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Il blocco navale come parte della “soluzione finale” su Gaza
1. Mentre l’imbarcazione Handala della Freedom Flotilla naviga in acque internazionali in direzione di Gaza, droni ne seguono il percorso e fanno temere un attacco simile a quello operato nel maggio scorso sulla nave umanitaria Conscience mentre si trovava al largo delle coste maltesi. A partire dal 2007 Israele ha imposto un blocco terrestre, aereo e navale sulla Striscia di Gaza, una punizione collettiva contro l’intera popolazione. Già nel 2010 Israele aveva colpito un’altra nave umanitaria che stava portando aiuti a Gaza, la Mavi Marmara, uccidendo dieci attivisti, lo stesso Stato che oggi colpisce impunemente ambulanze, operatori sanitari e giornalisti, e permette uccisioni mirate di donne e bambini, oltre a proseguire nella impunità, finora garantita dalla comunità internazionale, il genocidio della popolazione civile nella Striscia. Nel suo rapporto del 2025, “Lo stato dei diritti umani nel mondo”, Amnesty International ha descritto il 2024 come l’anno in cui il mondo è diventato spettatore passivo di un genocidio trasmesso in diretta streaming. Dal 2 marzo le forze israeliane hanno inoltre bloccato l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza. E gli abitanti sono ora minacciati da una «carestia di massa». Lo scorso giugno, la marina militare israeliana ha bloccato in acque internazionali e dirottato la nave umanitaria Madleen, diretta alla Striscia di Gaza per portare cibo e beni di prima necessità arrestando il suo equipaggio. 2. Secondo il governo israeliano il blocco navale, dichiarato e notificato agli Stati confinanti, sarebbe una misura legittima prevista dal diritto internazionale, e questo permetterebbe l’intercettazione di qualsiasi imbarcazione anche in acque internazionali, e l’arresto del suo equipaggio. In realtà il diritto internazionale permette la libera navigazione in acque internazionali, salvo il caso nel quale si ravvisino potenziali attività terroristiche, ed il diritto di transito inoffensivo nelle acque territoriali (12 miglia dalla costa), a meno che questo non comporti attività illegali, o rischi per la sicurezza dello Stato (art.19 Convenzione UNCLOS di Montego Bay). La giurisdizione israeliana non si estende alle acque internazionali, al di là della cd. zona contigua (24 miglia dalla costa), nel senso che è solo in quest’ambito spaziale che possono essere effettuati controlli, che comunque non possono tradursi in attacchi armati contro persone indifese e non possono comportare sequestri di persona o atti lesivi della libertà e della dignità. Il tentativo di portare aiuto a chi sta morendo per fame, dopo essere stato sottoposto a crudeli bombardamenti che hanno colpito sistematicamente ospedali e centri di distribuzione del cibo, non può ritenersi un comportamento “illegale” perchè contrario a disposizioni di legge o ad altri atti d’imperio provenienti dalle autorità israeliane, perche sono queste ultime autorità che operano da tempo al di fuori dei limiti della propria sovranità e contro la legalità internazionale, come sottolineato in diverse occasioni dalla Relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati Francesca Albanese che ha pure denunciato la complicità dell’Italia. Le acque territoriali della Striscia di Gaza sono acque che non dovrebbero neppure ricadere nella giurisdizione israeliana, in quanto costituiscono parte di uno Stato riconosciuto da molti paesi e oggetto da anni di occupazione militare, condannata da una serie di Risoluzioni delle Nazioni Unite, l’ultima con l’astensione dell’Italia. 3. Nel 2024 la Corte internazionale di giustizia ha dichiarato illegale la presenza di Israele nei territori palestinesi occupati. A novembre dello stesso anno, una Commissione speciale delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto che ha documentato bombardamenti indiscriminati sui civili e l’uso sistematico della fame come arma di guerra. La natura illegale dell’occupazione della Striscia di Gaza, esaltata dall’ultima operazione “I carri di Gideon”, priva di qualsiasi legittimità i divieti di ingresso nelle acque territoriali della Striscia che Israele controlla soltanto in virtù dell’uso arbitrario della forza militare in violazione del diritto internazionale. Appare ormai evidente come il blocco navale imposto per impedire l’arrivo di aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza risulti in contrasto con la legalità internazionale. Gli ordini impartiti dalle autorità israeliane, che non permettono alle navi della Freedom Flotilla di avvicinarsi alle coste della Striscia per sbarcare i loro aiuti, non possono dunque considerarsi ordini legittimi. 