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Un giorno l’occupazione finirà, perché regimi come questo sono insostenibili
Un giorno l’occupazione finirà perché regimi di questo tipo non sono sostenibili, sono destinati a cadere perché i regimi di repressione, quasi per definizione, sono instabili. Il 6 novembre scorso, in collaborazione con la Heinrich Boll Foundation, il quotidiano israeliano Haaretz ha tenuto a Berlino un’importante conferenza che ha visto avvicendarsi sul palco i più bei nomi del giornalismo ‘di sinistra’ israeliano, oltre a varie personalità della politica e della società civile, dall’ex Primo Ministro israeliano Ehud Olmert, a Nasser Al-kidwa (ex Ministro degli Esteri della Palestina, affiliato al Comitato Centrale Fatah); da Ayman Odeh (Presidente del Partito Hadash) a Raluca Ganea (Direttrice del movimento Zazim). Tra i tanti interventi che potete rivedere nella registrazione integrale qui, mi ha particolarmente colpito quello di Michael Sfard: ex riservista convertito all’obiezione di coscienza, nipote del sociologo Zygmunt Bauman e soprattutto avvocato e attivista politico israeliano specializzato in diritti umani a livello internazionale e naturalmente locale, spesso chiamato a difendere gli attivisti delle organizzazioni pacifiste come per esempio Peace Now o Yesh Din, o anche le comunità beduine in Cisgiordania nelle cause contro l’illegittimità delle demolizioni o per denunciare l’impunità dei coloni. Michael Sfard era intervistato dalla giornalista Judy Maltz, esperta di mondo ebraico in Haaretz. Ed ecco qui la trascrizione. JUDY MALTZ: Benvenuti a tutti in questa conversazione con Michael Sfard, molto noto in Israele e molto citato anche all’estero, per essersi occupato di numerosi casi alla Corte Suprema israeliana, sfidando l’occupazione e difendendo il lavoro di molti gruppi attivi sul fronte dei diritti umani. Vorrei cominciare facendo riferimento a un pezzo molto forte che hai scritto su Haaretz alcuni mesi fa in cui dicevi: “noi israeliani siamo parte di una famiglia criminale mafiosa”. Lo ricordi? MICHAEL SFARD: È nel mio sangue. JM: In quel pezzo scrivevi che noi tutti israeliani, senza eccezioni, inclusi gli israeliani di sinistra, gli israeliani che si oppongono al governo, gli israeliani pro-democrazia, tutti noi siamo complici di crimini di guerra a Gaza. Mi hai detto che è stato uno dei pezzi più difficili che hai scritto e di pezzi come questi nei hai scritti parecchi sul nostro giornale. Michael Sfard inizia ringraziando Haaretz che, in un mondo che ogni giorno che passa diventa sempre più incomprensibile, gli permette di ritrovare ogni tanto la bussola. E così prosegue: Il mio cuore si è spezzato due volte negli ultimi due anni, una volta il 7 ottobre per ovvie ragioni, e poi quando ho capito come il mio paese, come la mia società si stava vendicando del 7 ottobre e mentre passavano i mesi della guerra sono arrivato a conclusioni molto dolorose. Una è che noi, lo stato di Israele, stiamo commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità e verosimilmente atti di genocidio. E questa non è una intuizione confortevole. Abbiamo sfollato milioni di persone senza impegnarci di consentire loro di tornare una volta che le ostilità fossero terminate. Abbiamo affamato intenzionalmente la popolazione civile. E abbiamo ucciso sproporzionatamente e indiscriminatamente decine di migliaia di civili, in modi che non possono essere considerati compatibili con le leggi sulla condotta di guerra e abbiamo fornito completa impunità ad un’atmosfera di incitamento a commettere crimini di guerra, crimini contro l’umanità e il genocidio. Sono coinvolto in molti casi portati alla Corte Suprema e provo a ottenere almeno in parte che quelle centinaia di figure pubbliche israeliane, politici, ministri, influencer, artisti, sedicenti giornalisti che incitano a commettere crimini nella più completa impunità vengano chiamati a risponderne. Questa è la prima cosa di cui mi sono reso conto, ed ecco la seconda, a partire da una cosa detta poco fa in questa sala dall’ex Primo Ministro Ehud Olmert a proposito di quello che sta andando avanti in Cisgiordania: per un attimo ho pensato che ci fosse qui un nuovo attivista per i diritti umani. (risate dalla platea) Sono d’accordo con lui per tutto ciò che ha detto, incluso musicalità, tono e volume. (applausi) Voglio solo aggiungere che la violenza dei coloni è violenza di stato. La violenza dei coloni riceve il vento in poppa e l’assistenza dello stato: quante volte coloni e soldati commettono insieme quei crimini! E quando arriviamo a parlare di Gaza e delle atrocità che ho capito che la mia società sta commettendo… ci è voluto un po’ di tempo, ma quando finalmente ho capito questa cosa è stato come vivere una crisi d’identità. Perché non è solo Netanyahu o Ben-Gvir o Smotrich o i coloni, che stanno commettendo i crimini che stanno annientando la striscia di Gaza. L’annientamento di Gaza è un progetto totalmente israeliano e non abbiamo sentito una parola dai rappresentanti sindacali degli insegnanti quando tutto il sistema educativo di Gaza è stato ridotto in macerie. Non abbiamo sentito niente dall’associazione dei medici quando tutta l’infrastruttura medica di Gaza è stata annientata. Non abbiamo sentito nulla dall’associazione degli avvocati quando Israele ha trasformato le sue prigioni in una catena di strutture di tortura e quando ai prigionieri palestinesi è stato vietato di ricevere visite dalla Croce Rossa. Quindi sono arrivato a questa conclusione ed è stata una decisione molto sofferta. Cosa fa un cittadino per bene quando la sua società è degenerata fino a questo punto? Scrivere questo pezzo ha coinciso con una profonda crisi personale perché io non provengo da questi ambiti che vedono in Israele una grande impresa coloniale che è stata crudele fin dall’inizio, no, io ho una ben diversa biografia e una visione differente di ciò che è Israele. Così dire in quel pezzo di opinione che Israele deve essere isolato, che devono essere attuati boicottaggi mirati in modo che le atrocità vengano impedite… e che i soldati che si rifiutano la divisa devono essere difesi… per me è stata una cosa molto dura da scrivere e in effetti mi ci sono volute due settimane prima di concluderne la stesura, e poi mandarlo in redazione. [..] JM: Cosa succede adesso secondo te come giurista dei diritti umani? Poche settimane fa è stato dichiarato un cessate il fuoco che sta più o meno tenendo ma come sai l’anno scorso la Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di cattura per Benjamin Netanyahu e l’allora ministro della difesa Yoav Gallant, per presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità a Gaza. E contemporaneamente la Corte Internazionale di Giustizia sta portando avanti un caso sollevato dal Sud Africa che sostiene che Israele stia commettendo un genocidio a Gaza. Adesso la guerra è finita o almeno speriamo che lo sia, ma come pensi che andranno a finire questi casi? MS: Mio nonno mi aveva sempre detto di non fare profezie soprattutto riguardo al futuro (JM sorride), una cosa però è sicura, la giustizia non arriverà attraverso la giustizia israeliana, non solo per le vittime a Gaza ma nemmeno per le vittime del 7 ottobre. Siamo a due anni dall’orrendo massacro del 7 ottobre con tutti i crimini commessi in quella data e non una singola persona è stata incriminata per ciò che è successo, perché questo governo israeliano intende creare una serie di commissioni nello stile di Guantanamo e introdurre la pena di morte. Questo non porterà giustizia e sfortunatamente la mia carriera è stata tentare di assicurare che il sistema di giustizia portasse giustizia ai palestinesi e a quelli che vengono da comunità che non possono votare. Ma la mia carriera è un completo fallimento in questo senso e io e i miei colleghi abbiamo denunciato che Israele sta fallendo di continuo, non garantendo alcuna giustizia. Nei fatti non sta fallendo, sta facendo esattamente quello che il governo vuole che faccia quando si tratta dei palestinesi. Quindi abbiamo tribunali come la Corte Internazionale di Giustizia, la CPI, abbiamo anche la giurisdizione occidentale che significa processi penali all’interno di tribunali di paesi stranieri e posso dire che la CPI si trova adesso in una situazione molto difficile nel momento in cui l’amministrazione americana, il Presidente Trump, ha imposto sanzioni sulla Corte a causa delle inchieste sui presunti crimini israeliani ed è molto difficile vedere come questa Corte possa effettivamente portare avanti il lavoro in un simile contesto. Non vediamo alcun intervento da parte della comunità internazionale e dei poteri occidentali e specialmente dalla Germania che è un attore molto importante quando parliamo di legge internazionale e CPI: non vediamo dare alla CPI il sostegno che le serve. Ma voglio dire una cosa come avvocato: l’ingiustizia non evapora, rimane e contamina l’aria fino a che non facciamo qualcosa a riguardo. Così può volerci del tempo ma prima o poi vedremo tutti quei casi di soldati che si sono fatto dei selfie mentre facevano esplodere una qualche infrastruttura civile… prima o poi gli verranno consegnati dei mandati di arresto, in questo o quel paese. Ma alla fine, se non ci sarà un serio processo in grado di dare giustizia per le vittime, non saremo in grado di guarire perché per guarire serve la ricostruzione, sicuramente a Gaza ma anche nelle comunità devastate della striscia e del Negev occidentale. Serve l’indipendenza e la libertà che gli israeliani hanno e i palestinesi no. Serve giustizia e la giustizia può arrivare in forme diverse. Non deve per forza essere con procedimenti penali e qualcuno dietro le sbarre; ma senz’altro è parte integrante della guarigione. JM: Concludo con una nota positiva e ti ricordo un altro pezzo che hai scritto su Haaretz, una decina di anni fa. Hai scritto un articolo che è diventato famoso ed è spesso citato, in quell’articolo avevi scritto: “Un giorno l’occupazione finirà e probabilmente finirà in un colpo solo” e così proseguivi: “un giorno l’occupazione finirà perché regimi di questo tipo non sono sostenibili, sono destinati a cadere perché i regimi di repressione, quasi per definizione, sono instabili”. Credi ancora in questo? MS: Ci credo al 100%. Lo ribadisco e voglio aggiungere due cose a riguardo quell’articolo di opinione [..]: primo non ho dato una data su quando succederà, secondo, non ho detto se sarebbe successo pacificamente o dopo una tragedia. Quello che so è che i regimi di oppressione hanno bisogno costantemente di aumentare l’oppressione. I regimi di oppressione non possono stare fermi, hanno bisogno costantemente di mettere più forza, di essere più crudeli, di fare cose più cattive. E questo è quello che abbiamo visto nei dieci anni che sono trascorsi da quell’articolo che ho scritto. Vediamo lo stato, il governo di Israele con la sua società… e a proposito: non ho detto che gli israeliani sono complici, ho detto che sono responsabili di tutti questi crimini e quello che stiamo vedendo è che, se non poniamo fine all’occupazione, avremo bisogno di sempre più energia per mantenerla e ciò comporta il nostro stesso adeguamento in quel processo. Qualcosa che una volta era considerata un’aberrazione, diventa normale man mano che ci si abitua. Quindi sì, resto positivo. Dico che l’occupazione – e aggiungo adesso anche l’apartheid – finiranno. Tutto questo deve finire e finirà. E il nostro ruolo è di fare tutto lo sforzo possibile, perchè questa fine avvenga pacificamente invece che in una tragedia, come quella in cui stiamo già vivendo. Centro Sereno Regis
La Fondazione Hind Rajab rivela i nomi di chi ha ucciso la bimba, i suoi parenti e i soccorritori
Documenti esclusivi scoperti dalla Fondazione Hind Rajab rivelano che a uccidere la bimba di sei anni, la sua famiglia e i soccorritori è stato il servizio segreto “Vampire Empire” dell’esercito israeliano. Il servizio fa parte del 52° Battaglione della 401ª Brigata, comandata da Benny Aharon. Il comandante della compagnia è l’agente Sean Glass. Le registrazioni delle comunicazioni – in possesso della Fondazione – rivelano che è stato lui dal suo carro armato a ordinare l’assassinio. I documenti mostrano che uno dei partecipanti all’omicidio di Hind Rajab è il soldato Itay Shokerkov, cittadino argentino. Tutti i documenti in possesso della Fondazione sono stati consegnati alla Corte Penale internazionale e alla Corte di Giustizia dell’Aja. La Fondazione ha rivelato anche di aver intentato una causa in Germania contro il soldato tedesco Shimon Zuckerman. ANBAMED
Alla vigilia del rinnovo del Memorandum con la Libia la giustizia penale internazionale accusa il governo italiano
