Tag - aggiornamenti

Solidali e antifascist* con le nostr* compagn* ungheresi
Traduzione dell’articolo del blog AFA Europe: https://afaeurope.noblogs.org/?p=225 Mentre l’Ungheria, sotto Viktor Orbán, inserisce l’organizzazione “Antifa” tra i “gruppi terroristici”, estremisti di destra tedeschi e internazionali stanno già preparando la prossima grande marcia fascista per il “Giorno dell’Onore” nel febbraio 2026… Cosa è successo: Il governo ungherese ha dichiarato l’“Antifa” un’associazione terroristica. Il 26 settembre 2025 il relativo decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale “Magyar Közlöny”: Decreto governativo 297/2025 (IX. 26.) “sulle regole per le misure contro determinate persone e organizzazioni nella lotta al terrorismo in situazioni di pericolo”. Il decreto elenca – come presunta prova della pericolosità – alcune azioni antifasciste degli ultimi anni in Italia, Francia e Germania. Per la Francia, ad esempio, vengono citate proteste attribuite all’“Offensive Révolutionnaire Antifasciste”. Si menzionano anche azioni di solidarietà per gli antifascisti detenuti a Budapest, come vernice e vetri rotti all’edificio dell’istituto culturale nazionalista “Collegium Hungaricum” a Berlino nel gennaio 2024, classificati come “grave danneggiamento”, oppure l’occupazione solidale del consolato onorario ungherese a Venezia nel febbraio 2024. Naturalmente vengono citati anche gli episodi di febbraio 2023 a Budapest attualmente oggetto di processo in Ungheria e Germania tra cui anche il caso di Maja. (https://www.basc.news/die-vermeintlichen-opfer-im-budapest-verfahren/) Dopo questa lunga e mal documentata premessa, vengono nominate due organizzazioni come nuove associazioni terroristiche vietate: la “Gruppierung Antifa” (formulazione volutamente generica…) e la “Hammerbande / Antifa Ost”. Non è ancora chiaro cosa significhi concretamente. Formalmente sono possibili sanzioni finanziarie, divieti di espatrio o rifiuti di ingresso per persone ritenute collegate alle organizzazioni citate. I pochi media critici ungheresi parlano di “liste nere”. La classificazione terroristica può essere richiesta dal Ministro per la lotta al terrorismo (Sándor Pintér) o dal Ministro della giustizia (Bence Tuzson) sulla base di segnalazioni della polizia, dell’autorità nazionale delle dogane e delle imposte o del centro nazionale di informazione. Può essere considerato “terrorista” chiunque sia collegato alle attività di un gruppo presente nella lista e per cui si ritenga esista “il pericolo di compiere atti terroristici” – un chiaro diritto penale del nemico, basato su sospetti vaghi e utilizzato come intimidazione politica contro tutto ciò che è di sinistra. Orbán stesso, nel suo consueto intervento radiofonico settimanale, ha dichiarato che “l’Antifa e le sue sotto-organizzazioni” sono organizzazioni terroristiche e che il governo deve assumere un “ruolo di avanguardia”. Ha parlato di necessarie “misure di ritorsione”. Anche se gli attori nominati non avessero ancora commesso crimini, bisognerebbe agire contro di loro “prima che li commettano”, ha aggiunto. (https://hvg.hu/itthon/20250926_Megjelent-a-nemzeti-terrorszervezet-rendelet-a-Mi-Hazank-2-eve-meg-leszavazott-otletet-adja-elo-sajat-vivmanyakent-Orban-ebx) Questo atto politico-amministrativo contro gli antifascisti non avviene nel vuoto: poco prima Donald Trump, dopo la sparatoria mortale contro l’estremista di destra Charlie Kirk negli USA il 10 settembre, aveva annunciato l’intenzione di classificare “l’Antifa” come organizzazione terroristica. Successivamente il ministro degli esteri ungherese Péter Szijjártó ha chiesto all’UE di adottare una simile classificazione a livello europeo. L’Ungheria diventa così il primo governo europeo a seguire le orme di Trump, ordinando misure contro “l’Antifa” – anche se di “concreto” c’è ben poco… [Ndr vedi aggiornamenti: https://freeallantifas.noblogs.org/ieri-banditi-oggi-terroristi/] Dalla destra estrema fino alla cosiddetta “centro” La richiesta di classificare il movimento “Antifa” come organizzazione terroristica era già stata avanzata nel 2023 dal partito fascista “Mi Hazánk”. All’epoca il partito di governo “Fidesz” non l’aveva nemmeno inserita all’ordine del giorno per motivi giuridici. Qui si manifesta un tipico processo di conquista del potere da parte della destra: rivendicazioni prima limitate ai partiti di estrema destra vengono gradualmente adottate da populisti e conservatori, scivolando così sempre più nel mainstream. Va ricordato anche che nell’aprile 2023 il terrorista di destra ungherese György Budaházy, condannato a una lunga pena detentiva, era stato graziato dall’allora presidente Katalin Novák. Antifascismo – ora più che mai! Non possiamo ancora valutare con precisione cosa significherà questa nuova politica. Le nostre compagne e i nostri compagni ungheresi hanno già lunga esperienza nel fare politica di sinistra in un sistema repressivo di destra. La reazione al divieto del Pride ungherese a Budapest nell’estate 2025 è stata un’esperienza potente e commovente: nonostante minacce di sanzioni e l’annuncio di identificare i partecipanti tramite software di riconoscimento facciale, centomila persone hanno riempito le strade di Budapest con i colori dell’arcobaleno. La repressione e l’intimidazione hanno un effetto, ma non portano automaticamente a letargia e paura: esistono sempre anche ribellione, coraggio e resistenza creativa. Come antifascisti tedeschi e internazionali ci sentiamo ancora responsabili di agire insieme e in solidarietà con i nostri compagni sul posto – contro la repressione, ma soprattutto contro il fascismo, che lì viene regolarmente portato in strada dai neonazisti tedeschi. Anche nel febbraio 2026 migliaia di estremisti di destra “celebreranno” il revisionista “Giorno dell’Onore” a Budapest. Ciò significa: fascisti in tutta la città, commemorazioni naziste con fiaccole e candele, la tradizionale marcia lungo la “rotta di fuga” del ’45 dei soldati nazisti tedeschi dalla Armata Rossa, concerti di musica di destra, ecc. Dal 1997 queste commemorazioni si svolgono, dal 2003 organizzate dal ramo ungherese di Blood & Honour, poi dal gruppo paramilitare Légió Hungária. Anche lo Stato utilizza il “Giorno dell’Onore” come narrazione nazionalista per mantenere vivo il mito vittimista dell’Ungheria. Si tace però sul fatto che l’Ungheria collaborò con la Germania nazista e che con i Croci Frecciati ebbe un proprio partito fascista, che organizzò attivamente la deportazione degli ebrei ungheresi. Negli anni il “Giorno dell’Onore” si è trasformato in un weekend-evento della scena di destra. Nel 2025 hanno partecipato molte note organizzazioni neonaziste internazionali: “Nacionalisté” dalla Repubblica Ceca, “Der III. Weg”, “Die Rechte”, “Freie Sachsen”, “Junge Nationalisten” dalla Germania, “Blood & Honour Switzerland”, “Infokanal Deutschösterreich”, “Division Wien”, il movimento giovanile ungherese delle 64 contee HVIM, “Kameradschaft Gemeinschaft der Wölfe”, “Betyársereg”, “Légió Hungária” e molti altri. Il culto fascista della morte e la glorificazione nazista si daranno di nuovo la mano nel febbraio 2026. Allo stesso tempo, i nazionalisti partecipanti da tutta Europa useranno gli eventi per fare rete e rafforzare il movimento di destra a livello internazionale. Per questo è tanto più importante che ogni anno ci sia una resistenza antifascista stabile! Lo faremo anche nel 2026. Osserveremo e analizzeremo gli sviluppi. Non ci lasceremo intimidire, ma non agiremo nemmeno in modo cieco e ottuso: agiremo insieme e in solidarietà. Conclusione – la parola d’ordine dalla chiamata del 2025 delle nostre compagne e compagni ungheresi: “Chi tace è complice! Se sei contro la glorificazione dei nazisti, se non vuoi vedere soldati nazisti marciare per le strade, allora vieni a protestare contro il ritorno del fascismo. Nessuno spazio al fascismo!”
