Magdalena Blažević / Gli scomparsi
“Preparatevi, il tempo sta per scadere. Il silenzio e la lentezza dureranno
ancora per poco”. L’eclissi del periodo estivo coincide con l’esordio
dell’orrore, mentre “il cielo si dissolve nelle prime scintille e nell’odore
della polvere da sparo”. In tarda estate è il potente esordio romanzesco di
Magdalena Blažević, critica letteraria che già nel panorama narrativo si era
imposta con alcuni racconti di rilievo. Le sue pagine si animano di impressioni
sensoriali e atmosferiche. La memoria tiene insieme la fragile trama narrativa.
I ricordi balenano intensi, come dettagli illuminati per un istante dal sole
attraverso le foglie e poi di nuovo celati. Giochi di fanciulli dalla durata
effimera, bambole rinchiuse in una scatola per non vedere più la luce.
La quotidianità della vita di campagna prefigura la violenza della guerra.
L’odore del sangue e del fango impregna l’aria mentre le galline vengono
macellate. Suini nati morti vengono gettati in una fossa, mentre sciami di corvi
e di mosconi infestano l’aria. Il fratello di Ivana, la protagonista, porta a
spalla un fucile ad aria compressa che anticipa quelli reali e ben più
perigliosi che a breve sconvolgeranno quelle terre. Gazze mettono in scena “uno
spettacolo nero”, mentre “l’aria rimbomba e il bosco si oscura”. Come nelle
fiabe, la foresta è buia e minacciosa, albergo di inconsci timori. La paura
percorre gli animi come un vento furioso. Nella casa giace abbandonata una
fisarmonica, che nessuno è in grado di suonare. Paesaggi impregnati di gelo e di
morte, nei quali il più lieve rumore echeggia furente. Le finestre delle case in
rovina appaiono come orribili occhi cavati.
Blažević, come Virginia Woolf in time passes, riesce a rendere il trascorrere
del tempo, le piazze un tempo vive e ora deserte, i tetti piagati dalla pioggia
e dalla neve, sotto i quali non vi è più riparo, le stanze vuote percorse da
topi e da insetti, le mura aggredite da muschi e umidità. Il libro è dedicato
agli abitanti del villaggio croato di Kiseljak, massacrati il 16 agosto del 1993
dalle forze bosniache. Un episodio poco noto dalle nostre parti, come altri che
vengono posti all’attenzione solo ora, a così grande distanza di tempo, a
dimostrazione di come ogni conflitto porti con sé strascichi infiniti e
devastazioni morali enormi. “Quando quella casa sarà crollata, con le mura
divorate dal vento e dall’umidità, scomparirà anche l’ultima prova che il
villaggio un tempo aveva un aspetto completamente diverso. Che sapeva di polline
di sambuco e dell’acqua del ruscello”. Gli odori e i sapori di un tempo si
estinguono, inevitabilmente. Fotografie sbiadite simboleggiano la necessità di
ricordare, prima che l’oblio renda tutto illeggibile. “Come fa il mondo a essere
ancora lo stesso?”, si domanda l’autrice. Dopo tanto orrore il normale corso
dell’esistenza appare sfigurato, per sempre. Le scarpe da ginnastica di Ivana
restano appoggiate al muro; nessuno le indosserà più. Un telefono squilla invano
nel vuoto popolato solo dalla morte.
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