Tag - repressiome

2025, Los Angeles
LE ULTIME NOTIZIE DICONO CHE PERFINO I MARINES SI STANNO PER UNIRE ALLE TRUPPE DELLA GUARDIA NAZIONALE NELLE STRADE DI LOS ANGELES PER REPRIMERE CHIUNQUE INTERFERISCA CON GLI AGENTI DELL’IMMIGRAZIONE (ICE) DURANTE I RAID. IN QUESTA GUERRA SCATENATA DA TRUMP CONTRO I NON BIANCHI NON C’È LEGGE, GOVERNATORE, GIUDICE O SINDACO CHE PUÒ INTROMETTERSI. EPPURE MIGLIAIA DI PERSONE NON SMETTONO DI RESISTERE ALLA BRUTALITÀ DELL’ASSOLUTISMO TRUMPIANO: A PROTESTARE NELLE STRADE E PROTEGGERE CIÒ CHE RESTA DELLA DEMOCRAZIA NON CI SONO SOLO I GIOVANI CHICANOS, MA ANCHE STUDENTI, COLLETTIVI ANTIFASCISTI, SINDACATI DI BASE, PERSONE COMUNI. IN QUESTO ARTICOLO, IL COLLETTIVO NODO SOLIDALE – FORMATO DA PERSONE CHE VIVONO IN MESSICO E ITALIA – RICOSTRUISCE COSA È ACCADUTO NEGLI ULTIMI GIORNI E PERCHÉ, MA RICORDA ANCHE COSA ACCADE NEL RESTO DEL MESSICO E NEL CONFINE DEL SUD, IN CHIAPAS INFATTI LA SITUAZIONE È ESPLOSIVA. “COSÌ, LA FRONTIERA, QUELLA TRA STATI UNITI E MESSICO, MA ANCHE QUELLA TRA SUD E NORD DEL MESSICO, TRA DIRITTO E ARBITRIO, TRA UMANITÀ E REPRESSIONE, SI ALLARGA, SI MOLTIPLICA, SI INCISTA NEL TERRITORIO E NEI CORPI. NON È UN CONFINE GEOGRAFICO: È UNA FERITA POLITICA CHE SEPARA CHI FUGGE DA CHI ESCLUDE, CHI RESISTE DA CHI REPRIME…” Il 6 giugno, agenti dell’ICE hanno condotto blitz in vari punti di Los Angeles: Fashion District, Home Depot e una grossa azienda tessile. Oltre cento arresti. Le strade hanno risposto: molotov, blocchi di cemento, barricate e auto in fiamme. I manifestanti hanno resistito con determinazione, trasformando la città in un campo di battaglia contro la violenza istituzionale. La risposta della polizia è stata brutale: gas lacrimogeni, flash-bang, proiettili di gomma e granate stordenti. Ventisette persone arrestate, almeno tre manifestanti feriti, sei agenti colpiti e due giornalisti centrati da proiettili “non letali” mentre documentavano i fatti. È l’urlo collettivo di chi non può più accettare le retate dell’ICE e le politiche razziste dell’amministrazione Trump. È un punto di svolta nella resistenza contro l’apparato repressivo statunitense: una mobilitazione che brucia di coraggio, dolore e dignità. La risposta federale arriva il 7 giugno. Trump firma un ordine senza precedenti: la mobilitazione della Guardia Nazionale sotto il Titolo 10 del Codice degli Stati Uniti, (U.S. Code) che regola le forze armate. Quando la Guardia Nazionale viene mobilitata sotto Titolo 10, significa che agisce sotto il controllo federale diretto, cioè del Presidente degli Stati Uniti, non più sotto il comando del governatore dello stato, può essere impiegata come forza militare federale attiva, proprio come l’esercito regolare. Circa 2.000 tra militari e forze federali vengono dispiegati nelle strade di Los Angeles, a difesa dei centri ICE e degli edifici federali. Un atto gravissimo, che non si vedeva dal 1965 senza il consenso dello Stato interessato. Il governatore Gavin Newsom ha denunciato con forza l’iniziativa: «Una violazione della sovranità statale e una provocazione deliberata». Ha già annunciato una causa legale contro Washington. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI MARCO CODEBÒ: > Marx a Compton -------------------------------------------------------------------------------- Tra fiamme, barricate e fumo lacrimogeno, un’immagine è diventata simbolo virale: un manifestante a volto coperto, in sella a una moto, che sventola con fierezza la bandiera messicana davanti a un’auto in fiamme, diventato emblema virale di un conflitto sociale destinato a incendiare i cuori. Questa non è una protesta pacata, né uno sciopero simbolico. È l’ennesima rivolta popolare, reale, viscerale. Contro la deportazione di massa. Contro lo smantellamento sistematico dei diritti. Contro un potere autoritario che usa gli eserciti per proteggere una società basata sull’esclusione, sulla discriminazione, su un “noi” bianco e privilegiato contro un “loro” criminalizzato e perseguitato. Le leggi migratorie reintrodotte e rafforzate dall’amministrazione Trump nel suo secondo mandato hanno segnato un ulteriore passo verso la criminalizzazione della mobilità umana. Il ripristino della politica “Remain in Mexico”, l’espansione dei poteri di detenzione per l’ICE e le deportazioni accelerate hanno trasformato il confine in un territorio militarizzato e letale. Le nuove restrizioni colpiscono anche chi è già radicato nel paese da anni, spezzando famiglie, distruggendo comunità, alimentando una paura quotidiana che diventa sistema di controllo. In queste strade non ardono solo automobili: bruciano vite, speranze, e dignità. Dalle ceneri, come sempre, si leva una forza collettiva che rifiuta di chinare il capo. Una dignità messicana e chicana che si ribella, che non è solo migrante ma parte viva e inscindibile di questi Stati Uniti. Una voce che reclama rispetto, giustizia, libertà di movimento e di identità. Pronta a difendere con forza la propria storia, le radici profonde di una cultura che resiste, e un futuro fatto di dignità e speranza che nessuna frontiera potrà mai soffocare. Nelle strade a gridare “Fuck ICE” non ci sono solo gli/le indocumentati o la furia dei giovani chicanos; gruppi di vicini, studenti universitari, collettivi antifascisti, sindacati di base, indigeni delle riserve, uomini e donne di Los Angeles, con il cuore empatico e solidario, che incarnano la coscienza meticcia profonda di questo pezzo – da sempre ribelle e pulsante – degli States. Nel frattempo il Messico, sotto pressione costante da parte degli Stati Uniti, continua ad applicare il Plan Frontera Sur, rilanciato e inasprito nel 2024 con nuovi fondi statunitensi, droni di sorveglianza e pattugliamenti congiunti. L’obiettivo dichiarato: contenere le migrazioni prima che arrivino al confine nordamericano. Quello reale: esternalizzare la frontiera USA fino al confine con il Guatemala. Mentre il governo federale stringe accordi con Washington per contenere il flusso migratorio, intere regioni del Messico diventano zone cuscinetto, dove la migrazione è gestita come una minaccia militare, non come una crisi umanitaria. Nel solo 2024, oltre 800.000 persone sono state intercettate nel sud del Messico. Provenienti da Honduras, Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Venezuela, Haiti, ma anche da zone rurali messicane devastate da violenza e povertà, vengono spesso bloccate, detenute o deportate senza reali possibilità di chiedere asilo. Nei centri di detenzione migratoria – come quello di Tapachula, tristemente noto come “la Guantánamo messicana” – si accumulano denunce di violazioni sistematiche dei diritti umani: abusi, mancanza di cure mediche, condizioni igienico-sanitarie disumane. La presenza dei cartelli lungo le rotte migratorie si è intensificata: estorsioni, sequestri, stupri, reclutamento forzato. Per chi fugge, il cammino è un campo minato. La frontiera non è una linea: è una trappola, un labirinto di checkpoint, milizie, sequestri, fosse comuni e silenzi. Ogni metro quadrato del Chiapas In Chiapas, il sud profondo del paese, la situazione è esplosiva. Si contano 15,000 “desplazados“, sfollati di intere comunità indigene e contadine costrette ad abbandonare le proprie terre a causa dell’intensificarsi dei conflitti armati tra gruppi narcos, con il cartello di Sinaloa e Jalisco Nueva Generación che si intrecciano a forze di sicurezza e paramilitari. Le forze speciali di polizia Pakal, annunciate come baluardo dello Stato contro il crimine, operano spesso in modo opaco, violento, con scarsi risultati e molte denunce di abusi. In varie aree, lo Stato si ritira. In altre, convive o subappalta al crimine organizzato la gestione della res pubblica. Altrove, reprime. Sparizioni forzate, imboscate e sparatorie in pieno giorno, femminicidi come pratica sistematica, villaggi rasi al suolo e fosse comuni clandestine sono l’orrore quotidiano di questa guerra di frammentazione territoriale, dove ogni metro quadrato del Chiapas sembra ardere per un conflitto. Così, la frontiera, quella tra Stati Uniti e Messico, ma anche quella tra sud e nord del Messico, tra diritto e arbitrio, tra umanità e repressione, si allarga, si moltiplica, si incista nel territorio e nei corpi. Non è un confine geografico: è una ferita politica che separa chi fugge da chi esclude, chi resiste da chi reprime. Ma cos’é ICE? ICE, Immigration and Customs