Resoconto dell’udienza di Maja, 08.10.2025
Traduciamo questo articolo diffuso sui canali tedeschi: Resoconto dell’ultimo giorno del processo prima dell’aggiornamento a gennaio. Questo significa altri quattro mesi di isolamento per Maja, e per noi quattro mesi per lottare per Maja e richiamare l’attenzione sulla situazione. Non dobbiamo arrenderci, non dobbiamo mollare, ma rimanere forti, come Maja. Segnatevi anche le date sul calendario: il processo durerà quattro giorni, dal 14 gennaio, e il verdetto sarà annunciato il 22 gennaio 2026. Se possibile, recatevi a Budapest per sostenere Maja, la sua famiglia e i suoi amici e per dimostrare a Orbán che non ci lasceremo intimidire. Aspettatevi anche mobilitazioni in Germania dopo il verdetto. IL GIORNO DEL PROCESSO Fin dalle prime ore del mattino, la gente si è radunata di nuovo davanti al carcere in segno di solidarietà. All’arrivo, è già chiaro che l’atmosfera è tesa: i fascisti hanno imbrattato il luogo del raduno con acido butirrico e feci. L’aspetto positivo della situazione: al presidio solidale è consentito di sostare direttamente sotto la finestra dell’aula di tribunale. Una cinquantina di neonazisti sono fermi davanti al tribunale. Nonostante i tentativi di intimidazione, il sostegno a Maja rimane intatto. Oggi c’è più stampa rispetto ai giorni scorsi. Giornalisti da Italia, Germania e Ungheria. Anche Martin Schirdewan, membro del Parlamento europeo del Partito della Sinistra, è di nuovo presente. L’aula è di nuovo piccola e i posti si riempiono rapidamente. Alcune richieste di osservatori solidali sono state respinte mentre i fascisti ci stanno col fiato sul collo. Mentre Maja viene portata in aula alle 8:53, un uomo cerca di filmarla con il suo cellulare. Il personale del tribunale le fa scudo, e la persona viene accompagnata fuori. Da fuori, attraverso le finestre, risuonano grida: “Liberate Maja!” e “Amore e forza a te in prigione!” Dentro, Maja chiede di poter parlare e che le venga finalmente concesso di riprendere le visite famigliari in carcere. La seduta odierna dovrebbe riguardare il confronto tra due testimoni: Tamas, considerato un testimone indipendente, e Dudog, che, insieme alla moglie, è una delle presunte vittime. INFORMAZIONI DI BASE SU DUDOG László Dudog è una figura importante nella scena rock ungherese di destra. È un membro attivo della band ungherese Blood & Honor “Divine Hate” ed è co-fondatore della band “Divizio Hungária”. Dudog ha eseguito “Divine Hate” l’11 febbraio 2022 al concerto “Blood and Honor” come parte del Giorno dell’Onore. L’etichetta della sua band, Nordic Sun Records Budapest, è partner di Blood&Honour Ungheria. Ha un tatuaggio del Klu Klux Klan sul braccio e un 88 sul petto, incorniciato da una corona d’onore. In un’intervista ad “Il Giornale” racconta di partecipare da tempo alle manifestazioni della Giornata dell’Onore per dimostrare il suo rispetto verso i caduti, che considera eroi. IL CONFRONTO Entrambi i testimoni sono posizionati nella parte anteriore con i microfoni. Tamas aveva già testimoniato di aver visto simboli delle SS sulla giacca di Dudog. Dudog ora porta una giacca nera – senza mostrine – e sostiene che sia la stessa che indossava allora. Sua moglie lo sostiene, spiegando che la polizia ha esaminato gli abiti dopo il crimine e li ha conservati perché erano insanguinati. Quando viene mostrato il vecchio filmato, un teschio è chiaramente visibile sugli abiti di Dudog. Descrive il simbolo come “apolitico”. Tamas non è d’accordo: per lui è chiaro che si tratta di un simbolo delle SS. Tamas e la coppia ripercorrono gli eventi della serata. Tamas rimane fedele alla sua versione: ha visto solo l’uomo aggredito, non la donna. Lei, tuttavia, sostiene di essere stata colpita da più direzioni e di essere svenuta. Tamas spiega con calma di non aver visto nessuno a terra. Ha chiamato i soccorsi e ha prestato immediatamente soccorso, pur sapendo che l’uomo era un estremista di destra. La donna si attiene alla sua dichiarazione e la ripete più volte. Alza le mani, parla di shock e dolore, di una ferita da arma da taglio alla coscia. Il giudice la interrompe infine e le ricorda che solo lui valuterà la credibilità delle dichiarazioni. Il referto dell’ospedale, tuttavia, non ha riscontrato lesioni. Il confronto può essere considerato parzialmente valido, poiché la corte riconosce che il berretto di Dudog recava effettivamente un simbolo di estrema destra quel giorno. Dudog e sua moglie dopo aver terminato lasciano l’aula. NUOVA DOCUMENTAZIONE Successivamente vengono letti nuovi documenti, questa volta provenienti dalle autorità tedesche. Mostrano presunti collegamenti tra i vari imputati: mappe, screenshot, immagini sfocate, estratti di videosorveglianza sul tram. Nelle immagini non si riconosce quasi nulla, eppure da esse si ricavano nomi, luoghi e presunte connessioni. I volti pixelati compaiono ripetutamente. Una giacca rossa, un cappello, ombre nell’immagine. Il tribunale descrive dettagliatamente cosa dovrebbe essere mostrato nelle foto, anche se nessuno può dire con certezza chi vi sia effettivamente raffigurato. Maja viene menzionat* per nome più volte nei resoconti, a volte con il suo deadname[1]. È difficile sopportare che, dopo quasi due anni di prigione, descrizioni così discriminatorie, irrispettose e inaccurate siano ancora parte integrante del procedimento. Dopo ore di analisi delle immagini, l’avvocato di Maja ha la sua opinione. Chiede nuovamente che la custodia cautelare di Maja venga revocata con la condizionale o su cauzione e che le vengano concessi gli arresti domiciliari. Maja ha sempre rispettato tutte le regole. La richiesta viene presentata con una lettera dettagliata e documenti aggiuntivi. La Procura respinge la richiesta, sostenendo che Maja potrebbe fuggire, che non riconosce l’ordinamento giuridico ungherese e che fa “parte di un movimento antifascista”. La procura descrive addirittura le manifestazioni di solidarietà in strada come prova di “collegamenti con la scena”. L’avvocato di Maja è fortemente in disaccordo. Afferma che le accuse del pubblico ministero sono infondate. Maja sta lottando in condizioni difficilissime, è in isolamento da 18 mesi e non ha fatto nulla che possa