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Hanna S: richiesta di condanna a nove anni di carcere
Il primo grado di giudizio sul “Processo di Budapest” che si sta svolgendo in Germania si concluderà presto, con una richiesta di condanna spropositata  Nel processo contro Hanna S., dinanzi alla Corte d’Appello Regionale Superiore (OLG) di Monaco di Baviera, la Procura Federale ha chiesto lunedì una condanna a nove anni di carcere. Secondo la richiesta, la donna dovrebbe essere condannata per tentato omicidio, lesioni personali gravi e appartenenza a un’organizzazione criminale. L’accusa aveva inizialmente individuato il gruppo, composto da circa 20 persone, in concomitanza con il cosiddetto Complesso Antifa Ost in Germania. Ora si sostiene che il gruppo sia stato fondato puntualmente per organizzare i crimini commessi a Budapest, un fenomeno che la Procura Federale ha definito “turismo della violenza”. Il processo di Monaco di Baviera è stato il primo in Germania sul cosiddetto “Complesso di Budapest”. La magistratura accusa la studentessa d’arte Hanna di essere coinvolta in due dei cinque attacchi contro presunti neonazisti in occasione della “Giornata d’Onore” di estrema destra nella capitale ungherese nel febbraio 2023. Le vittime hanno riportato ferite alla testa da manganelli, in un caso potenzialmente fatali, secondo la Procura Federale. Poiché, oltre alle vittime, anche sei passanti sono stati esposti allo spray al peperoncino, S. potrebbe essere condannata anche per lesioni personali. Hanna S. è stata arrestata a Norimberga nel maggio 2024 e il suo processo è iniziato a febbraio davanti a cinque giudici. Due delle persone aggredite a Budapest sono state ammesse come parti in causa contro S. – sono rappresentate, tra gli altri, dall’avvocato del terrorista dell’NSU (Nationalsozialistischer Untergrund, Clandestinità Nazionalsocialista, cellula terroristica neonazista attiva tra il ’97 e il 2001) Ralf Wohlleben e hanno anche deposto la loro dichiarazione lunedì. Il processo si è concentrato sulla gravità delle ferite inflitte loro con un manganello telescopico. > Non ricordo alcun decesso causato dall’impatto di un manganello. > > Wolfgang Eisenmenger, perito L’accusa aveva convocato il medico legale in pensione Wolfgang Eisenmenger, che ha presentato prove sui suoi precedenti esperimenti con strumenti da impatto simili e un teschio metallico ricoperto di pelle di maiale. “Non ricordo alcun decesso causato dall’impatto di un manganello”, ha dichiarato Eisenmenger riferendosi ai suoi 20.000 esami forensi. Il penultimo giorno del processo, la difesa ha sottolineato che i manganelli telescopici in alluminio, come quelli utilizzati a Budapest, causavano anche lesioni significativamente meno gravi, quindi i paragoni con il teschio metallico e la pelle di maiale non erano applicabili. L’Ufficio di Polizia Criminale dello Stato della Sassonia, che sta conducendo l’indagine, sostiene di aver identificato Hanna S. anche attraverso un’esagerata indagine sui graffiti a Norimberga. Diversi testimoni ed esperti sono stati convocati per il processo, tra cui uno studioso di studi culturali freelance che ha presentato un rapporto sulla destra ungherese e i suoi legami con lo Stato. L’obiettivo degli oltre 30 giorni di processo era dimostrare che S. fosse identica a una “Persona di sesso femminile sconosciuta di 15 anni” documentata in immagini provenienti da Budapest. A tal fine, ore di video ripresi da tram e dashcam di veicoli sono stati trasmessi alla Corte d’Appello Regionale Superiore, nonché da telecamere private installate agli ingressi di un appartamento Airbnb e di un bar a Budapest. Anche il medico legale Dirk Labudde, che ha misurato biometricamente l’imputata contro la sua volontà per confrontarla con le riprese di videosorveglianza pubblica, ha testimoniato. Un super-riconoscitore della polizia, che ha anche confrontato le riprese, non è riuscito a convincere il tribunale. TRADOTTO DA ND-AKTUELL.DE
Berlino, Budapest, “fino a Kathmandu”: come il padre di Maja T. lotta per su* figli*
16 luglio, 16:18: Maja T. è in Ungheria da circa un anno a seguito di un’estradizione illegale e ha appena interrotto uno sciopero della fame di 40 giorni. Suo padre, Wolfram Jarosch, cerca di starle accanto come meglio può. Cosa si prova quando un* figl* si ritrova nel bel mezzo di un disastro legale? Wolfram Jarosch è in cammino da alcune ore: stamattina ha iniziato la sua marcia di protesta dal carcere di Dresda a quello di Budapest, lo stesso percorso che sua figlia Maja T. ha seguito il 28 giugno dell’anno scorso. Una marcia che durerà diversi giorni. Nel caso di Maja, ci sono volute solo poche ore in elicottero, dopodiché l’estradizione alle autorità ungheresi è stata completata. Quella notte, secondo la banca dati giuridica “Beck-Online”, l’Ufficio di Polizia Criminale dello Stato della Sassonia, in consultazione con la Procura di Berlino, ha prelevato Maja dalla sua cella. Gli esperti legali criticano il fatto di non aver atteso la mozione d’urgenza della Corte Costituzionale Federale, arrivata con meno di un’ora di ritardo. Un dibattito che non giova più a Maja: è in carcere da circa un anno, nonostante la Corte Costituzionale Federale abbia dichiarato l’estradizione illegale. Da allora, i suoi genitori lottano per Maja. La madre, che ha lo stesso cognome di Maja, è sempre pronta ad offrire supporto e segue il marito in bici lungo il percorso. Wolfram Jarosch organizza manifestazioni, rilascia interviste pubbliche ed è costantemente disponibile, anche per i giornalisti. Ha camminato da Jena a Berlino per consegnare una petizione per il ritorno di Maja. Ora Jarosch sta camminando fino a Budapest, 730 chilometri. Senza cibo solido. “Purtroppo, a volte bisogna fare qualcosa di ben visibile per essere ascoltati”, afferma in un’intervista con Watson (il giornale da cui è preso l’articolo, ndr). Il padre di Maja T. viene a sapere dell’arresto durante la perquisizione domiciliare Ricorda il momento che gli ha stravolto la vita: era metà dicembre 2023. “Sono stato improvvisamente sorpreso dagli agenti di polizia che hanno bussato alla porta e poi hanno perquisito tutto”, racconta. “È stato, ovviamente, uno shock.” Racconta: “Alla fine della perquisizione domiciliare, un agente di polizia mi ha detto, molto semplicemente: ‘Maja è appena statx arrestatx’.” Solo attraverso il mandato di perquisizione ha scoperto di cosa era accusatx Maja: lesioni personali gravi. Secondo la Procura ungherese, Maja T., sospettatx di essere