4. Le navi della Freedom Flotilla trasportano aiuti per una popolazione sottoposta ad un vero e proprio genocidio per fame, non certo armi o altro tipo di materiale militare, ed il loro blocco sembra corrispondere alla “soluzione finale” che il governo israeliano sta praticando con l’operazione “I Carri di Gideon”, con l’obiettivo ormai dichiarato di eliminare la popolazione palestinese ancora presente nella striscia, deportarne una parte, e creare grandi campi di concentramento nei quali rinchiudere tutti coloro che si opporranno alla deportazione. Un progetto di pulizia etnica, esteso anche alla Cisgiordania, reso possibile dalla copertura militare e politica garantita dagli Stati Uniti di Trump, dalle divisioni e dalle complicità dell’Unione europea, dalla sostanziale indifferenza di molti paesi arabi. Al di là di qualunque ipotesi di blocco navale della Strscia di Gaza per ragioni difensive e di sicurezza, nessuna norma di diritto internazionale autorizza attacchi a navi in libera navigazione in acque internazionali, cariche di aiuti umanitari per la popolazione civile. Le norme di diritto internazionale vanno rispettate anche in tempo di guerra, in base a quanto previsto dal diritto umanitario. 5. Sono tempi in cui le alleanze tra le grandi potenze sono state strette all’insegna della negazione del diritto internazionale, ma è ancora possibile, anzi doveroso, operare nel rispetto della normativa convenzionale che garantisce la sicurezza della navigazione ed il diritto di portare soccorsi, come stabilito dalle Convenzioni di Ginevra del 1949, base del diritto internazionale umanitario. La Prima e la Seconda Convenzione impegnano gli Stati a proteggere i feriti, i malati, i naufraghi indipendentemente dalla parte in cui combattono, e il personale medico, le ambulanze e gli ospedali. La Terza Convenzione regola il trattamento dei prigionieri di guerra. La Quarta Convenzione contiene norme a protezione dei civili in tempo di guerra. Nel 1977 sono stati approvati due Protocolli aggiuntivi, I e II che Israele non ha ratificato. Il Primo integra la Quarta Convenzione con regole più precise sulla condotte belliche, quali il divieto di attaccare persone e installazioni civili von la limitazione dei mezzi e dei metodi autorizzati. Il Secondo sviluppa l’art. 3, comune alle quattro Convenzioni, in merito alla protezione delle vittime dei conflitti armati non internazionali e si applica a tutti i conflitti armati. Ciascuna Parte contraente accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile, anche se nemica. Essa autorizzerà pure il passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere(art. 23). Le violazioni di queste norme sono da considerare come crimini di guerra. 6. Il 28 maggio 2024 Spagna, Irlanda e Norvegia hanno riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina e anche il Presidente francese Macron ha recentemente dichiarato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina. Occorre un riconoscimento immediato dello Stato di Palestina anche da parte dell’Italia, perchè questo atto formale dei governi europei potrebbe contribuire a rompere il blocco (non solo navale) imposto alla Striscia di Gaza che, malgrado l’occupazione militare, deve essere considerata ancora come una entità statale atonoma rispetto ad Israele. Su questo il governo italiano deve risposte immediate. 7. Già lo scorso anno la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ha respinto nel mese di gennaio la richiesta di archiviazione di Israele, decidendo di procedere nella verifica delle accuse di genocidio mosse dal Sudafrica e da altri Stati contro Tel Aviv. A distanza di un anno la pratica sistematica del genocidio per fame, oltre che con i bombardamenti, è ormai conclamata. La Corte Penale internazionale sta proseguendo le sue attività di indagine nei confronti dei principali leader israeliani, dopo avere emesso mandati di arresto per il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex Ministro della difesa Yoav Gallant. Per la Corte dell’Aja, Netanyahu e Gallant avrebbero violato il diritto internazionale anche impedendo che aiuti umanitari giungessero alla popolazione della Striscia di Gaza. il 24 aprile 2025 la Camera d’appello della Corte penale internazionale ha stabilito che la questione della competenza