indicare un’intenzione di fuga. Il tribunale è tuttavia contro Maja: la custodia cautelare in carcere viene estesa fino a 21 mesi. La motivazione addotta è ancora una volta il “rischio di fuga” e il presunto reato grave. La solidarietà è criminalizzata e l’orientamento politico è considerato un pericolo. Fuori, qualcuno suona la tromba. Da lontano, si sente di nuovo: “Liberate Maja!” All’interno, la sessione termina alle 14:44. Un’altra giornata piena di contraddizioni e arbitrarietà. Il processo dovrebbe proseguire a gennaio. Fino ad allora, Maja rimarrà in isolamento. La richiesta rimane chiara: FREE MAJA! -------------------------------------------------------------------------------- [1] “Deadname” si riferisce al nome di battesimo di una persona queer che non riconosce più come proprio. Il termine “deadnaming” indica l’atto di utilizzare deliberatamente o per errore questo vecchio nome, che può essere vissuto come un atto di disconoscimento della nuova identità di genere e causare un notevole disagio psicologico. 
Ottavo giorno del processo per Maja a Budapest
Lunedì 22 settembre è proseguito il processo politico contro Maja. Già alle 7 del mattino i sostenitori si sono radunati davanti al tribunale. Nel frattempo, i fascisti hanno chiamato una manifestazione che a loro dire contava 500 persone, effettivamente se ne sono presentate solo 10. La magistratura ungherese sta cercando di intimidire gli antifascisti, ma le grida fuori dall’aula del tribunale ci ricordano che Maja non è sol*. Nella sala stessa sedevano dipendenti dell’ambasciata tedesca e un membro del parlamento del Partito della Sinistra a cui è stato permesso di far visita a Maja. Mentre Maja viene portat* dentro, le grida di “Free Maja” echeggiano all’esterno. Maja sorride, cerca volti familiari e rimane forte, nonostante sia in isolamento da mesi. Condizioni detentive Il giudice lo chiarisce subito: Il procedimento non verrà sospeso. Rimane l’isolamento. Il giudice chiarisce subito: il procedimento non sarà sospeso. L’isolamento continua. Tutti i precedenti penali vengono richiamati per continuare a criminalizzare Maja. Quello che accade qui non è giustizia neutrale, ma repressione politica. Testimone Viene chiamato un testimone. Non riconosce Maja, contraddicendo così direttamente la versione del pubblico ministero. Descrive invece ciò che ha visto: un uomo a terra, chiaramente riconoscibile con una toppa delle SS, un bomber e degli anfibi. Secondo la sua stessa dichiarazione, gli è stato subito chiaro: si tratta di un neonazista. Il testimone stesso è ebreo e afferma chiaramente: “Certo che detesto questi simboli”. Riconosce i fascisti e per questo viene messo sotto pressione dal pubblico ministero, che mette in dubbio la sua testimonianza. Nonostante diverse domande critiche, il testimone resta fermo: ha visto cinque persone incappucciate. Nell’aria c’era odore di spray al peperoncino. Il nazista è caduto a terra ed è stato preso a calci. Ha chiamato il servizio di emergenza. La difesa torna a fare domande. Il testimone conferma: non ha visto alcun attacco contro una donna. Sarebbe intervenuto, se fosse successo. Ma la toppa delle SS, dice, l’avrebbe riconosciuta già da cinque metri di distanza. Questa chiarezza viene messa in discussione dalla procura. Si ha l’impressione che qui non si tratti di giustizia, ma di una narrazione già decisa in anticipo. Maja deve essere condannata a tutti i costi. Le prove Poi ci sono ore di presentazioni video. Immagini pixelate, telecamere tremolanti, ombre sfocate. Le persone camminano per Budapest: presumibilmente sono il “gruppo”. Ma tutto rimane vago, costruito, indimostrabile. Mentre il giudice descrive immagini fisse di scarpe e giacche, le voci echeggiano dall’esterno: “Maja, tieni duro!” All’interno, la magistratura sta cercando di creare “prove” dai pixel. Solidarietà contro la repressione. Maja rimane forte e silenzios*, sorride e sente gli slogan provenienti da fuori: “Ci sono nazisti in ogni città: formate delle bande e spazzateli via!” Questa contraddizione tra interno ed esterno percorre l’intera giornata: uno stato repressivo contro un movimento unito. I video mostrano percorsi, mappe e spostamenti attraverso la città. Vengono menzionati nomi, inventate presunte affiliazioni. E le autorità tedesche forniscono informazioni alla magistratura ungherese. Invece di proteggere gli antifascisti, la Germania è attivamente complice del processo di repressione. La criminalizzazione dell’antifascismo In Ungheria, i fascisti hanno il sostegno dello Stato. Gli antifascisti finiscono in isolamento e i loro processi si trascinano per mesi. Non si tratta di un episodio isolato; è sistematico. Quello a cui stiamo assistendo è uno Stato autoritario che criminalizza la resistenza antifascista. Nel frattempo, il Parlamento europeo si prepara a un dibattito su Ilaria. E cosa sta facendo il governo ungherese? In risposta, un politico si limita a condividere le coordinate del carcere di Budapest sui social media. Non è una coincidenza: è intimidazione. Questo processo non è solo una questione ungherese. Dimostra come gli antifascisti siano minacciati in tutta Europa e come le agenzie governative preferiscano agire contro gli antifascisti piuttosto che contro i fascisti. Ma una cosa è altrettanto chiara a Budapest: la nostra solidarietà non conosce limiti. “Liberate Maja” è più di un appello alla giustizia. È un promemoria che ci difendiamo a vicenda. Che non ci lasceremo dividere. E che la resistenza antifascista è legittima. A Budapest, ad Amburgo e ovunque. Sostenete Maja durante i prossimi giorni del processo a Budapest, continuate a fare pressione affinché Maja venga portata in Germania e difendete anche gli altri detenuti: Clara ad Amburgo, Zaid, che è ancora minacciato di estradizione in Ungheria, e tutti gli altri che vengono criminalizzati per antifascismo. Prossimi appuntamenti processuali: * 26.09 * 29.09 * 02.10 * 08.10 Lo Stato vuole dare un esempio – ma noi non lo permetteremo. Il processo fa parte di un attacco su scala europea contro l’antifascismo. Per questo: partecipate alle manifestazioni, informate chi vi sta intorno e l’opinione pubblica, diventate attivi! Maja non è sola. FREE MAJA!
