando si entra nella capitale, metà degli appartamenti, delle grandi case, delle grandi proprietà bene in vista sono state acquistate dai comandanti militari o dagli spacciatori. Se un domani i Talebani dovessero trovarsi nella condizione di fuggire, non potranno farlo facilmente perché qui hanno molte proprietà. I comandanti talebani sono presenti in ogni zona residenziale con le loro guardie del corpo, le loro auto costose e il loro personale. Nelle zone più eleganti di Kabul, nel ristorante più costoso, con decorazioni dorate come se fosse un palazzo antico, i Talebani arrivano scortati dalle guardie del corpo e anche nei negozi più costosi i clienti sono quasi solo loro. I Talebani di oggi non sono quelli che presero il potere nel 1996  per cinque anni; ora si preoccupano dei loro interessi privati e benefici economici, come hanno imparato dalla corruzione dei leader jihadisti, da Khazai, dal regime di Ashraf Ghani. Se si hanno più risorse finanziarie, si possono proteggere meglio i propri cari, le proprie forze armate e le proprie famiglie. Molti leader talebani hanno mandato i figli, anche le bambine, a vivere all’estero, in Qatar e in altri Paesi arabi, dove godono di una vita migliore e di una migliore istruzione. Attualmente l’Afghanistan non ha un’economia. La vita è gestita attraverso il sostegno settimanale che arriva al governo dagli USA e attraverso il sistema di tassazione forzata introdotto dai Talebani: ogni negozio, ogni casa e persino le ONG, le organizzazioni, le aziende… tutti pagano tasse elevate, raddoppiate rispetto a prima. La maggior parte dei lavori infrastrutturali, come la costruzione di strade, l’installazione di telecamere di sicurezza, la creazione o la ricostruzione di piazze e altro ancora sono eseguiti con l’uso della forza, costringendo organizzazioni e imprenditori privati. Apparentemente, agli occhi stranieri, sembra che i Talebani abbiano migliorato la vita, perché sono state costruite le strade principali, ma la maggior parte dei finanziamenti viene sottratta con la forza a donatori privati e individui.   Fiorella Carollo
Mille splendidi fiori, storie di cura, coraggio e comunità tra Afghanistan e Alto Adige
Martedì 5 agosto 2025 alle ore 21:00 Pavillon di San Vigilio di Marebbe (Provincia autonoma di Bolzano, Alto Adige) Evento organizzato da Costa Family Foundation, Insieme si può, Rawa, Gea, Dolomites San Vigilio Una serata per ascoltare voci spesso invisibili: donne che resistono, custodiscono e si fidano. Dall’Afghanistan dell’Associazione RAWA, dove anche una tisana può diventare gesto politico, all’Alto Adige, dove la violenza di genere si nasconde dietro porte chiuse e silenzi troppo lunghi. Un dialogo aperto tra mondi apparentemente distanti – impresa e sociale, poesia e attivismo – uniti dalla stessa tensione verso la dignità e la trasformazione. Parole, musica, volti e storie si intrecciano in un racconto collettivo. A chiudere, un gesto semplice: una tisana condivisa. Perché far fiorire, in fondo, è un atto rivoluzionario.     Redazione Italia
Afghanistan. Come cambiare la percezione senza cambiare la sostanza
Siamo quasi all’anniversario della presa del potere dei talebani del 15 agosto 2021, che ha portato in Afghanistan a una precipitazione dei diritti delle donne e delle condizioni di democrazia e di vita per tutti per la svolta estremamente fondamentalista che l’interpretazione restrittiva della Sharia dei Talebani ha comportato. In questi giorni il poco interesse che i media esprimono per l’Afghanistan si concretizza in una notizia che rimbalza praticamente uguale in tutti i brevi articoli che la narrano: esiste una nuova possibilità per le donne afghane rappresentata dalla ripresa del turismo, poiché a Kabul si possono fare tour gestiti da donne e rivolti alle donne. In realtà si tratta di un’unica esperienza di questo genere  e riguarda la visita al museo di Kabul  guidata da una giovane