un’estremista di sinistra, sarebbe coinvoltx negli attacchi contro neonazisti a Budapest nel febbraio 2023. L’imputatx e i complici sono accusati di molteplici attacchi contro estremisti di destra… Maja T. viene condottx in tribunale al guinzaglio. Accuse che dovrebbero essere chiarite, devono esserlo, ma l’Ungheria è pesantemente criticata per la conduzione del processo. Maja T. viene condottx in aula con manette e catene alle gambe, con un guinzaglio intorno allo stomaco. Il politico di sinistra Martin Schirdewan ha parlato a Watson di un “processo farsa” politico. Dopo un giorno di processo, Schirdewan ha riferito che l’esperto aveva omesso gli effetti dello sciopero della fame (tra cui vertigini, mal di testa, nausea). L’accusa ha presentato dichiarazioni che erano già state confutate dalla difesa; il giudice era di parte. Wolfram Jarosch afferma che nessuno dei testimoni delle precedenti udienze ha riconosciuto Maja e non è stato mostrato alcun video che mostri Maja usare violenza. Il giornalista dello Spiegel, Timo Lehmann, che sta seguendo il processo sul posto, racconta una storia simile. Finora non ha visto nulla nei video che indichi chiaramente Maja T. Non è chiaro nemmeno chi sia Maja nel video. Lehmann non era presente per tutti i giorni del processo; Jarosch era presente invece per cinque giorni. Maja stessx non ha commentato le accuse. Suo padre, Jarosch, fa riferimento alla presunzione di innocenza. Il giornalista dello Spiegel, Lehmann, riferisce che il tribunale “non ha il presentimento che questa presunzione di innocenza sia applicabile”. Controversia tra Ungheria e Commissione Europea sullo stato di diritto Le accuse devono essere esaminate nell’ambito di un giusto processo, ma “non ho affatto l’impressione che in Ungheria si stia seguendo tale giustizia”, critica Jarosch. Anche Schirdewan ne dubita. L’effettivo stato di diritto in Ungheria è da tempo un tema di cui si occupa la Commissione Europea. Alla fine del 2022, l’UE aveva già congelato i fondi destinati al Paese. Il rapporto sullo stato di diritto, pubblicato di recente, continua a classificare negativamente l’Ungheria, citando gravi carenze, tra cui l’indipendenza della magistratura. Ora Maja T. è nel vivo della questione. Se condannatx in Ungheria, rischia fino a 24 anni di carcere, una pena significativamente più alta di quella che si aspetterebbe in Germania. Il padre Wolfram Jarosch sta facendo di tutto per far tornare Maja in Germania, in modo che il processo possa svolgersi qui; o almeno che Maja possa essere postx agli arresti domiciliari in Ungheria, finora senza successo. Di recente, gli arresti domiciliari sono stati respinti anche perché Maja “non ha mostrato il minimo segno di sottomissione volontaria” e ha cercato di esercitare pressioni con lo sciopero della fame, secondo un comunicato stampa del tribunale. Jarosch accusa il tribunale di inventare continuamente nuove giustificazioni. Il fatto che nulla stia cambiando è frustrante per il padre. Il padre continua lo sciopero della fame, e spera per Wadephul Ecco perché Jarosch sta marciando. In un certo senso, aiuta anche lui, facendo così qualcosa che potrebbe avere un effetto senza restare con le mani in mano. Infatti, lo sciopero della fame interrotto da Maja dopo 40 giorni per motivi di salute, viene ripreso dal papà durante la sua marcia, astenendosi dal cibo solido. Spera che questo attiri maggiore attenzione sulla sua causa. L’obiettivo è quello di esercitare pressioni, aspettando l’intervento del Ministro degli Esteri Johann Wadephul, che aveva annunciato l’invio di una delegazione del Ministero degli Esteri in Ungheria. Il politico della CDU ha affermato che il primo obiettivo era migliorare le condizioni carcerarie. Maja ha segnalato parassiti nella cella e l’isolamento completo. Solo la videosorveglianza costante è stata interrotta. Ci sono anche controlli di nudità. “È ovviamente molto spiacevole doverlo fare ogni giorno davanti a guardie maschili, che poi prendono in giro, soprattutto per una persona non binaria”, afferma Jarosch. Qualche settimana fa, ha dichiarato di non poter più sopportare la prigionia: il motivo dello sciopero della fame. Le condizioni di Maja sono peggiorate drasticamente. È statx trasferitx in un ospedale carcerario. Secondo Jarosch, qui non ci sono cimici ed è “relativamente moderno e pulito rispetto al carcere”. Anche guardie, medici e infermieri sono un po’ più amichevoli. “Maja può guardare fuori dalla finestra e ha visto le stelle per la prima volta in un anno” – Maja ne era particolarmente soddisfatta. Le finestre del carcere sono coperte. Secondo la Corte Costituzionale Federale, ciò è consentito solo se non priva completamente i detenuti della vista sull’esterno. Jarosch ha visto Maja l’ultima volta a luglio. Durante la visita, gli è stato persino permesso di abbracciare Maja, ma non è sempre così. Le regole per le visite sono rigide. Sono consentite due ore al mese, non di più. Vorrebbe provare a organizzare un’altra visita per l’inizio di agosto, perché sarebbe bello poter abbracciare Maja dopo il lungo viaggio, dice. Jarosch è molto preoccupato per Maja, soprattutto a causa dell’isolamento. Anche in ospedale non è cambiato nulla. “Lo trovo assurdo”, dice il padre di Maja. “Un ospedale è lì per aiutarti a guarire.” L’isolamento è giustificato anche dall’identità di Maja. A causa del clima ostile, Maja potrebbe essere aggreditx, ma Jarosch non lo trova convincente. “Si potrebbe scegliere deliberatamente con chi Maja trascorrere il tempo in giardino.” La sua più grande paura in questo momento? Che l’isolamento continui. Anche per lui la situazione è difficile. “Ti piacerebbe andare lì e far uscire Maja. Ma non è possibile.” Maja cerca di organizzare la sua giornata, fa yoga e impara l’italiano e l’ungherese. Maja vorrebbe studiare selvicoltura o giardinaggio; ha letto tutto il libro di testo che Wolfram Jarosch ha portato con sé in prigione. Trova “ammirevole” che sua figlia riesca a sopportare tutto questo. Non si sa quando le cose cambieranno. Wolfram Jarosch, che ora non è solo un insegnante ma anche un portavoce di Maja, vuole continuare a lottare. Scuola la mattina, Maja il pomeriggio. Al momento sono le vacanze, ed è per questo che la marcia di protesta è possibile. Trae forza dalla sua famiglia, dagli amici, da chi pensa: “E se succedesse a mio figlio?” e da sua moglie, che lo accompagna in bicicletta. L’intera situazione è una “clamorosa ingiustizia”, dice. “Andrei anche a piedi fino a Kathmandu per far liberare Maja”. Tratto e tradotto da politik.watson.de