Hanna S: richiesta di condanna a nove anni di carcere
Il primo grado di giudizio sul “Processo di Budapest” che si sta svolgendo in Germania si concluderà presto, con una richiesta di condanna spropositata  Nel processo contro Hanna S., dinanzi alla Corte d’Appello Regionale Superiore (OLG) di Monaco di Baviera, la Procura Federale ha chiesto lunedì una condanna a nove anni di carcere. Secondo la richiesta, la donna dovrebbe essere condannata per tentato omicidio, lesioni personali gravi e appartenenza a un’organizzazione criminale. L’accusa aveva inizialmente individuato il gruppo, composto da circa 20 persone, in concomitanza con il cosiddetto Complesso Antifa Ost in Germania. Ora si sostiene che il gruppo sia stato fondato puntualmente per organizzare i crimini commessi a Budapest, un fenomeno che la Procura Federale ha definito “turismo della violenza”. Il processo di Monaco di Baviera è stato il primo in Germania sul cosiddetto “Complesso di Budapest”. La magistratura accusa la studentessa d’arte Hanna di essere coinvolta in due dei cinque attacchi contro presunti neonazisti in occasione della “Giornata d’Onore” di estrema destra nella capitale ungherese nel febbraio 2023. Le vittime hanno riportato ferite alla testa da manganelli, in un caso potenzialmente fatali, secondo la Procura Federale. Poiché, oltre alle vittime, anche sei passanti sono stati esposti allo spray al peperoncino, S. potrebbe essere condannata anche per lesioni personali. Hanna S. è stata arrestata a Norimberga nel maggio 2024 e il suo processo è iniziato a febbraio davanti a cinque giudici. Due delle persone aggredite a Budapest sono state ammesse come parti in causa contro S. – sono rappresentate, tra gli altri, dall’avvocato del terrorista dell’NSU (Nationalsozialistischer Untergrund, Clandestinità Nazionalsocialista, cellula terroristica neonazista attiva tra il ’97 e il 2001) Ralf Wohlleben e hanno anche deposto la loro dichiarazione lunedì. Il processo si è concentrato sulla gravità delle ferite inflitte loro con un manganello telescopico. > Non ricordo alcun decesso causato dall’impatto di un manganello. > > Wolfgang Eisenmenger, perito L’accusa aveva convocato il medico legale in pensione Wolfgang Eisenmenger, che ha presentato prove sui suoi precedenti esperimenti con strumenti da impatto simili e un teschio metallico ricoperto di pelle di maiale. “Non ricordo alcun decesso causato dall’impatto di un manganello”, ha dichiarato Eisenmenger riferendosi ai suoi 20.000 esami forensi. Il penultimo giorno del processo, la difesa ha sottolineato che i manganelli telescopici in alluminio, come quelli utilizzati a Budapest, causavano anche lesioni significativamente meno gravi, quindi i paragoni con il teschio metallico e la pelle di maiale non erano applicabili. L’Ufficio di Polizia Criminale dello Stato della Sassonia, che sta conducendo l’indagine, sostiene di aver identificato Hanna S. anche attraverso un’esagerata indagine sui graffiti a Norimberga. Diversi testimoni ed esperti sono stati convocati per il processo, tra cui uno studioso di studi culturali freelance che ha presentato un rapporto sulla destra ungherese e i suoi legami con lo Stato. L’obiettivo degli oltre 30 giorni di processo era dimostrare che S. fosse identica a una “Persona di sesso femminile sconosciuta di 15 anni” documentata in immagini provenienti da Budapest. A tal fine, ore di video ripresi da tram e dashcam di veicoli sono stati trasmessi alla Corte d’Appello Regionale Superiore, nonché da telecamere private installate agli ingressi di un appartamento Airbnb e di un bar a Budapest. Anche il medico legale Dirk Labudde, che ha misurato biometricamente l’imputata contro la sua volontà per confrontarla con le riprese di videosorveglianza pubblica, ha testimoniato. Un super-riconoscitore della polizia, che ha anche confrontato le riprese, non è riuscito a convincere il tribunale. TRADOTTO DA ND-AKTUELL.DE
Berlino, Budapest, “fino a Kathmandu”: come il padre di Maja T. lotta per su* figli*
16 luglio, 16:18: Maja T. è in Ungheria da circa un anno a seguito di un’estradizione illegale e ha appena interrotto uno sciopero della fame di 40 giorni. Suo padre, Wolfram Jarosch, cerca di starle accanto come meglio può. Cosa si prova quando un* figl* si ritrova nel bel mezzo di un disastro legale? Wolfram Jarosch è in cammino da alcune ore: stamattina ha iniziato la sua marcia di protesta dal carcere di Dresda a quello di Budapest, lo stesso percorso che sua figlia Maja T. ha seguito il 28 giugno dell’anno scorso. Una marcia che durerà diversi giorni. Nel caso di Maja, ci sono volute solo poche ore in elicottero, dopodiché l’estradizione alle autorità ungheresi è stata completata. Quella notte, secondo la banca dati giuridica “Beck-Online”, l’Ufficio di Polizia Criminale dello Stato della Sassonia, in consultazione con la Procura di Berlino, ha prelevato Maja dalla sua cella. Gli esperti legali criticano il fatto di non aver atteso la mozione d’urgenza della Corte Costituzionale Federale, arrivata con meno di un’ora di ritardo. Un dibattito che non giova più a Maja: è in carcere da circa un anno, nonostante la Corte Costituzionale Federale abbia dichiarato l’estradizione illegale. Da allora, i suoi genitori lottano per Maja. La madre, che ha lo stesso cognome di Maja, è sempre pronta ad offrire supporto e segue il marito in bici lungo il percorso. Wolfram Jarosch organizza manifestazioni, rilascia interviste pubbliche ed è costantemente disponibile, anche per i giornalisti. Ha camminato da Jena a Berlino per consegnare una petizione per il ritorno di Maja. Ora Jarosch sta camminando fino a Budapest, 730 chilometri. Senza cibo solido. “Purtroppo, a volte bisogna fare qualcosa di ben visibile per essere ascoltati”, afferma in un’intervista con Watson (il giornale da cui è preso l’articolo, ndr). Il padre di Maja T. viene a sapere dell’arresto durante la perquisizione domiciliare Ricorda il momento che gli ha stravolto la vita: era metà dicembre 2023. “Sono stato improvvisamente sorpreso dagli agenti di polizia che hanno bussato alla porta e poi hanno perquisito tutto”, racconta. “È stato, ovviamente, uno shock.” Racconta: “Alla fine della perquisizione domiciliare, un agente di polizia mi ha detto, molto semplicemente: ‘Maja è appena statx arrestatx’.” Solo attraverso il mandato di perquisizione ha scoperto di cosa era accusatx Maja: lesioni personali gravi. Secondo la Procura ungherese, Maja T., sospettatx di essere un’estremista di sinistra, sarebbe