donna e fruita da un piccolo gruppo di straniere, tutte con il velo in testa ma, sorprendentemente – e la cosa salta agli occhi nel grigio panorama delle strade frequentate soprattutto da uomini e da poche donne nascoste in lunghi vestiti neri – vestite con abiti colorati, come mostra un servizio di Rai News.it. Significa che sta cambiando qualcosa nel fondamentalista e repressivo Afghanistan dei Talebani? E’ proprio come la racconta il servizio di Rai News, che commenta il suo documentario con un giudizio positivo e quasi entusiasta sulla possibilità di “cambiare, un passo alla volta, la percezione del Paese”? In realtà, l’ingenuo commento non afferra il vero significato di questi tour, e cioè l’interesse dei Talebani di cambiare la percezione negativa che il mondo ha dell’Afghanistan senza cambiare la sostanza delle condizioni di segregazione e privazione dei più elementari diritti delle donne, che continua invece a essere raccontata da innumerevoli testimonianze e dalle più svariate fonti. Permettere a una manciata di donne di usare un briciolo di libertà serve ai Talebani per mostrare il presunto “volto umano” del loro governo, che invogli il resto del mondo al riconoscimento della “normalità” del loro sistema di governo, in realtà fondamentalista, violento, liberticida e di apartheid verso le donne. Non si tratta, quindi, di avere il coraggio di sfidare i divieti, ma invece di essere strumento, più o meno consapevole, di un’operazione pubblicitaria di camuffamento della realtà. Mentre si danno notizie di “novità” come questa, bisognerebbe sempre ricordare il contesto in cui avvengono, se si vuole davvero fare informazione.   CISDA - Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane
Afghanistan: rimpatri forzati di rifugiati afghani dal Tagikistan
Il governo tagiko ha ufficialmente confermato di aver rimpatriato forzatamente dei rifugiati in Afghanistan, secondo il Times of Central Asia. Questa comunicazione fa seguito alle notizie secondo cui 150 rifugiati afghani, molti dei quali con lo status di rifugiato confermato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), sono stati arrestati e rimpatriati con la forza dalle autorità. All’inizio di questo mese, tutti i rifugiati afghani in Tagikistan avevano ricevuto un ultimatum di 15 giorni che intimava loro di lasciare immediatamente il Paese. Si teme che molti si trovino ad affrontare situazioni di estremo pericolo al loro ritorno. Si pensa che tra coloro che rischiano il rimpatrio forzato ci siano diversi cristiani, che in Afghanistan andrebbero incontro al carcere o alla pena di morte. I talebani hanno infatti affermato che uccideranno tutti i cristiani che vivono nel Paese. Nel recente passato hanno organizzato vere e proprie cacce all’uomo, casa per casa, nei confronti di cristiani. In particolare, hanno preso di mira i responsabili di chiesa afghani: molti di loro sono scomparsi, mentre altri sono stati picchiati, torturati e uccisi. Dopo il ritorno al potere dei talebani nel 2021, l’Afghanistan è arrivato a occupare per un anno il primo posto nella World Watch List di Porte Aperte/Open Doors, che classifica i paesi in cui i cristiani affrontano le persecuzioni e le discriminazioni più estreme. Secondo una dichiarazione ufficiale del Comitato di Stato per la Sicurezza Nazionale della Repubblica del Tagikistan: “Un certo numero di cittadini stranieri ha violato gravemente i requisiti stabiliti per il loro soggiorno. Inoltre, durante l’ispezione, sono emerse le seguenti prove di violazioni (…) della legislazione della Repubblica del Tagikistan: traffico illegale di droga, incitamento e propaganda di movimenti estremisti, presentazione di informazioni e documenti falsi per ottenere lo status di rifugiato. In particolare, a questo si deve anche l’espulsione di un certo numero di cittadini afghani dal Paese. A questo proposito, sono attualmente in esame delle misure per espellerli