Alla vigilia del rinnovo del Memorandum d’intesa con la Libia, la Camera preliminare della Corte Penale Internazionale conclude una lunga indagine e formula gravi accuse nei confronti del governo italiano, che non ha prestato la collaborazione dovuta nel caso del comandante libico Njeem Almasri. In via preliminare,” la Camera osserva che l’Italia ha avanzato argomentazioni diverse e contraddittorie nelle sue diverse memorie presentate prima alla Cancelleria e poi dinanzi alla Camera. Nelle sue varie memorie, l’Italia adduce presunte giustificazioni per la mancata consegna del signor Njeem alla Corte, tra cui presunte preoccupazioni relative al mandato d’arresto. La Camera osserva, tuttavia, che l’Italia non spiega, in nessuna delle sue memorie, perché non abbia comunicato con la Corte né le sue preoccupazioni né eventuali ostacoli giuridici interni, prima di restituire il signor Njeem. A tale riguardo, la Camera osserva che il Ministero della Giustizia italiano ha cessato le sue comunicazioni con la Corte poco dopo averle notificato l’arresto del signor Njeem da parte della polizia italiana. Nonostante sia stato ripetutamente interpellato in merito, il Ministero non ha informato la Corte quando si sarebbe tenuta l’udienza dinanzi alla Corte d’Appello di Roma. Inoltre, non ha tempestivamente informato la Corte dell’esito dell’udienza né della sua intenzione di rimpatriare il signor Njeem in Libia a seguito della decisione della Corte d’Appello di Roma”. Il governo italiano ha giustificato il rimpatrio di Almasri con “motivi di sicurezza e il rischio di ritorsioni”, ma la Corte ritiene tali spiegazioni “molto limitate”, osservando che “non è chiara” la scelta di “trasportarlo in aereo verso la Libia”. La Camera preliminare della CPI afferma che “l’articolo 88 dello Statuto obbliga gli Stati Parte a “garantire che siano disponibili procedure previste dal loro diritto nazionale per tutte le forme di cooperazione specificate nella [Parte IX dello Statuto]”. Pertanto, l’Italia è tenuta a garantire che tale legislazione sia in vigore e che eventuali ostacoli previsti dal diritto interno siano di sua competenza e non ne giustifichino l’inosservanza”. In realtà, le ultime giustificazioni espresse dal governo nel dibattito in Aula sul caso Almasri, negli scorsi giorni, si discostano dalle prime dichiarazioni di Nordio e di Piantedosi, e non fanno più riferimento a eventuali vizi degli atti inviati dalla CPI, ma prospettano rischi per la sicurezza degli italiani in Libia e per le politiche di collaborazione contro i migranti instaurate con il governo di Tripoli. Motivazioni che rimangono del tutto generiche e prive di riscontri documentali. Dalle dichiarazioni di Nordio sui vizi formali del mandato di arresto emesso dalla CPI si è passati nel corso del tempo a motivazioni riconducibili alla sicurezza dei nostri concittadini e agli interessi economici italiani in Libia. Sembra però che ormai prevalga una diffusa assuefazione alle contraddizioni ed alle menzogne che caratterizzano l’azione del governo italiano, non solo nel campo delle politiche migratorie. Il governo, entro il 31 ottobre, dovrà fornire informazioni su eventuali procedimenti interni che riguardano il caso e sul loro impatto nei rapporti di collaborazione con la CPI. Tutto questo avviene pochi giorni dopo la mancata autorizzazione a procedere da parte del Parlamento sulla richiesta del Tribunale dei ministri che si è occupato delle responsabilità dei politici e dei funzionari che, malgrado un mandato di arresto della CPI, hanno liberato il comandante militare libico, capo della milizia Rada, ma anche sospetto criminale, perseguito dalla CPI, garantendogli un ritorno trionfale a Tripoli su un volo di Stato. Perchè di un torturatore dobbiamo parlare, nel caso di Almasri, sulla base delle denunce delle vittime, rinnovate ancora in questi giorni. Da Gaza a Lampedusa e Pozzallo, dove arrivano corpi martoriati dagli attacchi operati dai libici al di fuori delle loro acque territoriali, persino nella zona SAR maltese, a sud di Lampedusa, sembra davvero che il diritto internazionale, e la giurisdizione delle Corti che ne dovrebbero garantire l’applicazione, siano ormai sconfitti dalla violenza degli Stati che sulla base di accordi infami, in violazione dell’art.53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, impongono le loro regole di esclusione e sfruttamento e sulla pelle dei civili e contro il principio di legalità, base dello Stato di diritto, intercettando e criminalizzando ogni tentativo di portare solidarietà alle persone migranti, in mare, come a terra. E’ nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale. Ai fini della Convenzione di Vienna, una norma imperativa del diritto internazionale generale è una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e che può essere modificata soltanto da un’altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. Gli accordi con i libici violano norme cogenti di diritto internazionale, comportando una corresponsabilità degli Stati parte per tortura sistematica, trattamenti inumani o degradanti, morte in mare per abbandono o uccisione diretta, e violazione del divieto di respingimento (art.33 Convenzione di Ginevra sui rifugiati). Su questi crimini internazionali sta continuando ad indagare la Procura della Corte Penale internazionale, e su questi stessi crimini, per i profili inerenti la violazione di norme di diritto penale, stanno indagando i giudici penali, dopo esposti presentati dalle vittime dei torturatori libici. La Camera preliminare della CPI esamina le richieste provenienti dall’ufficio del procuratore per accertare se esistono prove sufficienti di crimini di competenza della Corte e se sono necessarie indagini nell’interesse della giustizia e delle vittime. A conclusione della sua indagine preliminare la Camera trasmette gli atti al procuratore che può chiedere il deferimento dello Stato parte o di suoi rappresentanti istituzionali all’assemblea degli Stati parte o al Consiglio di sicurezza dell’Onu.  I tempi dei procedimenti davanti alla Corte Penale internazionale sono molti lunghi, e non è neppure scontato che la Corte arrivi ad una sentenza di condanna, in un momento in cui gli Stati più esposti al suo giudizio, come gli Stati Uniti, la Russia, Israele, seguiti dall’Italia e da altri paesi schierati all’ombra di Trump, ne attaccano sul piano personale i giudici e ne contestano la giurisdizione, nel tentativo di una definitiva delegittimazione della Corte Penale Internazionale. Se pensiamo che sulla mancata autorizzazione a procedere da parte del Parlamento italiano si sono innescati due opposti ricorsi per conflitto di attribuzione alla Corte costituzionale, si può temere che le tattiche dilatorie da parte del governo per eludere responsabilità evidenti, magari adducendo procedimenti ancora in corso a livello nazionale, potrebbero comportare ulteriori rallentamenti anche nelle attività di indagine della giustizia penale internazionale. L’articolata denuncia della Camera preliminare della Corte Penale internazionale, al di là dell’esito della procedura presso la stessa Corte, presenta comunque elementi di grande interesse per valutare il comportamento del governo italiano e dei suoi componenti, elementi che potrebbero rilevare anche davanti ai giudici nazionali, e che comunque costituiscono già adesso, anche oltre il caso Almasri, un giudizio assai ben fondato sull’inadempimento dell’Italia rispetto agli obblighi di collaborazione derivanti dallo Statuto di Roma, istitutivo della Corte Penale internazionale. Occorre diffondere questo atto di accusa proveniente dal più importante organismo della giustizia penale internazionale, anche per rispetto delle vittime che si continuano a sommare nelle acque del Mediterraneo centrale e nei campi di detenzione in Libia, per effetto degli spazi di interdizione in alto mare e dei poteri di blocco e sequestro affidati ai libici per contrastare quella che si definisce soltanto come “immigrazione illegale”. Sulla quale il governo Meloni si prepara a “chiudere” il caso Almasri e ad imbastire le prossime campagne elettorali, per distogliere l’attenzione degli italiani dai suoi fallimenti di sistema, tanto nella politica dei rimpatri dai CPR, ancora bloccati su numeri quasi simbolici, che nel tramonto del modello Albania, bocciato anche dalla Corte di Cassazione. Un enorme spreco di danaro pubblico, sul quale dovrebbe indagare la Corte dei conti, sempre che i nuovi giudici presso questo organismo, di fresca nomina governativa, non siano stati messi lì proprio per nascondere le responsabilità contabili di chi ha voluto dare esecuzione ad un accordo che non è stato sostenuto neppure dall’Unione europea e dalla Corte di giustizia di Lussemburgo, che sulla qualificazione dei paesi di origine sicuri, e su correlati diritti di difesa, ne hanno messo in dubbio la compatibilità con i trattati e le basi giuridiche. Fulvio Vassallo Paleologo
Meloni, Tajani, Crosetto e Cingolani denunciati alla Corte Penale Internazionale per complicità in genocidio. Già superate le 41.000 adesioni
I Giuristi e Avvocati per la Palestina (GAP) annunciano che martedì 14 ottobre 2025 è stata inviata al Procuratore della Corte Penale Internazionale la versione inglese della denuncia per complicità in genocidio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dei ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto e dell’amministratore delegato di “ Leonardo” SpA, Roberto Cingolani. Il testo della denuncia che è stato inviato al Procuratore a nome dei 51 firmatari insieme a 51 allegati di documentazione probatoria, è stato pubblicato sul nostro sito www.giuristiavvocatiperlapalestina.org, dove chiunque può aderirvi. Le adesioni finora pervenute sono più di 41.000, ma la raccolta proseguirà ad oltranza nei prossimi mesi, almeno fino alla fine dell’anno ed organizzeremo iniziative in merito su tutto il territorio nazionale. Con tale denuncia intendiamo dare espressione alla volontà della stragrande maggioranza del popolo italiano di ripudiare il genocidio del popolo palestinese e tutti coloro che in qualsiasi modo vi concorrano. Come affermato dal Primo Ministro spagnolo Pedro Sanchez, nessuna pace può fondarsi sull’impunità dei carnefici e dei loro complici. L’Italia interrompa immediatamente ogni fornitura di armi verso Israele e ogni collaborazione militare col regime genocida. Redazione Italia
Ignorare la Corte Penale Internazionale è una minaccia globale
SENZA RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE NON ESISTE PACE DURATURA: LA CRISI DI LEGITTIMITÀ DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE MINA LE FONDAMENTA STESSE DELLA GIUSTIZIA GLOBALE. “Il Diritto Internazionale conta fino a un certo punto”. Lo ha dichiarato di recente il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, riferendosi all’abbordaggio da parte delle forze armate israeliane della Flottiglia con a bordo civili, attivisti e aiuti umanitari per Gaza. L’azione ha violato il diritto internazionale di difesa dei civili disarmati nelle acque internazionali. L’affermazione di Tajani, che ha suscitato scalpore, ha di fatto accentuato le polemiche e gli interrogativi sul rispetto del diritto internazionale sollevato dopo l’abbordaggio — o aggressione, come gli attivisti la suggestione — e l’arresto dei partecipanti. Centinaia di migliaia di persone sono immediatamente scese nelle strade di tutta Italia, sostenute anche dallo sciopero generale, per gridare la loro indignazione, riaffermare il sostegno alla Flottiglia ea Gaza e protestare contro un governo che condanna solo a parole il genocidio di Netanyahu. L’operazione contro navi civili in acque internazionali, secondo il diritto marittimo (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare), è illegittima, poiché tale azione è consentita solo in caso di pirateria, di motivi di sicurezza comprovati o di blocco navale. La questione si sposta allora sulla validità legale del blocco navale imposto da Israele , che la Flottiglia intendeva rompere perché giudicato illegale e finalizzato ad aprire un corridoio umanitario permanente. LEGITTIMITÀ O VIOLAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE? Per Israele il blocco ha lo scopo di impedire il traffico di armi verso Hamas, organizzazione considerata terroristica da Israele, Stati Uniti e Unione Europea. Si tratterebbe dunque, secondo Israele ei suoi alleati, di una misura di autodifesa legittima anche secondo un parere ONU, ma solo in tempo di conflitto armato e purché non provochi sofferenze alla popolazione civile . Al contrario, il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU , numerose ONG e soprattutto la Corte Penale Internazionale (CPI) ritengono il blocco illegittimo per gli effetti devastanti su oltre due milioni di civili a Gaza, avendo limitato l’accesso a cibo, medicina, elettricità e carburante, senza distinguere tra obiettivi militari e popolazione civile. Per l’elevato numero di morti e per le atrocità quotidiane, una Commissione ONU ha definito come genocidio i crimini di Israele. È stato così violato il principio di proporzionalità nel diritto di difesa durante un conflitto armato, che in nessun caso può travolgere i diritti della popolazione civile. SOVRANITÀ ASSOLUTA O GIUSTIZIA UNIVERSALE? Lo Stato, per proteggere la propria sicurezza, può compromettere i diritti fondamentali di un’intera popolazione? Può far prevalere la logica di una sovranità assoluta ? A Gaza la logica di morte, in nome della sicurezza, sta prevalendo oltre ogni diritto. È in atto una crescente disaffezione verso il diritto internazionale e un rifiuto della cooperazione necessaria a mantenere un ordine giuridico globale. Si sta mettendo in discussione, in nome della sovranità, il principio di giustizia universale , compromettendo l’efficacia del CPI come deterrente dei crimini più gravi. Se viene meno un consenso giuridico condiviso, il sistema internazionale rischia di regredire a settant’anni fa, verso dinamiche fondate sulla forza e non sul diritto . La mancata tutela delle vittime, come accade oggi a Gaza sotto gli occhi del mondo, rafforza la cultura dell’impunità, minando quell’architettura multilaterale costruita dopo la Seconda guerra mondiale per garantire la pace e la protezione dei diritti umani. IL RUOLO DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE Con l’istituzione del CPI si è creduto nel valore della giustizia come fondamento della pace . Fin dal suo Statuto, la Corte ha il compito di reprimere i crimini più gravi che minacciano la pace e la sicurezza mondiale: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e aggressione. Ma la Corte non può funzionare senza il sostegno e la cooperazione degli Stati. Come affermò il giurista Niemeyer, “il diritto internazionale è un bellissimo edificio costruito su un vulcano: quando si risveglia, c’è un terremoto. E il vulcano è la sovranità statale.” Ogni volta che uno Stato non coopera, vi è una piccola scossa per l’edificio della Corte. La CPI non può eseguire autonomamente i mandati d’arresto, ma deve rivolgersi agli Stati per ottenere esecuzione e collaborazione. UN FRAGILE PILASTRO DELLA GIUSTIZIA GLOBALE Istituita nel 2002 con il Trattato di Roma, la Corte nasce per deliberare i crimini più gravi contro l’umanità. Eppure Stati geopoliticamente influenti come Stati Uniti, Russia, Cina e Israele non hanno ratificato lo Statuto, minando l’efficacia. Se uno Stato potente rifiuta di riconoscere la giurisdizione della Corte e viola il diritto internazionale senza conseguenze, si genera un effetto domino: altri si sentiranno legittimati a fare lo stesso, alimentando l’impunità e l’instabilità. Il rischio è che il diritto diventi un lusso nel tempo di pace , ma inefficace nei momenti di crisi, quando più servirebbe come barriera contro l’anarchia globale. SENZA DIRITTO NON C’È PACE Disconoscere il diritto internazionale è pericoloso: ogni Stato si sentirebbe libero di decidere quali leggi seguire e quali ignorare, basandosi solo sui propri interessi nazionali. In questo scenario, il dialogo verrebbe sostituito dalla forza, la diplomazia dall’arbitrio, la cooperazione dalla sfiducia. Il mondo ha già conosciuto le conseguenze di una sovranità esercitata senza limiti: guerre mondiali, genocidi, regimi dittatoriali. Per questo è stato costruito un sistema di diritto internazionale vincolante : rinnegarlo oggi significa tornare indietro. Non rispettare la Corte significa ignorare la voce delle vittime. Pur con i suoi limiti, la CPI è l’unico tribunale permanente capace di dare giustizia ai popoli oppressi. Lasciare impuniti i crimini significa perpetuare il trauma, alimentando odio e nuovi cicli di violenza. Oggi il mondo è di fronte a un bivio: rafforzare il sistema giuridico internazionale o cedere alla logica di potere che giustifica ogni abuso. Il rispetto del diritto non è un atto burocratico: è una condizione essenziale di sopravvivenza per la convivenza pacifica tra i popoli. Delegittimare o ignorare il Diritto non ci rende più liberi, ma tutti più vulnerabili. * Statuto di Roma – Corte Penale Internazionale (ICC) * Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) * Rapporto ONU sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati Redazione Napoli