coinvoltx negli attacchi contro neonazisti a Budapest nel febbraio 2023. L’imputatx e i complici sono accusati di molteplici attacchi contro estremisti di destra… Maja T. viene condottx in tribunale al guinzaglio. Accuse che dovrebbero essere chiarite, devono esserlo, ma l’Ungheria è pesantemente criticata per la conduzione del processo. Maja T. viene condottx in aula con manette e catene alle gambe, con un guinzaglio intorno allo stomaco. Il politico di sinistra Martin Schirdewan ha parlato a Watson di un “processo farsa” politico. Dopo un giorno di processo, Schirdewan ha riferito che l’esperto aveva omesso gli effetti dello sciopero della fame (tra cui vertigini, mal di testa, nausea). L’accusa ha presentato dichiarazioni che erano già state confutate dalla difesa; il giudice era di parte. Wolfram Jarosch afferma che nessuno dei testimoni delle precedenti udienze ha riconosciuto Maja e non è stato mostrato alcun video che mostri Maja usare violenza. Il giornalista dello Spiegel, Timo Lehmann, che sta seguendo il processo sul posto, racconta una storia simile. Finora non ha visto nulla nei video che indichi chiaramente Maja T. Non è chiaro nemmeno chi sia Maja nel video. Lehmann non era presente per tutti i giorni del processo; Jarosch era presente invece per cinque giorni. Maja stessx non ha commentato le accuse. Suo padre, Jarosch, fa riferimento alla presunzione di innocenza. Il giornalista dello Spiegel, Lehmann, riferisce che il tribunale “non ha il presentimento che questa presunzione di innocenza sia applicabile”. Controversia tra Ungheria e Commissione Europea sullo stato di diritto Le accuse devono essere esaminate nell’ambito di un giusto processo, ma “non ho affatto l’impressione che in Ungheria si stia seguendo tale giustizia”, critica Jarosch. Anche Schirdewan ne dubita. L’effettivo stato di diritto in Ungheria è da tempo un tema di cui si occupa la Commissione Europea. Alla fine del 2022, l’UE aveva già congelato i fondi destinati al Paese. Il rapporto sullo stato di diritto, pubblicato di recente, continua a classificare negativamente l’Ungheria, citando gravi carenze, tra cui l’indipendenza della magistratura. Ora Maja T. è nel vivo della questione. Se condannatx in Ungheria, rischia fino a 24 anni di carcere, una pena significativamente più alta di quella che si aspetterebbe in Germania. Il padre Wolfram Jarosch sta facendo di tutto per far tornare Maja in Germania, in modo che il processo possa svolgersi qui; o almeno che Maja possa essere postx agli arresti domiciliari in Ungheria, finora senza successo. Di recente, gli arresti domiciliari sono stati respinti anche perché Maja “non ha mostrato il minimo segno di sottomissione volontaria” e ha cercato di esercitare pressioni con lo sciopero della fame, secondo un comunicato stampa del tribunale. Jarosch accusa il tribunale di inventare continuamente nuove giustificazioni. Il fatto che nulla stia cambiando è frustrante per il padre. Il padre continua lo sciopero della fame, e spera per Wadephul Ecco perché Jarosch sta marciando. In un certo senso, aiuta anche lui, facendo così qualcosa che potrebbe avere un effetto senza restare con le mani in mano. Infatti, lo sciopero della fame interrotto da Maja dopo 40 giorni per motivi di salute, viene ripreso dal papà durante la sua marcia, astenendosi dal cibo solido. Spera che questo attiri maggiore attenzione sulla sua causa. L’obiettivo è quello di esercitare pressioni, aspettando l’intervento del Ministro degli Esteri Johann Wadephul, che aveva annunciato l’invio di una delegazione del Ministero degli Esteri in Ungheria. Il politico della CDU ha affermato che il primo obiettivo era migliorare le condizioni carcerarie. Maja ha segnalato parassiti nella cella e l’isolamento completo. Solo la videosorveglianza costante è stata interrotta. Ci sono anche controlli di nudità. “È ovviamente molto spiacevole doverlo fare ogni giorno davanti a guardie maschili, che poi prendono in giro, soprattutto per una persona non binaria”, afferma Jarosch. Qualche settimana fa, ha dichiarato di non poter più sopportare la prigionia: il motivo dello sciopero della fame. Le condizioni di Maja sono peggiorate drasticamente. È statx trasferitx in un ospedale carcerario. Secondo Jarosch, qui non ci sono cimici ed è “relativamente moderno e pulito rispetto al carcere”. Anche guardie, medici e infermieri sono un po’ più amichevoli. “Maja può guardare fuori dalla finestra e ha visto le stelle per la prima volta in un anno” – Maja ne era particolarmente soddisfatta. Le finestre del carcere sono coperte. Secondo la Corte Costituzionale Federale, ciò è consentito solo se non priva completamente i detenuti della vista sull’esterno. Jarosch ha visto Maja l’ultima volta a luglio. Durante la visita, gli è stato persino permesso di abbracciare Maja, ma non è sempre così. Le regole per le visite sono rigide. Sono consentite due ore al mese, non di più. Vorrebbe provare a organizzare un’altra visita per l’inizio di agosto, perché sarebbe bello poter abbracciare Maja dopo il lungo viaggio, dice. Jarosch è molto preoccupato per Maja, soprattutto a causa dell’isolamento. Anche in ospedale non è cambiato nulla. “Lo trovo assurdo”, dice il padre di Maja. “Un ospedale è lì per aiutarti a guarire.” L’isolamento è giustificato anche dall’identità di Maja. A causa del clima ostile, Maja potrebbe essere aggreditx, ma Jarosch non lo trova convincente. “Si potrebbe scegliere deliberatamente con chi Maja trascorrere il tempo in giardino.” La sua più grande paura in questo momento? Che l’isolamento continui. Anche per lui la situazione è difficile. “Ti piacerebbe andare lì e far uscire Maja. Ma non è possibile.” Maja cerca di organizzare la sua giornata, fa yoga e impara l’italiano e l’ungherese. Maja vorrebbe studiare selvicoltura o giardinaggio; ha letto tutto il libro di testo che Wolfram Jarosch ha portato con sé in prigione. Trova “ammirevole” che sua figlia riesca a sopportare tutto questo. Non si sa quando le cose cambieranno. Wolfram Jarosch, che ora non è solo un insegnante ma anche un portavoce di Maja, vuole continuare a lottare. Scuola la mattina, Maja il pomeriggio. Al momento sono le vacanze, ed è per questo che la marcia di protesta è possibile. Trae forza dalla sua famiglia, dagli amici, da chi pensa: “E se succedesse a mio figlio?” e da sua moglie, che lo accompagna in bicicletta. L’intera situazione è una “clamorosa ingiustizia”, dice. “Andrei anche a piedi fino a Kathmandu per far liberare Maja”. Tratto e tradotto da politik.watson.de
