Il mondo di Castel Volturno
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Un laboratorio presso la Casa del bambino, “centro educativo che costruisce la
comunità nel territorio”, promosso dall’associazione Black&White dei missionari
a Castel Volturno
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Il treno regionale con provenienza Napoli Centrale e diretto a Roma Termini
arriva puntuale nella stazione di Villa Literno. Non ricordavo che, il 25 agosto
del 1989, in questa cittadina fu ucciso Jerry Essan Masslo, richiedente asilo e
raccoglitore di pomodori. La sera prima Jerry, fuggito dall’aparteid in
Sudafrica, dormiva con altri 28 migranti in un capannone. Aveva denunciato le
condizioni di sfruttamento di cui erano oggetto i lavoratori migranti della
zona. Un gruppo di quattro persone, coi volti coperti, fece irruzione con armi e
spranghe esigendo i salari che erano stati distribuiti. Il rifiuto di sottostare
alla domanda gli costò la vita. Poco dopo l’assassinio ebbe luogo a Roma la
prima grande manifestazione antirazzista in Italia con la partecipazione di
circa 200 mila persone. Per Jerry furono tributati i funerali di Stato perché
più volte era stato uccisa la sua dignità.
A Roma Termini si annuncia invece che il treno Intercity con destinazione Torino
Porta Nuova arriverà in ritardo.
A Castel Volturno, ospite per qualche giorno dei compagni di viaggio missionari
comboniani, fu il 18 settembre del 2008 che vennero attaccati e uccisi sei
migranti e ferito gravemente un settimo. Tutti di origine dell’Africa
subsahariana e in particolare del Ghana, componevano la ricca varietà di
migranti che caratterizza a tutt’oggi il paesaggio del tutto particolare di
Castel Volturno. Il giorno dopo il massacro circa duecento migranti organizzano
un corteo di solidarietà e bloccano per alcune ore la via Domiziana. Le
indagini, facilitate dalla testimonianza dell’unico superstite, condussero
all’arresto, al processo e, per la prima volta nel Paese, ad una condanna
definitiva per una strage di camorra che riconosce l’aggravante di razzismo. Nel
luogo stesso della sparatoria si trova come monumento due semplici ferri
intrecciati a simbolo delle storie migranti che si “incrociano” ancora oggi.
Sono otto le zone nelle quali è stato suddiviso Castel Volturno e colpisce, allo
sguardo del viaggiatore di pochi giorni, la straordinaria differenza tra di
esse. La parte turistica, abbiente e caratterizzata da molto cemento in poco
spazio a quelle dove il degrado ambientale facilita anche quello umano.
Centinaia di case abbandonate, fatiscenti, vuote o abitate, saltuariamente o con
regolarità, da migranti, richiedenti asilo o stranieri senza un’identità
affermata. Alcune case sono chiamate connection houses e diventano luoghi di
incontro, scambio, convivialità e piacere prezzolato per chi cerca di
ricostruire il pezzo d’Africa abbandonato per cercare fortuna altrove. C’è la
violenza dello sfruttamento, l’economia sommersa del lavoro sottopagato e la
mano non troppo invisibile della camorra. In alcune strade di periferia si
possono osservare signore offerte come mercanzia per clienti occasionali.
Il treno è annunciato in crescente ritardo.
Non ricordavo affatto che la grande Miriam Makeba, militante e cantante
originaria del Suadafrica era morta proprio a Castel Volturno. Ormai provata da
un salute malferma si dedicò a un giro mondiale di addio allo spettacolo,
cantando in tutti i Paesi che aveva visitato nella sua lunga carriera. Makeba
morì la notte del 9 novembre del 2008, lo stesso anno e luogo dove erano stati
uccisi i migranti di cui sopra. Fu a causa di una crisi cardiaca presso la
clinica Pineta Grande di Castel Volturno durante il concerto che aveva
confermato malgrado i forti dolori al petto che l’avevano accompagnata. Nel
luogo del decesso è stata posta una targa metallica col suo nome e il titolo col
quale era conosciuta e amata.
Mama Africa e Miraiam Makeba si confondono nello stesso volto con la forma
dell’Africa che arriva per tentare di liberare il continente che l’ha resa
schiava.
Intanto si informano i signori viaggiatori che l’Intercity arriverà in ritardo a
destinazione.
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[Articolo pubblicato su I blog del Fatto Quotidiano, qui con l’autorizzazione
dell’autore]
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