Dal carcere di Moabit: Saluti di Nanuk a Maja
La lettera ci è arrivata solo a metà luglio, quando Maja aveva già terminato il suo sciopero della fame. Ciononostante, pubblichiamo qui la lettera di Nanuk sullo sciopero della fame di Maja.  Giugno 2025 – Carcere di Moabit, Berlino  Il 13 giugno ho appreso dalla stampa la decisione di Maja di iniziare uno sciopero della fame per lottare per migliori condizioni carcerarie e per il suo ritorno in Germania. Quel giorno, Maja aveva già rifiutato il cibo per una settimana e aveva già perso 7 kg. Trovo difficile esprimere a parole i miei pensieri: La mia preoccupazione per la salute di Maja, la mia paura: fino a che punto si spingerà il tribunale nell’autoritaria Ungheria? La magistratura metterà alla prova la volontà di Maja fino al processo e l’incompatibilità detentiva a causa delle gravi condizioni di salute? Verrà ordinata l’alimentazione forzata? Tutto per fare trionfare il sistema giudiziario ed estorcere una confessione?  Lo sciopero della fame di Maja, che dura ormai da oltre 20 giorni, rappresenta un passaggio da una percezione di impotenza a un’esperienza di autoaffermazione. Molti si chiederanno: perché una giovane dovrebbe arrivare al punto di usare la propria salute come arma? Perché rimane l’ultima risorsa nella lotta per la propria dignità umana. L’isolamento è e rimane una tortura. La privazione del sonno attraverso controlli orari è e rimane una tortura. Maja è stata sottoposta a questo trattamento per mesi; queste condizioni di detenzione lasciano cicatrici psicologiche e possono solo servire a costringerla a una resa totale.  Con il beneplacito del Tribunale Regionale Superiore, su decisione dell’Ufficio di Polizia Criminale dello Stato della Sassonia (LKA) nella persona dell’Unità Speciale Soko Linx, Maja è stata estradata illegalmente in Ungheria. Ciò significa che anche la Germania ha l’obbligo di riportare Maja indietro e quindi di rispettare e attuare la decisione del tribunale. Qui al carcere di Moabit, parlo spesso con i miei compagni di prigione delle condizioni di Maja. Molti detenuti hanno familiarità con il carcere anche al di fuori della Germania e sono sconvolti dalla situazione di Maja. Tutti le augurano coraggio e forza per la lotta che sta intraprendendo e sono solidali.  Riportiamo Maja in Germania e nessuna estradizione di Zaid in Ungheria!  Nanuk dal carcere di Moabit, Berlino -------------------------------------------------------------------------------- Di seguito un articolo pubblicato il 24 novembre 2024 AGGIORNAMENTO SULL’ARRESTO E SULLA SITUAZIONE ATTUALE DELL’ANTIFASCISTA NANUK Nanuk è stato arrestato dagli agenti dell’Ufficio Federale di Polizia Criminale (BKA)/Ufficio di Polizia Criminale Statale (LKA) della Sassonia nel pomeriggio del 21 ottobre 2024, mentre era in bicicletta a Berlino. Da Berlino, è stato prima condotto alla Corte Federale di Giustizia (BGH) di Karlsruhe, dove è stato portato davanti a un giudice il 22 ottobre 2024, che ne ha ordinato l’arresto. Da Karlsruhe, è stato riportato a Berlino e si trova in custodia cautelare nel carcere di Moabit dal 23 ottobre 2024. Dopo il suo arresto, sono state effettuate perquisizioni nel suo appartamento a Berlino e in un altro appartamento.  Per entrambi i viaggi gli è stato risparmiato un trasferimento in elicottero di alto profilo. Anche il ricevimento stampa a Karlsruhe, già noto per altri procedimenti nel “Complesso Antifa Est” („Antifa-Ost-Komplex“ in tedesco), non ha avuto luogo. Ciononostante, articoli sensazionalistici e incendiari sono apparsi sui tabloid e sulle reti di destra poco dopo il suo arresto e prima dei comunicati stampa ufficiali. Le informazioni sul suo arresto sono trapelate ancora una volta alla stampa, come ormai prassi comune nel “Processo Antifa Est”.  Persino Nancy Faeser non ha resistito a elogiare l’arresto: “Lo stato di diritto ha un potere duraturo nella lotta contro i pericolosi estremisti di sinistra. Nessuno può sentirsi al sicuro in clandestinità. Questo è un importante successo investigativo, tra gli altri, per l’Ufficio Federale di Polizia Criminale”. Secondo la teoria del ferro di cavallo”, qualsiasi antifascista che non si renda disponibile alle autorità di sicurezza deve essere “pericoloso”.  La realtà è ben diversa da questo plauso della stampa. Il mandato d’arresto della Corte Federale di Giustizia accusa Nanuk solo di aver sostenuto un'”organizzazione criminale” nell’ambito del “Processo Antifa-Est” tra il 2018 e il 2020 e di aver partecipato a un attacco al bar neonazista “Bulls Eye” di Eisenach nel 2019. E queste accuse, del tutto marginali, si basavano quasi esclusivamente sulle dichiarazioni del traditore e testimone chiave del primo “Processo Antifa Est”, Johannes Domhöver.  È in corso anche un altro processo riguardante gli incidenti della notte di Capodanno 2018/2019, quando la filiale della Corte Federale di Giustizia (BGH) e una confraternita studentesca a Lipsia furono attaccate. Al momento non è chiaro cosa sia accusato esattamente.  Sebbene Nanuk sia attualmente rinchiuso da 22 ore nel carcere di Moabit, le sue condizioni di salute, considerate le circostanze, sono buone. Riceve visite regolari dal suo avvocato, ha una radio, una televisione e accesso a due quotidiani, disponibili gratuitamente in carcere, e a riviste come Spiegel, che può ottenere a pagamento. Altri libri e riviste che desidera e che gli sono stati ordinati non gli sono ancora stati consegnati. Non ha ricevuto nemmeno posta, sebbene molte persone gli abbiano già scritto. Tutta la posta viene prima letta dai procuratori prima di essere consegnata a lui, e chiaramente non hanno fretta di permettergli di comunicare con il mondo esterno.  Ma questo non dovrebbe impedire a nessuno di continuare a scrivere lettere e cartoline a Nanuk. Le pareti grigie della sua cella aspettano di essere decorate con cartoline. Le dimostrazioni di solidarietà sono molto importanti e ce ne sono già state diverse dal suo arresto. C’è stato uno spettacolo pirotecnico davanti al carcere e una manifestazione in carcere il 2 novembre 2024. Nanuk accoglie ogni forma di solidarietà. Siate creativi. La solidarietà è la nostra arma. Ci aspettiamo che il procedimento si estenda per un periodo più lungo, quindi la solidarietà con Nanuk e il supporto per le spese legali continueranno a essere importanti anche nel 2025. Proprio come lo sono per tutti gli altri antifascisti criminalizzati.  Libertà per Nanuk! Libertà e felicità per tutti gli Antifa!