giurisdizionale sui mandati di arresto contro il Primo ministro e l’ex Ministro della difesa israeliani doveva essere riesaminata. Il dossier è stato rinviato ai giudici della Prima camera preliminare per rivalutare la questione centrale: se la Corte penale internazionale abbia effettivamente giurisdizione sul caso, anche tenendo conto del fatto che Israele non ha firmato lo Statuto di Roma, base legale dell’attività della Corte. Con la decisione depositata il 16 luglio scorso, la Pre-Trial Chamber ha respinto il ricorso di Tel Aviv che chiedeva il ritiro del mandato di arresto nei confronti del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del Ministro della difesa Yoav Gallant e la sospensione delle indagini per i presunti crimini commessi in Palestina. Gli Stati aderenti al Trattato di Roma istitutivo della CPI rimangono così obbligati ad eseguire i mandati di arresto ordinati dalla Corte e rimane aperta la procedura per i gravi reati commessi dai vertici israeliani, anche attraverso le misure di blocco degli aiuti alla popolazione civile. La Corte Penale internazionale mantiene comunque la sua competenza ad indagare sui crimini contro l’umanità, anche quando questi crimini si rivolgano verso cittadini di Stati parte dello Statuto di Roma, dunque l’Italia, ovunque siano commessi. Le caratteristiche violente del possibile intervento delle forze armate israeliane a bordo delle navi della Freedom Flotilla, e la valenza di minaccia generalizzata verso chiunque si proponga di portare aiuti alla popolazione di Gaza, potrebbero persino integrare gli estremi del reato di terrorismo marittimo, o di terrorismo internazionale, se non della pirateria. Gli atti di “pirateria internazionale” possono essere realizzati da chi blocca con la violenza l’arrivo degli aiuti essenziali per la sopravvivenza, intercettando le navi umanitarie in acque internazionali, non da chi si espone direttamente con il proprio corpo per fare arrivare comunque medicine e alimenti per una popolazione continuamente esposta, oltre che ai bombardamenti, a continui ordini di evacuazione ed alla distruzione sistematica, dopo scuole ed ospedali, dei punti di distribuzione del cibo. Tutti gli atti del governo israeliano che si riverberano sulla morte per fame della popolazione di Gaza possono comunque rientrare nella definizione di crimini contro l’umanità. Sono quindi in contrasto con la legalità internazionale gli ordini di blocco delle navi civili che trasportano aiuti, non i tentativi di soccorrere una popolazione ormai stremata dai bombardamenti, dalla carenza di presidi sanitari e da una carestia dilagante. Per questa ragione qualunque attacco che sarà portato alle navi della Freedom Flotilla dovrà essere denunciato sia a livello nazionale, che agli organismi internazionali, ed in particolare alla Corte Penale internzionale, tanto da fare emergere come il blocco navale in acque internazionali non sia finalizzato a garantire la sicurezza di Israele, ma risulti invece diretto esclusivamente a realizzare quella che si profila come la “soluzione finale” su Gaza, con la eliminazione fisica del maggior numero possibile di palestinesi, l’occupazione militare della striscia, e la deportazione in grandi campi di concentramento dei sopravvissuti. Fulvio Vassallo Paleologo
Non dimentichiamo le donne afghane: Stop all’Apartheid di genere!
Nella lotta contro l’Apartheid di Genere, in difesa dei diritti delle donne in Afghanistan e ovunque nel mondo siano in atto sistemi di governo o apparati che operano continuativamente la segregazione delle donne e la privazione dei loro diritti fondamentali, il CISDA (Coordinamento italiano sostegno donne afghane) ha un nuovo ulteriore alleato: la Commissione Pari Opportunità di Roma Capitale. Il 12 -6, a seguito all’audizione del Cisda in merito, la commissione ha approvato all’unanimità il sostegno alle richieste contenute nella Campagna STOP APARTHEID DI GENERE – STOP FONDAMENTALISMI così espresso in una nota dalla presidente della commissione Michela Cicculli:  … sono orgogliosa di registrare l’appoggio trasversale, emerso nella seduta odierna, all’attività del Cisda-Coordinamento italiano sostegno donne afghane impegnato nella campagna Stop Fondamentalismi per il riconoscimento come crimine contro l’umanità dell’apartheid di genere e il deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia internazionale e alla Corte penale internazionale. Un sostegno su cui lavoreremo nelle prossime settimane per contribuire come amministrazione e portare