Dal carcere di Moabit: Saluti di Nanuk a Maja
La lettera ci è arrivata solo a metà luglio, quando Maja aveva già terminato il suo sciopero della fame. Ciononostante, pubblichiamo qui la lettera di Nanuk sullo sciopero della fame di Maja.  Giugno 2025 – Carcere di Moabit, Berlino  Il 13 giugno ho appreso dalla stampa la decisione di Maja di iniziare uno sciopero della fame per lottare per migliori condizioni carcerarie e per il suo ritorno in Germania. Quel giorno, Maja aveva già rifiutato il cibo per una settimana e aveva già perso 7 kg. Trovo difficile esprimere a parole i miei pensieri: La mia preoccupazione per la salute di Maja, la mia paura: fino a che punto si spingerà il tribunale nell’autoritaria Ungheria? La magistratura metterà alla prova la volontà di Maja fino al processo e l’incompatibilità detentiva a causa delle gravi condizioni di salute? Verrà ordinata l’alimentazione forzata? Tutto per fare trionfare il sistema giudiziario ed estorcere una confessione?  Lo sciopero della fame di Maja, che dura ormai da oltre 20 giorni, rappresenta un passaggio da una percezione di impotenza a un’esperienza di autoaffermazione. Molti si chiederanno: perché una giovane dovrebbe arrivare al punto di usare la propria salute come arma? Perché rimane l’ultima risorsa nella lotta per la propria dignità umana. L’isolamento è e rimane una tortura. La privazione del sonno attraverso controlli orari è e rimane una tortura. Maja è stata sottoposta a questo trattamento per mesi; queste condizioni di detenzione lasciano cicatrici psicologiche e possono solo servire a costringerla a una resa totale.  Con il beneplacito del Tribunale Regionale Superiore, su decisione dell’Ufficio di Polizia Criminale dello Stato della Sassonia (LKA) nella persona dell’Unità Speciale Soko Linx, Maja è stata estradata illegalmente in Ungheria. Ciò significa che anche la Germania ha l’obbligo di riportare Maja indietro e quindi di rispettare e attuare la decisione del tribunale. Qui al carcere di Moabit, parlo spesso con i miei compagni di prigione delle condizioni di Maja. Molti detenuti hanno familiarità con il carcere anche al di fuori della Germania e sono sconvolti dalla situazione di Maja. Tutti le augurano coraggio e forza per la lotta che sta intraprendendo e sono solidali.  Riportiamo Maja in Germania e nessuna estradizione di Zaid in Ungheria!  Nanuk dal carcere di Moabit, Berlino -------------------------------------------------------------------------------- Di seguito un articolo pubblicato il 24 novembre 2024 AGGIORNAMENTO SULL’ARRESTO E SULLA SITUAZIONE ATTUALE DELL’ANTIFASCISTA NANUK Nanuk è stato arrestato dagli agenti dell’Ufficio Federale di Polizia Criminale (BKA)/Ufficio di Polizia Criminale Statale (LKA) della Sassonia nel pomeriggio del 21 ottobre 2024, mentre era in bicicletta a Berlino. Da Berlino, è stato prima condotto alla Corte Federale di Giustizia (BGH) di Karlsruhe, dove è stato portato davanti a un giudice il 22 ottobre 2024, che ne ha ordinato l’arresto. Da Karlsruhe, è stato riportato a Berlino e si trova in custodia cautelare nel carcere di Moabit dal 23 ottobre 2024. Dopo il suo arresto, sono state effettuate perquisizioni nel suo appartamento a Berlino e in un altro appartamento.  Per entrambi i viaggi gli è stato risparmiato un trasferimento in elicottero di alto profilo. Anche il ricevimento stampa a Karlsruhe, già noto per altri procedimenti nel “Complesso Antifa Est” („Antifa-Ost-Komplex“ in tedesco), non ha avuto luogo. Ciononostante, articoli sensazionalistici e incendiari sono apparsi sui tabloid e sulle reti di destra poco dopo il suo arresto e prima dei comunicati stampa ufficiali. Le informazioni sul suo arresto sono trapelate ancora una volta alla stampa, come ormai prassi comune nel “Processo Antifa Est”.  Persino Nancy Faeser non ha resistito a elogiare l’arresto: “Lo stato di diritto ha un potere duraturo nella lotta contro i pericolosi estremisti di sinistra. Nessuno può sentirsi al sicuro in clandestinità. Questo è un importante successo investigativo, tra gli altri, per l’Ufficio Federale di Polizia Criminale”. Secondo la teoria del ferro di cavallo”, qualsiasi antifascista che non si renda disponibile alle autorità di sicurezza deve essere “pericoloso”.  La realtà è ben diversa da questo plauso della stampa. Il mandato d’arresto della Corte Federale di Giustizia accusa Nanuk solo di aver sostenuto un'”organizzazione criminale” nell’ambito del “Processo Antifa-Est” tra il 2018 e il 2020 e di aver partecipato a un attacco al bar neonazista “Bulls Eye” di Eisenach nel 2019. E queste accuse, del tutto marginali, si basavano quasi esclusivamente sulle dichiarazioni del traditore e testimone chiave del primo “Processo Antifa Est”, Johannes Domhöver.  È in corso anche un altro processo riguardante gli incidenti della notte di Capodanno 2018/2019, quando la filiale della Corte Federale di Giustizia (BGH) e una confraternita studentesca a Lipsia furono attaccate. Al momento non è chiaro cosa sia accusato esattamente.  Sebbene Nanuk sia attualmente rinchiuso da 22 ore nel carcere di Moabit, le sue condizioni di salute, considerate le circostanze, sono buone. Riceve visite regolari dal suo avvocato, ha una radio, una televisione e accesso a due quotidiani, disponibili gratuitamente in carcere, e a riviste come Spiegel, che può ottenere a pagamento. Altri libri e riviste che desidera e che gli sono stati ordinati non gli sono ancora stati consegnati. Non ha ricevuto nemmeno posta, sebbene molte persone gli abbiano già scritto. Tutta la posta viene prima letta dai procuratori prima di essere consegnata a lui, e chiaramente non hanno fretta di permettergli di comunicare con il mondo esterno.  Ma questo non dovrebbe impedire a nessuno di continuare a scrivere lettere e cartoline a Nanuk. Le pareti grigie della sua cella aspettano di essere decorate con cartoline. Le dimostrazioni di solidarietà sono molto importanti e ce ne sono già state diverse dal suo arresto. C’è stato uno spettacolo pirotecnico davanti al carcere e una manifestazione in carcere il 2 novembre 2024. Nanuk accoglie ogni forma di solidarietà. Siate creativi. La solidarietà è la nostra arma. Ci aspettiamo che il procedimento si estenda per un periodo più lungo, quindi la solidarietà con Nanuk e il supporto per le spese legali continueranno a essere importanti anche nel 2025. Proprio come lo sono per tutti gli altri antifascisti criminalizzati.  Libertà per Nanuk! Libertà e felicità per tutti gli Antifa!