Anche Zaid rischia la deportazione in Ungheria
Zaid A. è un compagno con cittadinanza siriana, residente in Germania, che era latitante poichè accusato per i fatti in occasione della giornata dell’onore a Budapest nel 2023. Insieme ad altr* coimputat* aveva deciso di consegnarsi alle autorità a Febbraio del 2025 e ha passato 3 mesi in carcere. Il 2 maggio è stato scarcerato e si trova a piede libero anche se con molte restrizioni. Tuttavia su di lui pende ancora la richiesta di estradizione dell’Ungheria e nelle prossime settimane si capirà se la giurisdizione del suo caso sarà di competenza del tribunale di Colonia o del Tribunale Federale a Berlino. Le accuse che il Tribunale tedesco rivolge ai 6 compagn* di nazionalità tedesca che si sono consegnati (Nele A., Emilie D., Paula P., Luca S., Moritz S. e Clara W.,) includono: l’appartenenza a un’organizzazione criminale, lesioni personali gravi e tentato omicidio, ciascuna con diversi gradi di coinvolgimento. La Procura Generale Federale (GBA) li accusa essenzialmente di aver fondato un’organizzazione criminale nazionale e, in quanto tali, di aver teso imboscate e aggredito persone durante il “Giorno dell’Onore” in Ungheria. Per alcune di queste persone sono stati emessi mandati di arresto europei. Tuttavia, la GBA ha dichiarato che l’azione penale nazionale ha la precedenza sui cittadini tedeschi e che l’azione penale contro i tedeschi avrà quindi luogo in Germania. Il caso di Zaid è diverso perché è straniero. A causa della sua mancanza di cittadinanza, il principio di personalità attiva, che consente a uno Stato di perseguire penalmente i propri cittadini, non si applica a lui. Anche se potesse essere indagato per coinvolgimento in un’organizzazione criminale nazionale, le accuse di lesioni personali commesse contro di lui in Ungheria non potrebbero essere perseguite in Germania.
Maja conclude lo sciopero della fame. La sua lettera.
CARI FRATELLI, COMPAGNI E SOSTENITORI, Mi chiamo Maja. Sono in sciopero della fame dal 5 giugno. L’ho iniziato come protesta contro l’estradizione illegale e ancora irrisolta dalla Germania all’Ungheria un anno fa, contro la persecuzione repressiva degli antifascisti, contro lo svolgimento pregiudizievole e discutibile del processo, nonché contro l’isolamento permanente e le condizioni disumane nelle carceri ungheresi. Ora, dopo quasi sei settimane, ho deciso di interrompere lo sciopero della fame. Non voglio mettere ulteriormente a dura prova la mia salute, perché sento che se non torno indietro ora, sarà presto troppo tardi. Anche se le mie richieste venissero accolte, servirebbe a poco. Ne sarei segnat* a vita, e forse lo sono già. Non ho mai voluto che si arrivasse a questo punto; speravo ingenuamente che un passo così radicale come lo sciopero della fame avrebbe finalmente sensibilizzato chi ricopre posizioni di responsabilità e tutti coloro che possono fare la differenza, in modo che agissero dopo un anno di rassicurazioni, sorrisi e ignoranza. Ormai non rimane molto di me. Il mio corpo è uno scheletro, con uno spirito intatto, combattivo e vibrante. Sorride, cerca libertà e comunità all’orizzonte e si rifiuta di accettare che non ci sia giustizia. Ma non sono pronto a fare il passo verso la morte imminente. Certo, è incerto; potrebbero esserci ancora giorni, forse settimane. Ma se dovessi perdere conoscenza, avrei un debito nei confronti delle persone che combattono al mio fianco, un debito che non sono pronto a gravare su nessuno. Così come non sono pronto a sottopormi a misure coercitive. Il 1° luglio sono stat* trasferit* in un ospedale carcerario a 250 km da Budapest, perché già allora si temeva seriamente per la mia salute. Il nuovo posto è più tranquillo del carcere nella grande città, ma altrettanto isolato, se non di più. I contatti con la mia famiglia sono altrettanto limitati. Il mio avvocato, sempre un supporto indispensabile, ora ha bisogno di un giorno intero per farmi visita. Durante la mia passeggiata di un’ora nel cortile, non incontro altri detenuti. Trascorro le restanti 23 ore in cella, perché qui non ci sono attività ricreative. La solitudine mi sta dilaniando, la nostalgia di casa aleggia all’orizzonte. Dal punto di vista medico, è possibile curare il mio corpo fino alla guarigione qui, ma un recupero mentale sembra impossibile persino qui. Con un imminente trasferimento a Budapest, nulla sarebbe cambiato, perché ciò che ha reso necessario lo sciopero della fame mi attende lì. Né l’ospedale né il carcere in Ungheria possono essere una soluzione. Le mie richieste rimangono invariate! Devo essere rimpatriat* in Germania o posti agli arresti domiciliari e sottopost* a un regolare processo. Sono determinat* a non rimanere in silenzio domani e continuerò a protestare finché sarà necessario. Concludo lo sciopero ora affinché nessuno sia ritenuto responsabile di danni alla salute a lungo termine o permanenti. Tuttavia, questo passo non esonera nessuno dalla responsabilità di creare condizioni carcerarie umanitarie, libere da dolore e sofferenza per tutti, di condurre un processo indipendente e giusto che non pregiudichi, e di garantire l’integrità dei prigionieri, rispettandone la dignità anziché disprezzarli e punirli. Se ciò non accadrà, e se le mie richieste continueranno a essere ignorate, sono determinat* a riprendere lo sciopero della fame. Chiedo ciò che è necessario: poter tornare a casa con la mia famiglia, poter realizzare il mio potenziale attraverso la scuola, il lavoro, ecc., potermi preparare al processo in condizioni di parità e non essere sepolto vivo in una cella. Aspetto ancora una dichiarazione chiara e onesta, delle scuse da parte dei responsabili dell’estradizione e un’offerta di risarcimento. Anche se dovesse arrivare per ultima, è la cosa più importante per me. Grazie a tutti coloro che hanno parlato, che sono al nostro fianco, e a coloro che sono stati lì coraggiosamente per molto tempo, a coloro che sostengono con fermezza il necessario antifascismo, a coloro che sostengono, che sacrificano notte e giorno, che donano e sono punti di riferimento. Questa diversità significa resistenza e utopia allo stesso tempo. I miei pensieri sono sempre con la famiglia e i compagni più cari, percependo il dolore che stanno attraversando e ammirando il coraggio e l’altruismo con cui sopportano. Il mio ringraziamento di oggi ha parole. Ma state tranquilli, il seme della solidarietà con ciò che è possibile giace in terreno fertile. Quindi spero che non solo io, ma molti altri siamo stati in grado di unire coraggio e forza di volontà nelle ultime settimane per guardare al futuro mano nella mano, senza mai perdonare, ma con un sorriso. In solidarietà. A presto, mi farò viv*. Maja
Nuova udienza del processo a Gino
Alle 20 di mercoledì 12 marzo si è tenuta la 5ª udienza del processo al nostro compagno Gino. È stata discussa approfonditamente la documentazione inviata dall’Ungheria e da parte della difesa è stata avanzata una nuova richiesta per i domiciliari. Gino ha rilasciato una dichiarazione sul contesto politico dell’Ungheria e del giorno dell’onore, scenario dei fatti imputati. Alcuni punti del dossier ungherese non convincono la Corte francese: 1) la pena massima di 24 anni in caso di condanna, che nel mandato d’arresto per Gino non erano specificati, appaiono chiaramente sproporzionati rispetto alle accuse 2) la scarsa precisione della corte ungherese nell’indicare il carcere di detenzione preventiva in caso di sua estradizione   Il pubblico ministero sostiene che al netto delle condizioni carcerarie i capi d’accusa valgono in Ungheria tanto quanto in Francia, e di conseguenza incoraggia per l’ennesima volta la corte a procedere con l’estradizione. La nuova proposta degli avvocati difensori per far ottenere i domiciliari a Gino è stata ricevuta con la sua dose di dubbi (sollevati principalmente dal Pubblico Ministero): permane secondo la corte il rischio di fuga da parte dell’imputato. La decisione ultima riguardo ai domiciliari sarà il 26 marzo. La risposta, si pensa definitiva, alla domanda di estradizione arriverà invece all’udienza fissata per il 9 aprile. Gino rimane detenuto a Fresnes, ci auguriamo che presto possa uscirne, libero!