Palestina, appoggiamo la denuncia alla Corte Penale Internazionale
DIFFONDIAMO QUESTA INIZIATIVA PORTATA AVANTI DA UN GRUPPO DI GIURISTI CHE INTENDONO AGIRE DENUNCIANDO LE ISTITUZIONI ITALIANE PER COMPLICITÀ IN GENOCIDIO  Al termine dell’articolo è disponibile un modulo per sostenere la denuncia. L’adesione è aperta a chiunque, indipendentemente dalla propria professione: ogni sottoscrizione rappresenta un atto di solidarietà e di vicinanza. La denuncia sarà trasmessa nei prossimi giorni al Procuratore presso la Corte Penale Internazionale. APPOGGIAMO LA DENUNCIA ALLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE 1. PremessaLa presente comunicazione è inviata ai sensi dell’art. 15 dello Statuto di Roma e ha lo scopo di sottoporre all’Ufficio del Procuratore elementi di fatto e di diritto che integrano la commissione di uno o più crimini rientranti nella giurisdizione della Corte, al fine di ottenere l’immediata attivazione di un procedimento di fronte alla stessa. La comunicazione ha ad oggetto fatti ed atti concernenti la situazione a Gaza, della quale la Corte è stata investita già vari anni fa e della quale essa si è da quel momento ininterrottamente occupata, specie di fronte alla tragica escalation dei crimini commessi. La denuncia si sofferma su alcune delle complicità internazionali, in particolare quelle di membri del governo italiano, che hanno reso presumibilmente possibile la commissione dei crimini di guerra e contro l’umanità dell’indagine sui quali codesta Corte è da tempo incaricata, come pure l’attuazione del piano genocida sul quale è in corso il giudizio della Corte internazionale di giustizia. Pertanto si raccomanda a codesta Corte penale internazionale di valutare la possibilità di inserirne il trattamento nel dossier già aperto a tale proposito, valorizzando gli apporti che questa denuncia può dare all’indagine in corso. Al tempo stesso essa si inserisce nel caso di giurisdizione contenziosa promosso dal Sudafrica e in seguito da molteplici altri Stati di fronte alla Corte internazionale di giustizia contro Israele, accusata di genocidio, dato che verte sulla complicità nello stesso da parte dell’Italia, che si concretizza nella fornitura di armamenti e in altri comportamenti volti ad agevolare la commissione del crimine in questione. La responsabilità di Israele, e quindi dei suoi leader politici e militari, per il genocidio, è stata chiaramente affermata dalla Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sui territori palestinesi occupati, istituita il 27 maggio 2021 dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, nel suo rapporto del 16 settembre 2025 (a-hrc-60-crp-3.pdf).Va ulteriormente sottolineato, già in questa fase introduttiva, che senza l’appoggio sostanziale proveniente da vari Stati occidentali, tra i quali per l’appunto l’Italia, non sarebbe stata possibile l’offensiva militare che ha per obiettivo anche e soprattutto la popolazione civile, che Israele ha intrapreso a partire dal 7 ottobre 2023, provocando un numero di vittime tra la stessa certamente non inferiore alle 60.000, di cui dalla metà a un terzo bambini, per non parlare di quelli che stanno morendo di fame e che hanno riportato danni irreparabili. Sosteniamo che vi sia una presumibile complicità del governo italiano nei crimini israeliani menzionati e che la relativa responsabilità sorga presumibilmente in capo ai principali componenti del governo italiano e cioè il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro degli esteri nonché vicepremier Antonio Tajani, e il ministro della difesa Guido Crosetto, da ritenere presumibilmente colpevoli in quanto titolari del potere decisionale in ordine alla cooperazione militare e di sicurezza con Israele e all’autorizzazione delle forniture di armi, senza che possano opporre alcuna immunità di natura personale e funzionale, dato che le relative attività si sono svolte nel più evidente dispregio delle normative interne e internazionali. Oltre ai tre componenti del governo appena indicati, riteniamo si debba ritenere la presumibile colpevolezza, per complicità nel genocidio e in altri gravi crimini di guerra e contro l’umanità, dell’amministratore delegato e direttore generale della principaleazienda di produzione di armamenti italiana Leonardo SpA, Roberto Cingolani , in quanto titolare del potere decisionale relativo al trasferimento di armamenti e marchingegni bellici di vario genere contro Israele, nonché all’attuazione di progetti di cooperazione con tale Stato che stanno agevolando la commissione di tali crimini. 2. Sintesi dei fattiLo sterminio in atto del popolo palestinese a Gaza è entrato in una nuova e tragica fase contrassegnata dalla ripresa di bombardamenti massicci e indiscriminati e dall’esclusione della popolazione da ogni genere di soccorso umanitario e dall’accesso ai beni primari. Secondo quanto espressamente dichiarato dalle principali autorità politiche e militari israeliane, lo scopo di tale offensiva è costringere i Palestinesi ad abbandonare il loro territorio, dando vita ad un’operazione di vera e propria pulizia etnica, ma il suo carattere indiscriminato e il fatto innegabile che ne siano vittime in gran numero i civili palestinesi evidenzia allo stesso tempo il suo carattere genocida, derivabile dall’evidente applicabilità allo sterminio in corso dell’art. II della Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio del 1948, a norma del quale «Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:(a) uccisione di membri del gruppo; (b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; (c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; (d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; (e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.» Tali atti sono stati compiuti nella piena consapevolezza del fine perseguito, come emerge da varie dichiarazioni di responsabili politici e militari israeliani, che postulano l’eliminazione dei Palestinesi, senza distinguere tra civili e combattenti, come propria finalità ultima. . I crimini internazionali compiuti dal governo israeliano contro la popolazione palestinese a Gaza e in Cisgiordania non sarebbero possibili senza una vasta rete di complicità internazionali, che comporta a sua volta la commissione di vari crimini. Tale complicità si manifesta sia mediante azioni che mediante omissioni. Data la triste notorietà dei fatti, resi noti in diretta dai media, va presunta la piena consapevolezza da parte dei responsabili della complicità delle loro azioni e omissioni. 2023. La complicità del governo italiano nei crimini di Israele Col suo sostegno al governo israeliano, in particolare mediante la fornitura di armamenti micidiali, il governo italiano si è reso colpevole di complicità nel genocidio in corso e nei gravissimi crimini di guerra e contro l’umanità commessi ai danni della popolazione palestinese, sia a Gaza che in Cisgiordania, specie a partire dal 7 ottobre 2023.A1) Fornitura di armamenti, munizioni e servizi belliciIl governo italiano in un primo tempo ha negato l’effettuazione di invio di armi ad Israele, ma in seguito, l’11 aprile 2024, l’ha ammesso in sede parlamentare con la risposta del sottosegretario Silli ad un’interrogazione parlamentare. In tale sede è stato confermato il dato emerso dalle rilevazioni dell’ISTAT secondo il quale dopo il 7 ottobre sono state effettuate 212 operazioni di esportazione per un valore complessivo di 4,3 milioni di euro. Tale ammissione è stata accompagnata da una dichiarazione secondo la quale si tratterebbe di licenze precedenti al 7 ottobre e in ogni caso le armi inviate dall’Italia non sarebbero usate per colpire la popolazione civile palestinese. Non è chiaro su quali elementi si basi tale dichiarazione. Essa probabilmente costituisce un pio desiderio o tutt’al più riflette in modo del tutto acritico una generica informazione in tal senso proveniente dalle autorità israeliane. La dichiarazione appare tuttavia smentita dai fatti e dalle dinamiche del genocidio in atto. Come sottolineato dagli esperti, infatti, fornire manutenzione e pezzi di ricambio a sistemi d’arma o munizioni a sostegno di un esercito come quello di Israele che poi effettua un continuo e massiccio attacco sulla popolazione non solo di Gaza significa sicuramente avere un impatto sui civili. Inoltre, non è chiaro chi e come si possa controllare che questo non succeda. La posizione del governo è stata sostanzialmente ribadita dal viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli in risposta a una nuova interrogazione parlamentare alla fine del mese successivo, maggio 2024. La fallacia delle fragili giustificazioni addotte dal governo italiano può del resto essere agevolmente verificata in relazione a quanto si sa delle forniture e degli aiuti da esso erogati a quello israeliano, per quanto il pesante velo di segretezza indebitamente opposto induca a ritenere che finora sia emersa solo la punta di un iceberg in larga parte ancora sommerso. Di seguito diamo un quadro sommario, e sicuramente incompleto, del sostegno bellico fornito dall’Italia a Israele, quale esso si può desumere dalla stampa, più che altro italiana e israeliana. a. Innanzitutto facciamo riferimento alle armi “leggere” fornite dalla Beretta, che vengono utilizzate dai coloni israeliani in Cisgiordania per la loro quotidiana caccia al palestinese. b. Bisogna inoltre attirare l’attenzione sulla fornitura di ordigni esplosivi ad alto potenziale prodotti sul suolo italiano, nonché sulla concessione del diritto di passaggio ad armamenti di vario tipo indubbiamente suscettibili di contribuire in misura non trascurabile all’uccisione delle almeno sessantamila vittime, in gran parte civili, che si è realizzata a Gaza e in Cisgiordania. c. Ulteriore elemento interessante è costituito dall’ammissione della società pubblica Leonardo che continuerà il suo programma di assistenza tecnica da remoto, di riparazione materiali e di fornitura di ricambi per la flotta di velivoli M-346 per Israele anche nel corso del 2025. Occorre ricordare che i velivoli M-346 sono utilizzati per l’addestramento dall’aviazione israeliana, principale protagonista dei bombardamenti indiscriminati che costituiscono il tassello principale della strategia genocida in atto. d. Va poi segnalato il ruolo svolto da alcune basi ed aeroporti italiani ove sono presenti anche truppe statunitensi. Il ruolo è rivelato dai dati sui voli militari effettuati su Palestina e Libano dall’ottobre 2023 all’ottobre 2024, che hanno permesso ad Israele di ricevere assistenza in termini di forniture militari che di intelligence. Tali dati evidenziano infatti il ruolo svolto dalla base di Sigonella e dagli aeroporti militari di Ancona, Bari, Brindisi, Ciampino e Napoli. Il ruolo delle infrastrutture militari italiane è risultato cruciale nell’ambito più vasto della strutturazione di un ponte aereo continuo, con oltre seimila voli in un anno, che ha consentito ad Israele di ricevere forniture aeree ed intelligence da parte delle Potenze alleate. 1.900 delle missioni aeree effettuate in tale contesto riguardavano direttamente la fornitura di attrezzature militari. Dei seimila voli effettuati nel complesso 631 hanno avuto come origine e destinazione, secondo l’inchiesta pubblicata dalla giornalista Stefania Maurizi sul Fatto Quotidiano, il territorio italiano e fra questi 34 voli dell’aereo Shadow 31 dotato di speciali sensori ed apparati per la raccolta di intelligence utilizzata nel corso delle operazioni militari israeliane. Particolarmente rilevante il ruolo della base di Sigonella, dalla quale sono partiti 101 voli militari e 65 dei 73 voli effettuati dal drone MQ-4C Triton, destinato a sorvegliare l’area delle operazioni militari israeliane. Sempre dalla base di Sigonella sono partiti almeno 13 voli dell’United States Transportation Command, addetto al trasporto di personale ed equipaggiamento militare, perla base israeliana di Nevatim. Va infine accennato al ruolo svolto dalla base militare di Niscemi, sede di una quarantina di antenne (MUOS) che forniscono servizi di telecomunicazione agli Stati Uniti e ai loro alleati, tra i quali Israele. e. Ancora, si vedano le forniture di cannoni 76/62 Super Rapido MF 76/62 in grado di sparare fino a 120 colpi al minuto e utilizzati per bombardare Gaza dal mare, venduti dalla Oto-Melara alla Marina militare israeliana per un importo di 440 milioni di dollari. f. Si aggiungano le recenti rivelazioni della stampa riguardo alla consegna, da parte degli stabilimenti della controllata Leonardo Helicopters, con sede negli Stati Uniti degli elicotteri AW119Kx alla Flight Training School “Vihiys Latisah” dell’Aeronautica militare israeliana, ospitata nella base aerea di Hatzerim, nel deserto del Negev. g. Sempre Leonardo ha prestato a Israele, in particolare mediante l’azienda israeliana Rada, peraltro acquistata dalla stessa Leonardo, un’assistenza decisiva per la trasformazione dei bulldozer in armi micidiali destinate a demolire le case e a schiacciare o seppellire sotto le macerie i loro abitanti. Tale circostanza si evince anche dal Rapporto della Relatrice speciale sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, dal titolo “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, dedicato alle responsabilità delle imprese private nello sterminio in atto. h. Sempre dal Rapporto di Francesca Albanese emerge come Leonardo sia parte integrante del programma internazionale che ha per obiettivo lo sviluppo del velivolo bellico F-35, fornito a Israele, che se ne è avvalso per i bombardamenti intensi e indiscriminati avvenuti in particolare a partire dall’8 ottobre 2023. i. Ancora Leonardo fa parte insieme ad altre note aziende del settore, quali la britannica