dal territorio del Tagikistan, in conformità con la legislazione della Repubblica“. Secondo l’agenzia di stampa Khamaa Press, questi rimpatri forzati hanno separato le famiglie. Ci sarebbero anche casi di bambini rimpatriati mentre i genitori si trovano ancora in Tagikistan. Alcuni dei rifugiati che si trovavano nel paese avevano domande di asilo attive e alcuni dovevano essere reinsediati in Canada. Il Tagikistan è solo una delle nazioni che ha rimpatriato i rifugiati afghani. Secondo l’UNHCR, più di un milione di afgani sono stati rimpatriati dal Pakistan a seguito del suo “Piano di rimpatrio degli stranieri illegali”. Allo stesso modo, nel 2024 circa un milione di persone sono state forzatamente rimpatriate dall’Iran. Jan de Vries, ricercatore di Porte Aperte/Open Doors per l’Asia Centrale, ha commentato: “Sono molto preoccupato per le donne che sono state deportate: che futuro avranno? E penso anche ai cristiani deportati che dovranno nascondersi ancora più di prima. Il rimpatrio potrebbe mettere a serio rischio la vita dei cristiani, poiché i talebani si oppongono violentemente all’esistenza di cristiani in Afghanistan“. L’Afghanistan si trova alla posizione numero 10 della World Watch List. In questo Paese, abbandonare l’islam è considerato un’onta dalla famiglia e dalla comunità, e la conversione è punibile con la morte secondo la legge islamica, la Sharia, applicata in modo sempre più rigoroso da quando i talebani hanno preso il controllo del paese nel 2021. Fonte CS di Fondazione Porte Aperte ETS Redazione Italia
I Talebani intensificano l’apartheid di genere: decine di donne arrestate per “violazione dell’hijab”
In questi giorni abbiamo ricevuto il racconto affranto delle donne appartenenti alle associazioni afghane che sosteniamo, le quali confermano le notizie allarmanti apprese da alcuni siti circa l’arresto arbitrario di decine di donne da parte della polizia morale, presumibilmente per “violazioni dell’hijab”, trattenute senza accesso a un legale, senza contatti con i familiari e senza assistenza medica. Ci hanno scritto: “Negli ultimi giorni, la situazione per donne e ragazze è tornata ad essere estremamente allarmante. La polizia morale pattuglia le strade, ferma i veicoli e trattiene le donne con la forza. Molte ragazze sono sotto shock e spaventate, hanno paura anche solo di uscire di casa. Secondo quanto riferito, dopo essere state rilasciate, alcune donne sono state rifiutate dalle loro famiglie, come se il peso dell’ingiustizia fosse ancora una volta posto sulle loro spalle. Una ragazza, che per paura aveva inizialmente negato di avere subito un arresto, quando ha compreso il nostro sostegno ha iniziato a piangere e ha detto: ‘Per Dio, ero completamente coperta: indossavo l’hijab, la maschera e il chapan, ma all’improvviso mi hanno circondata come animali selvatici, mi hanno insultata e colpita con una pistola”. Sono svenuta per la paura e il dolore. Quando ho ripreso conoscenza, mi trovavo in uno scantinato buio con decine di altre ragazze assetate e terrorizzate, senza alcun contatto con le nostre famiglie. Quello che abbiamo passato è stato peggio della morte…’.  Con voce tremante, ha aggiunto: ‘La libertà è stata l’inizio di un nuovo dolore. Il comportamento di tutti nei miei confronti è cambiato, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Vorrei non essere mai uscita di casa’. Questa paura ha colpito profondamente anche le nostre studentesse. In molte, piangendo, hanno confermato quanto amano imparare, ma hanno chiesto di essere esentate dalla frequenza per qualche giorno, finché la situazione non si sarà calmata. Abbiamo deciso di sospendere le lezioni per due settimane. Anche oggi la polizia morale è passata diverse volte davanti al nostro centro e non possiamo mettere a repentaglio la sicurezza delle nostre studentesse. Sono giorni bui e pesanti, ma la vostra presenza e il vostro sostegno sono per noi