Processo di Budapest: A che punto siamo?
Negli ultimi mesi con l’arresto di Gino e la consegna spontanea di 7 compagn* tedeschi che erano ancora latitanti, la geografia del processo si è ulteriormente allargata, complicandone sia l’aspetto politico che quello repressivo. Ricordiamo che tutto questo sproposito di indagini, azioni repressive e carcerazioni preventive si basa sulle dichiarazioni, tanto infami quanto ridicole, di alcuni neo-nazisti che si trovavano a Budapest per celebrare la parata nazista denominata “Giornata dell’Onore”.  Il seguente riassunto, oltre che a rispondere a un’esigenza di cronaca, vuole essere uno stimolo per i solidali non solo a lottare con sempre maggiore determinazione contro quelle che sono le cause e i responsabili di questo enorme apparato repressivo, ma anche a rafforzare le reti transnazionali di collaborazione, solidarietà e lotta. GINO Gino è un cittadino albanese e un italiano senza cittadinanza, detenuto nella prigione di Frenes (Parigi), in Francia, dal 12 novembre 2024. È stato arrestato dalla polizia antiterrorismo francese (SDAT) dopo aver lasciato la Finlandia, dove risiedeva e da dove sarebbe stato estradato in Ungheria. È attualmente in corso il processo per decidere se dovrà essere estradato dalla Francia e consegnato alle autorità ungheresi. L’udienza del 12 marzo non ha deciso né sulla sua estradizione né sulla richiesta di domiciliari e quindi dovrà rimanere ancora in carcere. La prossima udienza è stata fissata per il 9 di aprile. MAJA Maja è un* compagn* tedesc* digenere non binario, attualmente detenut* a Budapest dopo essere stata illegalmente estradat* dalla Germania nel giugno 2024. Il suo processo è iniziato il 21febbraio 2025. E’ accusat* di lesioni potenzialmente letali, commesse all’interno di una presunta associazione a delinquere, e rischia fino a 24 anni di carcere duro. Nonostante le terribili condizioni di detenzione, Maja ha rifiutato la proposta di patteggiamento del Pubblico Ministero ungherese e ha ribadito il suo impegno di solidarietà e di lotta. Qui la sua ultima dichiarazione pubblica.   TOBI Tobi è stato arrestato a Budapest nel febbraio 2023 ed è stato condannato a 22 mesi di carcere, dopo aver sottoscritto l’offerta di patteggiamento della procura. Allo scadere della pena in Ungheria, nel dicembre 2024, è stato trasferito nel carcere di Karlsruhe, in Germania, e ora dovrà affrontare il processo per il caso Antifa Ost.   HANNA Hanna è attualmente detenuta a Norimberga. All’inizio di marzo è iniziato, a Monaco di Baviera, il suo processo relativo ai fatti di Budapest – che per lei si svolge in Germania e non in Ungheria – con l’accusa di tentato omicidio e associazione a delinquere.     UN NUOVO CAPITOLO PER SETTE COMPAGN* Il 20 gennaio, sette compagn* (Paul, Nele, Clara, Zaid, Moritz, Luca e Paula), ricercati da oltre un anno, si sono consegnati alle autorità tedesche. Al momento si trovano nelle carceri di Lipsia, Colonia, Amburgo, Chemnitz e Bielefeld, in attesa della decisione delle autorità tedesche sulla richiesta di estradizione formulata dall’Ungheria. L’inizio dei processi non è ancora stato fissato.   FUGGITIV* Alcun* compagn* sono latitanti e a loro va la nostra massima solidarietà e il nostro sostegno!   ILARIA Ila, dopo 16 mesi di detenzione a Budapest, è stata liberata nel giugno 2024 perché eletta al Parlamento europeo. Il governo ungherese ha chiesto al Parlamento di revocarle l’immunità ed è in corso la procedura per decidere in merito. Qualora l’immunità venisse revocata, il processo a suo carico riprenderebbe e Ilaria rischierebbe nuovamente di essere arrestata ed estradata in Ungheria.   GABRI Gabri è attualmente libero in Italia, perché nel marzo del 2024 la corte d’appello di Milano ha respinto la richiesta di estradizione dell’Ungheria a causa delle condizioni disumane di detenzione nelle carceri magiare. Tuttavia, per lui inizierà il processo in contumacia a Budapest il 6 maggio.    