AE Systems e la francese Airbus, del raggruppamento europeo MBDA, che produce la micidiale bomba GBU-39, impiegata nei micidiali bombardamenti a tappeto che hanno costituito il principale strumento del genocidio. j. Il fitto intreccio esistente a livello internazionale tra le aziende che fanno parte del complesso militare-industriale, consente peraltro a Israele non solo di acquistare armamenti ma di produrne ed esportarne a sua volta, col significativo valore aggiunto dell’avvenuta sperimentazione degli stessi sui Palestinesi. Il rapporto Milex sui fornitori stranieri di armi all’Italia evidenzia l’incremento degli acquisti proprio da aziende israeliane, con un impegno finanziario pluriennale di almeno mezzo miliardo e in realtà tra 600 e 700 milioni di euro. Dalla verifica incrociata dei dati presenti in tale Rapporto con quelli contenuti in quello di Francesca Albanese appena citato, emerge come Israele sia attualmente l’ottavo esportatore di armi al mondo che da un lato vende armamenti di avanguardia, testati sul terreno appunto sulla pelle dei Palestinesi a vari Stati, tra cui l’Italia e dall’altra produce, grazie a questa fitta rete di cooperazione tecnica internazionale, armamenti specificamente dedicati all’attuazione del genocidio in corso. k. Ulteriori elementi sono emersi da ultimo a seguito della mobilitazione dei lavoratori portuali in Italia, Francia ed altri Paesi europei, che hanno temporaneamente bloccato il trasferimento di materiale militare verso Israele. Recenti mobilitazioni avvenute in città portuali come Genova, Livorno e Ravenna hanno consentito di smascherare e in qualche caso anche bloccare l’invio a Israele degli armamenti, munizioni, esplosivi e altri strumenti del genocidio. l. Un’analisi effettuata dall’Istituto IRIAD dell’Archivio Disarmo, inoltre, ha stabilito incrociando dati provenienti da varie fonti italiane e internazionali (Sipri, Istat (portale Coeweb per le statistiche sul commercio estero) Relazione del governo sull’export di armamenti) e smentendo le dichiarazioni dei ministri Crosetto e Tajani, che nel 2024 l’Italia ha esportato armi e munizioni (cat. 93) per circa 5,8 milioni di euro, dei quali esplicita solo l’11% come appartenenti alle sottocategorie “armi non letali” (cat. 9304), “parti e accessori” 8cat. 9305) e “bombe, granate e siluri” (cat. 9306) e, solo nei primi due mesi del 2025, sotto la categoria generica di “armi, munizioni e loro parti e accessori” sono partite dall’Italia armi dirette a Israele per oltre 128mila euro di cui solo 47.249 rilevate dall’ISTAT. Il documento mette in fila non solo le autorizzazioni all’esportazione di grandi sistemi d’arma a Israele tra il 2019 e il 2023 per 26,7 milioni di dollari(23,4 milioni di euro) – nel dettaglio si tratta di 12 elicotteri AW 119 Koala della Leonardo SpA e 44 cannoni navali da 76 mm Super Rapid, prodotti rispettivamente a Vergiate (VA) e La Spezia, cui si aggiunge una cooperazione stabile nel programma degli aerei F-35, con componentistica prodotta in Italia e destinata ai velivoli israeliani- ma evidenzia anche le esportazioni più recenti, che “mostrano una cooperazione ancora più strutturata tra Italia e Israele”. Particolarmente rilevante è il capitolo delle tecnologie per “navigazione aerea e spaziale” (cat. 88), che comprende aerei, droni, radar per un valore di 34 milioni di euro. Di questi ben 31 milioni non sono inseriti in sottocategorie dal Coeweb, rendendone difficile la tracciabilità. Rientra probabilmente in questa categoria anche la vendita del jet M346 Master, impiegato per l’addestramento militare avanzato, ma suscettibile, con lievi modifiche, di essere utilizzato anche per bombardamenti e per il quale la stessa Leonardo ha preannunciato la trasformazione in aerei da combattimento con la sigla M-346 FA, con l’installazione di un cannone Nexter da 20 mm. m. Va sottolineata poi l’esportazione di macchine per l’elaborazione automatica dell’informazione (cat. 8471). Come si legge nel Coeweb, nel 2024 l’Italia ha esportato in Israele 2,7 milioni di euro in computer industriali, lettori ottici e dispositivi per l’inserimento e l’elaborazione codificata delle informazioni, strumenti fondamentali per le infrastrutture militari, la logistica e l’intelligenza artificiale. Tecnologie che possono essere utilizzate per funzioni dual use quali il controllo dei droni, il targeting automatizzato e il comando delle operazioni militari. n. Nel 2024 l’Italia autorizzava, secondo i dati Coeweb, esportazioni di “armi, munizioni e loro parti ed accessori” per circa 5,8 milioni di euro, dei quali solo l’11% classificati. Il resto, “cioè la quasi totalità dell’export” di armi e munizioni avviene “senza dettaglio pubblico”. Vale a dire, spesso sotto le clausole di segretezza consentite dalla legge 185/990 che disciplina le autorizzazioni al traffico di armi ed armamenti verso Paesi in guerra. o. Dall’elaborazione compiuta dall’istituto IRIAD emerge che la voce più significativa tra le spedizioni è quella di “navigazione aerea e spaziale”, vale a dire aeromobili, droni, radar e componenti per uso bellico, proprio quegli armamenti cioè di cui il governo aveva escluso la spedizione verso Israele. In questa categoria l’Italia ha inviato pezzi per oltre 34 milioni di euro, anche se solo 3 milioni sono classificati dal Coeweb con precisione. Si tratta di motori per droni, elicotteri leggeri, componenti radar, mentre ben 31 milioni di euro risultano inseriti in sottocategorie generiche e non specificate. E’ in questa categoria che secondo IRIAD si colloca la vendita del jet per addestramento avanzato M-34 Master. p. Rilevanti anche le rivelazioni del deputato di opposizione, capogruppo dei Cinquestelle in Commissione Difesa, Bruno Marton, che ha accusato il ministro degli Esteri Antonio Tajani di aver mentito riguardo all’esportazione di materiali bellici ad Israele. Marton ha preso spunto dal sequestro, da parte della Procura di Ravenna, di oltre tredici tonnellate di “lavori in ferro e fucinati”, destinate ad Israele. Marton ha fatto riferimento anche all’esportazione verso Israele di “cordoni detonanti”, di quantitativi senza precedenti di nitrato d’ammonio, utile per la produzione di esplosivi, e perfino di ingenti quantitativi di trizio, utile per la produzione di bombe nucleari. A tale riguardo va segnalato anche il sequestro effettuato dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli su mandato della Procura di Ravenna. Dall’inchiesta è emersa l’effettuazione di consistenti esportazioni avvenute in precedenza nei confronti di Israele. q. La reticenza del ministro Tajani si inserisce quindi in un quadro molto propizio all’occultamento dei trasferimenti di armi, munizioni e servizi di vario tipo a favore di Israele. Occorre ricordare al riguardo che su molti di tali trasferimenti grava il segreto politico, diplomatico e militare che rende oltremodo arduo l’accertamento della loro effettiva natura e che è in sostanza preordinato a impedire l’accertamento dell’effettiva compatibilità di tali trasferimenti col diritto, sia interno che internazionale. Tale segretezza risulta tanto più inaccettabile nell’attuale situazione di violazione quotidiana del diritto alla vita della popolazione palestinese della quale costituisce a ben vedere un meccanismo essenziale che opera nella piena consapevolezza delle autorità governative competenti. r. Il Memorandum d’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa, sottoscritto a Parigi il 16 giugno 2003, rappresenta al riguardo una vera e propria pistola fumante, dato che fra l’altro non era stato possibile venire a conoscenza del suo contenuto, data l’esistenza di un Accordo segreto tra Italia e Israele. L’istanza di accesso agli atti amministrativi presentata da alcuni giuristi ha alfine consentito di venire a conoscenza del contenuto di tale Accordo, che in sostanza consiste nella previsione dell’apposizione del segreto sui contenuti concreti della cooperazione in atto, su richiesta di una o entrambe le Parti, riproponendo un insormontabile velo di inconoscibilità su tali contenuti. s. Ribadendo in sede parlamentare, a nome del governo italiano, il suo diniego a porre in essere le procedure necessarie a impedire il rinnovo automatico di tale Memorandum, il ministro per i rapporti col Parlamento Luca Ciriani ha confermato l’esistenza di una folta rete di complicità nel settore militare, attinente alla ricerca, produzione e distribuzione di ordigni a fini bellici, assistenza nel settore della formazione del personale militare, fornitura di informazioni utili per l’intelligence che costituiscono tutti parte sostanziale del meccanismo genocida in atto, imperniato sul governo israeliano, consentendo inoltre a quest’ultimo il compimento dei crimini di guerra e contro l’umanità di cui suoi importanti esponenti sono accusati di fronte a questa Corte. t. Anche il citato Rapporto della Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, mette bene in luce il ruolo svolto da Leonardo, che non è solo la principale azienda italiana nel settore delle armi, ma anche un’impresa privata con preponderante partecipazione pubblica e quindi controllata dalle autorità governative italiane. Nel Rapporto, dedicato com’è noto al ruolo delle aziende nel genocidio, viene stigmatizzato il contributo di Leonardo alla fornitura degli aerei da combattimento: “Israele beneficia del più grande programma di approvvigionamento della difesa mai realizzato, quello per il jet da combattimento F-35, guidato dalla statunitense Lockheed Martin], insieme ad almeno altre 1600 aziende, tra cui il produttore italiano Leonardo S.p.A, e otto Stati”. Il Rapporto sottolinea al riguardo come, dopo l’ottobre 2023, gli F-35 e gli F-16 sono stati fondamentali per dotare Israele di una potenza aerea senza precedenti, in grado di sganciare circa 85.000 tonnellate di bombe uccidere e ferire più di 179.411 palestinesi e distruggere Gaza. u. Di particolare rilievo, date le caratteristiche particolarmente avanzate dal punto di vista tecnologico delle operazioni militari israeliane in corso e dei connessi crimini di guerra, contro l’umanità e di genocidio, sono poi le rigogliose attività di cooperazione nel settore informatico ed elettronico aventi per oggetto diretto o indiretto la messa a punto di attrezzature suscettibili di essere usate in questo contesto. All’interno di tali attività assume ruolo determinante la maggiore istituzione finanziaria italiana, direttamente dipendente dal governo, la Cassa Depositi e Prestiti. Infatti la Cassa Depositi e Prestiti, attraverso CdP Venture Capital, ha partecipato a un round di finanziamento per la società tecnologica israeliana Classiq, una delle aziende leader nelle piattaforme software quantistiche, nella quale peraltro la Cassa depositi aveva già messo soldi tramite Neva, il fondo di Venture Capital di Banca Intesa. La notizia, diffusa lunedì 11 agosto 2025 dal quotidiano finanziario israeliano Globes, è però che la pubblica CdP – con la benedizione del governo- ha intenzione di investire decine di milioni di euro nelle aziende tech israeliane, a partire da quelle che si occupano di intelligenza artificiale. “ Giorgia Meloni è ben consapevole dell’attività del fondo, che è considerato un importante strumento di politica governativa e un mezzo per promuovere i suoi obiettivi, come un programma da miliardi di euro a favore dell’IA”, ha spiegato una esperta fonte israeliana al giornale di Tel Aviv….Va detto che questo non è il primo investimento di CdP in aziende israeliane i cui prodotti orbitano nell’area della sicurezza. Anche attraverso Neva, ad esempio, l’ente che gestisce il risparmio postale degli Italiani, ha messo soldi in Cyberint, che si occupa di cybersicurezza. E ancora: investimenti in Israele sono nel portafoglio di Indaco Bio, partecipato da CdP Venture Capital, attraverso Terra Venture Partners, un fondo basato a Tel Aviv e specializzato nel finanziamento di aziende tecnologiche israeliane. v. Nel suo recente Rapporto contenuto nel numero luglio-agosto 2025, la rivista Altreconomia pubblica una serie di dati inediti che attestano fra l’altro l’invio ad Israele dall’Italia, a partire dal 2024 di cordoni detonanti (140 tonnellate per un valore di 2.078. 458 euro), nitrato d’ammonio (5.980 tonnellate), trizio ed altri materiali chiave per esplosivi e armi nucleari. w. Date le caratteristiche delle operazioni di sterminio condotte da Israele contro la popolazione palestinese di Gaza, che vedono un ruolo di enorme importanza della tecnologia e delle attrezzature informatiche, va dato il dovuto rilievo, infine, all’Accordo tra Italia e Israele sulla cosiddetta cybersecurity, che ha dato il via a numerose collaborazioni nel campo della ricerca e dello sviluppo tecnologico con vari enti accademici e di ricerca italiana, che concernono anche tecnologie suscettibili di uso militare. x. Le recenti aggressioni alla Flottilla condotte con droni sembrerebbero, secondo alcuni rapporti, aver coinvolto anche il territorio italiano e le acque sulle quali lo Stato italiano esercita diritti di sovranità e di controllo. In particolare un dossier elaborato dal Global movement su Gaza, organizzatore della spedizione umanitaria afferma che almeno taluni di tali droni sarebbero partiti dalla Sicilia. y. Ultimo ma non meno importante, occorre fare riferimento alla cosiddetta “decompressione”, ovvero al periodo di vacanze trascorse da gruppi di militari israeliani, presumibilmente coinvolti nel genocidio e nei crimini di guerra, in amene località italiane, quali ad esempio Porto San Giorgio, il Conero e le grotte di Frasassi nelle Marche e varie altre in Sardegna. Che non si sia trattato di iniziative spontanee è dimostrato dal fatto che le comitive di militari in questione erano costantemente vigilate dalle unità della Polizia di Stato italiano addette alle questioni politiche (Direzioni generali informazioni generali e operazioni speciali-DIGOS), il che lascia presumere l’esistenza di accordi quadro o anche più specifici tra Stato italiano e autorità israeliane. La letteratura scientifica e tecnica in materia afferma peraltro senza mezzi termini come tali operazioni “di decompressione” siano parte integrante della strategia e dell’attività bellica, e quindi, in un caso come questo, della strategia e dell’attività del genocidio z. Siamo quindi di fronte a un’impressionante mole di dati che dimostrano il diretto coinvolgimento dello Stato italiano nelle strategie e attività di genocidio condotte dal regime israeliano a Gaza e in Cisgiordania. Giova ribadire come la segretezza