Il diaconato femminile fa paura alla Chiesa
E ancora una volta arriva una sferzata alle donne nella Chiesa Cattolica: no al
diaconato femminile. A novembre 2023 intervistai la teologa Selene Zorzi dopo il
no categorico della Chiesa al sacerdozio femminile, che già inaugurava un no
ferreo al possibile diaconato delle donne.
Affermava Zorzi: “I sinodi prospettano idealmente dialogo, ma di fatto sono
tristi consessi dalla maggioranza di uomini maschi, di una certa età, abituati a
stare al mondo da privilegiati. Alle poche donne che ci sono, trattate in modo
paternalistico, sembra venir concessa libertà di parola, ma in un contesto di
minoranza ove ogni parola divergente viene guardata con la tenerezza di ciò che
alla fine non potrà mai andare a sconvolgere troppo le linee di fondo di un
sistema statico, lento e lutulento. In generale la Chiesa cattolica ha tempi
tutti suoi, lunghi, non certo quelli della vita delle persone di questo mondo in
rapidacion, e quindi non ci si può aspettare da essa risposte in tempo per le
questioni delle nostre vite singole e brevi. Ci arriverà, ma con i suoi tempi.
Ma per fortuna la chiesa istituzionale non coincide con la chiesa escatologica.”
A quanto pare la Chiesa ha davvero tempi suoi e sempre troppo lunghi.
Papa Francesco ha eliminato d’amblais l’impedimentum sexus che grava per diritto
canonico sull’esclusione delle donne dall’ordine, solo che l’ha eliminato solo
per i ministeri. Ciò però dimostra che non ci vorrebbe poi tanto, solo un po’ di
buona volontà. come disse la Zorzi:
“L’errore è guardare alla tradizione pensando si tratti di qualcosa di
monolitico, presente fin dall’inizio in modo unitario e immodificabile. Invece
studiando anche solo un po’ la storia della teologia ci si rende conto che la
tradizione è andata avanti proprio perché si è sempre modificata riuscendo ogni
volta a superare nuove sfide e così a rinnovarsi.”
Don Fabio Corazzina
La sintesi della Commissione di Studio sul Diaconato Femminile, composta
ovviamente da soli uomini, ha sentenziato pochi giorni fa che il diaconato
femminile non sa da fare. Senza pretese teologiche ma con un briciolo di
esperienza umana, cristiana e pastorale, Don Fabio Corazzina – ex-coordinatore
nazionale di Pax Christi, grande sacerdote impegnato nelle marginalità e sui
temi dell’ambiente, dell’accoglienza, della pace, della nonviolenza e del
disarmo e grande assertore del protagonismo delle donne nella Chiesa – ha
condiviso alcune considerazioni sui suoi social in commento alla decisione della
Commissione:
1. le motivazioni storiche, bibliche, patristiche dottrinali, tradizionali
citate mi sembrano sussurrate ex post, quasi a giustificare a tutti i costi una
posizione già decisa.
2. sostenere nella tesi 3 che: “si può ragionevolmente affermare che il
diaconato femminile non è stato inteso come il semplice equivalente femminile
del diaconato maschile e non sembra avere rivestito un carattere sacramentale”
lo definirei stucchevolmente irragionevole.
3. ma, questa stucchevole irragionevolezza giustifica la tesi 5 che “esclude la
possibilità di procedere nella direzione dell’ammissione delle donne al
diaconato inteso come grado del sacramento dell’Ordine.”
4. il top è la tesi della terza sessione, stupendamente incomprensibile perchè
parla di mascolinità sacramentale: «La mascolinità di Cristo, e quindi la
mascolinità di coloro che ricevono l’Ordine, non è accidentale, ma è parte
integrante dell’identità sacramentale, preservando l’ordine divino della
salvezza in Cristo. Alterare questa realtà non sarebbe un semplice aggiustamento
del ministero ma una rottura del significato nuziale della salvezza». E io
credevo che sia l’uomo che la donna fossero sacramentalmente immagine di Dio,
soprattutto se si amano!
5. dolcetto finale, di speciale interesse, nell’ultima sessione: “è oggi
opportuno ampliare l’accesso delle donne ai ministeri istituiti per il servizio
della comunità”. Le donne esulteranno e organizzeranno una festina
lady-ministeriale.