Aggiornamento sul processo di Maja (6 mar 2025)
In occasione della terza udienza del processo, tra i 50 e i 100 nazisti si sono riuniti davanti al tribunale di Budapest, indossando uniformi, portando bandiere e striscioni e filmando i sostenitori di Maja nel tentativo di intimidirli. La maggior parte di loro indossava giacche e bandiere del gruppo neonazista Betyarsereg. La gran parte dei sostenitori è entrata rapidamente in tribunale, mentre quelli che aspettavano altr* compagn* sono stati molestati e presi a sputi dai fascisti che filmavano. Circa 20 di loro sono entrati anche in aula. Tuttavia, li abbiamo superati di 30-40 unità e abbiamo occupato le prime file. Dopo aver ripetuto con forza per quindici minuti le regole del processo (divieto di coprirsi la testa, di gridare, di manifestare solidarietà, ecc) si è entrati nel vivo. In aula era presente anche il noto neonazista Georgy Budahazy, condannato, tra l’altro, per aver commesso attentati incendiari e dinamitardi contro le abitazioni di politici liberali e di sinistra, per aver pianificato un tentato omicidio e per aver ferito gravemente un produttore televisivo. Non solo all’interno dell’aula, ma anche all’esterno, la sorveglianza giudiziaria è stata molto più severa oggi rispetto all’udienza precedente e non è stato possibile avvicinarsi a Maja fuori dall’aula. L’udienza di oggi si è concentrata sull’interrogatorio di tre testimoni. Prima delle loro dichiarazioni, Maja si è ancora una volta rifiutat* di rispondere alle domande, scegliendo invece di leggere una breve dichiarazione in cui ribadiva la mancanza dello stato di diritto in questo processo. Sono state poi interrogate le due presunte vittime, Lazlo Dudog e sua moglie, e una cameriera di un bar vicino al luogo del presunto attacco. Tutte le testimonianze sono state incoerenti e piene di contraddizioni. Ricordiamo che l’intero processo di Budapest, così come l’intero sistema delle lunghissime detenzioni preventive e dei mandati di arresto europei, si basa su queste infami dichiarazioni! Le prossime cinque udienze sono state fissate tra il 4 e il 20 giugno 2025. Siamo riusciti a salutare Maja con forti applausi e canti per la sua libertà. I tre fascisti in aula, con il loro ridicolo canto “Antifa hahaha”, sono stati completamente sovrastati dal nostro rumore. Ai parenti di Maja è stato permesso di parlare con loro solo per due minuti ciascuno, uno alla volta. Tutti gli altri sono stati immediatamente allontanati dal corridoio che circondava l’aula. Dobbiamo e vogliamo essere più preparati ad affrontare situazioni simili in occasione di eventi futuri, e abbiamo bisogno che il maggior numero possibile di persone venga a Budapest per mostrare solidarietà. alcun* antifa presenti
Lettera di Maja, 21 febbraio
Questa è la traduzione della lettera con cui Maja, durante l’udienza del 21 febbraio, ha rifiutato la proposta di patteggiamento del PM ungherese e ha lanciato un messaggio di speranza e di lotta a noi tutt* -------------------------------------------------------------------------------- Sì, ho qualcosa da dire, vorrei parlare con voi, che rappresentate lo Stato ungherese e i suoi cittadini e siete in grado di giudicare a loro nome. Come a tutte le persone che mi ascoltano. So di non essere sol* qui oggi e questo mi riempie di profonda gratitudine. Con la più profonda gratitudine. Non sono nemmeno l’unico imputato in questo processo, la repressione ha una continuità opprimente. Ma quello che ho letto oggi parla solo per me, tutto il resto mi è sembrato presuntuoso. Una cosa voglio dire con certezza: non sarei qui oggi se non conoscessi i tanti cuori ardenti di umanità e solidarietà. Quindi eccomi qui, incatenat* e accusat* in un Paese per il quale io, in quanto essere umano non binario, come Maja, non esisto. È uno Stato che esclude apertamente le persone a causa della loro sessualità o del loro genere. Sono accusat* da uno Stato europeo perché sono antifascista. Nonostante questo, ho deciso di parlare perché sono qui oggi perché otto mesi fa sono stata rapit* con un atto di violazione della legge e sono stata estradat* qui dalla Germania e sono stato estradat* qui – da un Paese la cui costituzione prometteva di rispettare e proteggere la mia dignità, ma i cui presunti organi costituzionali hanno scavalcato la più alta corte tedesca, sapendo che stavano agendo illegalmente e che io ero minacciata qui. Mi hanno portato in un Paese il cui impegno nei confronti dei diritti umani e dei principi democratici stanno già svanendo sulla carta e le cui prigioni sono piene di persone che che osano difendere l’autodeterminazione di tutti i popoli, che osano promettere “Mai più fascismo”. Sono consapevole di essere qui perché la mia nascita portava con sé una promessa da cui sono cresciut*, è la promessa di essere umano. Non è cresciuta da sola: mai completamente libera, privilegiata eppure piena di sofferenza, sempre alla ricerca di come poterla realizzare, che ciò che nessun diavolo può compiere non si ripeta mai più. Solo l’uomo era ed è capace di questo uomo, per cui ancora oggi crea strutture statali totalitarie, oppressive e distruttive, guidato dall’odio e dall’invidia, fuggendo dall’imperfezione. L’uomo ha creato la Shoa e più atrocità di quante ne dia il cielo con le sue stelle, pur non perdendo mai la speranza di un domani di pace. Sono accusat* da una Procura che è in grado di riconoscere l’odio fiammeggiante dentro di me odio dentro di me, mentre vedono in quelle persone che esaltano gli autori e i crimini dell’Olocausto come una minoranza da proteggere. È quindi essenziale chiarire che la Procura sostiene che io abbia aggredito fisicamente delle persone che che erano venute in questa città due anni fa per partecipare al cosiddetto “Giornate dell’Onore”. Si tratta di giornate di manifestazioni, passeggiate e concerti che servono come incontro internazionale per gli di estremisti di destra, legittimati e promossi da attori statali. Lì persone si riuniscono per venerare orgogliosamente e apertamente le strade percorse un tempo dai fascisti tedeschi e ungheresi. I fascisti tedeschi e ungheresi scelsero un tempo di fuggire dalle loro responsabilità di assassini. Festeggiano ai concerti di gruppi musicali profondamente razzisti e antisemiti che incitano all’odio e alla violenza e donano denaro a reti terroristiche di destra come “Blood and Honour”. E ora siamo qui riuniti per preparare un processo in cui sono già stato condannat*, in cui la detenzione è già l’esecuzione di una pena, come lo sono stato io. Da otto mesi mi trovo di fronte a condizioni di detenzione che violano le garanzie dell’Ungheria. Non vengono rispettate né le “Regole penitenziarie europee” né le “Regole di Nelson Mandela” delle Nazioni Unite. Ciò è avvenuto sottoponendomi a un isolamento continuo e prolungato, in particolare a meno di 30 minuti di contatto umano al giorno, per oltre 200 giorni. È una detenzione preventiva in cui non mi è permesso studiare, non mi è permesso lavorare, non mi sono stati dati abbastanza libri, non mi sono stati dati gli integratori vitaminici necessari o le visite mediche tempestive, non c’è luce sufficiente e cibo sano. Sono stat* consegnaté a un carcere che impone misure di sicurezza umilianti e degradanti per le quali non c’è ancora alcuna giustificazione o spiegazione. Quando glielo si chiede, restano