degli accordi relativi alla cooperazione militare e di “sicurezza” fra Italia e Israele impedisca di cogliere a pieno la portata di tale coinvolgimento, ma gli elementi che emergono sono nondimeno estremamente significativi e il loro esame induce a ritenere chiaramente la responsabilità dell’Italia e quindi di coloro che presiedono alla sua politica estera e di difesa. A2) Ruolo dell’Italia nell’interruzione del soccorso umanitario alla popolazione palestinese e prese di posizioni sui mandati di cattura della Corte penale internazionale Il piano israeliano di pulizia etnica e genocidio si avvale anche del blocco di ogni fornitura di beni essenziali, che ha già determinato la morte per inedia di migliaia di Palestinesi, soprattutto bambini. Per realizzare tale piano Israele ha tolto di mezzo le agenzie umanitarie internazionali, in particolare quelle facenti capo alle Nazioni Unite. Su tale piano va evidenziata la cessazione dei finanziamenti italiani all’UNRWA, che non è ripresa, al contrario che per altri Stati. La liquidazione delle attività svolte da tale agenzia delle Nazioni Unite rappresenta infatti un fattore importante della crisi alimentare in corso che vede oggi, secondo i dati dell’Integrated food security phase classification, il 22 per cento dei 2,4 milioni di abitanti di Gaza in una situazione di catastrofe umanitaria, mentre l’intera popolazione rischia una crisi alimentare o peggio. Dall’insieme degli elementi indicati risulta presumibile certezza del notevole contributo italiano al genocidio in atto, nonché alla commissione dei crimini di guerra e contro l’umanità che sono attualmente all’attenzione di codesta Corte, che ha emesso al riguardo due mandati di cattura contro il primo ministro israeliano Netanyahu e l’ex ministro della difesa Gallant. Ulteriore elemento probatorio della presumibile complicità del governo italiano rispetto a tali misfatti può peraltro desumersi proprio dall’intenzione, esternata da vari componenti del governo stesso, di non dare esecuzione a tali mandati di cattura. Tali dichiarazioni, oltre a tradursi in un inammissibile insulto a un’istituzione come la Corte penale internazionale, istituita proprio a Roma ventisette anni fa, si inseriscono in un contesto di forte ed omertosa solidarietà politica col governo israeliano, confermata tra l’altro dai voti effettuati negli organismi principali delle Nazioni Unite, come pure dalla continua opposizione dell’Italia alla richiesta, formulata dalla grande maggioranza degli Stati dell’Unione Europea, di rivedere gli accordi commerciali con Israele. Ma inoltre, se letta nel contesto dei rapporti esistenti tra Italia e Israele, tale ingiustificata ritrosia a dare attuazione a quanto stabilito da codesta Corte, si atteggia a ulteriore pesante indizio di colpevolezza nella complicità con Israele nei crimini di cui quest’ultimo Stato e i suoi governanti sono accusati. Giova ricordare che questi ed altri elementi giustificativi dell’accusa nei confronti del governo italiano per complicità nel genocidio del popolo palestinese ad opera del governo israeliano sono stati da tempo presentati alla Procura di Roma, organo giurisdizionale competente, con un formale esposto-denuncia che però non ha ricevuto finora alcuna risposta. I comportamenti incriminati cui si fa riferimento in tale denuncia, che è focalizzata sulla violazione dell’art. III lett. E della Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio, che punisce la complicità nel genocidio, possono peraltro risultare costitutivi di complicità anche nella commissione di altri crimini previsti nello Statuto di codesta Corte, in particolare crimini contro l’umanità e crimini di guerra. 1. Qualificazione giuridica dei fattia. I crimini di IsraeleLe condotte criminali realizzate negli ultimi anni dallo Stato di Israele, che hanno portato alla soppressione violenta o alla morte per inedia, secondo le stime più prudenti, di oltre sessantamila Palestinesi, in buona parte bambini, sono punibili ai sensi di vari articoli dello Statuto di codesta Corte. Facciamo in particolare riferimento specifico all’art. 6 – Genocidio, all’art. 7 – Crimini contro l’umanità e all’art. 8 – Crimini di guerra. Le giurisdizioni internazionali sono intervenute in merito con significative pronunce nel corso degli ultimi anni, specie dopo il 7 ottobre 2023. La Corte internazionale di giustizia ha affrontato il tema delle conseguenze dell’illegittima occupazione dei Territori palestinesi da parte di Israele nel Parere dettato su richiesta dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 luglio 2024. Tale Parere si conclude affermando tra l’altro che le politiche e pratiche israeliane nei territori palestinesi costituiscono una violazione del diritto internazionale e che la continuazione della presenza di Israele in tali territori è illegale. Il 26 gennaio 2024 tale Corte ha adottato un’Ordinanza che stabilisce misure provvisorie d’urgenza in materia, affermando in linea di massima (prima facie) la propria giurisdizione in materia e obbligando Israele a prendere tutte le misure che rientrino nella sua potestà per prevenire la commissione degli atti di cui all’art. II della Convenzione sul genocidio sopracitata e in particolare l’uccisione di membri del gruppo, l’inflizione di seri danni fisici e mentali ai suoi membri, la deliberata inflizione al gruppo di condizioni di vita tali da determinarne la distruzione totale o parziale, e l’imposizione di misure volte a prevenire le nascite al suo interno. A tale fine Israele avrebbe dovuto assicurare, con effetto immediato, che le sue Forze armate non commettessero atti del genere. Israele avrebbe dovuto inoltre adottare tutte le misure nella sua potestà per prevenire e punire l’istigazione diretta e pubblica al genocidio, allestire i servizi essenziali d’urgenza e l’assistenza umanitaria per affrontare le condizioni di vita improbe in cui si trovano i Palestinesi nella Striscia di Gaza, nonché adottare misure efficaci per prevenire la distruzione e assicurare la conservazione delle prove relative agli atti previsti dagli artt. II e III della Convenzione sul genocidio. Israele si è finora ben guardata dall’ottemperare a tali richieste e il complice sostegno di altri Stati, tra cui l’Italia, è risultato determinante in tale senso. Come ricorda la Corte in tale Ordinanza, citando testualmente la Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 96/1 dell’11 dicembre 1946, “Il genocidio è la negazione del diritto all’esistenza di interi gruppi umani, come l’omicidio è la negazione del diritto alla vita dei singoli esseri umani; tale negazione del diritto all’esistenza scuote la coscienza dell’umanità, si traduce in grandi perdite per l’umanità sotto forma di contributi culturali e di altro tipo rappresentati da questi gruppi umani, ed è contraria alla legge morale e allo spirito e agli scopi delle Nazioni Unite”. Il 28 marzo 2024 la Corte ha ribadito che la situazione pericolosa esistente nella Striscia, alla luce degli sviluppi più recenti, richiede l’attuazione immediata ed effettiva delle misure indicate nell’Ordinanza del 26 gennaio. Nessuna delle misure richieste è stata finora adottata. L’esistenza di un genocidio condotto mediante ricorso ai mezzi richiamati dalla Convenzione internazionale è stata da ultimo ribadita dall’accennato rapporto della Commissione internazionale indipendente di esperti sui territori palestinesi occupati del 16 settembre 2025, che ha ravvisato nel paragrafo 242, la violazione da parte di Israele di quattro delle ipotesi criminose previste dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1948 e in particolare “(i) killing members of the group; (ii) causing serious bodily or mental harm to members of the group; (iii) deliberately inflicting on the group conditions of life calculated to bring about its physical destruction in whole or in part; and (iv) imposing measures intended to prevent births within the group”. La Corte penale internazionale dal canto suo ha emesso, il 21 novembre 2024, due mandati di cattura aventi per destinatari il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa protempore Yoav Gallant, unitamente a tre dirigenti di Hamas, tutti nel frattempo uccisi da Israele. Il testo del mandato di cattura per Netanyahu e Gallant è al momento coperto da segreto. Notizie relative al suo contenuto possono peraltro desumersi dalla risposta data dalla Camera per le indagini preliminari di codesta Corte al reclamo presentato al riguardo da Israele. Da tale testo si evince che l’accusa è quella di “crimini di guerra e in particolare dell’uso della fame e della sete (starvation) come metodi di guerra, e di indirizzare intenzionalmente l’attacco contro la popolazione civile, nonché di crimini contro l’umanità, di assassinii, persecuzioni ed altri atti”. 1. La presumibile complicità dell’Italia nei crimini di IsraeleIl tema della partecipazione di altri Stati ai crimini commessi è coerentemente affrontato dai vari testi giuridici fondamentali applicabili a tali crimini.Dato il carattere fondamentale della norma relativa al divieto di genocidio, che riveste indubbiamente la natura di norma di jus cogens, diritto imperativo da cui non è possibile alcuna deroga e che si impone in quanto tale in modo generale e incondizionato, senza se e senza ma, a tutti gli Stati, i soggetti internazionali diversi dagli Stati e qualsiasi altra entità giuridica, il citato art. III della Convenzione in materia ha previsto in modo puntuale e articolato una serie di divieti collegati a quello principale. Sì tratta come affermato del divieto della cospirazione per commettere genocidio, dell’istigazione diretta e pubblica a commettere genocidio; del tentativo di commettere genocidio; della complicità nel genocidio. Grava inoltre su tutti gli Stati firmatari di tale Convenzione, ma occorre ritenere che si tratti anche di obbligo consuetudinario dotato dei requisiti di imperatività e cogenza propri dello jus cogens, l’obbligo di prevenire e punire il genocidio di cui all’art. ! della Convenzione in materia. Al riguardo giova riprendere brevemente le conclusioni raggiunte dal Comitato consultivo sul diritto internazionale pubblico del governo olandese il quale ha stabilito che: 1. Every third state that is a party to the Genocide Convention has an individual obligation to prevent genocide, wherever in the world there is a serious risk that genocide will be committed. 2. A third state has a duty to act, even if, on its own, it does not have the capacity to prevent genocide from taking place. 3. A third state may be held responsible for breaching the obligation to prevent genocide only if genocide actually takes place. The state incurs responsibility if it manifestly fails to take measures to prevent genocide. 4. The obligation to prevent genocide arises at the instant that the third state learns of, or should normally have learned of, the existence of a serious risk that genocide will be committed. If the ICJ determines that there is a real and imminent risk that rights under the Genocide Convention will be irreparably prejudiced, it may be assumed that a ‘serious risk of genocide’ exists. 5. The obligation to prevent genocide has a certain ‘gravity’. This has implications for how the obligation to prevent genocide is fulfilled and for accountability for the measures taken. The third state can be expected to publicly render account for the way in which it has discharged its obligation to prevent genocide. 6. The duty that rests on the third state is a due diligence obligation and is dependent on its capacity to exert influence on persons likely to commit, or already committing, genocide. The state is required to employ all means reasonably available to it to prevent genocide. This will vary from state to state and from case to case. 7. Third states are required to take measures that are likely to have a deterrent effect on those suspected of committing or preparing to commit genocide. The capacity to exert influence depends on multiple factors. An assessment in concreto must be made in each case. As a rule, more can be expected of a third state that has strong ties and a good relationship with the state that is the source of the risk of genocide. 8. International law has no clear or fixed rules prescribing which measures should be taken to prevent genocide. Third states must assess on a case-by-case basis the adequacy and effectiveness of the measures to be taken. Measures of increasing severity can be taken, ranging from mild (diplomatic measures) to severe (retorsion and reprisals). If certain measures appear to lack a deterrent effect, the state concerned is required to take more far-reaching measures, provided it has the capability to do so. 9. Third states, when faced with comparable situations involving a serious risk of genocide, must be consistent in speaking out and taking measures”.Il tema del ruolo degli Stati terzi è stato ripetutamente affrontato dai competenti organi internazionali. Facciamo qui riferimento a quanto affermato dal Parere della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024 (paragrafi 273-279) e da quello più volte menzionato della Commissione internazionale indipendente di esperti sui territori palestinesi occupati, di cui riprendiamo le raccomandazioni finali rivolte a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite:The Commission recommends that all Member States: (a) Employ all means reasonably available to them to prevent the commission of genocide in the Gaza Strip; (b) Cease the transfer of arms and other equipment or items, including jet fuel, to the State of Israel or third States where there is reason to suspect their use in military operations that have involved or could involve the commission of genocide; (c) Ensure individuals and corporations in their territories and within their jurisdiction are not involved in the commission of genocide, aiding and assisting the commission of genocide or incitement to commit genocide and investigate and prosecute those who may be implicated in these crimes under international law; (d) Facilitate the investigations and domestic proceedings and take action (including imposing sanctions) against the State of Israel and against individuals or corporations that are involved in or facilitating the commission of genocide or incitement to commit genocide; (e) Cooperate with the investigation of the Office of the Prosecutor of the International Criminal Court. 