Anche Zaid rischia la deportazione in Ungheria
Zaid A. è un compagno con cittadinanza siriana, residente in Germania, che era latitante poichè accusato per i fatti in occasione della giornata dell’onore a Budapest nel 2023. Insieme ad altr* coimputat* aveva deciso di consegnarsi alle autorità a Febbraio del 2025 e ha passato 3 mesi in carcere. Il 2 maggio è stato scarcerato e si trova a piede libero anche se con molte restrizioni. Tuttavia su di lui pende ancora la richiesta di estradizione dell’Ungheria e nelle prossime settimane si capirà se la giurisdizione del suo caso sarà di competenza del tribunale di Colonia o del Tribunale Federale a Berlino. Le accuse che il Tribunale tedesco rivolge ai 6 compagn* di nazionalità tedesca che si sono consegnati (Nele A., Emilie D., Paula P., Luca S., Moritz S. e Clara W.,) includono: l’appartenenza a un’organizzazione criminale, lesioni personali gravi e tentato omicidio, ciascuna con diversi gradi di coinvolgimento. La Procura Generale Federale (GBA) li accusa essenzialmente di aver fondato un’organizzazione criminale nazionale e, in quanto tali, di aver teso imboscate e aggredito persone durante il “Giorno dell’Onore” in Ungheria. Per alcune di queste persone sono stati emessi mandati di arresto europei. Tuttavia, la GBA ha dichiarato che l’azione penale nazionale ha la precedenza sui cittadini tedeschi e che l’azione penale contro i tedeschi avrà quindi luogo in Germania. Il caso di Zaid è diverso perché è straniero. A causa della sua mancanza di cittadinanza, il principio di personalità attiva, che consente a uno Stato di perseguire penalmente i propri cittadini, non si applica a lui. Anche se potesse essere indagato per coinvolgimento in un’organizzazione criminale nazionale, le accuse di lesioni personali commesse contro di lui in Ungheria non potrebbero essere perseguite in Germania.
Maja conclude lo sciopero della fame. La sua lettera.
CARI FRATELLI, COMPAGNI E SOSTENITORI, Mi chiamo Maja. Sono in sciopero della fame dal 5 giugno. L’ho iniziato come protesta contro l’estradizione illegale e ancora irrisolta dalla Germania all’Ungheria un anno fa, contro la persecuzione repressiva degli antifascisti, contro lo svolgimento pregiudizievole e discutibile del processo, nonché contro l’isolamento permanente e le condizioni disumane nelle carceri ungheresi. Ora, dopo quasi sei settimane, ho deciso di interrompere lo sciopero della fame. Non voglio mettere ulteriormente a dura prova la mia salute, perché sento che se non torno indietro ora, sarà presto troppo tardi. Anche se le mie richieste venissero accolte, servirebbe a poco. Ne sarei segnat* a vita, e forse lo sono già. Non ho mai voluto che si arrivasse a questo punto; speravo ingenuamente che un passo così radicale come lo sciopero della fame avrebbe finalmente sensibilizzato chi ricopre posizioni di responsabilità e tutti coloro che possono fare la differenza, in modo che agissero dopo un anno di rassicurazioni, sorrisi e ignoranza. Ormai non rimane molto di me. Il mio corpo è uno scheletro, con uno spirito intatto, combattivo e vibrante. Sorride, cerca libertà e comunità all’orizzonte e si rifiuta di accettare che non ci sia giustizia. Ma non sono pronto a fare il passo verso la morte imminente. Certo, è incerto; potrebbero esserci ancora giorni, forse settimane. Ma se dovessi perdere conoscenza, avrei un debito nei confronti delle persone che combattono al mio fianco, un debito che non sono pronto a gravare su nessuno. Così come non sono pronto a sottopormi a misure coercitive. Il 1° luglio sono stat* trasferit* in un ospedale carcerario a 250 km da Budapest, perché già allora si temeva seriamente per la mia salute. Il nuovo posto è più tranquillo del carcere nella grande città, ma altrettanto isolato, se non di più. I contatti con la mia famiglia sono altrettanto limitati. Il mio avvocato, sempre un supporto indispensabile, ora ha bisogno di un giorno intero per farmi visita. Durante la mia passeggiata di un’ora nel cortile, non incontro altri detenuti. Trascorro le restanti 23 ore in cella, perché qui non ci sono attività ricreative. La solitudine mi sta dilaniando, la nostalgia di casa aleggia all’orizzonte. Dal punto di vista medico, è possibile curare il mio corpo fino alla guarigione qui, ma un recupero mentale sembra impossibile persino qui. Con un imminente trasferimento a Budapest, nulla sarebbe cambiato, perché ciò che ha reso necessario lo sciopero della fame mi attende lì. Né l’ospedale né il carcere in Ungheria possono essere una soluzione. Le mie richieste rimangono invariate! Devo essere rimpatriat* in Germania o posti agli arresti domiciliari e sottopost* a un regolare processo. Sono determinat* a non rimanere in silenzio domani e continuerò a protestare finché sarà necessario. Concludo lo sciopero ora affinché nessuno sia ritenuto responsabile di danni alla salute a lungo termine o permanenti. Tuttavia, questo passo non esonera nessuno dalla responsabilità di creare condizioni carcerarie umanitarie, libere da dolore e sofferenza per tutti, di condurre un processo indipendente e giusto che non pregiudichi, e di garantire l’integrità dei prigionieri, rispettandone la dignità anziché disprezzarli e punirli. Se ciò non accadrà, e se le mie richieste continueranno a essere ignorate, sono determinat* a riprendere lo sciopero della fame. Chiedo ciò che è necessario: poter tornare a casa con la mia famiglia, poter realizzare il mio potenziale attraverso la scuola, il lavoro, ecc., potermi preparare al processo in condizioni di parità e non essere sepolto vivo in una cella. Aspetto ancora una dichiarazione chiara e onesta, delle scuse da parte dei responsabili dell’estradizione e un’offerta di risarcimento. Anche se dovesse arrivare per ultima, è la cosa più importante per me. Grazie a tutti coloro che hanno parlato, che sono al nostro fianco, e a coloro che sono stati lì coraggiosamente per molto tempo, a coloro che sostengono con fermezza il necessario antifascismo, a coloro che sostengono, che sacrificano notte e giorno, che donano e sono punti di riferimento. Questa diversità significa resistenza e utopia allo stesso tempo. I miei pensieri sono sempre con la famiglia e i compagni più cari, percependo il dolore che stanno attraversando e ammirando il coraggio e l’altruismo con cui sopportano. Il mio ringraziamento di oggi ha parole. Ma state tranquilli, il seme della solidarietà con ciò che è possibile giace in terreno fertile. Quindi spero che non solo io, ma molti altri siamo stati in grado di unire coraggio e forza di volontà nelle ultime settimane per guardare al futuro mano nella mano, senza mai perdonare, ma con un sorriso. In solidarietà. A presto, mi farò viv*. Maja
