Jeanette Winterson / Stai lontano da dèi e fantasmi (Confucio)
Credere ai fantasmi al tempo dell’essere digitali. Al netto di una difettosità
intrinseca della mente umana, e dei retaggi del mondo premoderno, eccoci qui a
leggere racconti di cui affascinarci, tentando una fuga neppure troppo innocente
dai disastri attuali cosparsi ovunque, a latitudini e longitudini, da uomini
disamorati di tutto, tranne che di denaro e morte. Credere ai fantasmi e averne
paura, addirittura terrore? Non scherziamo, ben altro si rende visibile dietro
l’angolo di lynchiana (nel senso del regista) memoria: i mostri evidentemente
non sono i fantasmi.
Jeanette Winterson è stata chiara in 12 Bytes, prendendosela col maschilismo
imperante nell’artificiale (più o meno stupido, altro che “intelligente”), con i
maschi digitalizzati, quelli che non sanno cosa farsene della classicità
millenaria. Tutto era iniziato con la rivoluzione di Scritto sul corpo. Anni ne
sono passati, e ancora la felice fantasia della scrittrice articola la sua
struttura dando vita a sottili (e pellegrinanti) interpretazioni del mondo e
della sua natura frammentaria.
E dunque Winterson coglie una semplice e diretta discontinuità del pensiero:
perché le realtà virtuali non dovrebbero accogliere l’antica idea che abbiamo
dei fantasmi? Più che un’idea, a ben pensarci, avendo presente quanto sia sempre
stato acceso nei vivi l’interesse per i morti, e per gli spiriti da essi
derivati, più che per i santi. Vedi le radici di Halloween ben piantate
nell’attuale società (dei consumi e di un po’ di tutto) rispetto a Ognissanti.
Nel Sud del mondo, e in Oriente, gli spiriti inquieti spadroneggiano, e in
Europa che dire, se non che i fantasmi sono spesso vendicativi, richiedono cose
ai viventi e turbano eredità. Le entità hanno un debole per luoghi e desideri di
chi ancora calpesta le strade del mondo, e ora che la spaziosità del mondo si
perpetua nei territori dei bytes eccoli pronti a invaderli prendendosi qualche
rivincita sull’Illuminismo.
Winterson si prodiga ad attraversare vicende e figure, personali e non, con la
consueta verve ironica, descrivendo amori e generosità amorose svariate passa un
po’ di tempo con Poe ma velocemente non può fare a meno d’intendersela con
Shirley Jackson e Stephen King. Persecutori e perseguitati affollano il mondo,
si sa, e la scrittrice ama sperimentare quel che l’arte offre e ha offerto –
sapendo che, attualmente, le macchine sembrano avere l’opzione per niente
peregrina d’essere infestate. Chiedersi se per caso l’uomo non sia solo fatto di
ossa e sangue risulta semplice, perfino troppo, ma il mondo tecnologico –
Winterson ne è convinta e ci convince – è sempre più abitato di ombre, e diventa
pronto a consentire a intelligenze alternative di venire a trovarci. Sarà sempre
“una risposta parziale al mistero della morte”, ma i fantasmi appariranno ancora
pronti a essere “scaricati” da supporti e dispositivi. Nuovi o vecchi,
leggendari o moderni, eccoli nella zona di confine circoscritta in
“Dispositivi”, “Luoghi”, “Persone”, “Visitazioni”. E in questa zona la
scrittrice – strumento di osservazione e protagonista – definisce la propria
prosa in lucida gioia narrativa.
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