258. The Commission recommends that the Prosecutor of the International Criminal Court: (a) Examine, within its continuing investigation in the Situation in the State of Palestine, the crime of genocide for amendment to existing arrest warrants and addition to future application for arrest warrants; (b) Examine the involvement of officials mentioned in this report for inclusion as those most responsible for international crimes committed in the occupied Palestinian territory. Il governo italiano non solo non ha adempiuto agli obblighi internazionali in questione ma, pur essendo indubbiamente e pienamente in condizione di influire sul genocidio in atto, dato che da essa dipende, come argomentato, parte non trascurabile dello strumentario bellico a disposizione di Israele, non solo si è finora totalmente astenuto dall’adottare ogni misura preventiva del genocidio, ma anzi ha ostinatamente continuato ad alimentarlo. Tale innegabile circostanza costituisce a nostro avviso presumibilmente l’altrettanto innegabile base di una responsabilità penale personale di coloro che dispongono del relativo potere decisionale, in quanto membri del governo italiano o alti dirigenti di aziende presumibilmente direttamente coinvolte nei crimini di cui si parla. Lo Statuto della Corte penale internazionale, al suo Art. 25,3, lettera c afferma che sono perseguibili coloro che, allo scopo di agevolare la commissione di un reato rientrante nella giurisdizione della Corte, aiuta, è complice o comunque favorisce la commissione o il tentativo di commissione di tale reato, ivi compresa la fornitura dei mezzi per la sua commissione. E alla successiva lettera d aggiunge che sono perseguibili coloro che contribuiscono in ogni altro modo alla commissione o al tentativo di commissione del crimine da parte di un gruppo di persone che agiscono per uno scopo comune. La prassi internazionale in genere e in particolare la giurisprudenza di codesta Corte offrono numerosi casi e precedenti per i quali è stata considerata sufficiente, al fine di ritenere la corresponsabilità nella commissione di crimini internazionali, la prestazione di contributi causali quali ad esempio la fornitura di armi e munizioni. Si veda il caso di Charles Taylor, all’epoca presidente della Liberia, condannato dalla Corte penale internazionale a cinquant’anni di reclusione per il sostegno fornito al Revolutionary United Front della Sierra Leone, per aver consapevolmente agevolato quest’ultimo nella commissione dei suoi crimini. La consapevolezza da parte del governo italiano del carattere criminale e genocida delle operazioni militari avviate da Israele contro la popolazione palestinese, sia a Gaza che in Cisgiordania, deriva ipso facto dalla notorietà generale degli eventi in questione. Le recenti ammissioni della presidente del Consiglio Giorgia Meloni sul carattere illecito delle azioni intraprese da Israele, peraltro molto tardive, confermano l’esistenza di tale consapevolezza e, per altri versi, non rappresentano alcun ravvedimento effettivo, dato che non sono state accompagnate da alcuna decisione effettiva riguardo al trasferimento di materiali bellici verso Israele o all’interruzione della cooperazione militare con tale Stato. Sia la fornitura di armi, munizioni ed altri materiali e servizi a carattere militare ad Israele che l’interruzione del sostegno all’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite UNRWA, rientrano chiaramente in entrambe tali fattispecie e costituiscono quindi violazione evidente sia dell’art. III lett. e della Convenzione sul genocidio sia dell’art. 25, comma 3, dello Statuto di codesta Corte. Importanti chiarimenti relativi agli obblighi degli Stati terzi sono inoltre forniti dal Parere della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024, summenzionato, ai sensi del quale gli Stati sono tenuti a cooperare con le Nazioni Unite al fine di ottenere il ristabilimento del diritto internazionale violato da Israele e a non cooperare con quest’ultima, specie in relazione alle attività illegittime poste in essere nei Territori occupati. Nell’ordinanza del 30 aprile 2024 relativa al caso Nicaragua c. Germania, la Corte internazionale di giustizia ha ribadito, a punto 23, che, in base all’art.1 delle Convenzioni di Ginevra, tutti gli Stati parte sono obbligati a rispettare e far rispettare tali Convenzioni in ogni circostanza. Al punto 24 la Corte ha precisato che ritiene di particolare importanza ricordare agli Stati i loro obblighi relativamente al trasferimento di armi a Stati che siano parti di conflitti internazionali, al fine di evitare il rischio che le armi possano essere usate per violare le Convenzioni in questione. In termini generali, d’altronde, la responsabilità di uno Stato per complicità in crimini commessi da altri Stati è chiaramente affermata dall’art. 16 del Progetto di articoli approvato nel 2001 dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite secondo il quale “Uno Stato che aiuti o assista un altro Stato nella commissione di un atto internazionalmente illecito da parte di quest’ultimo è internazionalmente responsabile per siffatto comportamento se: a) quello Stato agisce così con la consapevolezza delle circostanze dell’atto internazionalmente illecito; e b) l’atto sarebbe internazionalmente illecito se commesso da quello Stato”. Occorre aggiungere che il silenzio finora mantenuto dalla giurisdizione penale italiana competente rende a sua volta applicabile l’art. 17 dello Statuto di codesta Corte, rendendo necessaria l’applicazione del principio di sussidiarietà nei rapporti tra Corte penale internazionale e giurisdizioni nazionali, nel senso che tale fin de non recevoir evidenzia l’assenza di ogni volontà da parte dello Stato italiano di “svolgere veramente le indagini o l’azione penale”. 1. ResponsabiliLe varie attività di sostegno ad Israele nell’attuazione del suo disegno criminoso volto alla violazione dei diritti della popolazione palestinese fino alla sua soppressione totale e parziale implicano indubbiamente il ruolo decisionale del governo italiano che presiede all’ effettuazione delle scelte di politica estera e alla loro applicazione esecutiva. Affermare che tale sfera decisionale sia sottratta allo scrutinio giudiziario in quanto espressione di poteri sovrani indiscutibili equivarrebbe a decretare l’assoluta inutilità di codesta Corte come anche di qualsiasi altro meccanismo giudiziario di controllo.In termini più generali, ciò equivarrebbe ad affermare l’esistenza di una sfera politica libera e discrezionale esente da qualsiasi condizionamento ed obbligo, anche qualora, come nella tragica vicenda in esame, siano gravemente colpiti e violati in modo massiccio i diritti umani delle popolazioni coinvolte e quindi minerebbe in modo irrimediabile alla radice l’idea stessa di un ordinamento giuridico internazionale In particolare ciò vale per quanto riguarda le scelte relative all’autorizzazione del trasferimento di armamenti, che la legge italiana riserva alla presidenza del Consiglio dei ministri e ai ministri della Difesa e degli Esteri, nonché dell’Economia. La legge italiana in materia di trasferimento di armamenti, n. 185 del 1990, attribuisce infatti le relative attribuzioni al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri della Difesa e degli Esteri, la cui responsabilità si presenta quindi come assolutamente fondamentale. Si aggiungano le competenze relative al controllo di aziende pubbliche come Leonardo, la quale, pur costituendo una Società per azioni, vede al proprio interno una presenza decisiva della partecipazione pubblica. Con riferimento a Leonardo vanno peraltro sottolineate anche le presumibili responsabilità, concorrenti con quelle dei membri del governo, dell’amministratore delegato e direttore generale Roberto Cingolani, il quale assomma nella sua persona importanti poteri decisionali attinenti alle scelte qui messe sotto accusa. Occorre ricordare, inoltre, che, nell’autorizzare il trasferimento di armamenti ad Israele il governo italiano ha violato, oltre al diritto internazionale, la sua stessa legge nazionale e in particolare la legislazione relativa al trasferimento delle armi, che ne esclude a chiare lettere la legittimità qualora gli Stati destinatari siano implicati in conflitti o si rendano colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani. Tale violazione di precise disposizioni di legge, nonché quella, se possibile più grave delle norme di diritto internazionale di carattere consuetudinario o pattizio che definiscono i crimini internazionali, tra le quali quelle contenute nello Statuto di codesta Corte, determina tra l’altro l’impossibilità di invocare, per escludere la responsabilità personale dei ministri coinvolti, l’immedesimazione tra le persone fisiche e gli organi alla cui attività esse sono preposte. Tra le figure istituzionali da perseguire occorre senz’altro includere quelle apicali che intervengono in sede di autorizzazione al trasferimento dei materiali bellici e delle altre attività che costituiscono un contributo concreto ed effettivo ai massacri in corso, compresa la decisione di interrompere i finanziamenti all’UNRWA. Facciamo quindi riferimento alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e a quello della Difesa Guido Crosetto. I primi due in quanto responsabili in solido delle scelte internazionali compiute dal governo, il terzo per le sue specifiche competenze in materia di esportazione di armamenti e di cooperazione militare in genere. La qualifica da essi rivestita non impedisce ovviamente che sia avviata l’azione penale nei loro confronti, dato l’espresso disposto dell’art. 27 dello Statuto di questa Corte, secondo il quale “1. Il presente Statuto si applica a tutti in modo uguale senza qualsivoglia distinzione basata sulla qualifica ufficiale. In particolare, la qualifica ufficiale di Capo di Stato o di governo, di membro di un governo o di un parlamento, di rappresentante eletto o di agente di uno Stato non esime in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale per quanto concerne il presente Statuto e non costituisce di per sé motivo di riduzione della pena. 1. Le immunità o le regole di procedura speciali eventualmente inerenti alla qualifica ufficiale di una persona in forza del diritto interno o del diritto internazionale non impediscono alla Corte di esercitare la propria giurisdizione nei confronti di tale persona”.Ricordiamo anche come l’art. IV della Convenzione sul genocidio affermi perentoriamente che “Le persone che commettono il genocidio o uno degli atti elencati nell’articolo III (tra cui per l’appunto gli atti di complicità) saranno punite, sia che rivestano la qualità di governanti costituzionalmente responsabili o che siano funzionari pubblici o individui privati”.Né alcuna impunità si può arguire dalla pretesa “natura politica” degli atti compiuti, dato che in uno Stato e in un ordinamento internazionale di diritto tale natura non consente il compimento di atti contrari a principi fondamentali e che violano norme di importanza assolutamente primaria, quali quelle che vietano e puniscono i crimini di guerra, contro l’umanità e il genocidio. Sostenere il contrario equivarrebbe infatti ipso facto a porre nel nulla ogni normativa internazionale volta a prevenire e reprimere i crimini più gravi. Nulla quaestio si pone ovviamente, in tale ambito, rispetto a Roberto Cingolani, che dirige un’impresa privata, sia pure a partecipazione pubblica. 1. Elementi di provaGli elementi di prova di quanto affermato in questa denuncia sono contenuti in atti e rapporti delle Nazioni Unite, Rapporti di organizzazioni specializzate nell’analisi del commercio e traffico di armamenti, dichiarazioni di autorità governative italiane, interrogazioni parlamentari, e articoli di stampa, contenuti o indicati nell’allegato alla denuncia stessa insieme alla denuncia a suo tempo presentata alla Procura di Roma e dall’integrazione alla denuncia stessa. 2. Conclusioni e richiestaAlla luce di quanto sopra esposto, si chiede all’Ufficio del Procuratore della Corte Penale Internazionale di:Avviare un esame preliminare ai sensi dell’art. 15 dello Statuto di Roma. 3. Procedere a una valutazione circa la possibilità di aprire un’indagine formale. PER ADERIRE, SOSTENERE E FIRMARE LA DENUNCIA CLICCA QUI SOTTO E VAI ALLA FINE DELL’ARTICOLO  Appoggiamo la denuncia alla Corte Penale Internazionale Redazione Italia
USA, le critiche a Israele zittite a suon di sanzioni. Colpiti altri 4 giudici della CPI