all’attenzione del Governo e della cittadinanza la gravità delle discriminazioni sistematiche compiute dal regime talebano nei confronti delle donne, ragazze e persone Lgbt nel paese” perchè “è importante che si continui a parlare di una situazione giunta all’apice della violazione dei diritti fondamentali sistematizzata e normalizzata a livello normativo e politico e si supporti l’attività svolta dal Cisda, dalle forze democratiche e associazioni che nel paese, in maniera clandestina, portano avanti attività in ambito sanitario e di istruzione come pure lavorativo per aiutare chi viene discriminato”. Anche Marilena Grassadonia, Coordinatrice politiche diritti Lgbt+ di Roma Capitale, in una nota dichiara: “Accendere i riflettori su una questione che rischia di rimanere nell’ombra e’ compito delle istituzioni democratiche del nostro Paese. Grazie alla discussione di oggi in Commissione Pari opportunità, Roma Capitale non intende sottrarsi a questa responsabilità e sosterrà con una prossima iniziativa il lavoro del Cisda impegnato nella campagna ‘Stop Fondamentalismi, per il riconoscimento come crimine contro l’umanita’ dell’apartheid di genere e per il deferimento dell’Afghanistan alla Corte di Giustizia internazionale e alla Corte penale internazionale”. Beatrice Biliato (CISDA) Redazione Italia
Rapporto 2024-2025 di Amnesty International: crisi globale dei diritti umani, “effetto Trump” accelera tendenze distruttive
Il Rapporto 2024-2025 (pubblicato in Italia da Infinito Edizioni) descrive la situazione dei diritti umani in 150 Stati e sottolinea l’insinuarsi di pratiche autoritarie e le feroci repressioni contro il dissenso. I primi 100 giorni del presidente Trump hanno intensificato la regressione globale e tendenze profondamente radicate nel tempo. Il mancato contrasto globale alle ineguaglianze, al collasso climatico e alla trasformazione tecnologica mette in pericolo le future generazioni. L’ascesa delle pratiche autoritarie e l’annichilimento del diritto internazionale non sono inevitabili: le persone resistono e resisteranno agli attacchi ai diritti umani. I governi possono favorire la giustizia internazionale e devono continuare a farlo. “Effetto Trump” La campagna contro i diritti umani dell’amministrazione Trump sta sovraccaricando tendenze dannose già esistenti, svuotando completamente le protezioni internazionali sui diritti umani e mettendo in pericolo miliardi di persone in tutto il pianeta. L’“effetto Trump” ha accresciuto i danni fatti da altri leader durante il 2024, erodendo decenni di duro lavoro svolto per costruire e far progredire i diritti umani universali per tutte e tutti e accelerando la discesa dell’umanità in una nuova era caratterizzata da una miscela di pratiche autoritarie e avidità delle imprese economiche. “Di anno in anno, avevamo dato l’allarme sul pericolo di un arretramento dei diritti umani. Ma quanto accaduto negli ultimi 12 mesi – segnatamente il genocidio israeliano della popolazione palestinese della Striscia di Gaza, avvenuto in diretta e tuttavia trascurato – ha messo a nudo quanto il mondo possa risultare infernale per moltissime persone quando gli Stati più potenti scaricano in mare il diritto internazionale e mostrano disprezzo per le istituzioni multilaterali. In questa congiuntura storica, mentre le leggi e le pratiche autoritarie si stanno moltiplicando a vantaggio di assai poche persone, i governi e la società civile devono agire con urgenza per riportare l’umanità su un terreno più sicuro”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. Il Rapporto 2024-2025 di Amnesty International documenta violente e diffuse repressioni del dissenso, catastrofiche escalation dei conflitti armati, azioni inadeguate per fronteggiare il collasso climatico e passi indietro globali nella difesa delle persone migranti e rifugiate, delle donne e delle ragazze e delle persone lgbtqia+. Se non ci sarà un’inversione di rotta globale, in questo turbolento 2025 si verificherà un ulteriore deterioramento. “Cento giorni dopo l’inizio del suo secondo mandato, il presidente Trump ha mostrato solo profondo disprezzo per i diritti umani universali. Il suo governo ha frettolosamente e deliberatamente preso di mira istituzioni statali e internazionali fondamentali e iniziative sorte per rendere il mondo più sicuro e più equo. Il suo assalto a tutto campo all’essenza stessa dei concetti di multilateralismo, asilo, giustizia razziale e di genere, salute globale e azioni sul clima per salvare vite umane sta aggravando