Enforcement, è l’agenzia federale degli Stati Uniti incaricata di far rispettare le leggi sull’immigrazione e controllare le frontiere interne. Dipende dal Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS) ed è nota soprattutto per i raid, gli arresti e le deportazioni di immigrati irregolari. Le sue operazioni sono spesso al centro di forti critiche per l’uso eccessivo della forza, la separazione delle famiglie e la detenzione di minori. Una parte significativa del personale ICE è composta da agenti di origine latina, molti dei quali si ritrovano a eseguire ordini contro comunità simili a quelle da cui provengono. Una contraddizione lacerante, che acuisce il dramma umano e politico delle retate, e rivela con crudezza come i sistemi autoritari, anche sotto l’apparenza democratica, siano capaci di rivolgere le loro stesse vittime le une contro le altre. Oggi vogliamo riproporre questo potente progetto che è un piccolo gioiello di resistenza visiva e sonora. Nel 2013, La Santa Cecilia dava voce a milioni di persone invisibili con una ballata potente e delicata allo stesso tempo, che mette in scena, con forza poetica e politica, la repressione quotidiana vissuta dal popolo messicano sul suolo statunitense. El Hielo/il ghiaccio gioca sul doppio significato della parola: ICE come ghiaccio, freddo e disumano, ma anche ICE come l’agenzia federale per l’immigrazione, simbolo delle deportazioni, delle famiglie spezzate, della paura costante. Nel videoclip, che oggi, dodici anni dopo, risuona come una profezia dolorosamente realizzata , vediamo i volti di Eva, José, Marta: persone reali, lavoratori senza documenti, che ogni giorno sopravvivono in un limbo legale e in un Paese che si nutre del loro lavoro, ma li espelle senza pietà. “El hielo anda suelto por esas calles / nunca se sabe cuando nos va a tocar…”. Il ghiaccio cammina sciolto per queste strade / non si sa mai quando ci toccherà. Una madre che non torna da scuola, un taxi diventato giardino da curare, un sogno americano che esclude chi lo tiene in piedi. La canzone non chiede pietà: pretende giustizia. E oggi, mentre nuove retate colpiscono le comunità latine, El Hielo resta un inno alla resistenza migrante e alla dignità di chi “solo voleva lavorare” e vivere. La Santa Cecilia – Ice El Hielo ICE – Acqua congelata ICE – Immigration and Customs Enforcement ICE – Il ghiaccio “Eva passa lo straccio sul tavolino, per far brillare tutto come una perla quando arriva la padrona, che non si possa lamentare non sia mai che la accusino di essere illegale. José cura i giardini, sembrano di Disneyland guida un vecchio camion senza la patente non importa se era tassista nella sua terra natale, questo non conta niente per lo Zio Sam. Il ghiaccio cammina sciolto per queste strade non si sa mai quando ci toccherà piangono i bambini, piangono fuori scuola, piangono vedendo che mamma non tornerà Uno che resta qui l’altro che torna là questo solo per essere andati a lavorare Marta è arrivata bambina e sogna con studiare qua ma è difficile avere un futuro senza documenti rimangono con gli allori solo quelli che sono nati qui ma lei non smette mai di lottare Il ghiaccio cammina sciolto per queste strade non si sa mai quando ci toccherà piangono i bambini, piangono fuori scuola piangono vedendo che mamma non tornerà Uno che resta qui l’altro che torna là questo solo per essere andati a lavorare Uno resta qui l’altro resta là succede per essere andati a lavorare” Guarda il video qui: -------------------------------------------------------------------------------- Nodo Solidale è più di un collettivo che lega – attraverso iniziative di solidarietà e informazione – persone che vivono in Messico e Italia, abbracciando i principi della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, lanciata dall’EZLN, come la condivisione dei saperi di CIDECI Unitierra. “Quella che viviamo è una guerra contro l’umanità – scrivono – E oggi quanto c’è di più umano è proprio lottare contro questa guerra” -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI RAUL ZIBECHI: > Trump o l’incarnazione dell’incertezza -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo 2025, Los Angeles proviene da Comune-info.