a Il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha annunciato che gli Stati Uniti emetteranno sanzioni nei confronti di altri 4 giudici della Corte Penale Internazionale, accusandoli di costituire una «minaccia» per gli USA e per Israele. I giudici in questione sono Kimberyly Prost (di nazionalità canadese), Nicolas Guillou (Francia), Nazhat Shameem Khan (Fiji), e Mame Mandiaye Niang (Senegal). La prima è stata sanzionata per avere permesso alla CPI di indagare sui crimini statunitensi in Afghanistan, mentre gli altri tre per avere autorizzato o legittimato l’emissione di mandati d’arresto contro Netanyahu e il suo ex ministro Gallant. In precedenza, gli USA avevano già emesso sanzioni contro giudici della CPI e contro il procuratore Karim Khan, che aveva chiesto l’emissione di mandati di arresto contro Netanyahu. Ora, le persone coinvolte avranno conti e proprietà negli USA congelati e nessuna realtà statunitense potrà avere legami con loro o facilitare il loro lavoro. L’amministrazione degli Stati Uniti ha così intensificato la sua pressione sulla Corte penale internazionale (CPI). Marco Rubio ha giustificato le sanzioni, dichiarando che i giudici sanzionati hanno partecipato «direttamente alle azioni della Corte per indagare, arrestare, detenere o perseguire cittadini degli Stati Uniti o di Israele, senza il consenso di entrambe le nazioni». Per gli USA, ha detto il Segretario di Stato, la CPI rappresenta «una minaccia alla sicurezza nazionale» e uno «strumento di lotta giuridica contro i nostri alleati». Secondo Rubio, il Dipartimento di Stato è fermamente contrario alla «politicizzazione» della Corte e a quello che definisce «l’abuso di potere» da parte di quest’ultima. Il governo israeliano ha accolto con favore la decisione, con il premier Benjamin Netanyahu che ha elogiato l’iniziativa degli Stati Uniti, affermando che si tratta di un’«azione decisiva contro la campagna di diffamazione e menzogne» che avrebbe colpito il Paese e il suo esercito. La reazione della CPI è stata di forte condanna. Il tribunale ha definito le sanzioni un «flagrante attacco all’indipendenza di un’istituzione giudiziaria imparziale» e un affronto «agli Stati parte della Corte e all’ordine internazionale basato sulle regole». La Corte ha sottolineato che continuerà a svolgere «imperterrita» il proprio mandato, esortando gli Stati che ne fanno parte e i sostenitori del diritto internazionale a «fornire un sostegno fermo e costante» al suo lavoro. Il 21 novembre 2024, la Corte Penale Internazionale (CPI) aveva emesso mandati d’arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandoli di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi durante il conflitto a Gaza. Tra le accuse, l’uso della fame come metodo di guerra e attacchi deliberati contro la popolazione civile. In risposta, nel 6 febbraio 2025, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva firmato un ordine esecutivo imponendo sanzioni contro la CPI, che hanno previsto il congelamento dei beni e delle risorse di funzionari, dipendenti e collaboratori della Corte Penale Internazionale, estendendosi anche ai loro familiari più stretti. A queste persone è stato inoltre vietato l’ingresso negli Stati Uniti. A giugno, gli Stati Uniti avevano sanzionato quattro giudici della Corte, a causa di quella che hanno definito una «grave minaccia e politicizzazione», oltre che un «abuso di potere» da parte dell’istituzione. In ultimo, dopo mesi di tentativi di affossamento, a luglio gli USA hanno deciso di sanzionare anche la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, l’italiana Francesca Albanese. L’ordine, firmato da Marco Rubio, si basa sullo stesso decreto con cui Trump aveva aperto la strada alle sanzioni contro membri della Corte Penale Internazionale. Albanese, insomma, è stata accusata di avere contribuito direttamente ai tentativi della CPI di indagare, arrestare o perseguire cittadini israeliani e statunitensi con il suo ultimo rapporto, “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, all’interno del quale ha smascherato le aziende che fiancheggiano Israele nel suo progetto genocidario traendone profitto. Il report, evidentemente, non è andato giù all’amministrazione statunitense: Albanese, ora, sarà soggetta a limitazioni come il divieto di entrare negli USA, e le associazioni statunitensi non potranno sostenerla nel suo lavoro.   L'Indipendente
Il blocco navale come parte della “soluzione finale” su Gaza
1. Mentre l’imbarcazione Handala della Freedom Flotilla naviga in acque internazionali in direzione di Gaza, droni ne seguono il percorso e fanno temere un attacco simile a quello operato nel maggio scorso sulla nave umanitaria Conscience mentre si trovava al largo delle coste maltesi. A partire dal 2007 Israele ha imposto un blocco terrestre, aereo e navale sulla Striscia di Gaza, una punizione collettiva contro l’intera popolazione. Già nel 2010 Israele aveva colpito un’altra nave umanitaria che stava portando aiuti a Gaza, la Mavi Marmara, uccidendo dieci attivisti, lo stesso Stato che oggi colpisce impunemente ambulanze, operatori sanitari e giornalisti, e permette uccisioni mirate di donne e bambini, oltre a proseguire nella impunità, finora garantita dalla comunità internazionale, il genocidio della popolazione civile nella Striscia. Nel suo rapporto del 2025, “Lo stato dei diritti umani nel mondo”, Amnesty International ha descritto il 2024 come l’anno in cui il mondo è diventato spettatore passivo di un genocidio trasmesso in diretta streaming. Dal 2 marzo le forze israeliane hanno inoltre bloccato l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. E gli abitanti sono ora minacciati da una «carestia di massa». Lo scorso giugno, la marina militare israeliana ha bloccato in acque internazionali e dirottato la nave umanitaria Madleen, diretta alla Striscia di Gaza per portare cibo e beni di prima necessità arrestando il suo equipaggio. 2. Secondo il governo israeliano il blocco navale, dichiarato e notificato agli Stati confinanti, sarebbe una misura legittima prevista dal diritto internazionale, e questo permetterebbe l’intercettazione di qualsiasi imbarcazione anche in acque internazionali, e l’arresto del suo equipaggio. In realtà il diritto internazionale permette la libera navigazione in acque internazionali, salvo il caso nel quale si ravvisino potenziali attività terroristiche, ed il diritto di transito inoffensivo nelle acque territoriali (12 miglia dalla costa), a meno che questo non comporti attività illegali, o rischi per la sicurezza dello Stato (art.19 Convenzione UNCLOS di Montego Bay). La giurisdizione israeliana non si estende alle acque internazionali, al di là della cd. zona contigua (24 miglia dalla costa), nel senso che è solo in quest’ambito spaziale che possono essere effettuati controlli, che comunque non possono tradursi in attacchi armati contro persone indifese e non possono comportare sequestri di persona o atti lesivi della libertà e della dignità. Il tentativo di portare aiuto a chi sta morendo per fame, dopo essere stato sottoposto a crudeli bombardamenti che hanno colpito sistematicamente ospedali e centri di distribuzione del cibo, non può ritenersi un comportamento “illegale” perchè contrario a disposizioni di legge o ad altri atti d’imperio provenienti dalle autorità israeliane, perche sono queste ultime autorità che operano da tempo al di fuori dei limiti della propria sovranità e contro la legalità internazionale, come sottolineato in diverse occasioni dalla Relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati Francesca Albanese che ha pure denunciato la complicità dell’Italia. Le acque territoriali della Striscia di Gaza sono acque che non dovrebbero neppure ricadere nella giurisdizione israeliana, in quanto costituiscono parte di uno Stato riconosciuto da molti paesi e oggetto da anni di occupazione militare, condannata da una serie di Risoluzioni delle Nazioni Unite, l’ultima con l’astensione dell’Italia. 3. Nel 2024 la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato illegale la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati. A novembre dello stesso anno, una Commissione speciale delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto che ha documentato bombardamenti indiscriminati sui civili e l’uso sistematico della fame come arma di guerra. La natura illegale dell’occupazione della Striscia di Gaza, esaltata dall’ultima operazione “I carri di Gideon”, priva di qualsiasi legittimità i divieti di ingresso nelle acque territoriali della Striscia che Israele controlla soltanto in virtù dell’uso arbitrario della forza militare in violazione del diritto internazionale. Appare ormai evidente come il blocco navale imposto per impedire l’arrivo di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza risulti in contrasto con la legalità internazionale. Gli ordini impartiti dalle autorità israeliane, che non permettono alle navi della Freedom Flotilla di avvicinarsi alle coste della Striscia per sbarcare i loro aiuti, non possono dunque considerarsi ordini legittimi. 4. Le navi della Freedom Flotilla trasportano aiuti per una popolazione sottoposta ad un vero e proprio genocidio per fame, non certo armi o altro tipo di materiale militare, ed il loro blocco sembra corrispondere alla “soluzione finale” che il governo israeliano sta praticando con l’operazione “I Carri di Gideon”, con l’obiettivo ormai dichiarato di eliminare la popolazione palestinese ancora presente nella striscia, deportarne una parte, e creare grandi campi di concentramento nei quali rinchiudere tutti coloro che si opporranno alla deportazione. Un progetto di pulizia etnica, esteso anche alla Cisgiordania, reso possibile dalla copertura militare e politica garantita dagli Stati Uniti di Trump, dalle divisioni e dalle complicità dell’Unione europea, dalla sostanziale indifferenza di molti paesi arabi. Al di là di qualunque ipotesi di blocco navale della Strscia di Gaza per ragioni difensive e di sicurezza, nessuna norma di diritto internazionale autorizza attacchi a navi in libera navigazione in acque internazionali, cariche di aiuti umanitari per la popolazione civile. Le norme di diritto internazionale vanno rispettate anche in tempo di guerra, in base a quanto previsto dal diritto umanitario. 5. Sono tempi in cui le alleanze tra le grandi potenze sono state strette all’insegna della negazione del diritto internazionale, ma è ancora possibile, anzi doveroso, operare nel rispetto della normativa convenzionale che garantisce la sicurezza della navigazione ed il diritto di portare soccorsi, come stabilito dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, base del diritto internazionale umanitario. La Prima e la Seconda Convenzione impegnano gli Stati a proteggere i feriti, i malati, i naufraghi indipendentemente dalla parte in cui combattono, e il personale medico, le ambulanze e gli ospedali. La Terza Convenzione regola il trattamento dei prigionieri di guerra. La Quarta Convenzione contiene norme a protezione dei civili in tempo di guerra. Nel 1977 sono stati approvati due Protocolli aggiuntivi, I e II che Israele non ha ratificato. Il Primo integra la Quarta Convenzione con regole più precise sulla condotte belliche, quali il divieto di attaccare persone e installazioni civili von la limitazione dei mezzi e dei metodi autorizzati. Il Secondo sviluppa l’art. 3, comune alle quattro Convenzioni, in merito alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali e si applica a tutti i conflitti armati. Ciascuna Parte contraente accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile, anche se nemica. Essa autorizzerà pure il passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere(art. 23). Le violazioni di queste norme sono da considerare come crimini di guerra. 6. Il 28 maggio 2024 Spagna, Irlanda e Norvegia hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina e anche il Presidente francese Macron ha recentemente dichiarato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina. Occorre un riconoscimento immediato dello Stato di Palestina anche da parte dell’Italia, perchè questo atto formale dei governi europei potrebbe contribuire a rompere il blocco (non solo navale) imposto alla Striscia di Gaza che, malgrado l’occupazione militare, deve essere considerata ancora come una entità statale atonoma rispetto ad Israele. Su questo il governo italiano deve risposte immediate. 7. Già lo scorso anno la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha respinto nel mese di gennaio la richiesta di archiviazione di Israele, decidendo di procedere nella verifica delle accuse di genocidio mosse dal Sudafrica e da altri Stati contro Tel Aviv. A distanza di un anno la pratica sistematica del genocidio per fame, oltre che con i bombardamenti, è ormai conclamata. La Corte Penale internazionale sta proseguendo le sue attività di indagine nei confronti dei principali leader israeliani, dopo avere emesso mandati di arresto per il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex Ministro della difesa Yoav Gallant. Per la Corte dell’Aja, Netanyahu e Gallant avrebbero violato il diritto internazionale anche impedendo che aiuti umanitari giungessero alla popolazione della Striscia di Gaza. il 24 aprile 2025 la Camera d’appello della Corte penale internazionale ha stabilito che la questione della competenza giurisdizionale sui mandati di arresto contro il Primo ministro e l’ex Ministro della difesa israeliani doveva essere riesaminata. Il dossier è stato rinviato ai giudici della Prima camera preliminare per rivalutare la questione centrale: se la Corte penale internazionale abbia effettivamente giurisdizione sul caso, anche tenendo conto del fatto che Israele non ha firmato lo Statuto di Roma, base legale dell’attività della Corte. Con la decisione depositata il 16 luglio scorso, la Pre-Trial Chamber ha respinto il ricorso di Tel Aviv che chiedeva il ritiro del mandato di arresto nei confronti del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del Ministro della difesa Yoav Gallant e la sospensione delle indagini per i presunti crimini commessi in Palestina. Gli Stati aderenti al Trattato di Roma istitutivo della CPI rimangono così obbligati ad eseguire i mandati di arresto ordinati dalla Corte e rimane aperta la procedura per i gravi reati commessi dai vertici israeliani, anche attraverso le misure di blocco degli aiuti alla popolazione civile. La Corte Penale internazionale mantiene comunque la sua competenza ad indagare sui crimini contro l’umanità, anche quando questi crimini si rivolgano verso cittadini di Stati parte dello Statuto di Roma, dunque l’Italia, ovunque siano commessi. Le caratteristiche violente del possibile intervento delle forze armate israeliane a bordo delle navi della Freedom Flotilla, e la valenza di minaccia generalizzata verso chiunque si proponga di portare aiuti alla popolazione di Gaza, potrebbero persino integrare gli estremi del reato di terrorismo marittimo, o di terrorismo internazionale, se non della pirateria. Gli atti di “pirateria internazionale” possono essere realizzati da chi blocca con la violenza l’arrivo degli aiuti essenziali per la sopravvivenza, intercettando le navi umanitarie in acque internazionali, non da chi si espone direttamente con il proprio corpo per fare arrivare comunque medicine e alimenti per una popolazione continuamente esposta, oltre che ai bombardamenti, a continui ordini di evacuazione ed alla distruzione sistematica, dopo scuole ed ospedali, dei punti di distribuzione del cibo. Tutti gli atti del governo israeliano che si riverberano sulla morte per fame della popolazione di Gaza possono comunque rientrare nella definizione di crimini contro l’umanità. Sono quindi in contrasto con la legalità internazionale gli ordini di blocco delle navi civili che trasportano aiuti, non i tentativi di soccorrere una popolazione ormai stremata dai bombardamenti, dalla carenza di presidi sanitari e da una carestia dilagante. Per questa ragione qualunque attacco che sarà portato alle navi della Freedom Flotilla dovrà essere denunciato sia a livello nazionale, che agli organismi internazionali, ed in particolare alla Corte Penale internzionale, tanto da fare emergere come il blocco navale in acque internazionali non sia finalizzato a garantire la sicurezza di Israele, ma risulti invece diretto esclusivamente a realizzare quella che si profila come la “soluzione finale” su Gaza, con la eliminazione fisica del maggior numero possibile di palestinesi, l’occupazione militare della striscia, e la deportazione in grandi campi di concentramento dei sopravvissuti. Fulvio Vassallo Paleologo
Non dimentichiamo le donne afghane: Stop all’Apartheid di genere!