i danni già arrecati a quei principi e a quelle istituzioni e sta ulteriormente incoraggiando leader e movimenti contrari ai diritti umani a unirsi a quell’assalto”, ha aggiunto Callamard. Ma dobbiamo essere chiari: questo malessere è molto più profondo delle azioni di Trump. Assistiamo da anni a una strisciante diffusione di pratiche autoritarie, alimentate da leader candidatisi o eletti con l’intenzione di essere agenti di distruzione. Ci hanno trascinato in una nuova era di agitazioni e crudeltà, ma tutte le persone che credono nella libertà e nell’uguaglianza devono coalizzarsi per contrastare gli attacchi sempre più estremi al diritto internazionale e ai diritti umani universali”, ha proseguito Callamard. La proliferazione di leggi, politiche e pratiche autoritarie contro la libertà d’espressione, di associazione e di riunione pacifica documentata da Amnesty International nel 2024 è stata un elemento centrale nell’assalto globale ai diritti umani. I governi hanno cercato di evitare i controlli, rafforzato i loro poteri e istillato paura mettendo al bando organi d’informazione, smantellando o sospendendo Ong e partiti politici, imprigionando con accuse infondate di “terrorismo” o “estremismo” persone che li hanno criticati e criminalizzando chi ha difeso i diritti umani, chi si è attivato per la giustizia climatica, chi ha manifestato in solidarietà con la popolazione della Striscia di Gaza e chi ha espresso in altro modo il proprio dissenso. In numerosi Stati le forze di sicurezza hanno fatto ricorso ad arresti arbitrari, sparizioni forzate e forza eccessiva, in alcuni casi letale, per sopprimere la disubbidienza civile. Le autorità del Bangladesh hanno ordinato di sparare a vista contro le proteste studentesche, causando quasi 1.000 morti, mentre in Mozambico le forze di sicurezza hanno dato luogo alla peggiore repressione delle proteste da anni a questa parte dopo un contestato risultato elettorale, uccidendo almeno 227 persone. In Turchia sono stati imposti divieti generali di protesta e si è continuato a usare forza illegale e indiscriminata contro le proteste pacifiche. In Corea del Sud, invece, ha vinto il potere delle persone quando il presidente Yoon Suk Yeol ha sospeso alcuni diritti umani e dichiarato la legge marziale, per poi essere rimosso dall’incarico e veder annullati i suoi provvedimenti dopo proteste di massa. I conflitti armati evidenziano il ripetersi dei fallimenti Nel moltiplicarsi e intensificarsi dei conflitti, forze statali e gruppi armati hanno agito in modo sfrontato, commettendo crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale umanitario che hanno devastato la vita di milioni di persone. Amnesty International ha documentato il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza e il sistema di apartheid e l’occupazione illegale in Cisgiordania si sono fatti più violenti. La Russia ha ucciso più civili ucraini nel 2024 che nell’anno precedente, continuando a colpire infrastrutture civili e sottoponendo le persone detenute a torture e sparizioni forzate. In Sudan, dove due anni di guerra civile hanno causato 11 milioni di sfollati interni – il più alto numero al mondo – le Forze di supporto rapido hanno commesso violenze sessuali ai danni di donne e bambine, che costituiscono crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità. Ciò nonostante, questo conflitto è andato avanti nella quasi totale indifferenza mondiale, per non parlare di chi ha cinicamente sfruttato l’occasione per violare l’embargo sulle armi dirette verso il Darfur. In Myanmar i rohingya hanno continuato a subire attacchi razzisti e molti di loro hanno dovuto lasciare le loro abitazioni nello stato di Rakhine. Il massiccio taglio degli aiuti internazionali deciso dall’amministrazione Trump ha aggravato la situazione, causando la chiusura di ospedali nei campi per persone rifugiate nella vicina Thailandia, facendo rischiare il rimpatrio a chi difende i diritti umani e mettendo in pericolo programmi che aiutavano le persone a sopravvivere al conflitto. L’iniziale sospensione degli aiuti statunitensi all’estero ha avuto conseguenze anche sui servizi sanitari e di sostegno in favore delle bambine e dei bambini separati dalle loro famiglie nei centri di detenzione in Siria. Quei tagli brutali hanno costretto alla chiusura programmi salva-vita nello Yemen, come quelli per combattere la malnutrizione infantile e delle donne in gravidanza e in fase di allattamento o per gestire i centri rifugio per le sopravvissute alla violenza