in silenzio e così ho dovuto portare le manette anche in cella, durante le visite ufficiali o le chiamate via Skype. Ero ormai costrett* da diverse decine di persone a spogliarmi nudo davanti a loro e non osavo ancora cambiarmi nella mia cella per la vergogna, visto che una telecamera era appesa lì illegalmente da tre mesi. Le cimici e gli scarafaggi rimangono ancora oggi, così come la luce dei controlli orari che mi tolgono il sonno di notte. Sonno in cui sogno di poter finalmente stringere tra le braccia la mia famiglia, persone al cui fianco non mi è stato permesso di elaborare il lutto e che mi è consentito vedere dietro a lastre di plexiglass solo per due ore al mese. Oggi sono qui e sto già subendo danni fisici e mentali. La mia vista si sta affievolendo e il mio corpo è esausto, mentre il carcere mi costringe a parlare da solo, vietandomi un contatto sufficiente con i compagni di detenzione a causa della mia identità queer, il cui unico scopo è punirmi e impedirmi di essere viv*. Non è solo il sistema giudiziario ungherese a essere responsabile di tutto ciò, ma anche, contrariamente alle loro affermazioni, ogni tribunale che ha prolungato la mia detenzione. L’ultima volta l’hanno fatto per i prossimi 2,5 anni o fino alla fine di questo processo. Ci sono ragioni per cui oggi sono seduto qui da sol* sul banco degli imputati, perché la magistratura ungherese ha ormai perso ogni credibilità e altri tribunali europei si rifiutano di collaborare. Questa è la cosa giusta da fare. Questo processo contro di me avrebbe dovuto svolgersi anche in Germania, insieme a tutti gli altri imputati, dove avrei potuto difendermi e prepararmi, e mi aspetto che finalmente si ponga fine a tutto questo, che io possa prepararmi a un processo su un piano di parità, senza essere privat* di alcuna opportunità di autosviluppo, e che non venga più punito con una disumana detenzione in isolamento, che lascia dietro di sé danni a lungo termine che stanno già fiaccando le mie forze. Non sono solo le condizioni di detenzione a creare una punizione da condannare, ma anche il fatto che non esiste un rischio oggettivo di fuga o di recidiva. Non sono mai stato informato dalle autorità tedesche o ungheresi del mandato di cattura emesso un mese prima del mio arresto, né ho mai manifestato l’intenzione di sottrarmi a qualsiasi procedimento. Vorrei precisare che dovrei difendermi da presunte prove che non mi è stato permesso di vedere. Ancora oggi mi manca il materiale completo del fascicolo, dovrei difendermi da un atto di accusa le cui montagne di documenti non sono state tradotte per me, la maggior parte delle quali ho ricevuto solo in ungherese. Avrei dovuto prepararmi da solo mentre i miei avvocati venivano ripetutamente respinti al cancello della prigione, avvocati ai quali non è stato permesso di mostrarmi i fascicoli e che ora si aspettano che io commenti un atto d’accusa che consiste in mere ipotesi…! In cui non riesco a trovare una sola parola che delinei la mia vita, la mia personalità e che sia basata su fatti, né tanto meno che spieghi come nasce l’accusa di far parte di un’organizzazione criminale. Vi aspettate davvero che io faccia mie queste accuse, che le confessi e che poi mi faccia rinchiudere dietro le sbarre per il periodo della mia giovinezza appena trascorso? Per 14 anni nel più severo regime carcerario, senza possibilità di libertà vigilata, solo per risparmiarvi l’imbarazzo di veder crollare le vostre fragili sentenze per mancanza di credibilità. Caro pubblico ministero, sii onesto, speri che l’isolamento mi faccia morire di fame e costringa a una sentenza senza processo. Devo rendermi conto che sono stat* imprigionat* per 14 mesi, privat* della mia vita precedente dall’11 dicembre 2023, privat* della possibilità di iniziare i miei studi e continuare il mio lavoro, privato della mia famiglia, privato della possibilità di sostenerla e di partecipare a una società alla quale voglio contribuire. Privato del bisogno di svilupparmi e realizzarmi come essere umano. Mi è stato tolto tutto questo con l’obiettivo di distruggermi come persona politica. Ma ho ancora le parole che scrivo e parlo, e non smetterò di farlo finché sarò e penserò.   Così ho scritto anche un atto di accusa, che racconta ciò che ho vissuto l’anno scorso, mi ha aiutato a sopportare le ferite e si ritrova in parte in ciò che presento qui. Taccio i suoi dettagli angoscianti, perché oggi e in questo processo si tratta di molto più che di me stess*. Si tratta di capire in che tipo di società vogliamo vivere e se possiamo accettare un’azione governativa che contraddice i nostri valori morali. Non sono di casa in questo Paese, né sono riuscito a imparare la sua lingua. Ma so cosa fa ai suoi cittadini, ho sentito come tratta le persone che sono indifese alla sua mercé. Sì, ho sentito le urla e i colpi provenienti dalle altre celle, i lamenti e i pianti, la rabbia e la disperazione che col tempo perdono ogni melodia umana. Ho visto sguardi smarriti e spaventati, ho sentito parole sprezzanti che nascono quando le persone creano sistemi e luoghi in cui cercano di togliere il libero arbitrio agli altri per creare e riempire il potere degli altri con parole giudicanti e azioni punitive. Ho visto le carceri in Germania e in Ungheria e vorrei dire che qui le persone vengono derubate della loro dignità, indipendentemente dal fatto che siano sorvegliate o meno. Non posso avere la presunzione di giudicare le persone che ho incontrato lì, so solo che qui la società sta fallendo. Consapevole di ciò, non posso negare i momenti in cui mi siedo alla scrivania della mia cella e mi sembra impossibile tenere con me la bellezza del mondo, la mia mente si limita a seguire la sofferenza dei compagni di prigionia, interrotta dal pulsare delle mie stesse ferite. Fugge dall’impotenza, si perde nel sentimento di impotenza, strappato dal mio corpo, strappato da ieri e da domani, allora vedo solo ciò che al momento sembra irraggiungibile, ma da cui germoglia per me l’umanità, l’eredità di cercare un terreno comune con l’altro senza giudicare l’essere umano per il suo essere, il suo corpo e le sue capacità, cercando di creare insieme qualcosa di valore senza sfruttare e opprimere, sapendo perdonare i fallimenti senza tacere e infine meravigliandosi di come da tutto questo germogli la fiducia in un domani prossimo e pacifico. Ma le lacrime di dolore si attenuano, al più tardi quando leggo le vostre lettere, quando il giornale mi parla del mondo e apprendo che le loro utopie sono preservate da persone. Persone che non sono abbandonate da valori morali evidenti, che sono pronte a difenderli e a crearli, che non riescono a distogliere lo sguardo da chi commette atrocità, che cercano l’imperfezione umana, che non paralizza né abbruttisce, ma che invece vive in un tentativo di creatività e solidarietà, cercando una via d’uscita dalla violenza guidata dal potere, dall’avidità e dalla compiacenza. Ammiro ogni persona comune che cerca di cogliere la complessità del nostro mondo e agisce dove sembra umanamente possibile. Voglio condividere il cammino con chi dubita, senza scambiare la propria moralità e tenerezza con ingannevoli promesse di felicità individuale. Rispetto tutti coloro che cercano di comprendere l’umanità come un tutt’uno e riescono a non perdere di vista l’unicità di ogni persona, che