Nella lotta contro l’Apartheid di Genere, in difesa dei diritti delle donne in Afghanistan e ovunque nel mondo siano in atto sistemi di governo o apparati che operano continuativamente la segregazione delle donne e la privazione dei loro diritti fondamentali, il CISDA (Coordinamento italiano sostegno donne afghane) ha un nuovo ulteriore alleato: la Commissione Pari Opportunità di Roma Capitale. Il 12 -6, a seguito all’audizione del Cisda in merito, la commissione ha approvato all’unanimità il sostegno alle richieste contenute nella Campagna STOP APARTHEID DI GENERE – STOP FONDAMENTALISMI così espresso in una nota dalla presidente della commissione Michela Cicculli:  … sono orgogliosa di registrare l’appoggio trasversale, emerso nella seduta odierna, all’attività del Cisda-Coordinamento italiano sostegno donne afghane impegnato nella campagna Stop Fondamentalismi per il riconoscimento come crimine contro l’umanità dell’apartheid di genere e il deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia internazionale e alla Corte penale internazionale. Un sostegno su cui lavoreremo nelle prossime settimane per contribuire come amministrazione e portare all’attenzione del Governo e della cittadinanza la gravità delle discriminazioni sistematiche compiute dal regime talebano nei confronti delle donne, ragazze e persone Lgbt nel paese” perchè “è importante che si continui a parlare di una situazione giunta all’apice della violazione dei diritti fondamentali sistematizzata e normalizzata a livello normativo e politico e si supporti l’attività svolta dal Cisda, dalle forze democratiche e associazioni che nel paese, in maniera clandestina, portano avanti attività in ambito sanitario e di istruzione come pure lavorativo per aiutare chi viene discriminato”. Anche Marilena Grassadonia, Coordinatrice politiche diritti Lgbt+ di Roma Capitale, in una nota dichiara: “Accendere i riflettori su una questione che rischia di rimanere nell’ombra e’ compito delle istituzioni democratiche del nostro Paese. Grazie alla discussione di oggi in Commissione Pari opportunità, Roma Capitale non intende sottrarsi a questa responsabilità e sosterrà con una prossima iniziativa il lavoro del Cisda impegnato nella campagna ‘Stop Fondamentalismi, per il riconoscimento come crimine contro l’umanita’ dell’apartheid di genere e per il deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia internazionale e alla Corte penale internazionale”. Beatrice Biliato (CISDA) Redazione Italia
Rapporto 2024-2025 di Amnesty International: crisi globale dei diritti umani, “effetto Trump” accelera tendenze distruttive
Il Rapporto 2024-2025 (pubblicato in Italia da Infinito Edizioni) descrive la situazione dei diritti umani in 150 Stati e sottolinea l’insinuarsi di pratiche autoritarie e le feroci repressioni contro il dissenso. I primi 100 giorni del presidente Trump hanno intensificato la regressione globale e tendenze profondamente radicate nel tempo. Il mancato contrasto globale alle ineguaglianze, al collasso climatico e alla trasformazione tecnologica mette in pericolo le future generazioni. L’ascesa delle pratiche autoritarie e l’annichilimento del diritto internazionale non sono inevitabili: le persone resistono e resisteranno agli attacchi ai diritti umani. I governi possono favorire la giustizia internazionale e devono continuare a farlo. “Effetto Trump” La campagna contro i diritti umani dell’amministrazione Trump sta sovraccaricando tendenze dannose già esistenti, svuotando completamente le protezioni internazionali sui diritti umani e mettendo in pericolo miliardi di persone in tutto il pianeta. L’“effetto Trump” ha accresciuto i danni fatti da altri leader durante il 2024, erodendo decenni di duro lavoro svolto per costruire e far progredire i diritti umani universali per tutte e tutti e accelerando la discesa dell’umanità in una nuova era caratterizzata da una miscela di pratiche autoritarie e avidità delle imprese economiche. “Di anno in anno, avevamo dato l’allarme sul pericolo di un arretramento dei diritti umani. Ma quanto accaduto negli ultimi 12 mesi – segnatamente il genocidio israeliano della popolazione palestinese della Striscia di Gaza, avvenuto in diretta e tuttavia trascurato – ha messo a nudo quanto il mondo possa risultare infernale per moltissime persone quando gli Stati più potenti scaricano in mare il diritto internazionale e mostrano disprezzo per le istituzioni multilaterali. In questa congiuntura storica, mentre le leggi e le pratiche autoritarie si stanno moltiplicando a vantaggio di assai poche persone, i governi e la società civile devono agire con urgenza per riportare l’umanità su un terreno più sicuro”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. Il Rapporto 2024-2025 di Amnesty International documenta violente e diffuse repressioni del dissenso, catastrofiche escalation dei conflitti armati, azioni inadeguate per fronteggiare il collasso climatico e passi indietro globali nella difesa delle persone migranti e rifugiate, delle donne e delle ragazze e delle persone lgbtqia+. Se non ci sarà un’inversione di rotta globale, in questo turbolento 2025 si verificherà un ulteriore deterioramento. “Cento giorni dopo l’inizio del suo secondo mandato, il presidente Trump ha mostrato solo profondo disprezzo per i diritti umani universali. Il suo governo ha frettolosamente e deliberatamente preso di mira istituzioni statali e internazionali fondamentali e iniziative sorte per rendere il mondo più sicuro e più equo. Il suo assalto a tutto campo all’essenza stessa dei concetti di multilateralismo, asilo, giustizia razziale e di genere, salute globale e azioni sul clima per salvare vite umane sta aggravando i danni già arrecati a quei principi e a quelle istituzioni e sta ulteriormente incoraggiando leader e movimenti contrari ai diritti umani a unirsi a quell’assalto”, ha aggiunto Callamard. Ma dobbiamo essere chiari: questo malessere è molto più profondo delle azioni di Trump. Assistiamo da anni a una strisciante diffusione di pratiche autoritarie, alimentate da leader candidatisi o eletti con l’intenzione di essere agenti di distruzione. Ci hanno trascinato in una nuova era di agitazioni e crudeltà, ma tutte le persone che credono nella libertà e nell’uguaglianza devono coalizzarsi per contrastare gli attacchi sempre più estremi al diritto internazionale e ai diritti umani universali”, ha proseguito Callamard. La proliferazione di leggi, politiche e pratiche autoritarie contro la libertà d’espressione, di associazione e di riunione pacifica documentata da Amnesty International nel 2024 è stata un elemento centrale nell’assalto globale ai diritti umani. I governi hanno cercato di evitare i controlli, rafforzato i loro poteri e istillato paura mettendo al bando organi d’informazione, smantellando o sospendendo Ong e partiti politici, imprigionando con accuse infondate di “terrorismo” o “estremismo” persone che li hanno criticati e criminalizzando chi ha difeso i diritti umani, chi si è attivato per la giustizia climatica, chi ha manifestato in solidarietà con la popolazione della Striscia di Gaza e chi ha espresso in altro modo il proprio dissenso. In numerosi Stati le forze di sicurezza hanno fatto ricorso ad arresti arbitrari, sparizioni forzate e forza eccessiva, in alcuni casi letale, per sopprimere la disubbidienza civile. Le autorità del Bangladesh hanno ordinato di sparare a vista contro le proteste studentesche, causando quasi 1.000 morti, mentre in Mozambico le forze di sicurezza hanno dato luogo alla peggiore repressione delle proteste da anni a questa parte dopo un contestato risultato elettorale, uccidendo almeno 227 persone. In Turchia sono stati imposti divieti generali di protesta e si è continuato a usare forza illegale e indiscriminata contro le proteste pacifiche. In Corea del Sud, invece, ha vinto il potere delle persone quando il presidente Yoon Suk Yeol ha sospeso alcuni diritti umani e dichiarato la legge marziale, per poi essere rimosso dall’incarico e veder annullati i suoi provvedimenti dopo proteste di massa. I conflitti armati evidenziano il ripetersi dei fallimenti Nel moltiplicarsi e intensificarsi dei conflitti, forze statali e gruppi armati hanno agito in modo sfrontato, commettendo crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario che hanno devastato la vita di milioni di persone. Amnesty International ha documentato il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza e il sistema di apartheid e l’occupazione illegale in Cisgiordania si sono fatti più violenti. La Russia ha ucciso più civili ucraini nel 2024 che nell’anno precedente, continuando a colpire infrastrutture civili e sottoponendo le persone detenute a torture e sparizioni forzate. In Sudan, dove due anni di guerra civile hanno causato 11 milioni di sfollati interni – il più alto numero al mondo – le Forze di supporto rapido hanno commesso violenze sessuali ai danni di donne e bambine, che costituiscono crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità. Ciò nonostante, questo conflitto è andato avanti nella quasi totale indifferenza mondiale, per non parlare di chi ha cinicamente sfruttato l’occasione per violare l’embargo sulle armi dirette verso il Darfur. In Myanmar i rohingya hanno continuato a subire attacchi razzisti e molti di loro hanno dovuto lasciare le loro abitazioni nello stato di Rakhine. Il massiccio taglio degli aiuti internazionali deciso dall’amministrazione Trump ha aggravato la situazione, causando la chiusura di ospedali nei campi per persone rifugiate nella vicina Thailandia, facendo rischiare il rimpatrio a chi difende i diritti umani e mettendo in pericolo programmi che aiutavano le persone a sopravvivere al conflitto. L’iniziale sospensione degli aiuti statunitensi all’estero ha avuto conseguenze anche sui servizi sanitari e di sostegno in favore delle bambine e dei bambini separati dalle loro famiglie nei centri di detenzione in Siria. Quei tagli brutali hanno costretto alla chiusura programmi salva-vita nello Yemen, come quelli per combattere la malnutrizione infantile e delle donne in gravidanza e in fase di allattamento o per gestire i centri rifugio per le sopravvissute alla violenza di genere e per fornire cure mediche alle bambine e ai bambini colpiti dal colera o da altre malattie. “Amnesty International da tempo metteva in guardia sulla minaccia dei doppi standard nei confronti di un ordine basato sulle regole. L’impatto di questo arretramento è stato più acuto nel 2024, dalla Striscia di Gaza alla Repubblica democratica del Congo. Dopo aver aperto la strada verso il disordine, venendo meno al rispetto universale delle regole, la comunità internazionale ora deve assumersene la responsabilità”, ha commentato Callamard. “Il costo di questi fallimenti è gigantesco: la perdita di protezioni vitali sorte per salvaguardare l’umanità dopo gli orrori dell’Olocausto e della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante le molte imperfezioni del multilateralismo, la sua fine non rappresenta alcuna risposta. Al contrario, dovrebbe essere rafforzato e reimmaginato. Ma, dopo aver subito già danni nel 2024, oggi l’amministrazione Trump pare intenzionata a usare la motosega contro ciò che resta della cooperazione multilaterale, per rimodellare il nostro mondo attraverso una dottrina commerciale basata sull’avidità, sull’insensibile egoismo e sul dominio di poche persone”, ha sottolineato Callamard. I governi stanno abbandonando le future generazioni Il Rapporto 2024-2025 di Amnesty International contiene evidenti prove che il mondo sta condannando le future generazioni a un futuro ancora più duro a causa dei fallimenti collettivi nel contrastare la crisi climatica, nell’invertire le sempre più profonde ineguaglianze e nel porre un freno al potere delle imprese. La Cop 29 è stata una catastrofe, con un numero record di lobbisti del fossile a impedire il progresso verso una transizione equa: gli Stati più ricchi hanno fatto i bulli nei confronti di quelli a basso reddito, costringendo questi ultimi ad accettare negoziati che hanno suonato come prese in giro. La sconsiderata decisione del presidente Trump di abbandonare l’Accordo di Parigi e il suo ripetere “Avanti con la trivella!” non ha fatto altro che rafforzare tali fallimenti e potrebbe incoraggiare altri a fare lo stesso. “Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e il primo ad andare sopra un grado e mezzo rispetto ai livelli preindustriali. Le inondazioni che hanno devastato l’Asia meridionale e l’Europa, le siccità che hanno devastato l’Africa meridionale, gli incendi che hanno ridotto in cenere parti della foresta dell’Amazzonia e gli uragani che hanno fatto disastri negli Usa sono esempi dell’immenso costo umano del riscaldamento globale, persino ai suoi attuali livelli. Col prospettato aumento di tre gradi in questo secolo, gli Stati più ricchi sanno che non saranno immuni da disastri innaturali sempre più estremi, come i recenti incendi in California. Ma faranno qualcosa?”, si è chiesta Callamard. Nel 2024 povertà e ineguaglianze estreme, all’interno degli Stati e fra gli Stati, hanno proseguito a peggiorare a causa della massiccia inflazione, della scarsa regolamentazione delle imprese, di provvedimenti fiscali arbitrari e della crescita del debito nazionale. Eppure, molti governi e movimenti politici hanno fatto ricorso a una retorica razzista e xenofoba per addossare alle persone migranti e rifugiate la colpa della criminalità e della stagnazione economica. Nel frattempo, il numero e il benessere delle persone miliardarie sono cresciuti. Persino la Banca mondiale ha parlato di un “decennio perso” nella riduzione globale della povertà. Il futuro appare ancora più nero per molte donne, ragazze e persone lgbtqia+ a causa dell’aumento degli attacchi all’uguaglianza e all’identità di genere. In Afghanistan i talebani hanno introdotto limitazioni ancora più draconiane contro l’esistenza pubblica delle donne e in Iran le autorità hanno intensificato la loro brutale repressione contro le donne e le ragazze che sfidano l’obbligo d’indossare il velo. In Messico e in Colombia i collettivi di donne in cerca delle persone care scomparse hanno subito minacce e aggressioni. Malawi, Mali e Uganda hanno introdotto norme per criminalizzare o rafforzare divieti sulle relazioni omosessuali tra persone adulte e consenzienti. Georgia e Bulgaria hanno seguito la Russia nella repressione della cosiddetta “propaganda lgbtqia+”. L’amministrazione Trump sta contribuendo all’attacco globale alla giustizia di genere smantellando le iniziative per contrastare la discriminazione, attaccando senza sosta i diritti delle persone trans e interrompendo i finanziamenti ai programmi sanitari, educativi e di altro tipo a sostegno delle donne e delle ragazze di ogni parte del mondo. I governi stanno ulteriormente danneggiando la generazione attuale e quella futura non regolamentando adeguatamente le nuove tecnologie, usando in modo illegale gli strumenti di sorveglianza e rafforzando la discriminazione e le ineguaglianze mediante il crescente uso dell’intelligenza artificiale. Le imprese tecnologiche da tempo facilitano pratiche discriminatorie e autoritarie, ma il presidente Trump ha esacerbato questa tendenza incoraggiando le aziende proprietarie delle piattaforme social a limitare le protezioni – come, per esempio, l’addio di Meta ai programmi di fact-checking indipendente – e a rafforzare modelli di business che favoriscono la diffusione dell’odio e di contenuti violenti. L’allineamento tra l’amministrazione Trump e i miliardari della tecnologia rischia anche di aprire le porte a un’era di corruzione, disinformazione, impunità e conquista dei poteri dello Stato da parte delle imprese. “Dall’avere miliardari seduti in prima fila alla sua inaugurazione fino a garantire all’uomo più ricco del mondo un accesso senza precedenti all’interno dell’apparato di governo, il presidente Trump pare intenzionato a consentire a imprenditori egoisti suoi alleati di agire privi di controlli e senza il minimo rispetto per i diritti umani né per le regole”, ha sottolineato Callamard. Uno sforzo vitale per rafforzare la giustizia internazionale Nonostante la crescente opposizione da parte di Stati potenti, cui quest’anno si sono aggiunte le vergognose sanzioni dell’amministrazione Trump contro il procuratore della Corte Penale Internazionale, la giustizia internazionale e gli organi multilaterali hanno continuato a chiamare a rispondere i più alti livelli del potere e i governi del sud del mondo hanno assunto diverse, importanti iniziative. La Corte Penale Internazionale ha emesso mandati d’arresto contro alti funzionari di stato e leader di gruppi armati di Israele, della Striscia di Gaza, di Myanmar e della Russia. Le Nazioni Unite hanno avviato i negoziati per un trattato quanto mai necessario sui crimini contro l’umanità. Un mese fa le Filippine hanno arrestato l’ex presidente Rodrigo Duterte, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per il crimine contro l’umanità di uccisioni. La Corte internazionale di giustizia ha ordinato tre serie di misure cautelari nel caso Sudafrica contro Israele per violazione della Convenzione sul genocidio e ha emesso un parere in cui ha dichiarato che l’occupazione israeliana del Territorio palestinese, compresa Gerusalemme Est, è illegale. L’Assemblea generale ha approvato una risoluzione che chiede a Israele di porre fine all’occupazione e, nel gennaio di quest’anno, otto Stati del sud del mondo hanno costituito il “Gruppo degli otto dell’Aia” per impedire i trasferimenti di armi a Israele e chiamare a rispondere questo stato di violazioni del diritto internazionale. “Plaudiamo agli sforzi di Stati come il Sudafrica e degli organi della giustizia internazionale nel respingere la determinazione con cui gli Stati potenti stanno indebolendo il diritto internazionale. Contrastando in tal modo l’impunità, quegli Stati e quegli organi mostrano al mondo l’esempio da seguire. Il crescente attacco cui stiamo assistendo, negli ultimi mesi, alla Corte Penale Internazionale pare essere diventato uno dei grandi campi di battaglia del 2025. Tutti i governi devono fare quanto è in loro potere per sostenere la giustizia internazionale, chiamare gli autori di crimini di diritto internazionale a risponderne e proteggere la Corte Penale Internazionale e il suo personale dalle sanzioni”, ha commentato Callamard. “Nonostante possano essere demoralizzanti, queste sfide non rendono inevitabile la distruzione dei diritti umani. La storia abbonda di esempi di persone coraggiose che hanno vinto contro le pratiche autoritarie. Nel 2024 elettori ed elettrici di numerosi Stati hanno rifiutato col voto leader contrari ai diritti umani e milioni di persone nel mondo hanno alzato le loro voci contro l’ingiustizia. Dunque, è chiaro: non importa chi ci si metta contro, dobbiamo continuare e continueremo a resistere a questi avventati sistemi di potere e di profitto che cercano di privare le persone dei loro diritti umani. Il nostro vasto e incrollabile movimento resterà unito per sempre nella comune visione della dignità e dei diritti di ogni persona su questo pianeta”, ha concluso Callamard.   Amnesty International