di genere e per fornire cure mediche alle bambine e ai bambini colpiti dal colera o da altre malattie. “Amnesty International da tempo metteva in guardia sulla minaccia dei doppi standard nei confronti di un ordine basato sulle regole. L’impatto di questo arretramento è stato più acuto nel 2024, dalla Striscia di Gaza alla Repubblica democratica del Congo. Dopo aver aperto la strada verso il disordine, venendo meno al rispetto universale delle regole, la comunità internazionale ora deve assumersene la responsabilità”, ha commentato Callamard. “Il costo di questi fallimenti è gigantesco: la perdita di protezioni vitali sorte per salvaguardare l’umanità dopo gli orrori dell’Olocausto e della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante le molte imperfezioni del multilateralismo, la sua fine non rappresenta alcuna risposta. Al contrario, dovrebbe essere rafforzato e reimmaginato. Ma, dopo aver subito già danni nel 2024, oggi l’amministrazione Trump pare intenzionata a usare la motosega contro ciò che resta della cooperazione multilaterale, per rimodellare il nostro mondo attraverso una dottrina commerciale basata sull’avidità, sull’insensibile egoismo e sul dominio di poche persone”, ha sottolineato Callamard. I governi stanno abbandonando le future generazioni Il Rapporto 2024-2025 di Amnesty International contiene evidenti prove che il mondo sta condannando le future generazioni a un futuro ancora più duro a causa dei fallimenti collettivi nel contrastare la crisi climatica, nell’invertire le sempre più profonde ineguaglianze e nel porre un freno al potere delle imprese. La Cop 29 è stata una catastrofe, con un numero record di lobbisti del fossile a impedire il progresso verso una transizione equa: gli Stati più ricchi hanno fatto i bulli nei confronti di quelli a basso reddito, costringendo questi ultimi ad accettare negoziati che hanno suonato come prese in giro. La sconsiderata decisione del presidente Trump di abbandonare l’Accordo di Parigi e il suo ripetere “Avanti con la trivella!” non ha fatto altro che rafforzare tali fallimenti e potrebbe incoraggiare altri a fare lo stesso. “Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e il primo ad andare sopra un grado e mezzo rispetto ai livelli preindustriali. Le inondazioni che hanno devastato l’Asia meridionale e l’Europa, le siccità che hanno devastato l’Africa meridionale, gli incendi che hanno ridotto in cenere parti della foresta dell’Amazzonia e gli uragani che hanno fatto disastri negli Usa sono esempi dell’immenso costo umano del riscaldamento globale, persino ai suoi attuali livelli. Col prospettato aumento di tre gradi in questo secolo, gli Stati più ricchi sanno che non saranno immuni da disastri innaturali sempre più estremi, come i recenti incendi in California. Ma faranno qualcosa?”, si è chiesta Callamard. Nel 2024 povertà e ineguaglianze estreme, all’interno degli Stati e fra gli Stati, hanno proseguito a peggiorare a causa della massiccia inflazione, della scarsa regolamentazione delle imprese, di provvedimenti fiscali arbitrari e della crescita del debito nazionale. Eppure, molti governi e movimenti politici hanno fatto ricorso a una retorica razzista e xenofoba per addossare alle persone migranti e rifugiate la colpa della criminalità e della stagnazione economica. Nel frattempo, il numero e il benessere delle persone miliardarie sono cresciuti. Persino la Banca mondiale ha parlato di un “decennio perso” nella riduzione globale della povertà. Il futuro appare ancora più nero per molte donne, ragazze e persone lgbtqia+ a causa dell’aumento degli attacchi all’uguaglianza e all’identità di genere. In Afghanistan i talebani hanno introdotto limitazioni ancora più draconiane contro l’esistenza pubblica delle donne e in Iran le autorità hanno intensificato la loro brutale repressione contro le donne e le ragazze che sfidano l’obbligo d’indossare il velo. In Messico e in Colombia i collettivi di donne in cerca delle persone care scomparse hanno subito minacce e aggressioni. Malawi, Mali e Uganda hanno introdotto norme per criminalizzare o rafforzare divieti sulle relazioni omosessuali tra persone adulte e consenzienti. Georgia e Bulgaria hanno seguito la Russia nella repressione della cosiddetta “propaganda lgbtqia+”. L’amministrazione Trump sta contribuendo all’attacco globale alla giustizia di genere smantellando le iniziative per contrastare la discriminazione, attaccando senza sosta i diritti delle persone trans e interrompendo i finanziamenti ai