Nuova udienza del processo a Gino
Alle 20 di mercoledì 12 marzo si è tenuta la 5ª udienza del processo al nostro compagno Gino. È stata discussa approfonditamente la documentazione inviata dall’Ungheria e da parte della difesa è stata avanzata una nuova richiesta per i domiciliari. Gino ha rilasciato una dichiarazione sul contesto politico dell’Ungheria e del giorno dell’onore, scenario dei fatti imputati. Alcuni punti del dossier ungherese non convincono la Corte francese: 1) la pena massima di 24 anni in caso di condanna, che nel mandato d’arresto per Gino non erano specificati, appaiono chiaramente sproporzionati rispetto alle accuse 2) la scarsa precisione della corte ungherese nell’indicare il carcere di detenzione preventiva in caso di sua estradizione   Il pubblico ministero sostiene che al netto delle condizioni carcerarie i capi d’accusa valgono in Ungheria tanto quanto in Francia, e di conseguenza incoraggia per l’ennesima volta la corte a procedere con l’estradizione. La nuova proposta degli avvocati difensori per far ottenere i domiciliari a Gino è stata ricevuta con la sua dose di dubbi (sollevati principalmente dal Pubblico Ministero): permane secondo la corte il rischio di fuga da parte dell’imputato. La decisione ultima riguardo ai domiciliari sarà il 26 marzo. La risposta, si pensa definitiva, alla domanda di estradizione arriverà invece all’udienza fissata per il 9 aprile. Gino rimane detenuto a Fresnes, ci auguriamo che presto possa uscirne, libero!
Processo di Budapest: A che punto siamo?
Negli ultimi mesi con l’arresto di Gino e la consegna spontanea di 7 compagn* tedeschi che erano ancora latitanti, la geografia del processo si è ulteriormente allargata, complicandone sia l’aspetto politico che quello repressivo. Ricordiamo che tutto questo sproposito di indagini, azioni repressive e carcerazioni preventive si basa sulle dichiarazioni, tanto infami quanto ridicole, di alcuni neo-nazisti che si trovavano a Budapest per celebrare la parata nazista denominata “Giornata dell’Onore”.  Il seguente riassunto, oltre che a rispondere a un’esigenza di cronaca, vuole essere uno stimolo per i solidali non solo a lottare con sempre maggiore determinazione contro quelle che sono le cause e i responsabili di questo enorme apparato repressivo, ma anche a rafforzare le reti transnazionali di collaborazione, solidarietà e lotta. GINO Gino è un cittadino albanese e un italiano senza cittadinanza, detenuto nella prigione di Frenes (Parigi), in Francia, dal 12 novembre 2024. È stato arrestato dalla polizia antiterrorismo francese (SDAT) dopo aver lasciato la Finlandia, dove risiedeva e da dove sarebbe stato estradato in Ungheria. È attualmente in corso il processo per decidere se dovrà essere estradato dalla Francia e consegnato alle autorità ungheresi. L’udienza del 12 marzo non ha deciso né sulla sua estradizione né sulla richiesta di domiciliari e quindi dovrà rimanere ancora in carcere. La prossima udienza è stata fissata per il 9 di aprile. MAJA Maja è un* compagn* tedesc* digenere non binario, attualmente detenut* a Budapest dopo essere stata illegalmente estradat* dalla Germania nel giugno 2024. Il suo processo è iniziato il 21febbraio 2025. E’ accusat* di lesioni potenzialmente letali, commesse all’interno di una presunta associazione a delinquere, e rischia fino a 24 anni di carcere duro. Nonostante le terribili condizioni di detenzione, Maja ha rifiutato la proposta di patteggiamento del Pubblico Ministero ungherese e ha ribadito il suo impegno di solidarietà e di lotta. Qui la sua ultima dichiarazione pubblica.   TOBI Tobi è stato arrestato a Budapest nel febbraio 2023 ed è stato condannato a 22 mesi di carcere, dopo aver sottoscritto l’offerta di patteggiamento della procura. Allo scadere della pena in Ungheria, nel dicembre 2024, è stato trasferito nel carcere di Karlsruhe, in Germania, e ora dovrà affrontare il processo per il caso Antifa Ost.   HANNA Hanna è attualmente detenuta a Norimberga. All’inizio di marzo è iniziato, a Monaco di Baviera, il suo processo relativo ai fatti di Budapest – che per lei si svolge in Germania e non in Ungheria – con l’accusa di tentato omicidio e associazione a delinquere.     UN NUOVO CAPITOLO PER SETTE COMPAGN* Il 20 gennaio, sette compagn* (Paul, Nele, Clara, Zaid, Moritz, Luca e Paula), ricercati da oltre un anno, si sono consegnati alle autorità tedesche. Al momento si trovano nelle carceri di Lipsia, Colonia, Amburgo, Chemnitz e Bielefeld, in attesa della decisione delle autorità tedesche sulla richiesta di estradizione formulata dall’Ungheria. L’inizio dei processi non è ancora stato fissato.   FUGGITIV* Alcun* compagn* sono latitanti e a loro va la nostra massima solidarietà e il nostro sostegno!   ILARIA Ila, dopo 16 mesi di detenzione a Budapest, è stata liberata nel giugno 2024 perché eletta al Parlamento europeo. Il governo ungherese ha chiesto al Parlamento di revocarle l’immunità ed è in corso la procedura per decidere in merito. Qualora l’immunità venisse revocata, il processo a suo carico riprenderebbe e Ilaria rischierebbe nuovamente di essere arrestata ed estradata in Ungheria.   GABRI Gabri è attualmente libero in Italia, perché nel marzo del 2024 la corte d’appello di Milano ha respinto la richiesta di estradizione dell’Ungheria a causa delle condizioni disumane di detenzione nelle carceri magiare. Tuttavia, per lui inizierà il processo in contumacia a Budapest il 6 maggio.