è germogliata da ciò che ha vissuto. Non è un’esistenza perfetta – no, falliamo, non possiamo sfuggire a noi stessi o al mondo. Ma siamo in grado di agire, possiamo imparare a fidarci l’uno dell’altro e di noi stessi, siamo in grado di crescere oltre noi stessi quando cerchiamo di capire, comprendere e decidere a partire dall’impulso dell’umanità, siamo in grado di aiutare dove c’è un incendio, dove manca la protezione e le persone fuggono, possiamo condividere e stare dove il dolore e la sofferenza sono più grandi, sapendo sempre che non siamo soli. Ora nemmeno io riesco a evitare che gli occhi mi facciano sempre più spesso male, che si chiudano per la stanchezza e che i sensi vengano meno. Ma anche con le palpebre chiuse, non posso sfuggire al fatto che guerre, fame, distruzione dell’ambiente e distribuzione ingiusta continuano a creare realtà dolorose. In Europa infuria ancora una guerra di aggressione ed è impossibile ignorare il fatto che il fascismo e i suoi seguaci stanno nuovamente mettendo radici, sia in un continente apparentemente lontano che nel giardino vicino. I desideri totalitari e gli intrecci autoritari nelle nostre società, l’emarginazione e l’isolamento stanno vivendo una rinascita. Mi chiedo cosa accadrebbe se ognuno si salvasse da solo. È così che sfuggiamo alla nostra impotenza collettiva? Dove ci lasciamo guidare dalla paura e dalla disperazione? Nelle ultime settimane ho sperimentato personalmente come queste possano paralizzare la mia mente e il mio corpo, come mi abbiano spinto ad appendere le mie speranze e ad allontanarmi dalla vita. Ma poi ho visto spuntare una tenera pianta in un luogo dove per mesi non è caduto il sole, sapendo che l’inverno sarebbe passato. Al suo fianco, ho dovuto ammettere a me stess* che – per quanto infernale sia questo posto sulla terra – i fiori possono crescere lì, nelle crepe del muro o nel mio essere. Non ci vuole molto, ma prima la fiducia che il coraggio e la fiducia creano grandi cose dalle piccole cose, perché da esse nasce la resilienza contro l’attesa di giorni migliori, in cui sperimentiamo che ogni nostra azione determina ciò che si ramifica nel nostro giardino davanti a noi e fiorisce nei prossimi giorni di primavera. Spesso non so come, so solo che è necessario osare e, se siamo onesti, sappiamo che è possibile incontrando persone sconosciute come noi. Oggi ho visto alcuni dei vostri volti, ho letto dei vostri sogni, ho potuto condividere tempi di vita, sentirmi solidale, ammirarvi e invidiarvi mentre vi battete per un’umanità che resiste, supera i confini arrugginiti del ferro freddo della parola e del pensiero e si dispiega nell’essere queer, nell’amore, nell’autoemancipazione femminista di un’umanità senza confini e in tutte le lotte emancipatorie per la giustizia tra tutte le persone. Ora la mia parola per oggi finirà presto, se necessario la contraddirò, soprattutto se si continua a mettermi in catene, a rinchiudermi e a cercare di spezzare la mia dignità con la forza. Perché sì, oggi si tratta ancora della questione di una procedura costituzionale, della questione di come sia possibile che io sia esposto a queste condizioni di detenzione e che si cerchi di punirmi in questo modo umiliante e offensivo. Tuttavia, non è nelle mie mani cambiare la situazione. Le autorità tedesche mi hanno estradato e non hanno rispettato la loro massima corte, l’Ungheria sta violando le garanzie e la legge europea, dimostrando ancora una volta come si stia allontanando dai presunti valori democratici. Non mi resta che denunciare tutto questo, oppormi e fare appello a tutti affinché facciano lo stesso. So che l’esperienza di tutto questo non è solo mia e quindi spero che le mie parole arrivino anche a tutti coloro che sono perseguitati e imprigionati per essersi opposti all’estremismo di destra, al fascismo, al patriarcato, allo sfruttamento della natura e delle persone, alla violenza strutturale e razzista e alla repressione, per aver creato alternative e per l’emancipazione, l’esistenza queer e una vita dignitosa per tutti. Non ci vuole molto, ma prima la fiducia che il coraggio e la fiducia creano grandi cose dalle piccole cose, perché da esse nasce la resilienza contro l’attesa di giorni migliori, in cui sperimentiamo che ogni nostra azione determina ciò che si ramifica nel nostro giardino davanti a noi e fiorisce nei prossimi giorni di primavera. E a tutti gli altri, voglio esprimere la mia sincera gratitudine per aver trovato il tempo di ascoltarmi. Maja  
Vinto il ricorso costituzionale, ora FREE maja!
Abbiamo vinto il ricorso costituzionale: FREE MAJA! Ieri mattina la Corte costituzionale federale ha accolto ufficialmente il ricorso costituzionale di Maja contro l’estradizione frettolosa in Ungheria, già avvenuta: la decisione della Corte d’appello regionale di Berlino aveva violato i diritti fondamentali di Maja. Si tratta di una grande vittoria legale per gli avvocati degli imputati nel processo di Budapest! Nella motivazione si legge: La Corte d’appello di Berlino non ha chiarito a sufficienza le condizioni di detenzione che attendevano Maja. Dai resoconti delle organizzazioni per i diritti umani e dalle dichiarazioni giurate di altri prigionieri, tra cui gli antifascisti Ilaria e Tobi, anch’essi accusati nel processo di Budapest, è noto quanto siano orribili e disumane le condizioni nelle prigioni ungheresi. Tali segnalazioni vennero ignorate e minimizzate quando venne presa la decisione di estradare Maja. Le rassicurazioni superficiali dell’Ungheria e una sentenza di estradizione obsoleta della Corte regionale superiore di Kiel del 2021 hanno ricevuto più attenzione delle dichiarazioni degli stessi prigionieri attuali. La Corte costituzionale federale ha criticato questo approccio nella sua decisione di ieri. Si afferma che le dichiarazioni rilasciate dalle autorità ungheresi nel corso del procedimento di estradizione non sono sufficienti per escludere semplicemente violazioni dei diritti fondamentali. La Corte costituzionale federale ha inoltre concluso che Maja potrebbe essere particolarmente vulnerabile a trattamenti degradanti nelle carceri ungheresi a causa della sua identità di genere non binaria. Anche a questo proposito la Corte costituzionale federale ha ritenuto che la Corte d’appello regionale di Berlino non avesse ottenuto garanzie sufficienti per assicurare un trattamento umano e proteggere Maja da aggressioni verbali e fisiche. A causa delle azioni illegali e senza scrupoli dell’Ufficio di polizia criminale dello Stato della Sassonia e della Procura generale di Berlino, Maja è stata incarcerata in Ungheria il 28 giugno 2024 e dovrà rimanervi durante la custodia cautelare in carcere e il prossimo processo. Tuttavia, con la sentenza odierna, la Corte costituzionale federale ha stabilito che le condizioni delle carceri ungheresi non rispettano i diritti umani e gli standard del diritto europeo. Ciò rende tutto più chiaro: i politici tedeschi devono agire ora e impegnarsi per il rapido ritorno di Maja in Germania. Questa decisione può essere interpretata con cautela anche come un buon segno per le imminenti ulteriori estradizioni!   Noi chiediamo: Maja deve essere restituita il prima possibile! Nessuna ulteriore estradizione di antifascisti in Ungheria! -------------------------------------------------------------------------------- Fonte