programmi sanitari, educativi e di altro tipo a sostegno delle donne e delle ragazze di ogni parte del mondo. I governi stanno ulteriormente danneggiando la generazione attuale e quella futura non regolamentando adeguatamente le nuove tecnologie, usando in modo illegale gli strumenti di sorveglianza e rafforzando la discriminazione e le ineguaglianze mediante il crescente uso dell’intelligenza artificiale. Le imprese tecnologiche da tempo facilitano pratiche discriminatorie e autoritarie, ma il presidente Trump ha esacerbato questa tendenza incoraggiando le aziende proprietarie delle piattaforme social a limitare le protezioni – come, per esempio, l’addio di Meta ai programmi di fact-checking indipendente – e a rafforzare modelli di business che favoriscono la diffusione dell’odio e di contenuti violenti. L’allineamento tra l’amministrazione Trump e i miliardari della tecnologia rischia anche di aprire le porte a un’era di corruzione, disinformazione, impunità e conquista dei poteri dello Stato da parte delle imprese. “Dall’avere miliardari seduti in prima fila alla sua inaugurazione fino a garantire all’uomo più ricco del mondo un accesso senza precedenti all’interno dell’apparato di governo, il presidente Trump pare intenzionato a consentire a imprenditori egoisti suoi alleati di agire privi di controlli e senza il minimo rispetto per i diritti umani né per le regole”, ha sottolineato Callamard. Uno sforzo vitale per rafforzare la giustizia internazionale Nonostante la crescente opposizione da parte di Stati potenti, cui quest’anno si sono aggiunte le vergognose sanzioni dell’amministrazione Trump contro il procuratore della Corte Penale Internazionale, la giustizia internazionale e gli organi multilaterali hanno continuato a chiamare a rispondere i più alti livelli del potere e i governi del sud del mondo hanno assunto diverse, importanti iniziative. La Corte Penale Internazionale ha emesso mandati d’arresto contro alti funzionari di stato e leader di gruppi armati di Israele, della Striscia di Gaza, di Myanmar e della Russia. Le Nazioni Unite hanno avviato i negoziati per un trattato quanto mai necessario sui crimini contro l’umanità. Un mese fa le Filippine hanno arrestato l’ex presidente Rodrigo Duterte, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per il crimine contro l’umanità di uccisioni. La Corte internazionale di giustizia ha ordinato tre serie di misure cautelari nel caso Sudafrica contro Israele per violazione della Convenzione sul genocidio e ha emesso un parere in cui ha dichiarato che l’occupazione israeliana del Territorio palestinese, compresa Gerusalemme Est, è illegale. L’Assemblea generale ha approvato una risoluzione che chiede a Israele di porre fine all’occupazione e, nel gennaio di quest’anno, otto Stati del sud del mondo hanno costituito il “Gruppo degli otto dell’Aia” per impedire i trasferimenti di armi a Israele e chiamare a rispondere questo stato di violazioni del diritto internazionale. “Plaudiamo agli sforzi di Stati come il Sudafrica e degli organi della giustizia internazionale nel respingere la determinazione con cui gli Stati potenti stanno indebolendo il diritto internazionale. Contrastando in tal modo l’impunità, quegli Stati e quegli organi mostrano al mondo l’esempio da seguire. Il crescente attacco cui stiamo assistendo, negli ultimi mesi, alla Corte Penale Internazionale pare essere diventato uno dei grandi campi di battaglia del 2025. Tutti i governi devono fare quanto è in loro potere per sostenere la giustizia internazionale, chiamare gli autori di crimini di diritto internazionale a risponderne e proteggere la Corte Penale Internazionale e il suo personale dalle sanzioni”, ha commentato Callamard. “Nonostante possano essere demoralizzanti, queste sfide non rendono inevitabile la distruzione dei diritti umani. La storia abbonda di esempi di persone coraggiose che hanno vinto contro le pratiche autoritarie. Nel 2024 elettori ed elettrici di numerosi Stati hanno rifiutato col voto leader contrari ai diritti umani e milioni di persone nel mondo hanno alzato le loro voci contro l’ingiustizia. Dunque, è chiaro: non importa chi ci si metta contro, dobbiamo continuare e continueremo a resistere a questi avventati sistemi di potere e di profitto che cercano di privare le persone dei loro diritti umani. Il nostro vasto e incrollabile movimento resterà unito per sempre nella comune visione della dignità e dei diritti di ogni persona su questo pianeta”, ha concluso Callamard.   Amnesty International