6. questa sintesi mi mostra una chiesa intimorita dalle donne, dal femminile,
per il solo fatto che esiste, e dalla imperdonabile e insopportabile pretesa di
partecipare ai ministeri ordinati.
Don Corazzina ha aggiunto: “Non è la chiesa che amo e che vivo”. Come dagli
torno.
Una Chiesa retrograda che è ancora ferma alla gerarchia dei sessi nella
struttura di potere della Chiesa. Una Chiesa che considera ancora degno di nota
il “duplice principio petrino-mariano”, un concetto antiquato coniato dal
teologo Balthasar per definire i ruoli ecclesiali delle donne e degli uomini
all’interno della Chiesa. Come ha ben dimostrato la grande teologa Marinella
Perroni, ci sono diversi livelli di problematicità di questo topos teologico che
inventa e distingue un principio petrino da uno mariano:
* il primo problema è che Balthasar conia il concetto con la finalità di
integrare il primato di Roma in tutta la Chiesa;
* il secondo problema è che questo dualismo si basa su una forma di
universalizzazione per la quale tutti i singoli devono identificarsi in
quanto maschi con Pietro e in quanto femmine con Maria;
* il terzo problema deriva dal fatto che questo dualismo oppositivo si
costruisce attorno ad una ideologia dei generi che si alimenta di stereotipi
patriarcali facendoli diventare archetipi del maschile e femminile.
All’archetipo del femminile vengono applicate caratteristiche quali l’amore,
il nascondimento, il focolare, l’accoglienza, lo spirituale; mentre al
maschile si applicano caratteristiche di autorità, potere, ministerialità e
agire pubblico.
Fare di Pietro e Maria dei simboli in base altresì al loro sesso, è una
operazione problematica. I due sono concepiti in senso gerarchico e dicotomico e
tale narrazione è tesa a mantenere i privilegi maschili perché le forme di
esaltazione del femminile (“mistica della femminilità”)servono ad escludere il
riconoscimento dell’una autorità pubblica delle donne.
Ciò che risulta interessante e problematico allo stesso tempo è che mentre la
sessualizzazione femminile, riguardando la chiesa tutta (“la Chiesa è donna!!” –
viene ripetuto), può essere applicata sia a uomini che a donne, quella maschile
–non si capisce bene perché – riguarda solo gli uomini maschi. Nella Chiesa si
reprime sistematicamente il ruolo delle donne e quando lo si vuole esaltare lo
si sublima: nulla di più discriminante.
Pur nella sua illuminazione su moltissimi temi, Papa Francesco affermava che una
donna non può accedere al sacerdozio “perché non le spetta il principio petrino,
bensì quello mariano, che è più importante (…) Il fatto dunque che la donna non
acceda alla vita ministeriale non è una privazione, perché il suo posto è molto
più importante”. Parole che racchiudono clericalismo, patriarcato, potere, ma
soprattutto la trappola della sublimazione: le donne – secondo questa logica –
non potrebbero accedere ai posti di potere perchè il loro ruolo “è più
importante”. Ciò ricorda un po’ il “genio femminile”[1] di cui parlava Papa
Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem. Ma nulla è più fallace di questa
narrazione.
Oggi la Chiesa di Leone XIV non sembra dare segnali di evoluzione in tal senso.
La verità è che la Chiesa, nel 2025 – mentre una miriade di altre Chiese
cristiane ospitano il sacerdozio e il diaconato femminile – ha paura solo di
concedere un grammo di potere o di protagonismo alle donne. Fin quando non si
farà questo passo, la Chiesa deciderà di escludere più della metà dei sui fedeli
da forme di protagonismo e decisione.
[1]Benedetta Selene Zorzi, Al di là del “genio femminile”. Donne e genere nella
storia della teologia cristiana, Carocci Editore, marzo 2014
Ulteriori informazioni:
https://www.queriniana.it/blog/ritorno-del-principio-mariano-petrino–291
https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2022/12/marinella-perroni-il-duplice-principio.html
https://www.cittadellaeditrice.com/munera/von-balthasar-e-la-gerarchia-dei-sessi/
https://www.cittadellaeditrice.com/munera/sulla-formula-principio-marianoprincipio-petrino-m-perroni/
Lorenzo Poli