Gli imperi cadono dall’interno
DA QUANDO TRUMP È TORNATO ALLA CASA BIANCA SONO STATE PRESENTATE 41 PROPOSTE DI LEGGE ANTI-PROTESTA IN 22 STATI: SI TRATTA DI SANZIONI PENALI PER PROTESTE PACIFICHE CHE PRENDONO DI MIRA STUDENTI UNIVERSITARI, MANIFESTANTI CONTRO LA GUERRA E PER IL CLIMA. È STATO ANCHE CREATO UN NUOVO REATO PER LE AZIONI CHE INTERROMPONO I GASDOTTI PROGETTATI O IN FUNZIONE, IN RISPOSTA ALLE STRAORDINARIE PROTESTE DEL 2016 GUIDATE DAI NATIVI AMERICANI CONTRO L’OLEODOTTO A STANDING ROCK, NEL DAKOTA DEL NORD (FOTO). SECONDO RAÚL ZIBECHI, LA CRESCENTE MILITARIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ, NON SOLO NEGLI STATI UNITI, È UNA RISPOSTA ALL’ASCESA DELL’AZIONE COLLETTIVA: CHI È IN ALTO SA BENE CHE GLI IMPERI CADONO DALL’INTERNO, A CAUSA DELLA RESISTENZA ATTIVA O PASSIVA DEI POPOLI. “SE QUALCUNO PUÒ SCONFIGGERE L’ESTREMA DESTRA IN TUTTO IL MONDO NON SARÀ LA CINA. COSÌ COME DOBBIAMO CAPIRE CHE L’ESTREMA DESTRA CHE DEVASTA IL MONDO È UNA REAZIONE AL CAMMINO DEI POPOLI E AL COLLASSO IN CORSO, DOBBIAMO ANCHE ACCETTARE CHE SOLO I POPOLI E LE COLLETTIVITÀ ORGANIZZATE POSSONO FRENARLI. SAPERE CHE QUELLO CHE FANNO È PERCHÉ CI TEMONO, DOVREBBE DARCI CORAGGIO IN TEMPI COSÌ DURI. NON DOVREMMO LASCIARCI DISTRARRE DAI LEADER” Foto Standing Rock Dakota Access Pipeline Opposition -------------------------------------------------------------------------------- Mentre la questione dei dazi acquista sempre più importanza, la cultura egemonica ritiene che sarà la Cina a sconfiggere gli Stati Uniti di Donald Trump, poiché si troverebbe in una posizione economica, sociale, politica e tecnologica migliore per soppiantarne l’egemonia, aprendo la strada a un mondo multipolare. L’intera analisi si concentra sulle caratteristiche personali di Trump e su ciò che la Cina sta facendo per contrastarlo. Le persone, i veri protagonisti, restano nell’ombra. La crescente militarizzazione di società come gli Stati Uniti è una risposta all’ascesa dell’azione collettiva, che sta costringendo l’intero spettro politico a spostarsi sempre più verso l’estrema destra e a fare della repressione il suo argomento principale. Chi è in alto è molto chiaro, perché è una costante della storia che gli imperi cadono dall’interno, a causa della resistenza attiva o passiva del popolo. Un recente articolo del Guardian del 9 aprile, intitolato “Gli Stati Uniti intensificano la repressione delle proteste pacifiche sotto Trump“, affronta la questione in dettaglio. È sorprendente che a scriverlo sia stata Katharine Viner, caporedattrice del giornale, cosa insolita che dimostra l’importanza attribuita all’argomento. Inizia dicendo che nei primi quattro mesi di quest’anno sono state presentate 41 proposte di legge anti-protesta in 22 stati, rispetto a un totale di 52 nel 2024 e 26 nel 2023, secondo il tracker dell’International Center for Nonprofit Law. Secondo l’autore, si tratta di sanzioni penali per proteste pacifiche, tutelate dalla Costituzione, che prendono di mira “studenti universitari, manifestanti contro la guerra e attivisti per il clima con dure pene detentive e multe salate, una repressione che, avvertono gli esperti, rischia di erodere i diritti del Primo Emendamento alla libertà di parola, di riunione e di petizione”. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI CLAUDIO TOSI: > #50501 -------------------------------------------------------------------------------- Degno di nota è anche il Safe and Secure Transportation of American Energy Act, che crea un nuovo reato applicabile alle proteste che interrompono i gasdotti progettati o in funzione, “che sarebbe punibile fino a vent’anni di carcere e multe fino a 250.000 dollari per i singoli individui o 500.000 dollari per le organizzazioni”. Questa legislazione repressiva rappresenta un notevole passo avanti rispetto alle proteste del 2016 guidate dai nativi americani contro l’oleodotto a Standing Rock, nel Dakota del Nord. Il direttore del Guardian sostiene che le nuove disposizioni mirano a “scoraggiare le persone dal parlare apertamente, oltre a essere incredibilmente repressive”. Ogni volta che un movimento scende in piazza, i legislatori rispondono spesso con progetti di legge sempre più repressivi. Nel 2021, sono state presentate 92 proposte di legge in 35 stati in risposta alla rivolta sociale scatenata dall’omicidio di George Floyd da parte di agenti di polizia a Minneapolis, Minnesota. Jenna Leventoff dell’American Civil Liberties Union (ACLU) sostiene che la serie di leggi anti-protesta “mirano a spaventare le persone e a scoraggiarle dal protestare o, peggio, a criminalizzare l’esercizio dei diritti costituzionali”. Citato da Viner, David Armiak, direttore della ricerca presso il Center for Media and Democracy, sostiene: “L’enorme numero e varietà di proposte di legge anti-protesta introdotte in soli tre mesi, unite alla revoca dei visti per studenti e alla scomparsa degli studenti manifestanti da parte dell’amministrazione dell’autoproclamato ‘presidente della legge e dell’ordine’, indicano una tendenza verso il fascismo”. Naomi Klein e Astra Taylor hanno sostenuto domenica scorsa sullo stesso giornale che “dobbiamo riconoscere che non abbiamo di fronte avversari familiari. Siamo di fronte al fascismo della fine dei tempi”. Nell’articolo “The Rise of End-Times Fascism“, sostengono che questi movimenti di estrema destra “mancano di una visione credibile per un futuro di speranza”, a differenza del fascismo classico. Per chi sta in alto, il crollo è una sorta di “regolamentazione” dell’umanità. Il trumpista Steve Bannon sostiene che il mondo sta andando all’inferno perché “gli infedeli stanno sfondando i muri di contenimento”. Ecco perché si barricano nei bunker e sognano persino di fuggire su Marte, come lo stesso Elon Musk. Questo è ciò che stanno facendo: militarizzando, reprimendo e costruendo i loro mondi senza i poveri. Se qualcuno può sconfiggere l’estrema destra in tutto il mondo non sarà la Cina. Così come dobbiamo capire che l’estrema destra che devasta il mondo è una reazione al cammino dei popoli e al collasso in corso, dobbiamo anche accettare che solo i popoli e le collettività organizzate possono frenarli. Sapere che quello che fanno è perché ci temono, dovrebbe darci coraggio in tempi così duri. Non dovremmo lasciarci distrarre dai leader. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato su La Jornada e qui con l’autorizzazione dell’autore (traduzione di Comune). -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI ALESSANDRA ALGOSTINO: > Un paese che si identifica con ordine e polizia -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Gli imperi cadono dall’interno proviene da Comune-info.