una luce di speranza e conforto, la vostra solidarietà ci dà la forza per andare avanti”. Nel suo sito, RAWA NEWS informa: In un nuovo e più intenso attacco alle libertà delle donne, i Talebani hanno lanciato un’ondata di arresti arbitrari in tutto l’Afghanistan, prendendo di mira donne e ragazze accusate di aver violato l’interpretazione estremista che il gruppo dà delle regole sull’hijab. Solo nell’ultima settimana, decine di donne sono state arrestate a Kabul, Herat e Mazar-e-Sharif, applicando standard di “modestia” vaghi e mutevoli, senza alcun processo o giustificazione legale. Questi arresti avvengono in strade, centri commerciali, caffè e campus universitari, spazi pubblici dove le donne cercano semplicemente di condurre la propria vita quotidiana. A Kabul, nelle zone di Shahr-e-Naw, Dasht-e-Barchi e Qala-e-Fataullah, i testimoni hanno riferito che in alcuni casi le donne sono state aggredite fisicamente dagli agenti talebani prima di essere costrette a salire sui veicoli. Poi sono state trattenute nei cosiddetti “centri di moralità” – strutture gestite dal Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, un’istituzione temuta che ora opera come una forza di polizia religiosa – e rilasciate solo dopo che i loro tutori maschi avevano firmato garanzie scritte che avrebbero “corretto” il loro comportamento. Negli ultimi giorni a Herat sono state arrestate almeno 26 donne, molte delle quali giovani e alcune minorenni; a Mazar-e-Sharif una decina, sempre con l’accusa di non coprirsi completamente il volto. I funzionari talebani hanno confermato gli arresti, sostenendo che le donne erano state avvertite in precedenza. Secondo quanto riferito, le arrestate sono state trattenute senza poter usufruire di assistenza legale, contattare le proprie famiglie o ricevere cure mediche. Alcune famiglie hanno paura di far uscire di casa le proprie figlie, temendo che possano essere arrestate. Non per la religione, ma per il predominio Le Nazioni Unite e gli osservatori dei diritti umani hanno condannato questi arresti, ritenendoli delle gravi violazioni del diritto internazionale e un chiaro segno di apartheid di genere. Tuttavia, i Talebani non sembrano intenzionati a cedere. Anzi, i funzionari del ministero hanno raddoppiato le loro minacce, annunciando che qualsiasi donna trovata a indossare un “cattivo hijab” sarà punita immediatamente e senza preavviso. Queste azioni non riguardano la religione, ma il predominio: i Talebani usano l’imposizione del hijab come arma politica per mettere a tacere e cancellare le donne. Criminalizzando le normali scelte di abbigliamento, i Talebani inviano un messaggio agghiacciante: le donne non appartengono alla sfera pubblica e qualsiasi tentativo di affermare la propria presenza sarà represso con la forza. Si tratta di un’ulteriore fase del sistematico smantellamento dei diritti delle donne da parte dei Talebani, che include il divieto di istruzione per le ragazze oltre la prima media, il divieto per le donne di lavorare con le ONG e le organizzazioni internazionali e dure restrizioni nella possibilità di movimento  e nell’abbigliamento. Nonostante la crescente repressione, molte donne afghane resistono, rifiutandosi di scomparire, documentando gli abusi e parlando, anche a rischio della propria vita, ma le loro voci sono accolte con indifferenza dalla maggior parte della comunità internazionale. Il tempo delle condanne simboliche è finito. Le azioni dei Talebani equivalgono a una prolungata campagna di persecuzione di genere e devono essere trattate come tali. Senza una pressione internazionale concreta, il regime continuerà senza controllo la sua guerra contro le donne, incoraggiato dal silenzio di un mondo che un tempo aveva promesso di stare dalla parte del popolo afghano. Appello urgente: richiesta di aiuto per profughi afghani espulsi dall’Iran CISDA - Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane